Sintassi dell’italiano antico

Sintassi dell’italiano antico

 

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

Sintassi dell’italiano antico

Abstract
La sintassi dei volgari antichi differiva in molti punti da quella dei dialetti moderni. Nel capitolo si passano in rassegna i fenomeni più significativi di questa divergenza in base ai dati del fiorentino del Duecento e dell’inizio del Trecento, la fase più antica documentata della lingua italiana; alla situazione degli altri volgari si accenna in casi di differenze interessanti.

Parole chiave: sintassi, categorie grammaticali, ordine delle parole, fiorentino antico, volgari medievali

I volgari italiani medievali, come i dialetti moderni che ne derivano, si differenziavano, oltre che sul piano fonetico, morfologico e lessicale, anche su quello sintattico. Secondo quello che possiamo ricostruire in base ai testi scritti pervenutici, la differenziazione sintattica doveva tuttavia essere minore di quella esistente tra i dialetti odierni. La lingua medievale costituisce infatti una fase intermedia in un processo di evoluzione, iniziato nel latino tardo e continuato anche dopo il Medioevo, che è anche un processo di progressiva differenziazione (anche se non mancano le stasi e anche, fatto più sorprendente, le evoluzioni parallele). All’aria di famiglia che presentano i volgari antichi può inoltre aver contribuito l’influsso reciproco delle varie tradizioni scritte, che può nascondere in parte le tendenze alla differenziazione attive nella lingua parlata.
Non è possibile al momento tracciare un quadro esaustivo della variazione sintattica nei volgari antichi. Solo per il fiorentino del Duecento e degli inizi del Trecento disponiamo di una descrizione grammaticale completa: la Grammatica dell’italiano antico (Salvi/Renzi 2010), integrabile con la Sintassi dell’italiano antico (Dardano 2012), che copre un’area geografica più ampia (ma sostanzialente toscana) e un lasso di tempo più lungo (fino a tutto il Trecento), ma con una limitazione della base testuale (solo prosa) e dei fenomeni descritti (sostanzialmente sintassi della frase e soprattutto del periodo). Con l’eccezione dell’estesa descrizione del napoletano antico contenuta in Ledgeway (2009), per gli altri volgari disponiamo soltanto di studi parziali incentrati su singoli fenomeni grammaticali o sulla lingua di singoli autori.
Per questo, in quanto segue, baseremo la nostra descrizione dei principali fenomeni sintattici dell’italiano antico sui dati del fiorentino, che chiameremo semplicemente italiano antico, in conformità con il fatto che il fiorentino antico costituisce la base della lingua italiana che verrà canonizzata nel Cinquecento. Utilizzeremo a questo scopo tacitamente la descrizione fornita in Salvi/Renzi (2010) e Dardano (2012). Faremo riferimento agli altri volgari solo per segnalare alcune differenze importanti. Nello spirito della Grammatica dell’italiano antico, la scelta di fenomeni che segue cercherà di mettere in luce alcune delle principali differenze tra italiano antico e italiano moderno.

1. Categorie grammaticali

Rispetto all’it. mod., la morfologia dell’it. ant. si caratterizza per una più estesa presenza di categorie e forme ereditate dal latino, che poi l’evoluzione successiva ha in gran parte eliminato.

1.1 Pronomi deboli

Anna Cardinaletti (2010) ha proposto di individuare in it. ant. una categoria intermedia tra quella dei pronomi clitici e quella dei pronomi liberi: i pronomi detti deboli, che in it. mod. sopravvivono marginalmente nelle forme soggetto egli, ella e nell’obliquo loro (per es. far loro un regalo; per i pronomi deboli in latino, cf. Salvi 2004, par. V.1). I pronomi deboli hanno la stessa forma dei pronomi liberi, ma se ne distinguono per le loro proprietà sintattiche e semantiche, che li accomunano ai clitici:
a) diversa distribuzione sintattica: mentre i pronomi liberi possono essere retti da preposizioni (primarie o secondarie: di lui, sotto lui) o dal verbo, quelli deboli possono essere retti solo da un verbo (1)–(4), da un aggettivo in funzione predicativa retto a sua volta da un verbo (5) o da alcune preposizioni secondarie (6); mentre i pronomi liberi possono essere accompagnati da un modificatore (solamente lui) o apparire in una struttura coordinata (lui e lei), quelli deboli non possono essere né modificati né coordinati; mentre i pronomi liberi possono comparire in tutte le posizioni sintattiche in cui può comparire un sintagma nominale o preposizionale lessicale, quelli deboli hanno una distribuzione più limitata: si trovano sempre vicino a una forma verbale (v. sotto);
b) diverso uso pragmatico: mentre i pronomi liberi possono fungere da Topic o da Focus, quelli deboli hanno soltanto funzione anaforica;
c) diversa referenza: mentre i pronomi liberi possono riferirsi solo a umani, quelli deboli possono riferirsi anche a non-animati, come in (3a);
d) diverso sistema casuale: mentre le forme oblique dei pronomi liberi hanno un solo caso (che funge da oggetto diretto di un verbo o da complemento di una preposizione), le forme oblique dei pronomi deboli distinguono, come i clitici, due casi: accusativo (che funge da oggetto diretto di un verbo) e dativo (che funge da oggetto indiretto di un verbo, di un aggettivo o di una preposizione secondaria); perciò i pronomi in funzione di oggetto indiretto (dativi) sono sempre deboli (1a)/(2)/(3b)/(5)/(6); i pronomi liberi, invece, quando fungono da oggetto indiretto, devono sempre essere preceduti dalla preposizione a (come i sintagmi nominali lessicali);
e) possiamo inoltre supporre che i pronomi deboli, diversamente da quelli liberi, non potessero essere portatori di prominenza accentuale all’interno del segmento intonativo in cui ricorrevano (e non potessero quindi svolgere la funzione di Topic o di Focus – v. punto b, sopra):

