Glossario storia economica significato dei termini

Glossario storia economica significato dei termini

 

 

 

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Glossario storia economica significato dei termini

Università Politecnica delle Marche – Facoltà di Economia

Glossario di storia economica

a cura di

Paolo Coppari
Olimpia Gobbi
Luigi Rossi

Carlo Verducci


Voci trattate


ANNONA                                      
APPRENDISTA                            
ARTIGIANATO                            
AUTARCHIA                                
BARATTO                                      
BILANCIA DEI  PAGAMENTI - BILANCIA COMMERCIALE
BIMETALLISMO                         
BIPOLARISMO
BORSA VALORI                           
CAPITALE FISSO – CAPITALE CIRCOLANTE
CAPITALISMO                            
CARTELLO                                   
CENSIMENTO                             
CICLO ECONOMICO                 
COMMENDA                               
COMPAGNIA COMMERCIALE
COMUNI
CORPORAZIONE                        
CORSO FORZOSO                      
CRISI 
CURTIS                                           
DEFLAZIONE                              
DECOLONIZZAZIONE               
DISTRETTO INDUSTRIALE      
DOMANDA                                             
DUMPING                                    
ECONOMIA CURTENSE             
ECONOMIA GUIDA                    
ECONOMIA MONDO                  
ECONOMIA DI MERCATO        
ECONOMIA DI SCALA              
ENCLOSURE                                
FATTORI DI PRODUZIONE      
FEUDALESIMO                           
FIERA                                             
GLOBALIZZAZIONE                  
GOLD STANDARD                     
GOLD EXCHANGE STANDARD      
GRANCIA 
GUERRA FREDDA                                   
IMPERIALISMO                          
INFLAZIONE                                
INTERESSE
INVENZIONE -INNOVAZIONE 
LEGGE DI ENGEL                      
LEGGI SUNTUARIE                   
LETTERA DI CAMBIO               
LIBERISMO                                   
MAGGESE                                    
MERCANTE -IMPRENDITORE  
MERCATO                                     
MERCANTILISMO                       
MEZZADRIA 
MIRACOLO ECONOMICO                              
MONOMETALLISMO                  
MONOPOLIO                                 
MONTI  DI PIETA'                         
MULTINAZIONALI
NATO – PATTO DI VARSAVIA                      
NEP                                                 
NEW ECONOMY                          
NEW DEAL  
ONU                                 
OPEN FIELDS                    
PATRIMONIO            
PIANIFICAZIONE ECONOMI-CA SOCIALISTA 
PIANO MARSHALL                     
PIRAMIDE DI ETA'                      
POPOLAZIONE ATTIVA             
POSTFORDISMO                          
PRODUTTIVITA'                          
PROFITTO
PROTEZIONISMO                         
PROTOINDUSTRIALIZZAZIO-NE
REGIME DEMOGRAFICO            
REDDITO
RENDITA
RICCHEZZA                                   
RIFEUDALIZZAZIONE                  
RIVOLUZIONE AGRARIA        
RIVOLUZIONE DEI PREZZI
RIVOLUZIONE URBANA 
RIVOLUZIONI DEL XVIII SECOLO         
ROTAZIONE AGRARIA                  
SALARIO REALE – SALARIO NOMINALE   
SIGNORIA FONDIARIA               
SIGNORAGGIO                              
STIPENDIO
TAYLORISMO - FORDISMO                            
TERZIARIZZAZIONE                   
TERZO MONDO                             
WELFARE STATE                      
W.T.O.                                                
ZECCA                                            
ZOLLVEREIN



Le voci in corsivo riguardano concetti, fenomeni e istituzioni non strettamente riferibili alla storia economica ma di carattere storico generale, utili per una migliore comprensione dei libri di testo del corso.

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

 

  • A. Zanini, U. Fadini ( a cura di), Lessico postfordista. Dizionario di idee della mutazione, Feltrinelli, Milano 2001.
  • Enciclopedia dell'economia Garzanti, Garzanti, Milano 1992
  • A. De Bernardi, S. Guarracino, La conoscenza storica. Manuale, fonti e storiografia, 3, Il Novecento,  Bruno Mondadori, Milano 2000.
  • M. Dinucci, Il sistema globale 2000, Zanichelli,Bologna 1998
  • Nuovo dizionario di economia, supplemento alla rivista "Il Mondo", 1989
  • Paolo Malanima, Economia preindustriale, Bruno Mondadori, Milano 1995

 

In fondo alle singole voci è spesso riportata l’indicazione di alcune delle pagine dei libri di testo del corso di Storia economica dell’a.a. 2002-2003 in cui sono contenuti riferimenti ai concetti illustrati e da cui in parte le voci stesse sono tratte. In particolare si è indicato con
Ci. – C. M. Cipolla, Storia economica dell’Europa pre-industriale, Il Mulino, Bologna 1997(6)
Za. – V. Zamagni, Dalla rivoluzione industriale all’integrazione europea, Il Mulino, Bologna, 1999


Annona (Abbondanza)
Quantità di cereali necessari per una città o circoscrizione amministrativa; con lo stesso termine si indica anche l'ufficio che deve garantire l’approvvigionamento e la disponibilità di essi nel corso dell’anno. (Ci., p. 57)

 

Apprendista
E’ il giovane o giovanissimo (da meno di dieci a circa venti anni) che lavora per alcuni anni (da due a dodici, in base a  quanto stabilito dalle corporazioni) nella bottega di un maestro artigiano per apprendere un mestiere. Non riceve compenso;  il padre dell’apprendista versa somme al maestro perché il figlio venga accettato. Una volta diventato maestro, apre bottega. Questa in epoca preindustriale è il luogo privilegiato di trasmissione del sapere tecnico-professionale. L’insegnamento è quasi esclusivamente di carattere pratico. L’apprendista, mentre impara, produce. Per tutta la sua durata, il giovane fa parte della famiglia del maestro ed è soggetto al suo potere patriarcale.
Fino allo sviluppo delle università (secoli XIII-XV), anche la preparazione a professioni “liberali” (notariato, medicina, avvocatura, ecc.) si realizza attraverso forme di apprendistato. (Ci., p. 97)

 

Artigianato

E’ la forma di organizzazione industriale più diffusa tra Medioevo e età moderna. La sua presenza è ad ogni modo forte fino alla seconda metà del secolo XX.
Consiste nella produzione di articoli manufatti in una bottegada parte di un lavoratore specializzato, che si può avvalere dell’aiuto di apprendisti e garzoni. La produzione è destinata non al consumo diretto ma al mercato.  L’artigiano è insieme un imprenditore e un mercante. I clienti possono essere o vicini alla bottega (ad es. se l’artigiano è un sarto, un mugnaio, un carpentiere, un fabbro, ecc.) o risiedere a chilometri di distanza (ad es. se produce tessuti).
Di solito,  a motivo delle scarse disponibilità finanziarie, l’artigiano non produce per il magazzino; lavora su commessa di mercanti, che spesso anticipano capitale circolante (materie prime) e possono anche dare in uso il capitale fisso (ad esempio, telai). (Ci., pp. 92-97, 114-116)

 

Autarchia

Indica l'indipendenza economica di uno stato dall'estero, ottenuta producendo all'interno tutto ciò di cui si ha bisogno ed eliminando ogni necessità di importazione. Dottrina già affacciatasi nel sec. XIX, divenne attuale durante la guerra del 1914-18 negli imperi centrali, assediati dagli alleati. In Italia fu introdotta nel 1934 e inasprita negli anni 1935-6, in seguito alle sanzioni della Società delle Nazioni contro l'aggressione italiana all'Etiopia; continuò anche successivamente seguendo il modello tedesco che puntava sull'autarchia come strumento di rafforzamento del sistema economico interno in vista di una guerra totale. (Za., pp.188-191)

 

Baratto
Scambio di beni contro beni senza impiego di moneta. (Ci., p. 200)

 

Bilancia dei pagamenti - bilancia commerciale
La bilancia commerciale di un paese è il conto in cui vengono registrate tutte le transazioni commerciali avvenute in un determinato tempo fra imprese, istituzioni e persone fisiche residenti in un paese ed analoghe controparti residenti in altri paesi. In diversi termini, essa registra il complesso delle merci che  da quel paese sono state esportate e che in esso sono state importate. La bilancia dei pagamenti, invece, è il conto in cui vengono registrate  tutte le  transazioni economiche  avvenute in un determinato tempo fra un paese e paesi esterni. Oltre alle transazioni commerciali, relative alla importazione ed esportazione di merci, essa registra, perciò, anche le transazioni finanziarie (moneta, azioni, obbligazioni, ecc.), quelle relative a servizi (trasporti, viaggi,  comunicazioni ecc.), quelle relative a redditi derivanti da investimenti di capitali nazionali collocati all'estero o da investimenti esteri collocati all'interno, quelle relative a trasferimenti di capitali e così via.

 

Bimetallismo
Sistema monetario fondato su due tipi di moneta: una forte, d’oro, detta moneta grossa ed una moneta piccola, sempre più leggera e infine non più d’argento ma di rame. Intorno alla metà del Duecento diverse città italiane cominciarono a coniare monete d’oro: dapprima Genova, poi Venezia, Siena, Pisa, Verona, Parma, Bologna, Ferrara, Reggio, Firenze. Anche Francia, Aragona, Paesi Bassi, principati tedeschi coniarono monete d’oro. La moneta grossa, usata negli scambi internazionali, nella finanza, negli acquisti all’ingrosso tendeva ad essere stabile mentre la piccola, con la quale si pagavano i salari o i piccoli produttori tendeva a svalutarsi. Mercanti e imprenditori potevano allargare i margini di profitto. (Ci.,pp. 200-216)

 

Bipolarismo  (i rapporti Usa - Urss dal 1945 al 1991)
A Yalta, nel febbraio 1945, prima della fine del conflitto, si era tenuta una conferenza alla quale avevano partecipato Roosevelt (Usa), Stalin (Urss) e Churchill (Gran Bretagna). In questa occasione, e nei successivi trattati di pace, gli alleati erano giunti a stabilire, anche se non ufficialmente, una divisione dell'Europa in due aree: all'Unione Sovietica veniva riconosciuta una sfera d'influenza nell'Europa orientale, mentre quella occidentale sarebbe rimasta sotto l'egemonia americana. Dopo la fine del conflitto, queste sfere di influenza si trasformarono rapidamente in due blocchi contrapposti, cioè in sistemi di alleanze egemonizzati da ciascuna delle due superpotenze, le cui relazioni scandirono l'intera vicenda del sistema politico internazionale. Nella prima fase, la cosiddetta "guerra fredda", il confronto fu prevalentemente militare  e si spinse fin sull'orlo del conflitto nucleare; seguirono, dalla fine degli anni Cinquanta,  la "coesistenza pacifica" e la "distensione", grazie a cui le due potenze, pur cercando di estendere il più possibile la propria sfera di influenza, stabilirono rapporti economici, favorendo la circolazione delle idee e delle persone. Michail Gorbaciov, eletto segretario del PCUS e presidente dell'Urss nel 1985, avviò un processo di  liberalizzazione dell'economia,  democratizzazione delle istituzioni e di superamento, in politica estera, della contrapposizione con gli Usa. L'esaurirsi del bipolarismo si verificò con la fine dell'Urss nel dicembre del 1991. (Za., p. 226)

 

Borsa valori (Mercato mobiliare)
Il termine "borsa" ha origine attorno alla metà del Cinquecento dal nome di una famiglia di Bruges (Belgio), i Van der Borse, nel cui palazzo si riunivano i banchieri e mercanti per i loro traffici. La più importante di quel periodo fu la Borsa di Anversa, sorta nel 1531, mentre  quella di Amsterdam fu aperta nel 1611. Esse svolgevano più compiti:

  • erano borse merci, perché i mercanti vi compravano e vendevano merci, in base a campioni e facevano contratti per futura consegna;
  • erano poi borse valori, in quanto gli uomini d'affari vi compravano e vendevano  titoli;
  • infine erano uffici di assicurazione, perché vi operavano anche gli assicuratori.

Oggi la Borsa valori costituisce il centro del mercato finanziario. Qui sono negoziati i seguenti valori mobiliari:

  • le azioni (titoli di credito che rappresentano quote del capitale di una società per azioni, e attribuiscono a chi le possiede i diritti di socio);
  • le obbligazioni (titoli di credito emessi da società private ed enti pubblici per ottenere prestiti a medio o lungo temine, che vengono rimborsati a determinate scadenze insieme agli interessi);
  • i titoli di stato ( obbligazioni emesse dal Tesoro per provvedere alla copertura del fabbisogno statale, rimborsabili con gli interessi a breve, medio o lungo termine, a seconda che siano BoT, cioè Buoni ordinari del Tesoro, BTp, Buoni del Tesoro poliennali; o CcT, Certificati di credito del Tesoro).