(1)     a.  che me non parea che… (Dante, Vita nuova, cap. 24, par. 2)
b.  Quando ’l pensier mi vèn ch’i’ voglia dire / a gentil core de la sua vertute, / i’ trovo me di sì poca salute (Guido Cavalcanti, Rime,9, vv. 29–31)
c.  se alcuno volesse me riprendere di ciò (Dante, Vita nuova, cap. 30, par. 2)
(2)     a.  io non posso fare loro nullo danno (Novellino, 36, rr. 8–9)
b.  fue loro così imposto dal Soldano (Novellino, 61, r. 7)
c.  la chasa ch’òe dato loro a pigione da sSanto Ispirito (Libricciolo di Bene Bencivenni, II, p. 385, rr. 9–10)
(3)     a.  Questo sonetto (…) non abbisogna d’alcuna divisione; e però lassando lui (Dante, Vita nuova, cap. 26, par. 8)
b.  dicendo io lui che per lui solo fatto l’avea (Dante, Vita nuova, cap. 33, par. 3)
(4)     per voi tormentare (Bono Giamboni, Libro, cap. 6, par. 11)
(5)     a.  sia loro licito (Compagnia di San Gilio, p. 49, rr. 15–6)
b.  sia licito loro di… (Compagnia della Madonna d’Orsammichele, p. 664, rr. 19–20)
(6)     io vidi intorno lui / quattro donne valenti (Brunetto Latini, Tesoretto, vv. 2274–5)

Come discusso in Salvi/Renzi (2010/2011), queste proprietà, prese separatamente, non possono provare l’esistenza di una categoria di pronomi deboli diversa da quella dei pronomi liberi (da cui, come abbiamo detto, non sarebbero formalmente distinti): in particolare, tutte le posizioni sintattiche in cui, secondo il criterio a, potevano comparire le forme deboli, potevano ospitare anche sintagmi lessicali, e quindi forme libere; se il criterio è quindi in grado di dirci quali forme erano sicuramente libere (i pronomi retti da preposizione, quelli modificati e quelli coordinati), non è in grado di dirci quali forme erano sicuramente deboli. Quanto alla funzione pragmatica (criterio b), anche le forme libere possono avere funzione semplicemente anaforica quando sono rette da una preposizione (per es. Avevo invitato Maria al cinema, ma poi sono andato senza di lei); niente esclude in linea di principio che l’it. ant. fosse più permissivo, e usasse i pronomi liberi in funzione semplicemente anaforica anche in contesti in cui l’it. mod. userebbe obbligatoriamente un clitico; in tal caso, il fenomeno sarebbe parallelo a quello osservato sotto in 2.1 sull’alternanza tra possessivi e pronomi personali nel sintagma nominale (v. testo relativo all’es. 18): in it. ant. si poteva usare un pronome libero anche in contesti in cui l’it. mod. userebbe obbligatoriamente un possessivo. Infine, il caso dativo (criterio d) si trova anche in forme pronominali che non possono essere considerate deboli, come altrui (v. sotto 1.2), per cui non può essere escluso a priori che anche le forme libere avessero questo caso.
Ma senessuno dei criteri elencati può da solo giustificare l’introduzione della categoria dei pronomi deboli o aiutare a identificare queste forme distinguendole da quelle libere, una combinazione di questi criteri può servire allo scopo. Se si può dimostrare, per es., che i pronomi dativi (criterio d) mostrano le restrizioni distribuzionali descritte ai punti a e b (che sarebbero inspiegabili con i pronomi liberi, che hanno la stessa distribuzione dei sintagmi lessicali), è lecito assumere che queste forme appartengano a una categoria speciale, diversa da quella dei pronomi liberi e da quella dei pronomi clitici; e se la categoria esiste per i pronomi dativi, è lecito pensare che questo valga per tutti i pronomi obliqui (anche accusativi), e (forse) per tutti i pronomi personali (anche nominativi). Se cioè i pronomi dativi non sono mai modificati, coordinati, focalizzati o topicalizzati, e si trovano sempre soltanto nel contesto immediato di una forma verbale (o di un aggettivo in posizione predicativa o di una preposizione secondaria), secondo la tipologia esemplificata in (1)–(6), siamo autorizzati a postulare l’esistenza di una categoria indipendente di pronomi deboli.
Questa assunzione sembra giustificata dai fatti: Anna Cardinaletti non ha trovato ess. di pronomi dativi modificati o coordinati, né di pronomi dativi sicuramente focalizzati o topicalizzati. Quanto all’adiacenza a un verbo (o a un aggettivo predicativo o a una preposizione secondaria), questa non è confermata in senso stretto: a parte (3b), in cui anche io potrebbe essere debole (e avremmo quindi un gruppo di pronomi deboli adiacenti al verbo), abbiamo una serie di ess. in cui il pronome dativo postverbale è separato dal verbo dall’oggetto diretto (7a) o da un avverbio (7b):

(7)     a.  Allora dissi queste parole loro (Dante, Vita nuova, cap. 18, par. 4)
b.  dirai così loro (Novellino, 36, rr. 36–7)

Questi ess. richiedono una modifica della generalizzazione, non ne alterano tuttavia lo spirito: gli elementi che separano il pronome debole dal verbo sono strettamente legati al verbo, quasi una sua estensione (troviamo casi analoghi in dialetti moderni in cui i clitici possono essere separati dal verbo da un avverbio o dall’oggetto diretto – cf. Salvioni 1903).
Possiamo quindi dare per molto probabile l’esistenza di pronomi deboli in it. ant., anche se, a causa della omonimia con i pronomi liberi, la classificazione dei singoli ess. non sarà sempre possibile.

1.2 Caso

Nel sistema dei pronomi la distinzione di caso, che nell’italiano corrente è limitata alle sole coppie io/me e tu/te e ai clitici, in it. ant. riguardava molte più forme (Renzi 2010). Per es. la forma nominativa ella, che poteva fungere solo da soggetto (quand’ella altrui saluta, Dante, Vita nuova, cap. 26, par. 5, v. 2), si opponeva alla forma obliqua lei (libera o debole – v. 1.1, sopra), che poteva fungere da oggetto diretto (le persone correano per vedere lei, Dante, Vita nuova, cap. 26, par. 1), da oggetto indiretto (Ed io, rispondendo lei, dissi, Dante, Vita nuova, cap. 18, par. 6) e da complemento di una preposizione (ne la seconda le prego che mi dicano di lei, Dante, Vita nuova, cap. 22, par. 11). La stessa distinzione si ritrova negli altri pronomi personali di 3. pers.: egli/lui, egli(no)/loro, elle/loro, nel pronome interrogativo chi/cui, nei pronomi dimostrativi riferiti a persone: questi (sing. e pl.) / costui e costoro,cotesti (sing. e pl.) / cotestui e cotestoro, quegli (sing. e pl.) / colui e coloro, e le forme corrispondenti per il femm. Allo stesso modo, alla forma nominativa di pronome indefinito altri (il cui significato era più o meno ‘la gente’: questo dico, acciò chealtri non si maravigli, Dante, Vita nuova, cap. 30, par. 1) si opponeva l’obliquo altrui, che poteva fungere da oggetto diretto (quand’ella altrui saluta,Dante, Vita nuova, cap. 26, par. 5, v. 2), da oggetto indiretto (né dire altrui menzogna, Brunetto Latini, Tesoretto, v. 1628), da complemento di preposizione (quello che io volea del tutto celare ad altrui, Dante, Vita nuova, cap. 4, par. 1) o avere valore di genitivo (del bene e della felicitade altrui, Bono Giamboni, Libro, cap. 26, par. 6 – si tratta dell’unico uso conservato in it. mod.).
Questo sistema comincia peraltro a essere intaccato. I pronomi soggetto di 3. pers. alternavano con gli obliqui nei contesti sintattici in cui non esiste una corrispondenza precisa tra i tratti di persona/numero espressi dal soggetto e quelli espressi dal verbo: per es. quando fungono da soggetto di una forma non-finita, come in (8a), dove la forma nominativa elli alternava con la forma obliqua lui; o quando compaiono in una struttura coordinata, come in (8b), dove potevamo avere due forme nominative (egli e io), ma anche una forma nominativa (altri) coordinata con una forma obliqua (lui). In Italia settentrionale il fenomeno riguardava anche le altre persone (9) (Benincà 1994, 171–2), e anche i pronomi con funzione di soggetto collocati nel margine sinistro della frase (10) (v. sotto 3.2.1; in 3b si tratta di un tema contrastato: ‘lui, invece’ – cf. Vai 2014):

(8)     a.  tornando elli ad casa con li cardinali (Cronica fiorentina, p. 94, rr. 15–6) / stando lui ne l’Egitto (Brunetto Latini, Pro Ligario, p. 173, r. 26)
b.  questo non sapea altri che Domenedio ed egli e io (Paolino Pieri, Merlino, cap. 16, par. 17) / Né luialtri già ciò non credesse (Fiore, 94, v. 12)
(9)     (ven.) dando-e’ delo pan(Lio Mazor, p. 27, r. 25) / stando mi en la mia barcha(Lio Mazor, p. 19, r. 27)
(10)   a.  (lomb.) E lu da nona zeva al desc (Bonvesin, Vita beati Alexii, v. 11)
b.  A segar e a bate sostegn fadhiga al coldo, / e lu sê zos e canta e sta segur e boldo (Bonvesin, Disputatio mensium, vv. 225–6)

Nel caso dei dimostrativi, poi, la perdita della distinzione casuale non si limita più a determinate costruzioni: le antiche forme dell’obliquo (11b) potevano comparire in funzione di soggetto (11a) in tutti i contesti e possiamo quindi pensare che avessimo già due serie indipendenti di lessemi, come in it. mod., dove questi e costui, ecc. non sono più le forme di un unico lessema, ma appartengono a due lessemi diversi:

(11)   a.  Questi si mostrò molto crucciato (Novellino, 91, r. 8)
b. costui n’avea lasciato ogni altra cosa (Novellino, 99, rr. 5–6)

2. Sintagmi
2.1 Sintagma nominale

Nella struttura del sintagma nominale/SN (per i volgari settentrionali cf. Thiella 2008), mancava ancora l’articolo cosiddetto «partitivo» (in realtà una forma di determinante indefinito), che si svilupperà nei secoli seguenti a partire da strutture veramente partitive con quantificatore non-espresso, come in (12), in cui de’ miei vasselli de l’ariento significa ‘(un certo numero) dei miei vasi d’argento’, dove cioè di serve a effettuare una partizione nell’insieme costituito da i miei vasselli de l’ariento, insieme già noto dal contesto precedente; il significato non è quindi ancora quello di indefinitezza dell’articolo partitivo dell’it. mod. (cf. Gli ho prestato dei vasi d’argento, dove dei vasi d’argento è indefinito e nuovo nel contesto):