 

      Capitale fisso - capitale  circolante

Il capitale produttivo, vale a dire la dotazione dei mezzi necessari di cui bisogna disporre per realizzare un processo di produzione (vedi  fattori di produzione), può essere distinto in:

  • capitale circolante: è costituito da quei mezzi e beni che, entrati nel processo produttivo, si trasformano in output (prodotti, merci, ecc.) nel corso di un solo periodo unitario di produzione ( che, per es., può essere per un agricoltore una annata agraria; per una società un anno finanziario; per un'impresa di costruzioni il tempo necessario a realizzare il progetto che le è stato commissionato): si tratta soprattutto di scorte, quali materie prime, semilavorati o prodotti finiti in attesa di vendita (ad es.: sementi per l'agricoltore, cuoio per il calzolaio, mattoni per l'impresa di costruzioni); (Cipolla, pp.107-110)
  • capitale fisso: è costituito da quei mezzi e beni che, entrati nel processo di produzione, trasferiscono il loro valore in quello degli outputs sull'arco di più periodi unitari di produzione (ad. esempio: più annate agrarie, più anni finanziari, ecc): si tratta di macchinari, edifici, mezzi di trasporto ecc. che permettono un'attività economica per più cicli. Da un punto di vista tecnico- contabile il costo del capitale fisso va ripartito su più periodi unitari di produzione. Tale procedimento  di ripartizione si chiama ammortamento economico. (Ci., pp.100-107)

 

Capitalismo

Dei tre termini capitale, capitalista, capitalismo, l'ultimo è certamente il più recente. Il termine capitale , con significato di fondo di moneta o di beni  impiegato in attività commerciali, compare in Italia già nel XII secolo  e da qui si diffonde poi in tutta Europa. Capitalista, non con il significato di imprenditore ma di colui che detiene fortune monetarie, magari investite nel commercio o nella finanza, è usato nel XVII secolo.Capitalismoappare dalla metà dell'Ottocento.
Pochi concetti storiografici sono così controversi e discussi come quello di capitalismo. In generale il termine indica un sistema economico con queste principali caratteristiche:

  • prevalenza della proprietà privata dei mezzi di produzione;
  • sovranità del consumatore, ossia possibilità dei consumatori di scegliere i prodotti, orientando così la produzione;
  • forte presenza del lavoro salariato, cioè di lavoratori dipendenti che cedono il proprio lavoro in cambio di un salario prepattuito e che non sono proprietari dei mezzi di produzione;
  • importanza del settore industriale e della produzione meccanizzata.

Spesso il termine capitalismo è usato come sinonimo di economia di mercato, in contrapposizione alle economie socialiste nelle quali è pubblica la proprietà del capitale produttivo; oppure per indicare il sistema economico di fatto esistente nei paesi industrializzati dell'Europa, in Nord America e in Giappone.

 

Cartello
Accordo formale o tacito fra imprese che operano nello stesso settore al fine di limitare a proprio vantaggio gli effetti della libera concorrenza. Gli accordi tendono da una parte a  definire ed uniformare le caratteristiche del prodotto nonché dei processi produttivi (al fine di limitare la concorrenza sul piano della qualità); dall'altra a ripartire fra le imprese il mercato, attraverso la definizione della quantità massima da produrre (onde evitare cadute dei prezzi per eccesso di produzione rispetto alla domanda), delle aree geografiche in cui ciascuna impresa esercita la vendita, delle quote di mercato spettante a ciascuna impresa. Gli accordi pongono in atto, dunque, una politica di tipo monopolistico tendente a mantenere il prezzo del prodotto superiore a quello che avrebbe in condizioni di libero mercato.

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Censimento

Registra l’entità, lo stato, di una popolazione in un determinato periodo di tempo. Nell’antichità, cinque censimenti sono stati effettuati, per tutto l’impero romano, da Augusto e Vespasiano. In età moderna i primi censimenti compaiono tra XV e XVI secolo (Spagna e Italia). La loro attendibilità però è assai discutibile. Censimenti a carattere nazionale, realizzati con criteri atti a dare risultati affidabili, datano tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo. (Ci., pp.13-14)

Ciclo economico
Da sempre l'economia capitalistica ha conosciuto fasi alterne di espansione e di recessione che ne hanno caratterizzato lo sviluppo; tale consapevolezza ha spinto ad usare l'espressione ciclo , con ciò sottintendendo la regolarità del fenomeno e la possibilità di distinguere , al suo interno, un certo numero di fasi.
Studiosi di statistica e  storia economica hanno individuato tre tipi di cicli, diversi per durata:

  • ciclo Kondratiev costituito da periodi di 45-50 anni;
  • ciclo Juglar di durata media di 8 anni e con una durata effettiva da 6 a 10 anni;
  • ciclo Kitchin della durata  di circa 40 mesi  e con oscillazione limitata.

La prima compiuta teoria delle fluttuazioni cicliche risale a Schumpeter (1883-1950) che individua quattro fasi diverse all'interno del ciclo economico: l'innovazione, l'espansione, la recessione e la depressione. Secondo Schumpeter, l'essenza stessa del capitalismo è da cercare  nell'alternarsi di fluttuazioni, originate da innovazioni tecnologiche. ( Za., pp. 171-172)

 

            Commenda

Dal latino commendare (= affidare)  è una tipologia di contratto commerciale, caratteristico dell'età medioevale, nel quale è insito un rapporto fiduciario e in forza del quale due contraenti costituiscono una società per portare a termine un'impresa commerciale, spesso marittima. Dei soci, uno impegna  una determinata  quantità di denaro o di merci,  l'altro   il  lavoro  ed i mezzi necessari alla gestione dell'impresa;  il primo rischia il capitale, il secondo  l'opera e, quando l'impresa è difficile, anche la vita. In caso di felice conclusione, il finanziatore riavrà il capitale più una quota parte dei profitti (generalmente equivalente a due terzi), di cui la restante parte andrà al mercante- navigatore. Costui stipula perlopiù diversi contratti di commenda per la realizzazione di una stessa impresa commerciale. In tal modo non solo raccoglie i capitali necessari, difficilmente ottenibili da un unico finanziatore, ma, cumulando più quote parti,  si assicura anche un profitto complessivo proporzionato al rischio. (Ci., pp.193-195)

Compagnia commerciale.
La nascita della compagnia commerciale, tra la fine del secolo XIII e gli inizi del successivo, risponde alle necessità poste dalle trasformazioni in atto, che vedono affievolirsi il ruolo del mercante itinerante a fronte dell’uomo d’affari che opera senza spostarsi dalla sua sede,  attraverso agenti e fattori. La commenda viene così sostituita da compagnie, all’inizio a base familiare, che favoriscono la raccolta di fondi, con responsabilità solidale e illimitata dei soci. In caso di fallimento, ogni socio risponde con tutto il suo patrimonio, non solo con le somme investite. (Ci., pp. 195-199, 266, 267, 273, 316)

 

Comuni
I secoli XI-XIII sono caratterizzati da una capillare diffusione sul territorio italiano ed europeo di aggregati abitativi di varie dimensioni detti comuni. Ciascun comune ha un proprio territorio generalmente agricolo ma anche con eventuali altre risorse (fiumi, laghi, foreste, mare, ecc.) che sfrutta e sul quale esercita la giurisdizione.
Nel corso dei secoli, attraverso una dinamica di rapporti ed organizzativa, il sistema dei comuni si definisce in una forma che resterà stabile, almeno nell'Italia centrale, fino all'età napoleonica.
Essa, relativamente all'area di influenza della Chiesa, sarà riconosciuta e canonizzata dal cardinale Egidio Albornoz (Constitutiones  Aegidianae, 1357). La classificazione prevede che un comune può essere:

  • città (civitas) se ha propria costituzione e leggi (Statuti), giurisdizione (mero e misto imperio), cattedra vescovile, luoghi sottoposti;
  • terra se ha statuto proprio, giurisdizione;
  • castello (castrum) o villa se è sottoposto ad una città.

Servizi erogati dal comune (bisogni - uscite):

  • difesa e guerre;
  • amministrazione civile e giudiziaria;
  • infrastrutture di servizio e produttive (strade, ponti, acquedotti, mulini, gualchiere, ecc.)
  • sanità e istruzione;
  • culto e festività.

Sistema fiscale dei comuni (domanda pubblica - entrate):

  • tasse sulla proprietà ( terriera, immobiliare, animale);
  • tasse sulla residenza (focatico, testatico);
  • gabelle sul consumo (dazi)
  • gabelle sul transito (pedaggi)
  • gabelle sui servizi (macinato, forno, uso delle acque, , istruzione)
  • affitto beni comunali
  • multe e confische

-    emissione luoghi di monte

 

Corporazione o  “Arte
E’ l’associazione cittadina degli esercenti una determinata attività. Nasce all’interno del movimento associativo che culminò nella formazione dei comuni (seconda metà dell’XI secolo) come risultato di patti associativi giurati stretti tra gruppi di individui che esercitavano lo stesso mestiere e che quindi avevano analoghi interessi lavorativi da tutelare. Le corporazioni sono state definite “piccoli comuni all’interno del Comune”. Le più antiche risalgono alla seconda metà del XII secolo. Il carattere economico (talora anche politico) della corporazione era rinsaldato da legami di tipo sociale che esistevano tra i membri come l’endogamia (matrimoni all’interno del gruppo), la partecipazione come gruppo alle cerimonie religiose o civili, l’avere un santo patrono per ogni corporazione, le feste comuni. Le corporazioni hanno propri statuti che restano in funzione fino al XVIII secolo. Gli scopi delle corporazioni erano:

  • Tutelare l’uguaglianza economica tra i membri, perché nessuno diventasse troppo potente a scapito di altri. La  corporazione poneva pertanto limiti sul numero dei dipendenti, sulla quantità del prodotto e delle scorte, sui prezzi da praticare, sulle innovazioni da introdurre.
  • Garantire il livello di qualità dei prodotti attraverso il controllo delle varie fasi della produzione.
  • Assicurare per quanto possibile il monopolio della produzione, contrastando l’immigrazione di artigiani stranieri, accaparrandosi le materie prime, conservando gelosamente i segreti professionali.

Gli economisti italiani del Settecento diedero un giudizio negativo sulle corporazioni. Pietro Verri nelle sue Meditazioni sull’economia politica del 1771 sostiene che le corporazioni furono un freno all’attività economica limitando la produzione e tenendo alti i prezzi;  Cesare Beccaria (Elementi di economia pubblica, 1804) sostiene che esse si opponevano al progresso per i rigidi regolamenti, per la tendenza al monopolio e per le controversie che provocavano.
Tra gli storici dell'economia moderni, Carlo M. Cipolla le ritiene responsabili della crisi delle attività industriali nell’Italia del Seicento perché impedivano alla produzione di adattarsi alla domanda e tenevano troppo elevato il costo del lavoro in rapporto alla produttività.
Ugualmente negativo il giudizio di Ruggiero Romano secondo il quale la corporazione, volendo mantenere l’equilibrio tra produzione e consumo, rappresenta un freno a qualsiasi evoluzione.
Paolo Malanima sostiene invece che nella prima fase (fino al Cinquecento) le corporazioni hanno un ruolo positivo nell’organizzazione del lavoro, nei livelli di qualità, nella standardizzazione delle merci e il sistema è adatto alle caratteristiche del mercato. Dal Cinquecento all’Ottocento la struttura delle arti appare sempre più inadeguato all’evoluzione della domanda. (Ci., pp. 98-99)

 

Corso forzoso

E' la sospensione temporanea della convertibilità di una moneta cartacea in oro o in altra moneta convertibile. Nel XIX secolo fu considerato come un'infrazione rispetto alle regole del gold standard; in quanto tale, faceva in genere perdere  valore alla moneta rispetto alle altre  rimaste convertibili in oro: fu quindi utilizzato come risorsa estrema, in situazioni eccezionali (guerre, ecc..), o da parte di paesi strutturalmente deboli. Vi fecero progressivamente ricorso molte nazioni, negli anni difficili del  primo dopoguerra. (Za., pp.123-127)

 

Crisi
Si può fare riferimento al concetto di crisi sia nel breve sia nel lungo periodo. Nel primo caso, indica una brusca svolta dalla fase ascendente a quella discendente nel campo degli investimenti, della produzione, della occupazione, dei redditi. Nel lungo periodo, crisi sta ad indicare il carattere strutturale di tali fenomeni, con forte e prolungata riduzione dell’attività produttiva, disoccupazione diffusa, pauperismo, bassa utilizzazione degli impianti e diminuzione degli investimenti. Periodi di crisi  profonde si registrano tra 1300 e 1450 e nel secolo XVII. (Ci., pp.265-274, 282-286)

 

            Curtis
Nell’Alto Medioevo (secoli VIII-XI d.C.), prende il nome di curtis un complesso di edifici e di terre, che ha in qualche modo l’antecedente nel latifondo di epoca romana(villa), alle dipendenze di un signore. Si divide in due parti: il dominio, porzione più compatta, con residenza del signore, forno, cantina, mulino, frantoio, capanne, oratorio, bosco, sodaglie e terre coltivate coattivamente dai contadini, ai quali il padrone, in cambio di un canone in natura solitamente tenue, concede mansi, poderi, sufficienti a mantenere le rispettive famiglie, nel massaricio, l’altra parte della curtis.
Il sistema curtense è organizzato con rapporti rigidamente verticali. Il signore assicura protezione; gli altri, per lo più contadini, dipendono personalmente da lui, sono legati dal vincolo di fedeltà e sono tenuti ad assisterlo in pace e in guerra. E’ fondato sull’autarchia e sul lavoro servile. Molto scarsi sono gli scambi e la circolazione monetaria, il mercato è pressoché inesistente. Diffusione: Francia settentrionale, attuale Belgio, Germania occidentale e meridionale, Italia settentrionale (Ci.., p. 147).

 

Decolonizzazione

E' il processo attraverso il quale paesi sottoposti  al controllo politico ed economico di altri paesi, generalmente europei, si sono emancipati dalla loro condizione di colonie ed hanno vista riconosciuta la loro indipendenza politica.
Intendendo il termine nella sua accezione più generale, certamente esso può essere utilizzato per indicare anche la rivoluzione americana, in quanto guerra per l'indipendenza combattuta dalle colonie inglesi del Nord America conclusasi con la nascita degli Stati Uniti d'America (1783); così anche l'emancipazione della maggior parte dei paesi dell'America Latina dalla Spagna  e del Brasile dal Portogallo nel secondo e terzo decennio dell'Ottocento. Ma in senso più stretto e storicamente determinato  la decolonizzazione  indica il fenomeno avviato dopo la prima guerra mondiale e volto a riconoscere l'indipendenza dei paesi del Terzo mondo dai paesi industrializzati europei. Già fra le due guerre, infatti, ampi territori appartenenti all'impero coloniale britannico, raggiungono la piena indipendenza seppur nell'ambito del Commonwealth.  E', tuttavia, dopo la seconda guerra mondiale che il processo diventa rapido ed irreversibile. Esso interessa prima le colonie del continente asiatico e, successivamente  (a partire dagli anni Cinquanta) quelle del continente africano. La prima colonia africana a conseguire l'indipendenza  è la Libia nel 1951 (solo l'Etiopia si era resa indipendente precedentemente, nel 1941, peraltro nel corso della guerra).
Oggi, dopo che nel 1999 il possedimento britannico di Hong Kong è stato restituito alla Cina, mantengono formale statuto giuridico coloniale soltanto alcune isole o arcipelaghi (la Gran Bretagna controlla numerose isole nel mar delle Antille, le isole Bermuda, e le Falkland, mentre la Francia mantiene, fra altre isole minori, Guadalupa e Martinica).
Per quanto il processo di decolonizzazione possa considerarsi , dunque,  pressoché concluso, raramente le ex colonie risultano aver raggiunto , insieme all'indipendenza formale, una effettiva e reale  autonomia. Numerosi , infatti,  sono ancora i vincoli politici ed economici che ne perpetrano  forme più o meno dirette di dipendenza, tanto che, nonostante la decolonizzazione, si ritiene persistano legami di tipo coloniale, seppure di profilo nuovo (per questo si parla di neocolonialismo).

 

Deflazione

Nell'accezione originaria, la deflazione è il contrario di inflazione, ossia una situazione in cui si ha una riduzione del livello generale dei prezzi, generalmente associata ad una riduzione dell'attività economica. Nell'uso corrente, essa indica la politica di riduzione dell'inflazione (per cui sarebbe più corretto parlare di ‘disinflazione’), attuata prevalentemente con misure monetarie restrittive ed inasprimenti fiscali. (Za., p.126)

 

Distretto industriale

Aggregazione  territoriale di piccole e medie imprese, tutte coinvolte (a diversi livelli) nello stesso ciclo produttivo. Il distretto  permette di scomporre il ciclo di produzione in diverse fasi, ciascuna delle quali è affidata ad una piccola impresa, indipendente ma inserita in una rete locale di relazioni geografiche e produttive con le altre imprese del distretto; ciò permette contemporaneamente un'alta flessibilità organizzativa ed economie di scala tali da rendere il prodotto finito altamente competitivo, anche rispetto a quello di imprese di grandi dimensioni.
Questo modello produttivo, caratterizzato e dominato dalla presenza di piccole imprese e di lavoro autonomo e dalla specializzazione produttiva di determinati sistemi territoriali, si è affermato soprattutto nelle regioni della "Terza Italia" (Toscana, Emilia, Veneto, Friuli e Marche), così chiamata in antitesi al ‘Triangolo industriale’ ed al ‘Mezzogiorno’.

 

Domanda       vedi Mercato

 

Dumping
Indica la discriminazione del prezzo di uno stesso bene, che viene venduto a prezzi diversi a secondo dei mercati. In genere il termine si riferisce alla pratica di vendere un bene in mercati esteri a prezzo inferiore rispetto a quello praticato sul mercato interno o, comunque, inferiore al prezzo normale  che quel bene ha sul mercato mondiale. La finalità del dumping da parte dell'impresa che lo pratica è quella di conquistare fette di nuovi mercati  stranieri a danno delle imprese nazionali e, a tale scopo, l'impresa in espansione può arrivare a vendere anche a sottocosto, scaricando le perdite sul mercato interno, specie se questo gode di protezioni doganali, attraverso prezzi sostenuti. Pratiche di dumping coperte da politiche pubbliche caratterizzano in particolare il periodo fra le due guerre (vedi soprattutto la politica economica del nazismo). (Za., p.54)

 

Economia curtense
E’ un sistema economico nel quale si produce per l’autoconsumo e gli scambi avvengono all’interno della comunità locale.
Prende il nome dal sistema dell’organizzazione produttiva agricola alto medievale quando la signoria fondiaria era organizzata in curtes, ossia vaste proprietà comprendenti un mansus indominicatus di disponibilità padronale per la caccia e il pascolo e tanti mansi di numero e di estensione variabili affidati ai servi. Costoro dovevano al signore tributi periodici e corvées ossia giornate lavorativesulle terre o castello del proprietario. Fondamentalmente, scrive Cipolla, la curtis classica era un microcosmo economico, a direzione centralizzata, largamente autosufficiente al cui interno sia la divisione del lavoro che lo scambio monetario erano ridotti ai minimi termini.
L’espressione "economia curtense" si contrappone in genere a quella di “economia di mercato”. (Ci, pp. 113-114)

 

Economia di mercato
Tipo di organizzazione economica basata sull'interazione della domanda e dell'offerta, ovvero sulla loro interdipendenza, tenuto conto dei tipi di beni da produrre, della loro quantità, dei sistemi di produzione da impiegare nonché dei destinatari di tali beni.
Il termine economia di mercato è diventato sinonimo di economie capitalistiche e viene generalmente contrapposto a quello di economie socialiste, basate sull'abolizione della proprietà privata e della libera concorrenza.

 

Economia guida
E’ quella di un’area (area guida) che sfrutta più efficacemente di altre (aree inseguitrici) le conoscenze tecniche disponibili raggiungendo così una maggiore produttività delle risorse naturali, del capitale e del lavoro.
Dopo il Mille, si possono individuare quattro fasi successive con diverse economie guida:

  • Secoli XII-XVI: Italia centro-settentrionale nell’area mediterranea e Fiandre nel nord Europa.
  • Nel XII secolo inizia il predominio dell’Italia nel campo commerciale che si rafforza successivamente con l’affermarsi di attività industriali nel settore tessile e metallurgico. Anche nel settore agricolo l’efficienza è superiore ad altre aree per la dotazione di capitale ed innovazioni. La densità demografica e il tasso di urbanizzazione sono i più elevati d’Europa.
  • La crescita dell’economia delle Fiandre è collegata all’affermazione di un forte settore laniero e ai progressi che si verificano contemporaneamente nell’agricoltura.

21600-1750: Paesi Bassi settentrionali, che raggiungono il primato grazie

  • allo sfruttamento di nuove risorse energetiche di origine fossile (la torba);
  • all’incremento di produttività dell’agricoltura altamente specializzata (produzione lattiero-casearia, canapa, lino, bulbi, luppolo, tabacco) ;
  • al predominio sui mari di tutto il mondo;
  • all’espansione dei servizi bancari ed assicurativi;
  • alla modernità delle istituzioni, favorevoli alla crescita dell’economia;
  • ai vantaggi geografici (porti oceanici, possibilità di trasporti via acqua all’interno).

3.  1750-1890: Inghilterra
Il suo primato è frutto della crescente importanza del settore industriale, strettamente collegato al rapido progresso tecnico nella produzione tessile, nella siderurgia, nella meccanica e soprattutto nello sfruttamento su larga scala di una risorsa energetica come il carbon fossile. La forza nel settore industriale è sorretta anche dalla posizione di monopolio che il paese aveva nel commercio internazionale.
4. Dal primo Novecento in poi: Stati Uniti
L’affermazione degli Stati Uniti come economia guida a livello mondiale avviene a partire dalla fine dell’Ottocento quando il paese si impone al mondo grazie alla ricchezza di risorse, opportunità e capacità interne di cui dispone.

 

Economia mondo
Da non confondere con l’economia mondiale che è l’economia del mondo globalmente inteso. L’economia mondo si riferisce all’economia di una parte del mondo costituita da un insieme di aree geografiche, ognuna con diversa specializzazione produttiva e con diversi rapporti di produzione, collegate da relazioni commerciali. L’economia mondo si caratterizza per avere un centro (città, regione o area territoriale più avanzata) e altre aree e città collegate in forma subordinata (periferie).
Il concetto di economia mondo, proposto con forza da Fernand Braudel,  è centrale anche nell’opera di Immanuel Wallerstein (Il sistema mondiale dell’economia moderna, 1978) secondo il quale nel continente europeo un’economia mondo comparve dalla fine del XV secolo. Egli distingue, nell’economia dell’epoca, aree centrali (l’Europa nord-occidentale) e periferiche (l’Europa orientale e le Americhe), caratterizzate da rapporti di produzione differenti: più avanzati per le prime (lavoro salariato) e più arretrati per le seconde (schiavitù e servitù).

 

Economie di scala
Vantaggi economici ottenuti per effetto dell'aumento della dimensione degli impianti e del volume di beni prodotti. La riduzione del costo unitario  di produzione  si connette alla ripartizione su di un numero di unità maggiore  e ottenuto con costi gestionali più bassi. (Za., p.103)

 

Enclosures  (Recinzioni)
E’ il fenomeno opposto a quello degli open fields e consiste nella progressiva sottrazione all’uso pubblico delle terre di proprietà privata. In Inghilterra enclosures furono attuate già nel basso Medioevo ma il fenomeno ebbe più ampio sviluppo tra Seicento e Settecento. La possibilità di recintare le proprietà favorì la produttività con l’intensificarsi e lo specializzarsi delle colture. Il vantaggio era maggiore per le grandi proprietà, mentre i piccoli non avevano più la possibilità di integrare il reddito con pratiche comuni. Secondo la storiografia tradizionale, le recinzioni favorirono la rivoluzione agraria e in parte anche quella industriale: la maggiore produttività avrebbe reso disponibili risorse economiche ed umane per l’industria. (Ci., p. 233)

 

Fattori di produzione
Sono gli inputs che entrano in un processo di produzione e che si combinano fra loro al  fine di ottenere gli outputs (prodotti, merci, servizi). Essi, secondo l'approccio teorico neoclassico,  sono classificati in: terra (= i fattori naturali, le risorse); lavoro (l'attività, prevalentemente umana, grazie alla quale avviene il processo di produzione che permette di trasformare gli inputs in outputs); capitale (= la dotazione dei mezzi di produzione necessari alla realizzazione del processo produttivo, mezzi di produzione intesi sia come denaro sia come fattori riproducibili, quali edifici, macchinari, ecc). (Ci., pp.72-79; 100-110; 110-113; 113-116.)

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Feudalesimo
E’ un sistema politico e sociale affermatosi in Europa tra il IX e il XIII secolo che si basa sugli istituti del feudo e del vassallaggio cioè sulla concessione  da parte del sovrano a un fedele (vassallo) di uno o più diritti su un determinato territorio (feudo o beneficio). La concessione avviene con una cerimonia che prende il nome di investitura nella quale il proprietario trasferisce il bene al beneficiario il quale a sua volta dichiara il riconoscimento (recognitio) dell’autorità del concedente e gli giura fedeltà. Da quel momento il feudo appartiene al feudatario il quale può lasciarlo in eredità, dividerlo o venderlo, sempre che sia autorizzato dal concessore.
Il feudalesimo nasce nei secoli dell’alto medioevo quando, con il disgregarsi dell’organizzazione sociale, i capi militari e i proprietari dei latifondi legavano a sé altre persone con un artificiale vincolo di parentela per cui uno si riconosceva vassallus (etimologicamente: bambino) nei confronti di un altro riconosciuto senior (etimologicamente: più anziano, da cui “signore”).
L’istituto feudale si ripropone a vari livelli dei rapporti sociali: tra il sovrano e i conti o duchi, tra questi e i cavalieri, tra questi e i contadini con obblighi via via più gravosi mano a mano che si scende nella scala della “piramide feudale”: se il conte deve soltanto fedeltà al sovrano, il cavaliere deve dare l’appoggio militare e il contadino una lunga serie di corvées e pagamenti in natura e prodotti.
Il feudalesimo è un sistema che ancora nel XVIII secolo permane in alcune aree europee (Europa orientale) e sopravvive in molti rapporti sociali. Per questo fu duramente attaccato dagli illuministi. (Ci., pp. 113)

 

Fiera

Caratterizza le economie nelle quali è prevalente  la circolazione monetaria . Consiste nell’incontro, talvolta annuale, tra produttori e consumatori, o tra mercanti. Vengono contrattati sia beni capitali (bestiame, attrezzi agricoli), sia beni di uso durevole (tessuti). Tradizionalmente le fiere coincidono con feste religiose, in particolare con la ricorrenza del santo patrono. Per incentivarle e sostenerle le autorità concedono privilegi ed esenzioni a coloro che vi partecipano.
Si ha notizia di fiere nella Francia dei Merovingi VII-VIII sec. d.C.) e nella Spagna dei Visigoti (VII sec.). Hanno una notevole diffusione dopo il Mille, a seguito della ripresa dei commerci e dell’incremento demografico. Sono note nel XII secolo le fiere, regionali ed interregionali, dell’Inghilterra, della Francia, delle Fiandre.
In seguito si affermano le fiere specializzate in merci particolari, soprattutto bestiame(pecore, buoi, cavalli), ma anche lana e tessuti. Fiere internazionali importanti sono quelle di Champagne (città di Troyes, Bar, Provins, Lagny) nel tardo Medioevo, di Ginevra fra Trecento e Quattrocento, di Lione  nel Cinquecento. Nel corso di questo secolo si affermano, prima a Besançon  e successivamente a Piacenza, Novi, Sestri Levante, ecc., sotto la spinta dei genovesi le fiere di cambio, nelle quali si riduce l’uso del denaro contante e i rapporti di debito e credito tra gli operatori vengono sistemati quasi interamente attraverso compensazioni multilaterali e giri di conto. (Ci., pp.193, 253-254, 316-317, 332)

 

Globalizzazione

Termine di origine inglese (‘global’ sta per mondiale) che racchiude una pluralità di significati, ciò che costituisce la sua ricchezza interpretativa e disciplinare. La globalizzazione è stata variamente concepita come:

  • una compressione spazio-temporale con riferimento al modo in cui la comunicazione elettronica erode, con la sua istantaneità, i limiti della distanza e del tempo nelle interazioni e nelle organizzazioni sociali;
  • un'accelerazione dell'interdipendenza, cosicché eventi che hanno luogo in un paese finiscono per avere un impatto diretto anche sugli altri;
  • una contrazione del mondo, cioè l'erosione dei confini e delle frontiere geografiche per effetto delle attività socioeconomiche.