(12)   Prestat’ò la casa e molti miei vasselli d’ariento a l’amico mio: e anche mi manda pregando per costui che de’ miei vasselli de l’ariento gli debbia anche prestare. (Bono Giamboni, Fiore di rettorica (red. beta), cap. 46, parr. 55–6)

Anche la struttura del sintagma era in parte diversa: mentre in it. mod. i determinanti hanno una posizione iniziale fissa (tutti i/questi miei amici, molti miei amici), in it. ant. i quantificatori (13) e i possessivi (14) potevano anche apparire dopo il nome (ma non i dimostrativi, né naturalmente l’articolo); però, mentre il quantificatore postnominale appariva alla fine del sintagma, e quindi dopo gli aggettivi postnominali (13b), il possessivo appariva prima di questi aggettivi (14b) (con i nomi di parentela il possessivo poteva avere anche forma enclitica (14c), come oggi in alcuni dialetti centro-meridionali, ma non in fiorentino né in italiano):

(13)   a.  molte donne belle di Siena fuorono prese (Cronica fiorentina, p. 124, rr. 33–4)
b.  Poi vidi cose dubitose molte (Dante, Vita nuova, cap. 23, par. 23, v. 43)
(14)   a.  L’ora che lo suo dolcissimo salutare mi giunse (Dante, Vita nuova, cap. 3, par. 2)
b.  Di ciò piange la mente / e gli occhi miei dogliosi (Chiaro Davanzati, Rime, canz. 41, vv. 39–40)
c.  i quali d. diede loro per me molgliama (Libro di Lapo Riccomanni, p. 517, rr. 10–1)

Il possessivo, inoltre, quando prenominale, poteva fungere da solo da determinante, senza essere accompagnato dall’articolo: in (15b) nostra ragione (‘il nostro conto’) è determinato esattamente come la nostra ragione in (15a):

(15)   a.  per difendere la nostra ragione (Brunetto Latini, Rettorica, p. 167, r. 7)
b.  quando saldamo nostra ragione (Libro di Lapo Riccomanni, p. 545, r. 17)

L’articolo poteva mancare anche con il quantificatore universale (16) e con i nomi astratti (17):

(16)   a.  vidersi quivi igli ambasciadori di tutte le parti del mondo (Bono Giamboni, Orosio, libro 3, cap. 20, p. 174, rr. 25–6)
d.  Allora il re Carlo tolse assai messagi, e mandoli per tutte parti e al re di Francia e al prence suo figliuolo (Leggenda di messer Gianni di Procida, p. 59, rr. 16–7)
(17)   a.  Dunque la prudenza si è abito, con lo quale l’uomo può consigliare con verace ragione nelle cose degli uomini buone e ree (Tesoro volgarizzato (ed. Gaiter), vol. 3, libro 6, cap. 29, p. 100, rr. 3–6)
b.  prudenzia è uno dispregio de pericoli e fatiche, acciò che la cosa bene e utilemente si faccia (Bono Giamboni, Fiore di rettorica (red. beta), cap. 19, p. 22, rr. 6–8)

La distribuzione del possessivo nelle nominalizzazioni era regolata da principi diversi che in it. mod. Eccettuati i casi di focalizzazione e di modificazione, in it. mod. la pronominalizzazione di un genitivo avviene in linea di principio sempre con un possessivo (la caduta di Piero / la sua caduta / *la caduta di lui) e il pronome personale si può usare solo in quei casi in cui il possessivo non è accessibile (per es. perché è già usato per esprimere un’altra funzione, come in la mia descrizione di Piero / la mia descrizione di lui / *la mia sua descrizione). In it. ant., invece, il pronome personale si poteva usare più liberamente, anche in casi in cui oggi si userebbe il possessivo, come in (18b) di loro, rispetto a (18a), che sarebbe anche la soluzione dell’it. mod.:

(18)   a.  E poscia che i cittadini d’Atena ebbero ricevuti gli sbanditi in loro compagnia, contra i tiranni impresero battaglia (Bono Giamboni, Orosio, libro 2, cap. 17, p. 116, rr. 6–8)
b.  in compangnia di loro, sanza comandamento, si mise uno giovane chavaliere (Libro della distruzione di Troia, p. 178, rr. 22–4)

Mentre in it. mod. è normalmente ammessa solo l’estrazione del complemento di un nome (Di chi hai criticato le idee di chi?), in it. ant. poteva essere estratto anche un quantificatore (Salvi 2011a):

(19)   a.  Non si conviene estimare di che etade l’uomo sia, ma quanto elli abbia pro’ fatto in istudio (Fiori e vita di filosafi, cap. 25, rr. 11–2)
b. sed (…) tutta fosse mia / la terra, quanta se ne posedesse (Chiaro Davanzati, Rime, canz. 3, vv. 29–32)

L’estrazione del quantificatore era possibile anche a partire da un sintagma aggettivale in funzione predicativa (20) o da un sintagma avverbiale (21):

(20)   a.  Ahi quanto mi parea pien di disdegno! (Dante, Inferno, 9, v. 88)
b.  Ma questa istoria (…) assai è ad ogni uomo manifesta (Bono Giamboni, Orosio, libro 6, cap. 5, p. 362, rr. 25–7)
c.  vuol, quanto la cosa è più perfetta, / più senta il bene, e così la doglienza (Dante, Inferno, 6, vv. 107–8)
(21)   molto ne parlavano disiderosamente (Novellino, 28, rr. 4–5)

Lo specificatore poteva essere estratto anche dall’interno di uno specificatore, come in (22), dove lo specificatore molto è estratto dal sintagma aggettivale molto bella, che a sua volta funge da specificatore del SN molto bella creatura:

(22)   molto è bella creatura (Bono Giamboni, Libro, cap. 19, par. 2)

Di tutte queste estrazioni, in it. mod. restano possibili quella di tutto e quella di quanto soprattutto in frasi esclamative (Quanto mi sembrava felice!) e in subordinate comparative (È più felice ora di quanto non sia mai stato felice prima).