In campo economico, profondi mutamenti sono avvenuti a livello internazionale tra gli anni Ottanta e Novanta. In questo periodo, sia nei paesi a capitalismo avanzato che in quelli in via di sviluppo, sono cadute molte della barriere erette dagli stati nazionali per regolamentare la circolazione dei capitali, la conversione delle monete, gli investimenti ed i flussi commerciali internazionali. Si è venuto così a creare uno spazio economico mondiale sempre più aperto alla circolazione dei capitali ed agli investimenti esteri effettuati dalle società transnazionali.
Tutti questi fattori, interagendo con le trasformazioni politiche ed economiche avvenute nell'Unione Sovietica, nell'Europa orientale ed in Cina, hanno profondamente cambiato il quadro geoeconomico mondiale. Da una realtà caratterizzata dalla presenza di due sistemi economici, capitalistico e socialista, si è passati, nel giro di pochi anni, ad un mondo in cui il capitalismo è divenuto sistema globale e globalizzante, e i confini delle nazioni non contano più per le imprese, quando devono organizzare i loro piani di produzione e di vendita. (Za., pp.98-99; 229-231)

 

Gold standard
Sistema monetario internazionale che prevede uno stretto legame tra la quantità di moneta in circolazione e le riserve auree detenute dalla banca centrale. In tale sistema ogni moneta ha una parità fissa; il valore della moneta corrisponde cioè  ad una determinata quantità di oro stabilita dalle autorità monetarie. La moneta cartacea in circolazione è convertibile, in qualunque momento, in oro per cui si rende necessaria la corrispondenza tra la quantità di biglietti di banca  in circolazione e le riserve di oro possedute  dalla banca centrale. Fin dagli anni della prima guerra mondiale, molte nazioni trovarono difficoltà a garantire il gold standard, a causa sia dell'eccessiva emissione di banconote, sia della scarsità di oro in circolazione; per questi motivi tale sistema monetario fu abbandonato nel periodo tra le due guerre mondiali. (Za., pp.123-127)

 

Gold exchange standard

Variante del gold standard, basato sulla libera convertibilità della valuta cartacea non in oro, ma in una valuta straniera (a sua volta convertibile in oro). Esso consente riserve anche in divise estere e non solo in oro, al fine di ridurre le pressioni su quest'ultimo. Istituzionalizzato con gli accordi di Bretton Woods (1944), il gold exchange standard fu definitivamente abbandonato nel 1973. (Za., pp. 123-127)

 

Grancia (o grangia)
Comunità agraria monastica con propria organizzazione economica ed amministrativa. Lo stesso termine indica anche la costruzione rurale con funzioni di magazzino o deposito. (Ci.,p. 101)

 

            Guerra fredda

Il termine, coniato da uno dei maggiori intellettuali e giornalisti del Novecento, Walter Lippman, sintetizza in modo efficace il conflitto politico e ideologico tra i blocchi occidentale e orientale, guidati rispettivamente dagli Stati Uniti e Unione Sovietica, dopo la seconda guerra mondiale. In un pianeta dominato da due grandi potenze, entrambi in lizza per il primato e per l'egemonia mondiale, e radicalmente contrapposte sul piano ideologico, il conflitto era inevitabile; d'altra parte, in un mondo dove i  due contendenti avevano armamenti tali che una guerra avrebbe avuto conseguenze intollerabili anche per il vincitore, il conflitto era impraticabile. Si determinò così una situazione di "guerra fredda": guerra, perché la contrapposizione tra i contendenti aveva tutta l'asprezza di un vero conflitto, e perché all'interno dei paesi coinvolti vi era una mobilitazione militare, economica, psicologica "di guerra"; fredda, perché le armi che continuavano ad essere accumulate e schierate non potevano essere usate.

 

Imperialismo

Nella sua accezione più ampia il termine indica la tendenza degli stati ad estendere l'ambito territoriale della loro influenza e del loro potere diretto dando luogo alla formazione di imperi, cioè di organismi politici che conglobano sotto un unico dominio, diretto o indiretto, popolazioni e territori originariamente diversi e separati (in questo senso si parla di imperialismo ateniese, imperialismo romano, imperialismo macedone, ecc.).
Nella sua accezione più ristretta esso indica le tendenze espansionistiche, sia economiche che politiche, emerse nei paesi di capitalismo industriale nel corso dei secoli XIX e XX. In questo senso è entrato in voga con riferimento alla potenza coloniale britannica, a partire soprattutto da quando la regina Vittoria assunse il titolo di imperatrice delle Indie (1876), ad indicare appunto l'assetto "imperiale" dato ai possedimenti coloniali; ed in questo senso viene utilizzato per indicare  sia la politica di espansione coloniale messa in atto nel corso dell'Ottocento fino alla prima guerra mondiale dagli stati europei nei confronti dell'Asia meridionale ed orientale, dell'Oceania, dell'Africa; sia, dopo l'avvio del processo di decolonizzazione e la modificazione degli equilibri a seguito della seconda guerra mondiale, il potere più o meno diretto ed esplicito esercitato dalle due superpotenze degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica sugli ambiti territoriali ricadenti sotto le reciproche sfere d'influenza.
Il dibattito storiografico sull'imperialismo dei paesi di capitalismo industriale si è mosso intorno a due diverse linee di interpretazione, differenziate dalla centralità che, nella spiegazione del fenomeno, ciascuna di esse ha rispettivamente dato a fattori di ordine economico o  di tipo socio- politico e culturale. La prima linea sostiene la tesi fondamentale che i paesi giunti ad un certo grado di sviluppo industriale e finanziario sono caratterizzati da  una capacità di offerta ampiamente superiore alla domanda interna e, perciò, si trovano dinanzi  al bisogno di  incrementare sempre di più le esportazioni sia di prodotti e tecnologie sia di capitali. A tal fine tendono ad estendere il loro controllo su mercati sempre più vasti. Tale indirizzo interpretativo, seppur avviato dall' opera di uno storico liberale (J. Hobson, Imperialismo, 1902), ha trovato i maggiori approfondimenti all'interno della storiografia marxista. R. Hilferding (Il capitalismo finanziario, 1910) considera l'imperialismo espressione peculiare di una struttura capitalistica ormai dominata da grandi concentrazioni di interessi industriali promossi e controllati dal capitale bancario, mentre Lenin (L'imperialismo, fase suprema del capitalismo, 1917) formulò la tesi della necessità dell'imperialismo per il capitalismo avanzato, sostenendo che attraverso i proventi dello sfruttamento su scala mondiale la borghesia dei maggiori paesi capitalistici poteva pagare meglio i lavoratori interni (aristocrazie operaie) ed i ceti medi, garantendosi in tal modo il controllo interno del sistema.
La seconda linea interpretativa mette invece in evidenza come non sempre si riesca a dimostrare l'esistenza di un preciso legame fra interessi economici ed iniziative espansionistiche, le quali  possono risultare alimentate da fattori sociologici e politici, da spinte nazionalistiche e militaristiche, sostenute da movimenti di opinione coagulati da ragioni ben più ampie degli interessi economici. Joseph A. Schumpeter (La sociologia dell'imperialismo, 1919) sostiene, anzi, che l'imperialismo, più che  dal capitalismo maturo, derivi da una sua ancora insufficiente espansione e da concezioni e valori che costituiscono sopravvivenze, all'interno dei sistemi capitalistici, di interessi e visioni politiche e sociali preesistenti. (Za., pp.127-130)

 

Inflazione
Aumento persistente del livello generale dei prezzi e conseguente diminuzione del potere d'acquisto della moneta. Si possono distinguere diversi stadi inflazionistici  a seconda del tasso di crescita del livello dei prezzi. In particolare si è soliti distinguere tra inflazione strisciante (che è legata alla crescita rapida dell'economia di un paese e, in quanto tale, non desta eccessiva preoccupazione) e galoppante (con un tasso annuo d'inflazione superiore ad una media del 7-9% annuo sino al 15-20%). Con l'iperinflazione infine i prezzi subiscono aumenti incontrollati e così elevati da essere misurati su base mensile o addirittura con riferimenti temporali più brevi. I casi più eclatanti di iperinflazione si verificarono nella Germania degli anni 1922-1924, in cui il tasso di inflazione mensile superò il 300%, con un picco nell'ottobre del 1923 pari al 29.000 % mensile. (Za., pp. 126, 147-148)

 

Interesse      vedi Ricchezza

 

Invenzione  - innovazione  e  diffusione  delle  innovazioni

L'invenzione è il risultato di un'attività creativa, opera dell'ingegno, svolta nell'ambito delle scienze, delle arti, della tecnica, ed in grado di introdurre conoscenze e prospettive nuove in un determinato settore del sapere.
Quando l'invenzione attiva una combinazione diversa e più efficiente dei fattori di produzione, quando  permette di modificare un processo di produzione in qualche suo segmento o nella sua organizzazione sino ad incrementarne la produttività, allora essa ha un esito operativo, economico; in tal caso l'invenzione è anche innovazione.
L'esito innovativo di un'invenzione non è automatico né necessario. Straordinarie invenzioni non sono capaci di incidere sul sistema economico di appartenenza o lo diventano molto tempo dopo che si sono verificate o restano senza efficacia per sempre. Le variabili che interagiscono nel processo di trasmutazione dell'invenzione in innovazione sono numerose e complesse. Possono essere di natura culturale, dipendere cioè dalla visione del mondo, dalle convinzioni religiose, etiche, politiche, dalla formazione dell'intellettuale e dello scienziato, dal rapporto fra scienza e tecnica, dal posto che nella gerarchia dei valori hanno il lavoro, la manualità, la produzione, la ricchezza, ecc. Si pensi, ad esempio, alla società classica, greco-romana. Essa ha toccato livelli assai avanzati di conoscenze scientifiche e filosofiche, con conseguenti importanti invenzioni, ma queste raramente si sono tradotte in novità tecnologiche (se non in contesti militari o ludici) ed il suo sistema economico non se ne è avvantaggiato se non marginalmente. Le variabili che pesano sul destino dell'invenzione possono essere anche di natura strutturale, dipendere cioè dalla tipologia e dalle caratteristiche dello stesso sistema economico. Questo potrebbe non recepire un'invenzione, non vederne l'efficacia per sé, perché non ne ha bisogno o perché essa è troppo avanzata o perché l'impatto innovativo che determinerebbe sarebbe troppo forte per essere sopportato dal sistema, ecc. Un esempio interessante è dato sempre dal mondo greco- romano. Qui le numerose invenzioni nella fisica (ottica, meccanica, ecc.) hanno prodotto una dotazione di macchine, da utilizzare nel sistema produttivo, sorprendentemente basso. Il sapere scientifico non si è tradotto in tecnologia, in messa a punto di nuovi convertitori di energia, in incremento di energia meccanica. Perché ? Secondo alcuni storici dell'economia antica, perché il sistema economico classico non ne aveva bisogno potendo esso contare sugli schiavi, convertitori di energia  a basso costo, flessibili ed adattabili più di qualsiasi macchina. Oppure, per l'età industriale, si può pensare agli esempi, numerosi, di invenzioni tecnologiche che il sistema economico non ha recepito e che, perciò, sono restate senza effetto. J. Mokyr cita, come caso emblematico, la macroinvenzione del pallone aerostatico ad aria calda (inventato in Francia nel 1783). Esso, pur costituendo il primo volo umano, la “prima vittoria sulla tirannia della gravità” non ebbe mai un uso commerciale e, di fatto, non incise affatto sul contemporaneo sistema economico.
Ogni innovazione che attivi dinamiche di cambiamento produce una serie di altre innovazioni le quali coinvolgono e si espandono ai segmenti contigui del processo di produzione, a comparti o a settori collaterali, alle economie connesse. L'innovazione, infatti, causa un'alterazione, più o meno vasta e profonda, di una situazione di equilibrio economico. Tutte le parti del sistema che si trovano a vivere questa situazione di squilibrio ricevono impulsi nuovi e tendono a riarmonizzarsi, modificandosi in funzione del nuovo equilibrio. Con il termine diffusione si indica  appunto tale processo di trasferimento dell'innovazione .
Esso può avvenire secondo modalità estremamente diversificate in rapporto alla molteplicità dei fattori e delle variabili che entrano in gioco nella specificità del fenomeno innovativo che si intende analizzare.  Può, ad esempio, essere il risultato di un trasferimento per semplice imitazione o emulazione, allorché un soggetto, un'impresa, un'area fa propria l'innovazione che ha visto mettere in opera da un altro soggetto, da un'altra impresa o in un'altra area; di un trasferimento per adattamento dinamico (definito da alcuni storici dell'economia di “botta e risposta: ne è un caso chiaro la diffusione dell'innovazione nel settore tessile durante la prima rivoluzione industriale in Inghilterra), ecc.
Il processo di diffusione, inoltre,  non comporta il passaggio automatico e fedele di un modello economico, di un sistema produttivo, di una tecnologia, di una organizzazione dal polo di irradiazione a quello ricevente l'innovazione. Le innovazioni non passano da un polo ad un altro senza modifiche. Come hanno dimostrato gli studi di Gerschenkron e Pollard  processi ed esiti non si ripetono in modo speculare ed uniforme, bensì secondo una pluralità di varianti che sono spiegabili soltanto all'interno delle specificità dei vari contesti regionali attraversati dall'innovazione. (Ci., pp.169-192; Za., pp.23-37)

 

Legge di Engel
E' la più nota tra le formulazioni relative all'analisi della domanda; secondo tale legge la percentuale della spesa in conto alimentazione sul totale della spesa aumenta quando il reddito diminuisce e diminuisce quando il reddito aumenta. (Ci., p.34)

 

Leggi suntuarie
Così vengono definiti i provvedimenti con i quali l'autorità pubblica cercava di porre un freno ai consumi più vistosi, con particolare riguardo all'abbigliamento femminile, alle feste, specie in occasione di matrimoni e battesimi, ai funerali e alle doti. In Italia compaiono già nel XII secolo, in Spagna, Francia ed Inghilterra tra il XIII ed il XIV. (Ci., pp.41, 237, 238)

 

Lettera di cambio

E’ uno strumento che permette di trasferire monete, anche diverse, da una piazza all’altra. Un mercante (prenditore) dichiara, attraverso una lettera di cambio, di ricevere da un altro mercante (datore) una  somma di denaro in moneta locale e si impegna a restituirla in una località diversa, mediante un suo corrispondente (pagatore), a un corrispondente (beneficiario) del datore. Oltre che di cambio, si tratta di un’operazione di prestito, in quanto chi dà il denaro lo recupera dopo un  intervallo di tempo con un interesse. La lettera di cambio si diffonde nelle città commerciali dell’Italia centro settentrionale dalla seconda metà del secolo XII, e viene adoperata fino al XVIII(Ci., p.196).

 

Liberismo
Quali debbono essere il ruolo, la funzione, i compiti delle pubbliche istituzioni e dello stato nei processi economici?
La risposta che le dottrine e le politiche economiche di tipo liberista danno a questa domanda è diversa ed in polemica con quella data dal mercantilismo. Esse, infatti, vedono nella libera manifestazione dei comportamenti economici individuali, e quindi nell'astensione dello stato da politiche attive, la condizione ottimale per il funzionamento del sistema economico. Ciò sulla base di tre principi di fondo:

  • l'individuo è il soggetto più adatto a prendere le decisioni più opportune ed efficaci in vista  del raggiungimento del proprio benessere economico;
  • il benessere collettivo e sociale  è dato dall'interazione delle buone strategie ed azioni economiche individuali;
  • le azioni economiche individuali sono armonizzate ed integrate  dalle leggi del mercato, della libera concorrenza e del libero scambio (= assenza di barriere al commercio internazionale).

Lo stato, dunque, deve limitarsi a garantire che possa dispiegarsi in pieno l'azione economica individuale, intesa come diritto e libertà del soggetto; in questo senso esso, pur astenendosi da azioni economiche, ha una funzione economica rilevante poiché  ha il ruolo di tutelare la proprietà, l'iniziativa privata, il mercato (intervenendo  per impedirne eventuali distorsioni, quali potrebbero essere  monopoli, cartelli ecc.) e, nel complesso, le regole che rendono possibile il libero esercizio dell'iniziativa individuale.
I fondamenti teorici del liberismo vanno cercati nel liberalismo, corrente di pensiero che nasce in Inghilterra ed in Olanda nel XVII secolo. Essa si nutre di alcuni principi del protestantesimo (libero arbitrio), del razionalismo e del soggettivismo della filosofia cartesiana, del giusnaturalismo (= la natura possiede in sé un ordine razionale che l'organizzazione culturale, economica e giuridica, non può e non deve sconvolgere ma al quale deve adeguarsi. La razionalità del sistema economico e giuridico sta nel far propria la razionalità naturale; i diritti e le libertà individuali fanno parte dell'ordine naturale). Si tratta della matrice filosofica su cui si costruisce la concezione moderna dello stato di diritto, della divisione dei poteri, del diritto di resistenza e che si struttura fra fine del Seicento ed Ottocento, attraverso:

  • l'empirismo inglese (si ricordi J. Locke, Saggio sulla tolleranza, 1667; Due trattati sul governo, 1690);
  • l'illuminismo francese (C. L. Montesquieu, Lo spirito delle leggi, 1748);
  • le carte politiche della seconda metà del Settecento: la Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti (1776); La Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (1789);
  • il pensiero liberaldemocratico ottocentesco (A. De Tocqueville , La democrazia in America, 1835; in Italia, Giuseppe  Mazzini, Carlo Cattaneo).

Sul versante della riflessione economica, l'opera considerata il classico del liberismo è La ricchezza delle nazioni (1776) dell'inglese Adam Smith, che riprende i principi della scuola fisiocratica francese (il cui motto laissez-faire esprime sinteticamente l'indirizzo politico non favorevole all'intervento dello stato) e li fonde con l'impostazione individualistica sviluppatasi nella cultura anglosassone. (Za., pp.37-41; 15-22)

 

Maggese
E’ una pratica agraria che consiste nel lasciare a riposo, a rotazione, un appezzamento di terreno, ripetutamente arato, per consentire la ricostituzione naturale della fertilità.

 

Mercante - imprenditore
E’ una figura specifica dell'organizzazione del lavoro in età preindustriale, che svolge una doppia funzione: quella di esercitare un'attività economica organizzata, finalizzata alla produzione di beni, attraverso il coordinamento ed il controllo delle diverse fasi per le quali passa la produzione (imprenditore), quella di provvedere alla  commercializzazione ed alla vendita anche in mercati lontani dei beni prodotti (mercante). Nel sistema dell'industria a domicilio il mercante-imprenditore dispone della materia prima (lana) e dei mezzi per approvvigionarsene, la affida ai lavoratori a domicilio ed agli artigiani specializzati nelle varie fasi della lavorazione (ad. es. cardatori, filatrici, tessitori/tessitrici, follatori, tintori), provvedendo a trasferire la merce da un lavoratore all'altro, coordinando, controllando e compensando il lavoro svolto in ciascuna fase, fino al ritorno nel suo fondaco della pezze finite. Da qui, attraverso opportuni canali, fa giungere i prodotti finiti sui luoghi di vendita. (Ci., pp.114-116)

 

Mercantilismo
Quali debbono essere il ruolo, la funzione, i compiti delle pubbliche istituzioni e dello stato nei processi economici ?
La dottrina e la politica economica di tipo mercantilistico riconoscono allo stato un ruolo attivo nell'economia e, in tale prospettiva, mirano a rafforzarne l'azione ed a migliorarne l'efficienza.
Il termine mercantilismo fu coniato alla fine dell'Ottocento da economisti tedeschi, ma la prima delineazione  teorica e politica del modello risale al XVI secolo ed è spesso interna alla nascita ed allo sviluppo dello stato moderno.
I capisaldi del mercantilismo sono stati così sintetizzati dallo storico Paolo Malanima:

  • La ricchezza e l'aumento dei beni materiali costituiscono fini desiderabili.

Si tratta di un principio culturalmente importante, dopo l'affermazione del Cristianesimo in Occidente per la prima volta enunciato in forma chiara ed esplicita dal mercantilismo. La ricchezza ed i beni materiali costituiscono dei fini lecitamente perseguibili, sono valori, da non demonizzare in nome dell'autenticità della sola ricchezza spirituale ed ultraterrena. Arricchirsi è dunque morale e lecito.

  • Uno stato può diventare più ricco solo a svantaggio degli altri stati. Jean-Baptiste Colbert, ministro di Luigi XIV, riteneva che la ricchezza della Francia dipendesse in buona misura dal volume dei traffici commerciali che fosse riuscita a controllare; ma poiché il volume complessivo del commercio europeo non poteva espandersi, per accrescere la sua ricchezza alla Francia non restava altro che cercare di ampliare il più possibile la sua fetta di mercato a danno degli altri stati europei. Secondo questo approccio le dottrine mercantilistiche sono state viste giustamente come una delle espressioni del sistema degli stati- nazione europei, del loro spirito di competizione e della politica di potenza che li ha accompagnati dal loro nascere.
  • Lo stato che vuole arricchirsi deve favorire la produzione interna di beni e soprattutto la loro esportazione: il fine è quello di vendere molto e comprare poco. Le esportazioni debbono sopravanzare le importazione e la bilancia commerciale deve essere attiva. Ciò sulla base della convinzione che il benessere dipenda dalla quantità di moneta posseduta e  che ricchezza e moneta siano equivalenti. Strumento fondamentale per raggiungere tale obiettivo è la politica doganale di tipo protezionistico, volta, cioè, a ridurre l'accesso di merci straniere sul mercato interno attraverso alti dazi doganali.
  • L'afflusso di denaro all'interno grazie alle esportazioni stimola il mercato interno e rafforza il sistema produttivo interno.  La bilancia commerciale attiva assicura afflusso e disponibilità di moneta. L'abbondante disponibilità di capitale riduce i tassi d'interesse e favorisce gli investimenti in attività produttive; la maggiore offerta di merci che ne consegue è ovviamente sostenuta dalla domanda interna (che dispone di moneta) e dalle esportazioni.

Il secolo d'oro del mercantilismo è il Seicento. Nella seconda metà del Settecento gli economisti classici condannarono la dottrina e le politiche economiche mercantilistiche, in nome del laissez faire e del liberismo. Solo nella seconda metà dell'Ottocento la rinascita del protezionismo in Europa induce alla rivalutazione del mercantilismo. Esso appare funzionale ed adeguato agli obiettivi che molti stati nazionali  (e nazionalisti) perseguono: autarchia e rafforzamento del potere dello stato.

 

Mercato

E’ il luogo in cui si incontrano i beni prodotti e i mezzi di pagamento. Può trattarsi di un luogo fisico(la piazza, la bottega), ma anche di un luogo ideale, che tuttavia funziona come reale luogo di scambio(mercato del lavoro, dei capitali, ecc.). I beni e servizi che si intendono acquistare costituiscono la domanda. Essa è funzione di ciò che si produce, dell’entità e della struttura della popolazione, dell’evoluzione socio-culturale.
Nella società curtense gli scambi sono molto ridotti; con lo sviluppo della città lo scambio è continuo. “La città era il mercato per antonomasia”. (Ci., p.147)

 

Mezzadria
E’ un contratto agrario in base al quale un proprietario (concedente) affida ad una famiglia di coltivatori un appezzamento di terra produttivo e con casa colonica (podere) con l’obbligo di coltivarlo, risiedervi e dividere a metà i prodotti ottenuti. La mezzadria si diffonde, a partire dal XV secolo, dalla Toscana alle regioni dell’Italia centrale e in parte del Veneto, della Lombardia, Piemonte e Francia meridionale.
Il termine “mezzadria” entra in uso solo dall’Ottocento assumendo nomi diversi nelle varie zone. Anche i patti sono diversi da zona a zona e variano nel tempo. La divisione del prodotto non sempre e non per tutti i prodotti è a metà; nel corso degli anni al contadino vengono imposti “oneri aggiuntivi” sempre crescenti, tanto che, secondo alcuni studiosi,  il ruolo del mezzadro tende a trasformarsi da quello iniziale di “socio” a quello di lavoratore subordinato.
La caratteristica del regime mezzadrile è quella di produrre sia per l’autoconsumo che per il mercato. Quindi nel podere si pratica la policoltura allo scopo di provvedere ai bisogni della famiglia colonica e padronale. (Ci., p. 71)

Miracolo economico
All'inizio degli anni Cinquanta, l'Italia era un Paese parzialmente sviluppato sotto il profilo industriale, con una popolazione in gran parte agricola e con bassi livelli di consumi. Verso la fine del  decennio, la situazione cambiò in tempi molto rapidi. La produzione industriale aumentò notevolmente (del 120% tra il 1951 e il 1961), trainata dal settore automobilistico, degli elettrodomestici, della plastica, dell'acciaio e dell'edilizia. L'industria assorbì migliaia di lavoratori provenienti dalle campagne e, per la prima volta, gli operai divennero più numerosi dei contadini. Il reddito pro-capite quasi raddoppiò, passando dalle 296.000 lire del 1951 alle 536.000 del 1963. Di conseguenza crebbero i consumi: televisori, lavatrici e frigoriferi entrarono nella maggior parte delle case. La crescita della produzione, dei redditi e dei consumi si verificò dalla metà degli anni Cinquanta fino a tutti gli anni Sessanta, ma ebbe ritmi travolgenti tra il 1958 e il 1963. Quegli anni furono detti, in Italia come in paesi che conobbero una crescita economica analoga, del "miracolo (o del boom) economico" (Za., pp. 221, 228-230).