2.2 Sintagma preposizionale

A parte le moltissime differenze nell’uso delle singole preposizioni, le possibilità di reggenza delle preposizioni in generale erano più ampie: mentre in it. mod. solo a, di, da, per, tra/fra, dopo e senza possono reggere un infinito, in it. ant. questa possibilità esisteva anche per in e con: in pagare lo pepe e ’l gruogo e le scodelle (Statuto dell’Arte degli oliandoli, p. 17, rr. 22–3), con asserragliare le vie con legname (Dino Compagni, Cronica, libro 2, cap. 15, p. 166, r. 32); in it. mod. queste preposizioni possono reggere l’infinito solo se questo fa parte di un SN ed è preceduto da un determinante, costruzione possibile anche in it. ant.:

(23)   Giudicamento è quella contraversia la quale nasce de lo ’ndebolire e del confirmare la ragione (Brunetto Latini, Rettorica, p. 134, rr. 2–3)

Inoltre le preposizioni in, con e per potevano reggere anche un gerundio: in notificando la tua condizione (Dante, Vita nuova, cap. 18, par. 7), chon avendo sopra questa provisione quattro dela Compagnia ordinati sopra ciò (Compagnia di San Gilio, p. 37, r. 35–p. 38, r. 2), per sofferendo nel nome di Cristo poca cosa (Bono Giamboni, Libro, cap. 8, par. 7).
Tutte le preposizioni che potevano reggere un SN, potevano reggere direttamente anche un pronome personale o riflessivo, mentre in it. mod. le preposizioni secondarie e una parte di quelle primarie lo possono reggere solo attraverso l’intermediario di di (24) (in alcuni casi facoltativamente) o di di e di a (25) (se la preposizione può reggere anche un sintagma preposizionale lessicale introdotto da a):

(24)   a.  lungo me (Dante, Vita nuova, cap. 12, par. 3) ~ it. mod. lungo di me
b.  su ssé (Libro del difenditore della pace, diz. 2, cap. 28, p. 490, r. 2) ~ it. mod. su di sé
(25)   a.  dentro lui (Zucchero Bencivenni, Esposizione del Paternostro, p. 9, r. 23) ~ it. mod. dentro di(/a) lui
b.  dietro se (Zucchero Bencivenni, Esposizione del Paternostro, p. 101, r. 6) ~ it. mod. dietro di/a sé
c.  presso loro (Paolino Pieri, Merlino, cap. 49, par. 2) ~ it. mod. presso di(/a) loro
d.  sotto lui (Bono Giamboni, Libro, cap. 24, par. 4) ~ it. mod. sotto di(/a) lui

Per contro, la preposizione di aveva una funzione molto più ridotta come introduttore del secondo termine di paragone nella comparazione di ineguaglianza: nel caso generale l’introduttore, anche per un SN, era che (26), mentre di poteva comparire facoltativamente se il SN conteneva un numerale (27), ed era obbligatorio solo nel caso di un pronome personale (28):

(26)   questa vale più che tutto lo ’mperio (Novellino,1, r. 65)
(27)   a.  ordinaro e fermaro (…) che non si debbia portare a processione più ch’uno candellotto (Compagnia di S.M. del Carmine, p. 61, rr. 10–2)
b.  Et nel secondo anno della sua signoria passarono in quello passaggio più di cc.m di persone (Cronica fiorentina, p. 92, rr. 2–3)
(28)   li Greci sono più poderosidi noi (Novellino, 81, r. 18)

Anche nel caso di una frase comparativa l’unico introduttore possibile era che; l’espressione moderna basata su di (di quanto) non si era ancora formata:

(29)   il leofante e molti altri animali sono più grandi del corpo che nonn è l’uomo (Brunetto Latini, Rettorica, p. 38, rr. 6–7)

Ma di comincia ad apparire con altri tipi di SN già all’inizio del Trecento (30a), come anche di quello che con la stessa funzione del moderno di quanto (30b):

(30)   a.  di tanto amore ne dee essere degno solo conte o più alto di conte (Andrea Cappellano volgarizzato (ed. Ruffini), libro 1, cap. 16, p. 101, rr. 3–4)
b.  ond’ella fessi / lucente più assai di quel ch’ell’era (Dante, Paradiso, 5, vv. 131–2)

3. Frase
3.1 Struttura grammaticale
3.1.1 Soggetto

Nei volgari medievali l’espressione del soggetto non era obbligatoria. Ma era già presente una dicotomia tra varietà in cui questo valeva in generale, quelle centro-meridionali (31a), e quelle, i volgari settentrionali, in cui tendenzialmente l’espressione del soggetto era invece obbligatoria in alcuni contesti, in particolare nelle frasi subordinate senza inversione (31b) (Vanelli/Renzi/Benincà 1985); il fiorentino appartiene al secondo gruppo (32a), anche se in una parte dei testi questo fenomeno è assente (32b), forse come riflesso di un diverso registro:

(31)   a.  (rom.) disse ca Ø era ingannato, perché Ø era cacciato de Vitervo (Anonimo Romano, Cronica, cap. 26, p. 224, rr. 2–3)
b.  (ven.) Iacomina muger del Ros çurà (…) de dir verità del pan ch’ela fe’ cum pesa, per chi comandamento ch’ela lo fe’, et chi li de’ le pese, dis ch’ela lo fe’ per comandamento de so marì lo Ros, e ch’el li comandà ch’ela lo façes de una unça plu de quel de plaça (Lio Mazor, p. 48, rr. 21–6)
(32)   a.  ben ti dico che io li mangiai io: ché io sono di tanto tempo, ch’io non debbo ormai dir bugia (Novellino, 75, rr. 49–51)
b.  Mostrato la Filosofia perch’era la Fede mal vestita e stava cotale aviluppata, e come Ø era la più ricca reina del mondo e aveva più ricchi fedeli, disse: – Anche dicesti, figliuole, che Ø ne diede povera cena; e io ti dico che Ø ne diè cena buona, e chente Ø s’usa di dare agli amici (Bono Giamboni, Libro, cap. 20, par. 1)

Nelle varietà a soggetto tendenzialmente obbligatorio, nelle frasi semi-impersonali si poteva avere un soggetto espletivo (v. sotto es. 58b). Nelle varietà settentrionali nel corso del Trecento compaiono i primi segni della cliticizzazione dei pronomi soggetto (Vai 2014): (lomb.) no l’ave miga pagura (Margarita, v. 599), con il pronome soggetto dopo la negazione.

3.1.2 Struttura argomentale e diatesi

L’unico ausiliare usato nel passivo era essere: non si usavano ancora né venire, né andare (‘dover essere’). Nel Trecento venire + participio comincia a essere usato, ma la costruzione indicava un cambiamento di stato (‘diventare’), come nei seguenti ess.:

(33)   a.  allora gli cavalieri tutti vennoro smarriti ‘finirono per smarrirsi’ (Tavola ritonda, cap. 93, p. 352, r. 23)
b.  e venia fornito il trattato, se non che… ‘stava per diventare effettivo’ (Giovanni Villani, Cronica, libro 8, cap. 138, rr. 3–4)

In (33a) venire accompagna il participio di un verbo pronominale, e quindi non passivizzabile in costruzione personale; in (33b) accompagna invece un verbo transitivo: qui il significato è già molto vicino a quello del passivo (‘stava per essere eseguito’), e sono certamente stati casi come quest’ultimo che hanno fornito la base per il successivo uso di venire come ausiliare del passivo.
In it. ant. era normale passivizzare anche verbi transitivi usati senza oggetto diretto (34a) e verbi inergativi (34b) (passivo impersonale):

(34)   a.  fue consilglato (…) ch’a llui fosse dato d’uno basstone (Cronica fiorentina, p. 118, rr. 33–4) (it. mod. gli si desse lo si colpisse’)
b.  fue del mese di settenbre battalglato fortemente con vij difici (Cronica fiorentina, p. 125, rr. 6–7) (it. mod. si combatté)

In it. ant. mancava invece la costruzione del si impersonale: mentre in it. mod. la coniugazione pronominale può essere usata per evitare l’espressione del soggetto lessicale con qualsiasi verbo (transitivo: si mangia troppa pasta, inergativo: si dorme troppo, inaccusativo: si va al cinema, pronominale: ci si sveglia presto, passivo: si viene denigrati), in it. ant. la costruzione era inizialmente limitata ai verbi passivizzabili, e cioè a quelli transitivi (35a) e a quelli inergativi (35b), oltre che a una parte degli inaccusativi non-pronominali (35c):

(35)   a.  Furono in questa concordia (…) che cierta quantità di pane e d’altre cose (…) si dovessero vendere, e fuorono vendute a cierte persone (Compagnia di S.M. del Carmine, p. 62, rr. 5–8)
b.  quando si cena, o si desina (Bono Giamboni, Vegezio, libro 3, cap. 6, p. 93, rr. 20–1)
          c.  Sicuro viaggio è quello che si fa quando si va onde non sospetti il nemico (Bono Giamboni, Vegezio, libro 3, cap. 6, p. 90, rr. 9–11)

La costruzione aveva quindi caratteristiche diverse da quelle dell’uso moderno e può essere considerata più propriamente una forma di costruzione passiva, come è evidenziato anche dal fatto che, come nella costruzione passiva perifrastica, era normale l’espressione dell’agente attraverso un sintagma preposizionale introdotto da per (o da da), mentre in it. mod. l’espressione dell’agente è di uso limitato e la costruzione serve piuttosto a esprimere eventi il cui soggetto lessicale è generico o indeterminato:

(36)   a.  non volemo che in dire questi pater nostri per alchuno si faccia consciençia (Compagnia della Madonna d’Orsammichele, p. 669, rr. 15–6)
b.  Lo vostro presio fino / in gio’ si rinovelli / da grandi e da zitelli / per ciascuno camino (Guido Cavalcanti, Rime, 1, vv. 6–9)
c.  non vuol che ’n sua città per me si vegna (Dante, Inferno, 1, v. 126)

Sempre diversamente dalla norma dell’it. mod., nei casi di interpretazione generica i complementi predicativi erano al sing., sia nella costruzione del si passivo (37) (it. mod. al pl.: non se ne diventa sazi, si deve essere cortesi), sia in altre costruzioni (38) (it. mod. questo significa essere umili):

(37)   a.  al pan de li angeli, del quale / vivesi qui ma non sen vien satollo (Dante, Paradiso, 2, vv. 11–2)
b.  a costor si vuole esser cortese (Dante, Inferno, 16, v. 15)
(38)   L’umiltade è opposita della superbia, e però questo seguire in acostarsi, non è altro, che essere umile(Ottimo Commento della Commedia, Purgatorio, 10, p. 153, rr. 18–20)