 

Monometallismo
Sistema monetario basato sulla coniazione da parte del potere pubblico di un’unica moneta. La riforma di Carlo Magno era basata su un’unica moneta d’argento: il denaro (monometallismo argenteo) del peso di gr. 1,7 e della lega di 950 millesimi. Poiché il denaro non aveva multipli né sottomultipli, per facilitare i calcoli evitando cifre troppo grosse si inventarono multipli astratti o monete di conto, la lira o libbra e il soldo. La libbra aveva un peso di 410 grammi e quindi equivaleva a 240 denari (410 gr.:1,7); il soldo equivaleva a 12 denari e pertanto 20 soldi facevano una lira.
La riforma di Carlo Magno ebbe il merito di unificare l’unità di conto in tutta Europa evitando il caos di tante monete per quanti erano i feudi o i poteri locali. Ma il processo deflazionistico (di riduzione dei prezzi) dei secoli XI e XII portò alla svalutazione del denaro che veniva fatto sempre più piccolo e di lega peggiore (mescolando all’argento altri metalli meno preziosi). Soprattutto per gli scambi internazionali si rese quindi necessario coniare un multiplo effettivo del denaro, si tornò quindi al sistema bimetallico. (Ci., pp. 199-200)

 

Monopolio
Forma di mercato in cui l'offerta di un prodotto o di una merce o di un servizio è interamente nelle mani di un solo operatore alla vendita che offre il bene ad una molteplicità di compratori, questi ultimi in regime di libera concorrenza.  Il monopolista è in grado, così, di controllare interamente il mercato di quel bene in vista del suo massimo profitto, sia governando il prezzo del bene attraverso la quantità offerta, sia  differenziando i prezzi dello stesso bene in rapporto ai gruppi in cui sono distinti i consumatori, sia decidendo i tempi ed i modi di immissione sul mercato di nuovi prodotti. (Za., pp.103-110)

 

Monti di pietà
Istituti di credito, sorti in Italia dalla metà del XV secolo sotto la spinta del movimento francescano che combatteva l'usura e propugnava la fondazione di istituzioni dirette a soccorrere la necessità di credito, essenzialmente destinato al consumo delle classi meno abbienti. La loro funzione era quella di accordare anticipazioni, su pegno di oggetti riscattabili entro un certo lasso di tempo, alla scadenza del quale venivano venduti al miglior offerente.

 

Multinazionali
Imprese che, dal paese in cui ha sede il centro direttivo (la società madre), operano su scala internazionale attraverso filiali ed investimenti esteri. Nella prima parte del secolo, il paese dominante nel campo era la Gran Bretagna, da cui nel 1914 proveniva il 45,5% degli investimenti transnazionali mondiali. Dopo la seconda guerra mondiale, il primato passa agli USA, la cui quota in tali investimenti sale dal 27,7% del 1938 al 48,1% del 1973. Queste imprese, che vengono definite "globali" per l'espansione ormai planetaria della loro attività, hanno raggiunto dimensioni economiche colossali: le prime 500 hanno un fatturato annuo complessivo equivalente a circa il 40% del prodotto interno lordo mondiale.

 

NATO  - Patto di Varsavia
Nel 1949 gli Usa promossero un'alleanza militare, la NATO (North Atlantic Treaty Organization, Organizzazione del trattato del Nord Atlantico), con il  Canada e la maggioranza dei paesi dell'Europa occidentale, e installarono soldati e armi nucleari in tutti gli Stati alleati. Sempre nel 1949 anche l'URSS si dotò dell'arma atomica e costituì, con i paesi socialisti  dell'Europa orientale, il Comecon, alleanza economica contrapposta al piano Marshall. Nel 1955, gli stessi stati socialisti diedero vita, in opposizione alla Nato, ad una nuova alleanza militare, il Patto di Varsavia. L'unico stato socialista a non entrare in questi organismi fu la Iugoslavia del maresciallo Tito, che nel 1948  ruppe i rapporti con Stalin e progettò un socialismo differente dal modello sovietico.Il patto di Varsavia venne sciolto nel 1991
(Za., pp. 216, 226)

 

NEP (Nuova politica economica)
Politica economica inaugurata in Unione sovietica nel 1921 da Lenin, che pose fine alle rigidezze dell'economia di guerra (comunismo di guerra), durante la quale, a causa delle instabili condizioni politiche, il neonato Stato sovietico aveva attuato uno stretto controllo su tutti gli aspetti dell'economia, con razionamenti e requisizioni. 
La NEP cercò di combinare il mercato con elementi di socialismo: la moneta venne reintrodotta; ai contadini si consentì di vendere sul mercato le eventuali eccedenze, una volta che avessero consegnato agli organi statali una quota fissa  dei raccolti; commercio ed industria  vennero liberalizzati per le piccole imprese al di sotto di 20 occupati; molte aziende vennero denazionalizzate, tranne però le maggiori che assicuravano circa i tre quarti della produzione industriale, in modo da conservare allo stato le "vette di comando" dell'economia.
Dopo la morte di Lenin,  l'avvento di Stalin e la conseguente svolta autoritaria  nella politica interna dell'URSS, posero fine nel 1928 alla NEP, inaugurando la politica di collettivizzazione e di pianificazione forzata dell'economia. (Za., pp. 159-162)

 

New Deal (Nuovo Corso)
Politica economica  adottata dal governo americano, durante il periodo di presidenza di Franklin D. Roosevelt, per fronteggiare le disastrose conseguenze della grande crisi economica del 1929. Era fondata su due principi fondamentali:

  • il primo si basava sulla convinzione che il rilancio dell'economia fosse possibile non sostenendo i prezzi per evitare la caduta dei profitti, ma promuovendo una politica economica che risollevasse il potere d'acquisto delle grandi masse popolari e insieme realizzasse un ampio piano di lavori pubblici: dunque, una dinamica più vivace della domanda avrebbe potuto  stimolare  l'iniziativa privata;
  • il secondo consisteva nel mettere sotto controllo il sistema bancario e le grandi corporation per impedire il ripetersi delle speculazioni borsistiche.

Questo progetto politico cominciò ad essere messo in pratica nel 1933: iniziava così negli Stati Uniti il New Deal, il "nuovo corso", che definì non solo la politica di riforme economiche varata da Roosevelt, ma un'epoca della storia americana. L'intervento dello stato nell'economia rappresentava un mutamento assai significativo per una società che aveva uno dei suoi principi costitutivi nella libertà di mercato e nell'autonomia della sfera economica dal potere politico. Lo stato americano si assumeva per la prima volta il compito di regolamentare e di equilibrare le attività economiche, mettendo in atto una serie di misure in grado di determinare quell'inversione di tendenza che il mercato da solo non riusciva a realizzare. In questo senso il New Deal costituì una prima applicazione concreta dei principi elaborati dall'economista inglese John M. Keynes. (Za., p. 171-175)

 

New Economy

La dizione New Economy  è nata e si è sviluppata negli Stati Uniti. Coniata dal giornalista  Michael Mandel nel 1997 , sta ad indicare l'insieme delle attività che producono nuove tecnologie  nella comunicazione, nella informazione e nella conoscenza e caratterizzano la cosiddetta terza rivoluzione industriale. E' senz'altro l'elettronica ad essere al centro di questa "rivoluzione" e ad avere determinato mutamenti sostanziali nei modi di vivere e di lavorare.
La New Economy è spesso contrapposta alla Old Economy, ovvero ai settori tradizionali il cui fine è quello di produrre beni fisici e servizi. (Za., pp. 97-98)

 

ONU
L'Onu (Organizzazione delle Nazioni Unite) venne creata nella conferenza di San Francisco (aprile-giugno 1945), al posto della vecchia e screditata Società delle Nazioni, con l'obiettivo di "salvaguardare le generazioni future dal flagello della guerra" e di "impiegare strumenti internazionali per promuovere il progresso economico e sociale di tutti i paesi". All'interno dell'Onu, il potere decisionale fu dato al Consiglio di sicurezza, un organo composto dai rappresentanti di sei Paesi eletti a turno, più cinque permanenti (le cinque potenze vincitrici): Usa, Urss (dal 1992 Russia), Gran Bretagna, Francia e Cina. Questi ultimi si dotarono del diritto di veto, vale a dire il potere di bloccare, con il voto contrario anche di uno solo di essi, l'adozione di qualsivoglia provvedimento. Fu costituita anche un'Assemblea generale dei rappresentanti degli Stati membri, che poteva però solo fare proposte o esprimere pareri.
Sin dall'inizio, l'Onu ha incontrato difficoltà nell'esercitare il suo ruolo, perché le grandi potenze hanno fatto spesso ricorso al diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza, per impedire iniziative contrarie ai propri interessi. Inoltre le Nazioni Unite non dispongono di forze militari proprie e devono ogni volta affidarsi alla libera volontà degli stati membri di "prestare" i loro soldati ( che al servizio dell'ONU sono chiamati "caschi blu"). Nonostante questi limiti, le Nazioni Unite hanno svolto un ruolo importante nel corso di questi anni, in merito a problemi ed emergenze che si sono presentati nei diversi continenti (guerre, violazioni del diritto internazionale, scontri etnici, genocidi). La presenza dell'ONU si è concretizzato in tre tipi di interventi:

  • politici e militari (azioni diplomatiche, militari, sanzioni economiche)
  • umanitari (progetti di sviluppo e di emergenza per portare aiuto alla popolazioni   che ne hanno bisogno)
  • produzione di documenti sui diritti umani.  (Za., p.216)

 

Open Fields
Letteralemente: campi aperti. Nell’agricoltura nord europea ma anche nell’Italia meridionale vigeva l’istituto dei campi aperti, ossia in determinati periodi dell’anno e per determinate pratiche agrarie i campi, che erano comunque di proprietà privata, venivano assoggettati ad usi collettivi. Questo avveniva nei periodi di riposo del terreno o appena terminato un raccolto. Le pratiche ammesse sui campi aperti da parte degli abitanti del villaggio erano generalmente la spigolatura (raccolta di spighe e chicchi caduti dopo la mietitura) e il pascolo. (Ci., pp. 171)

 

Patrimonio              vedi Ricchezza

 

Pianificazione economica socialista
Nelle politiche economiche dei paesi socialisti, tutte le decisioni relative alla produzione ed alla distribuzione delle risorse sono assunte da un'unica autorità centrale. In URSS, il sistema pianificato si affermò decisamente alla fine degli anni Venti, con un primo piano quinquennale (1928-1932) voluto da Stalin. I provvedimenti presi, volti a creare l'industrializzazione forzata del paese, fissavano per ogni settore le quantità da produrre ogni anno, il prezzo e la distribuzione. (Za., pp.163-166)

 

Piano Marshall (ERP)
Programma di aiuti (il nome ufficiale era European Recovery Program, ERP)  realizzato dagli Stati Uniti nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale (1948-52), allo scopo di facilitare il processo di ricostruzione nei paesi europei e di consolidare l'influenza politica americana nell'Europa occidentale. Il piano proposto nel 1947 dal segretario di stato americano G.C. Marshall, prevedeva aiuti da accordare in gran parte in forma gratuita e per il resto  sotto forma di prestiti a lunga scadenza (30-40 anni) a tassi d'interesse molto bassi. Poiché questi aiuti venivano per lo più concessi sotto forma di beni inviati gratuitamente, occorreva predisporre dei piani di sviluppo nazionali sulla base dei quali redigere la lista da richiedere.
La composizione degli aiuti inviati all'Europa rivela chiaramente la predominanza di beni necessari per rimettere in moto il processo produttivo: 33% di materie prime; 29% di prodotti alimentari e fertilizzanti; 16% di prodotti energetici (carbone e petrolio); 17% di macchinari e mezzi di trasporto;5% di altri beni.( Za., pp.205-210)

 

Piramide per età della popolazione
Rappresentazione grafica di una popolazione ripartita in senso orizzontale, per sesso (a destra le femmine, a sinistra i maschi) e, in senso verticale, per età. Il grafico assume struttura piramidale per il motivo ovvio che le classi si riducono per effetto della mortalità, passando dalle età più giovanili a quelle più elevate.

 

Popolazione  attiva
E' la quota di popolazione occupata, più quella in cerca di occupazione (cioè involontariamente disoccupata).La percentuale degli appartenenti alle forze di lavoro sul totale della popolazione è detta tasso di attività.

 

Postfordismo - Toyotismo 
Si indica comunemente con questo termine una nuova forma di organizzazione del lavoro nella grande impresa, alternativa al modello taylorista-fordista, sperimentata per la prima volta in Giappone nel grande gruppo automobilistico Toyota. Alla concentrazione delle lavorazioni nel corpo della grande fabbrica e alla rigidità dei ruoli e dell'organizzazione  tipica del fordismo, il toyotismo contrappone i seguenti principi organizzatori:

  • la "produzione snella" (lean production) che si fonda sul decentramento produttivo: l'azienda non produce più al suo interno  l'intero manufatto, ma ne decentra le componenti a imprese minori, a volte anche molto lontane e, solitamente, caratterizzate da salari più bassi e minore tutela sindacale, risparmiando sui costi di magazzino e sui costi del lavoro;
  • la produzione just in time, "in tempo reale" che prevede un adeguamento flessibile alla domanda del mercato, con l'obiettivo di ridurre i costi di stoccaggio delle merci e di giungere ad una produzione sempre più "personalizzata";
  • l'abolizione della struttura gerarchica piramidale della fabbrica fordista, in favore di un'organizzazione di tipo orizzontale, per squadre. In ogni squadra ci sono l'ingegnere, il tecnico, l'operaio specializzato, l'operaio semplice che insieme operano per realizzare una parte significativa del processo di produzione dell'automobile, con rotazione delle funzioni e sistemi di premi ed incentivi per i contributi più innovativi.

E' chiaro che le caratteristiche sopra indicate presuppongono da una parte un alto livello di automazione nella gestione delle lavorazioni e dall'altra una specifica figura di lavoratore, flessibile e capace di coprire ruoli e responsabilità diversificati. Di qui l'importanza che formazione professionale continua ha in questo tipo di organizzazione. (Za., pp. 98, 109-110, 230-231)

 

Profitto                   vedi Ricchezza

 

Produttività
E’ il rapporto che intercorre fra la quantità di outputs (prodotti, merci, servizi) ottenuta attraverso  un determinato processo  economico e la quantità di uno o più inputs richiesti per ottenerla (ad es.: quantità di grano raccolto per ettaro in una determinata azienda; numero di scarpe prodotto giornalmente per unità lavorativa in un determinato distretto). Da non confondere, perciò, con produzione, che indica, invece, la quantità  assoluta di output ottenuta a seguito di un processo di produzione (ad. es.: quantità di grano raccolto da una determinata azienda; quantità di scarpe prodotte in un determinato distretto) o , in senso più generale, il processo di produzione. (Ci., pp. 121-127)

 

Protezionismo
Politica di sostegno ai produttori nazionali, adottata dai governi per contrastare la concorrenza estera.. Al protezionismo gli Stati hanno fatto ricorso di frequente in epoca moderna e contemporanea; ma esempi significativi si registrano anche tra XIV e XV secolo: introduzione di barriere doganali, imposizione di dazi sui prodotti importati, divieto di importare e vendere manufatti “stranieri” sul mercato interno. Firenze nel corso del Trecento costruisce un vero “muro tariffario” contro l’importazione di tessuti di lana prodotti fuori dalla città e dal suo distretto. Milano, Genova, Bologna nel Quattrocento proteggono le manifatture della seta vietando l’importazione di prodotti forestieri.
Non mancano inoltre esempi di interventi protezionistici volti a migliorare l’offerta dei fattori di produzione, con riferimento, di volta in volta, alla manodopera, al capitale, e alle materie prime. Si proibiva l’emigrazione di mastri artigiani e se ne favoriva l’immigrazione con sgravi fiscali, prestiti e facilitazioni creditizie. Provvedimenti analoghi venivano attuati in rapporto agli strumenti di lavoro (fusi per la seta a Bologna; macchine per la lavorazione del corallo in Catalogna). Severe regolamentazioni erano stabilite per le materie prime e i semilavorati. (Ci., pp.234-236)

 

Protoindustrializzazione
E’ l’epoca, compresa orientativamente tra la seconda metà del Seicento e buona parte dell’Ottocento, nella quale si diffonde la protoindustria, la forma organizzativa della produzione manufatturiera (soprattutto tessile) che in alcuni stati europei (Olanda, Inghilterra, Francia) precede e accompagna l’industrializzazione. Sue caratteristiche principali sono:

  • il dislocamento dalle città ai piccoli centri rurali e alle campagne delle attività manifatturiere più vivaci e loro ampia diffusione;
  • il ricorso al lavoro di famiglie contadine, soprattutto nei mesi invernali, o solitamente nelle regioni dove l’agricoltura è scarsamente redditizia;
  • la produzione è destinata a mercati lontani,
  • il costo del lavoro è più basso rispetto alla città;
  • la minore la pressione degli organi fiscali e dei controlli restrittivi delle corporazioni.

In Italia le città hanno sempre conservato un forte potere sulle campagne circostanti e pertanto il processo di protoindustrializzazione ha trovato difficoltà ed è mancato il rinnovamento delle manifatture. (Cipolla, p. 315)

 

Reddito         vedi Ricchezza

 

Regime demografico
E’ dato dai comportamenti di una popolazione riferiti ai matrimoni, alle nascite e alle morti. Per tutta l’età preindustriale la popolazione europea è stata caratterizzata da alta fertilità e da alta mortalità, per cui essa è stata prevalentemente una popolazione giovane, ma con tassi di crescita molto ridotti. I vuoti lasciati dalla pandemia di peste del 1348-1352, quando si calcola sia scomparso più di un terzo delle persone, sono stati colmati solo nel corso del secolo XVIII.
Il tasso di natalità, seppure alto, era in parte contenuto dalla elevata età al matrimonio, dalla diffusione del celibato e da forme di controllo delle nascite.
La mortalità ordinaria era alta soprattutto nelle fasce di età dell’infanzia e dell’adolescenza (si calcola che tra i 250 e i 550 bambini su 1000 morissero entro i primi dieci anni di vita); mentre punte di mortalità catastrofica erano legate a guerre, carestie e in particolare epidemie. (Ci., pp. 153-167)

 

Rendita         vedi Ricchezza

 

Ricchezza
Quantità complessiva di beni economici disponibili da parte di un soggetto. Per beni economici si intendono quelli capaci di produrre reddito.
La ricchezza può essere costituita da uno o più dei seguenti fattori:

  • Patrimonio: è il complesso dei beni mobili o immobili (fabbricati o terreni) che un soggetto (persona fisica o giuridica) possiede.
  • Rendita: reddito proveniente da capitale investito. A seconda del tipo di capitale investito si può avere: rendita fondiaria o edilizia da terreni o fabbricati; rendita finanziaria dal possesso di titoli, azioni, buoni, ecc.; rendita vitalizia da assicurazioni o prestazioni lavorative o servizi effettuati.
  • Profitto: è ciò che resta all’imprenditore del ricavato della vendita del prodotto, sottratte le spese di produzione o, secondo teorie più moderne, il premio per il rischio assunto dall’imprenditore e il compenso per la sua abilità, specialmente in quanto si configurino come guadagno superiore al normale.
  • Interesse: reddito o premio derivante dal prestito o dall’impiego del capitale in una attività economica.
  • Reddito: utile proveniente in un dato periodo di tempo dallo svolgimento di una attività o da un impiego di capitale.
  • Salario: retribuzione corrisposta al lavoratore dipendente in particolare operaio o, più genericamente, retribuzione del lavoro.
  • Stipendio: retribuzione in denaro che viene corrisposta a impiegati e funzionari. (Ci., pp. 28-50)

 

Rifeudalizzazione
Con questo termine alcuni storici di orientamento marxista (Sereni, Giorgetti, Romano)  indicano  la ricomparsa o il rafforzamento di elementi di carattere feudale (vedi feudalesimo) nella vita sociale, politica, economica italiana a partire dalla fine del Cinquecento. La rifeudalizzazione si sarebbe manifestata  nella ricomparsa dei titoli nobiliari, nella riaffermazione della nobiltà nelle gerarchie sociali e nelle cariche politiche, nella ripresa di forme di oppressione dei lavoratori delle campagne. Si sarebbe bloccato pertanto nel Seicento il processo  di sviluppo in senso capitalistico della società italiana, dopo il periodo di slancio e di crescita che aveva caratterizzato i secoli del basso Medioevo.

 

Rivoluzione agraria        vedi Rotazione agraria

 

Rivoluzione dei prezzi
L’espressione indica la lunga fase di aumento dei prezzi registrata in Europa tra il Cinquecento e i primi decenni del Seicento(1500-1620), in corrispondenza dell’afflusso dei metalli preziosi (oro e argento) dalle Americhe. Il loro arrivo avrebbe provocato la perdita di valore della moneta (metallica) rispetto ai prodotti del mercato. Rimanendo questi stabili e accrescendosi la circolazione monetaria, i prezzi sarebbero saliti.
E’ questa, tuttavia, una interpretazione monetaristica che sopravvaluta il ruolo della moneta e dei prezzi nell’economia preindustriale e pone in secondo piano altri fattori, quali, in particolare, l’aumento demografico che si registrò durante il secolo XVI, determinando un forte aumento della domanda. E’ certo, ad ogni modo, che il forte afflusso di metalli preziosi fece diminuire sensibilmente i tassi di interesse, accrebbe la liquidità internazionale e favorì gli scambi commerciali. (Ci., pp.281-283)

 

Rivoluzione  urbana
Con questa espressione gli storici dell'economia (soprattutto Cipolla) fanno riferimento ad un preciso momento storico tra il X e il XII secolo quando in Europa il sistema dei piccoli microcosmi rurali autosufficienti (curtes), instauratosi nell’alto medioevo, viene messo in crisi dal sistema basato sulle città, nel frattempo risorte.
In campo economico la rivoluzione consisté nel rovesciamento del sistema curtense basato sull’autarchia e il lavoro servile e nell’affermarsi di un sistema economico basato sulle città, gli scambi e il lavoro libero. In questo periodo, pertanto, nasce e si sviluppa l’economia di mercato.
Cause:

  • secondo Henri Pirenne (1972) le città sorsero come ampliamento di nuclei economicamente e commercialmente attivi (portus) che finiscono per conglobare l’originale nucleo fortificato feudale;
  • secondo Ennen (1967) la rivoluzione urbana seguì strade diverse: a) in alcune regioni (Italia, Spagna, Francia meridionale) le antiche città romane per quanto decadute continuarono ad esistere; b) in altre (Inghilterra, Francia del nord, Germania meridionale, Renania, Austria) le città romane erano scomparse e ne nascono delle nuove; c) in Germania del nord e Scandinavia non c’erano mai state città;
  • secondo Cipolla la rivoluzione urbana fu un movimento non solo economico, ma anche socio-culturale, che ebbe radici comuni e fu il risultato di un massiccio movimento migratorio inteso come fuga dalla campagna verso  un mondo nuovo, come fuga dal feudalesimo verso la libertà, dall’autarchia verso il libero mercato.

Nell’analizzare le conseguenze della rivoluzione urbana tutti gli autori concordano che la città nasce e si sviluppa come ente assolutamente autonomo e in contrasto col mondo circostante. Gli abitanti della città, circondati da un mondo ostile (signorie feudali sparse in campagna) si organizzano socialmente non secondo modelli verticali, quali quelli feudali dai quali fuggono, ma con una organizzazione orizzontale di cooperazione tra eguali: la corporazione, la confraternita, l’università e, soprattutto, l’università dei cittadini ossia il Comune.
Secondo Cipolla la città è un fatto nuovo, “è il nucleo di una nuova società, di una nuova cultura che elabora nuove strutture sociali, che riscopre lo Stato, che elabora nuovi valori, nuove aspirazioni e una nuova economia”. Secondo Pirenne: “Con l’apparizione delle città e la formazione della borghesia nacque una nuova Europa. Ogni settore della vita sociale fu trasformato. Aumentò la popolazione: La libertà divenne generale. Commercio e industria, l’uso della moneta e l’attività intellettuale aumentarono progressivamente”. La rivoluzione urbana dei secoli XI-XIII, conclude Cipolla, fu preludio e creò i presupposti dell’altra Rivoluzione, quella industriale, del secolo XIX. (Ci., pp. 143-151)

Rivoluzioni del XVIII secolo
Il Settecento è il secolo nel quale per la prima volta nella storia dell’umanità bisogni e conoscenze si combinarono nelle proporzioni giuste e nella giusta concatenazione per produrre sistemi (produttivi, ideologici, politici, artistici, ecc.) all’interno dei quali era possibile (almeno in teoria) dar soluzione a qualsiasi problema. Questa combinazione, frutto del diffondersi di mentalità utilitaristiche e di ideologie razionalistiche e sperimentali, provocò una serie di rivoluzioni, tanto che il XVIII secolo è stato da alcuni definito “il secolo delle rivoluzioni”.
La rivoluzione industriale. Per la prima volta l’uomo cominciò a trovare con facilità nella cassetta degli attrezzi ciò che gli serviva (teoria delle concomitanze necessarie) per dar vita a processi produttivi completi (filiera). La scoperta  della macchina azionata da energia inanimata segnò la fine del “mondo che fu”, che sostanzialmente durava dal neolitico, e l’inizio di una nuova èra. Da un mondo di piante e di animali (energia riproducibile) si passa ad un mondo completamente nuovo nel quale l’uomo può disporre di enormi masse di energia inanimata (non riproducibile) di origine minerale che gli consente di aumentare esponenzialmente la produzione.
La rivoluzione borghese. L’aumento della produzione di beni risponde al diffuso desiderio di miglioramento materiale che è alla base della  rivoluzione borghese. Essa ha le basi ideologiche nell’opera di tutti i filosofi dell’età dei Lumi (Voltaire, Rousseau, Diderot, ecc.) che rivendicano il diritto dell’uomo alla vita, alla libertà, alla felicità e quindi alla ricchezza. La nuova ideologia, tuttavia, affonda le sue radici nell’età comunale quando i ceti urbani si oppongono al predominio dell’assetto agrario-feudale facendo prevalere l’attività mercantile e manifatturiera. Processo che si blocca in Italia e nei Paesi Bassi meridionali ma che avanza fortemente nei Paesi Bassi settentrionali e in Inghilterra da dove, appunto, partirà la rivoluzione industriale.
La rivoluzione americana. L’affermarsi dell’ideologia illuminista che rivaluta il benessere materiale dà luogo a molti fenomeni nuovi che vede protagonisti, ancora, inglesi e olandesi: abbandono delle campagne e nascita dell’urbanesimo; emigrazione; conquista di terre d’oltremare e formazione degli imperi coloniali; Far West; nascita del Stati Uniti e costituzione americana.
La rivoluzione francese. Per ottenere il rispetto dei diritti e liberarsi dell’ancien Régime in Francia fu necessaria una rivoluzione popolare guidata dal “terzo stato”, ossia dalla borghesia. La rivoluzione interessò anche tutti gli altri stati assolutistici  fatti partecipi della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.
La rivoluzione agraria. A margine di queste rivoluzioni c’è chi  non dimentica le grandi innovazioni introdotte nel Settecento nell’agricoltura che spianeranno, con l’aumento della produttività, il campo alla rivoluzione industriale a partire dall’Inghilterra: diffusione dell’agricoltura mista (allevamento e cerealicoltura), uso del cavallo, introduzione delle foraggiere sul maggese, rotazione quadriennale (sistema di Norfolk).