Nella frase presentativa-esistenziale il predicato poteva essere essere o avere, diversamente dall’it. mod., in cui abbiamo esserci. Avere si usava riferito a una localizzazione determinata (39), essere a una localizzazione determinata (40a) o generica (40b):

(39)   Nelle parti di Grecia ebbe un signore che portava corona di re (Novellino, 2, rr. 3–4)
(40)   a.  Uno re fu nelle parti di Egitto (Novellino, 4, r. 4)
b.  Fue uno re molto crudele, il quale perseguitava il populo di Dio (Novellino, 36, rr. 3–4)

– in tutti e tre i casi l’it. mod. avrebbe c’era (per il tempo usato, v. sotto 3.1.6). Esserci era per contro già la soluzione normale in altre varietà, per es. in siciliano (Amenta 2004):

(41)   (sic.) Erachi in Castruiohanni unu grandi Sarrachinu (La conquesta di Sicilia, cap. 17, p. 76, r. 9)

3.1.3 Clitici

Quando i clitici formano un gruppo, la loro posizione reciproca è generalmente regolata da principi basicamente morfologici e non sintattici. Nella prima fase del fiorentino medievale l’ordine nei gruppi di clitici era (Cella 2012): (g)l- – mi – vi – ti – ci – si – ne, dove l’unica cosa che conta è la forma del pronome, non la sua funzione, per cui per es. mi ti realizzava sia la combinazione acc-dat sia quella dat-acc: mi ti raccomando ‘mi raccomando a te’ / mi ti appressasti ‘ti avvicinasti a me’ (Boccaccio, Decameron, 8, 10, par. 25, e 3, 6, par. 37).
La differenza più rilevante rispetto all’it. mod. riguarda la posizione dei clitici accusativi di 3. pers. rispetto alle forme mi/ti/ci/vi: mentre in it. mod. abbiamo me lo, te la, ce li, ve le, ecc., in it. ant. l’ordine era quello inverso: lo/il mi, la ti, li/i ci, le vi, ecc.: io il vi darò via peggiore ‘io ve lo darò ancora peggiore’ (Bono Giamboni, Libro, cap. 6, par. 15), ma dirolloti ‘ma te lo dirò’ (Bono Giamboni, Libro, cap. 4, par. 5). Questo ordine, oltre che a Firenze, era diffuso in Toscana orientale, nell’Italia mediana e in Corsica (e forse più anticamente anche in Toscana occidentale; Castellani 2000, p. 273); il resto dei volgari italiani aveva l’ordine dell’it. mod.: (ven.) eu te prego qe tu me lo dibie dire (Pamphilus volgarizzato, p. 55. r. 29).
La combinazione dei clitici accusativi di 3. pers. con i clitici dativi di 3. pers. (it. mod. glielo, gliela, ecc.) era rappresentata da una forma che non distingueva né il numero e genere del dativo (come è anche in it. mod.), né quello dell’accusativo, per cui questa forma unica (lile, gliele e simili) può corrispondere a ‘lo (dice) a lei’, come in (42a), a ‘la (dà) a lui’, come in (42b), a ‘li (baciano) a lui’, come in (42c), ecc.:

(42)    a.  tu prieghi lui che li le dica (Dante, Vita nuova, cap. 12, par. 7)
b.  E que’ non volendola, e que’ dandogliele (Disciplina clericalis, p. 76, rr. 20–1)
c.  e corsero a’ piedi per baciargliele (Bono Giamboni, Libro, cap. 63, par. 3)

Per la posizione dei clitici all’interno della frase, v. sotto 3.2.3.
Sempre per quanto riguarda la sintassi dei clitici, ricordiamo l’assenza del clitico lo con funzione di pro-predicato: molte cose paion buone, che non sono (Bono Giamboni, Libro, cap. 70, par. 10), dove in it. mod. avremmo: lo sono; l’omissione del clitico riflessivo nei tempi composti e nei modi non finiti dei verbi pronominali: Siete voi accorti / che…? ‘vi siete accorti’ (Dante, Inferno, 12, vv. 80–1), accanto a:quel medesmo, che si fu accorto / ch’io domandava il mio duca di lui (Dante, Inferno, 14, vv. 49–50); lo mio cuore cominciò dolorosamente a pentere ‘a pentirsi’ (Dante, Vita nuova, cap. 39, par. 2), accanto a: quelle anime, le quali sono negligenti a pentersi (Ottimo Commento della Commedia, Purgatorio, Proemio, p. 3, rr. 15–6); l’uso del clitico riflessivo con verbi non pronominali nelle frasi interrogative indirette, specialmente se rette da non sapere: non so ch’io mi dica ‘che cosa dire’ (Dante, Vita nuova, cap. 13, par. 2, v. 10); l’omissione di un clitico uguale con il secondo verbo di una struttura coordinata, possibile però in genere solo se il clitico precedeva il verbo (43a), ma non se lo seguiva, nel qual caso il clitico andava ripetuto (43b); quando un unico clitico si riferiva a una coordinazione di verbi, poteva svolgere funzioni grammaticali diverse con i due verbi: in (43c) mi è oggetto indiretto di rendere, ma oggetto diretto di trarre:

(43)   a.  E io vi dico e prometto che… (Bono Giamboni, Libro, cap. 6, par. 13)

  •           b.  ma crucceretevi e dorretevi e lamenteretevidi me (Bono Giamboni, Libro, cap. 6, par. 14)

          c.  m’hai sicurtà renduta e tratto / d’alto periglio (Dante, Inferno, 8, vv. 98–9)