Cronologia delle rivoluzioni
La rivoluzione del pensiero:
1748: Montesquieu, Lo spirito delle leggi;
1748: Hume, Saggio sull’intelletto umano;
1751-1772: L’Encyclopédie di Diderot e D’Alambert;
1762: Rousseau, Il contratto sociale;
1764: Giulio Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene;
1776: Adam Smith, Ricerche sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni;
1781: Kant, Critica della ragion pura;
1787: Mozart, Don Giovanni.
La rivoluzione industriale:
1709: Abraham Darby realizza la prima colata di ghisa utilizzando il coke;
1712: Thomas Newcomen inventa la macchina atmosferica con cilindro e stantuffo;
1735: John Kay inventa la spola volante;
1767: filatoio intermittente;
1769: filatoio a energia idraulica;
1770-1771: carro a vapore di J. Cagnot
1782-1785: macchina a vapore di Boulton e Watt.
La rivoluzione americana:
1773-1775: Boston Tea Party, gli abitanti di Boston gettano a mare il tè della Compagnia delle
Indie
1775-1783: guerra d’indipendenza;
4 luglio 1776: firma della Dichiarazione di Indipendenza;
1783: trattato di Versailles; riconoscimento degli Stati Uniti;
1789: Costituzione; George Washington presidente.
La rivoluzione francese:
20 giugno 1789: giuramento della Pallacorda;
14 luglio 1789: presa della Bastiglia;
26 agosto 1789: dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino;
21 gennaio 1793: Luigi XVI viene ghigliottinato;
10 giugno 1794: inizia il Terrore;
9 novembre 1799: colpo di stato di Napoleone.

 

Rotazione  agraria
Pratica utilizzata nel sistema agricolo dell’aridocoltura (senza uso dell’irrigazione) che consiste nell’alternare le coltivazioni e il maggese nello stesso appezzamento di terra al fine di ricostituirne la fertilità. Può essere: biennale se ad ogni coltivazione segue il maggese; triennale se il maggese segue a due differenti coltivazioni; quadriennale e quinquennale. La frequenza della riproposizione del maggese (improduttivo) dipende dalla qualità del terreno, dalle caratteristiche delle colture che si susseguono sull’appezzamento ma soprattutto dalla possibilità di introdurre concimi.
La rotazione triennale, in particolare, comincia ad avere ampia diffusione in Europa dall’VIII secolo e costituisce uno dei più significativi progressi tecnologici dell’Alto Medioevo. Essa prevede che un campo venga diviso in tre porzioni, piuttosto che in due, come nella rotazione biennale. Di tali parti, una viene a turno lasciata per un anno a riposo (maggese), per rigenerarne la fertilità, mentre le altre due vengono messe a coltura, solitamente con coltivazioni di anno in anno diverse per differenziare l’effetto di impoverimento della fertilità del terreno. Rispetto alla rotazione biennale, ciò permette di aumentare da ½ a 2/3 la quantità di terra coltivata ogni anno, mentre la diversificazione delle coltivazioni riduce i rischi che singole avversità (ad esempio gelate o grandinate fuori stagione) compromettano la totalità del raccolto.
La scoperta e la diffusione di erbe foraggiere, che avevano le stesse capacità rigenerative del maggese, diede vita nel Settecento alla cosiddetta “rivoluzione agraria”, consentendo la rotazione in successione delle colture: ciò favorì l’allevamento e quindi la disponibilità di concime (con conseguente maggiore produttività), di energia animale, di carne, latte, ecc. (Ci., pp. 170-171, 233)

  •  

Salario reale  - salario nominale
La quantità di moneta corrente che un lavoratore riceve per una sua determinata prestazione lavorativa costituisce il salario nominale. Se si relativizza e contestualizza quella grandezza monetaria misurandone il potere di acquisto, cioè la quantità di beni e servizi che con essa può essere acquistata, si ottiene il salario reale. Il salario reale, dunque, è una variabile che interagisce con quella dell'andamento dei prezzi: dato, infatti, un determinato salario nominale, all'ascesa dei prezzi dei beni e dei servizi corrisponde una curva cedente del corrispondente salario reale, e viceversa. (Ci., pp.19-20; 40-41)

 

 

Signoraggio
Genericamente è il complesso dei doveri che il signore ha nei confronti del vassallo (tutela, difesa, vendetta) ma in economia e finanza il signoraggio è l’imposta fiscale sulle coniazioni di monete od anche il provento che il signore o lo stato ricava, attribuendo alle monete coniate un potere d’acquisto superiore a quello del metallo in esse contenuto. Il signoraggio è un elemento molto importante della monetazione perché, combinato al costo del metallo e a quello dei costi di produzione, determina il valore della moneta stessa. (Ci., pp. 200, 205-206)

 

Signoria fondiaria
Ha origine in età feudale e lunga durata. Inizialmente è rappresentata dal castello, villa o palazzo dove risiede il signore circondato dalle proprietà e dalle case dei coltivatori spesso riunite in villaggio. Dal Cinquecento si tratta generalmente di “ville” padronali  che sono soltanto residenze estive o temporanee. Secondo la definizione del Malanima la signoria fondiaria è un’area territoriale sulla quale ereditariamente i membri di una certa famiglia, che spesso sono i maggiori proprietari della zona, esercitano poteri sulle persone che vi abitano. Il signore è dunque non solo un proprietario ma anche un capo cui i dipendenti debbono obbedienza e rispetto.
Di solito, il signore appartiene a un gruppo sociale molto ristretto che è la nobiltà. Questa classe sociale ha molti privilegi: di carattere sociale ( ha propri ritrovi, momenti, spettacoli, ecc.), di carattere politico (come il controllo di importanti cariche pubbliche), di carattere giuridico (come la possibilità di essere giudicati dai propri pari e di poter avere pene più miti) e di carattere fiscale (come l’esenzione da determinate tasse).
Le entrate del signore provenivano dalla sua duplice funzione: come proprietario aveva le rendite della terra, come autorità imposte e tasse. (Ci., pp. 113-114)

 

Stipendio      vedi Ricchezza

 

Taylorismo – Fordismo
Il taylorismo è la teoria economica dell'organizzazione scientifica del lavoro elaborata all'inizio del Novecento dall'ingegnere statunitense Frederick Taylor. Si fonda sul principio che "la migliore produzione si determina quando ad ogni lavoratore è affidato un compito specifico, da svolgere  in un determinato tempo e in un determinato modo". Lo scopo è di razionalizzare il ciclo produttivo, eliminando sforzi inutili e tempi morti.
L'applicazione pratica di questi principi aprì la strada alla catena di montaggio che, introdotta aggli inizi del Novecento da Henry Ford per la fabbricazione delle automobili, modificò profondamente l'organizzazione del lavoro nelle industrie. La condizione dell'operaio ne risultò trasformata, dal momento che egli perse ogni discrezionalità sui tempi e i modi del suo lavoro: la figura dell'operaio professionale fu progressivamente sostituita dall'operaio-macchina, mero esecutore di compiti rigorosamente prestabiliti.
La catena di montaggio e la produzione in serie non erano soltanto un nuovo sistema di organizzazione del lavoro, ma anche un principio di organizzazione sociale (fordismo). Infatti, se la produzione in serie deve essere smerciata in grandi quantità (per realizzare cioè economie di scala), requisito necessario è il consumo di massa, vale a dire la capacità di assorbire un'alta produzione. Ciò significa che gran parte dei lavoratori deve essere messa in condizione di acquistare i beni di consumo posti sul mercato. (Za., pp.103-110)

 

Terziarizzazione
Per descrivere questo fenomeno, si parla di progressiva deindustrializzazione delle zone sviluppate, nelle quali si è verificato uno spostamento del baricentro  economico dal settore secondario a quello terziario, in particolare al cosiddetto terziario avanzato che comprende i settori dell'istruzione, della medicina, della ricerca scientifica, dell'informatica e delle telecomunicazioni. Mentre molte produzioni vengono trasferite in paesi in via di sviluppo che offrono le condizioni più favorevoli alla massimizzazione del profitto (disponibilità di forza lavoro qualificata a basso costo, esenzioni fiscali ed altre agevolazioni, accesso a mercati e materie prime locali, possibilità di costituire joint-venture, ecc.), i paesi industrializzati si sono trasformati e si vanno sempre più trasformando da produttori di macchinari e beni di consumo a centro di controllo dei sistemi informativi, dei servizi e delle leve finanziarie. Per queste ragioni, è mutata la struttura  sociale dei paesi più sviluppati, nei quali i processi di terziarizzazione hanno provocato la continua  crescita dei ceti medi - costituiti da intellettuali, professionisti, tecnici, ricercatori, addetti ai servizi ed al tempo libero -, mentre si è ridotta la classe operaia. (Za., p. 98)

 

Terzo (e Quarto) Mondo
L'espressione "Terzo Mondo" indicò in un primo tempo quei paesi, di recente indipendenza, che non facevano parte né del mondo capitalistico occidentale ("primo mondo") né del "secondo mondo", comunista e ad economia pianificata. In seguito, il termine ha ampliato il suo significato venendo ad indicare l'area dei paesi in cui era concentrata la povertà del pianeta: paesi dei quali i movimenti progressisti dell'Occidente rivendicavano l'emancipazione, in analogia con il "terzo stato" della Rivoluzione francese. Il termine, pur largamente utilizzato, ha perso progressivamente la sua efficacia denotativa, non riuscendo a cogliere le grandi differenze economiche, sociali e culturali esistenti fra i paesi in questione. Tali differenze si sono accresciute negli ultimi due decenni: per esempio paesi come l'India e la Cina, o realtà piccole ma estremamente dinamiche, come i paesi di nuova industrializzazione (le cosiddette "tigri asiatiche": Taiwan, Singapore, Corea del sud), hanno conosciuto e conoscono un notevole sviluppo. Per questa ragione è entrata nell'uso l'espressione "Quarto Mondo" per indicare quei paesi - la maggior parte dei quali in Africa- che si trovano in una condizione di drammatica arretratezza  e povertà generalizzata, senza prospettive di crescita. (Za., p.231)

 

Welfare State
Insieme delle attività e delle politiche intraprese dallo Stato al fine di garantire il benessere sociale. Tradizionalmente, l'intervento pubblico in questo campo ha mirato a:

  • assicurare ai cittadini un reddito minimo (sussidi alla disoccupazione, trasferimenti ai cittadini meno abbienti,ecc.)
  • garantire forme di sicurezza sociale (sistema pensionistico, assicurazioni contro gli infortuni, prestazioni sanitarie);
  • assicurare la massima diffusione dei servizi pubblici considerati essenziali (istruzione, servizio idrico, edilizia popolare, ecc.)

Le prime forme di assistenza sociale garantite dallo Stato furono introdotte intorno al 1880 in Germania; il termine Welfare State è tuttavia entrato nel linguaggio comune soltanto dopo la seconda guerra mondiale, allorché molti Stati dell'Europa occidentale adottarono piani specifici di aiuti alla popolazione più povera. In seguito gli scopi e l'attività dei governi subirono una notevole espansione: durante la cosiddetta età dell'oro, la spesa sociale complessiva degli stati europei  passò da circa il 25% al 45% di reddito nazionale, finanziata da un'imposizione fiscale crescente, ma compensata dall'estensione dei servizi sociali offerti.
Negli anni più recenti, il Welfare State ha attraversato un periodo di profonda crisi in quasi tutti i paesi, dovuta al fatto che la spesa per l'assistenza sociale è giunta, dietro la spinta di vari gruppi di pressione (partiti politici, sindacati, associazioni di categoria), ad assorbire una fetta sempre più grande del prodotto interno lordo. (Za., p. 39-41)

 

WTO (World Trade Organization - Organizzazione mondiale del commercio)

Organismo internazionale, nato in seguito allo scioglimento del GATT nel 1994, che ha il compito di sorvegliare ed influenzare lo sviluppo del commercio internazionale nel rispetto dei principi del multilateralismo e del mutuo vantaggio. La WTO può anche agire come tribunale arbitrale internazionale, competente a dirimere tutte le questioni relative agli scambi economici internazionali sorti tra i paesi aderenti; può anche imporre misure coercitive nei confronti di quegli Stati che abbiano violato le regole generali dell'organizzazione. La sua nascita era già prevista dagli
accordi di Bretton Woods che, accanto al Fondo Monetario Internazionale ed alla Banca Mondiale, istituiva un'organizzazione interamente volta a disciplinare il commercio internazionale. (Za., p. 214)

 

Zecca
Officina in cui si batte moneta, secondo i moduli (lega e peso) fissati dall’autorità politica.
Dopo la riforma monetaria di Carlo Magno (seconda metà del secolo VIII d.C.), che fissò in tutto l’impero il monometallismo argenteo, il denaro d’argento, le zecche si diffondono in ogni parte d’Europa dalla fine del secolo X, quando sviluppo della popolazione, delle attività manifatturiere e dei commerci fece crescere considerevolmente la domanda di moneta. (Ci., pp.199-205)

 

Zollverein
“Unione doganale” realizzata nel 1833 tra diversi Stati dell'area tedesca. Lo Zollverein era basato sulla libertà di commercio tra gli Stati membri, con l'abolizione di ogni forma di dazio o di pedaggio, e sul protezionismo nei confronti degli Stati non aderenti all'Unione. (Za., p.52)

 

Fonte: http://wwwecon.unian.it/servizi/hpp/chiapparino/img/Glossariodef.doc

Sito web da visitare: http://wwwecon.unian.it/

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