3.1.4 Verbi ausiliari

La scelta dell’ausiliare essere o avere nei tempi composti corrisponde in gran parte a quella dell’it. mod., ma con i verbi accompagnati da un pronome riflessivo con interpretazione propria (cioè quando il pronome vale ‘(a) sé stesso’) era possibile l’uso di avere (come oggi in molti dialetti italiani): la donna che () ci s’hae mostrata ‘ci si è mostrata’ (Dante, Vita nuova, cap. 38, par. 3), ella istessa s’avea data la morte per lo dolore ‘si era data’ (Bono Giamboni, Orosio, libro 5, cap. 24, p. 343, rr. 12–3) (ma si aveva anche essere: Ecco dunque come Idio s’era mostrato e dato in prima al popolo suo, Giordano da Pisa, Quaresimale fiorentino, 84, p. 408, rr. 16-17). Con i verbi pronominali l’ausiliare era sempre essere, come in it. mod.: io non m’era accorto (Dante, Purgatorio, 4, v. 16) – in questa costruzione, per contro, poteva restare non espresso il clitico riflessivo (v. 3.1.3, sopra).
La distribuzione degli ausiliari non era uguale in tutti i volgari (Loporcaro 2014). In siciliano, per es., avere aveva già cominciato a sostituire essere con i verbi inaccusativi: alcunu per li grandi falli avi vinutu a raia et a smania (Sposizione del Vangelo, cap. 19, par. 4), accanto a: a zzo era vinutu (Sposizione del Vangelo, cap. 10, par. 1), fenomeno che porterà alla completa eliminazione di essere come ausiliare.

3.1.5 Negazione

In it. ant. la negazione non aveva un duplice comportamento nella struttura di frase: poteva comportarsi come uno degli elementi del gruppo clitico preverbale ed essere quindi preceduta da un elemento con funzione di tema (44a) o di fuoco (44b) che costituisce il primo elemento della frase (v. sotto 3.2.1); oppure poteva fungere da primo elemento della frase e permettere quindi la posizione preverbale dei clitici (v. 3.2.3), relegando il soggetto in posizione postverbale (45):

(44)   a. Dio nollo essaudisce (Ottimo Commento della Commedia, Purgatorio, 4, p. 58, r. 14)
b. già più no·lla rividi (Brunetto Latini, Tesoretto, v. 1179)
(45)   Non si turba il savio di perdere figliuoli o amici(Fiori e vita di filosafi,cap. 24, r. 249)

La negazione frasale poteva cooccorrere con un sintagma negativo preverbale, per es. con un soggetto, come in (46a), costruzione impossibile in it. mod., dove non in questi casi non può comparire; la soluzione dell’it. mod. era del resto corrente anche in it. ant. (46b):

(46)   a.  sicché (…) neuno non andasse poscia in paradiso (Bono Giamboni, Libro, cap. 44, par. 4)
          b.  neuno puote essere filosofo se non ama la sapienzia (Brunetto Latini, Rettorica, p. 41, r. 22)

Neanche il sistema della negazione espletiva corrisponde del tutto a quello odierno: questa si usava in molte delle costruzioni in cui si usa in it. mod., come per es. nelle frasi comparative (47a) o nelle completive rette dai verba timendi (47b), ma non nelle frasi temporali di posteriorità (48a) (it. mod. prima che (non) le pronunci o scriva), né nelle frasi esclamative (48b) (it. mod. che pianti (non) ho fatto!):

(47)   a.  nel detto luogo di paradiso ciascuna anima riluce più che non fa il sole (Bono Giamboni, Trattato, cap. 32, par. 15)
b.  dottiamo che la carestia di costà non faciesse viltade di qua (Lettera di Consiglio de’ Cerchi, I, p. 594, rr. 9–10)
(48)   a.  consideri che ’l savio mette alla bilancia le sue parole tutto avanti che lle metta in dire né inn iscritta (Brunetto Latini, Rettorica, p. 74, rr. 6–8)
b.  Ahi lasso, che corrotto / feci…! (Brunetto Latini, Tesoretto, vv. 2546–7)

3.1.6 Tempi verbali

L’uso dei tempi verbali (e delle loro varianti aspettuali) non aveva ancora assunto l’aspetto che ha in it. mod.: i valori di alcune forme o perifrasi verbali erano più ampi di quanto non siano oggi, e corrispondentemente l’uso di alcune perifrasi specializzate era solo facoltativo o addirittura la perifrasi non esisteva ancora.
Il discrimine nell’uso di perfetto e imperfetto era diverso: il perfetto poteva essere usato per un evento presentato nella sua globalità anche quando questo ha un’estensione temporale maggiore di quella di altri eventi concomitanti espressi con l’imperfetto (perché servono da cornice all’evento focalizzato nella narrazione). Così in (49) l’esistenza del re è presentata all’inizio come un evento totale e concluso (fu), mentre le caratteristiche dei personaggi, che fanno da cornice all’evento che verrà narrato, sono presentate all’imperfetto (avea, dovea), come cioè eventi in corso, di cui non importa focalizzare il momento finale, perché quello che importa è che siano valide al momento dell’azione principale (cominciò, fece); in it. mod. avremmo l’imperfetto in tutt’e due i casi (c’era un re, aveva, doveva):

(49)   Uno re fu nelle parti di Egitto, lo quale avea un suo figliuolo primogenito, lo quale dovea portare la corona del reame dopo lui. Questo suo padre dalla fantilitade sì cominciò e fecelo nodrire intra savi uomini di tempo (Novellino,4, rr. 4–7)

Il trapassato, che nell’it. mod. di stile elevato ha un uso esclusivamente anaforico (di anteriorità immediata nel passato), in it. ant. poteva avere anche valore deittico, con valore aspettuale aoristico di compimento immediato dell’evento:

(50)   Il lupo disse: «Andianvi». Furono giunti a lui (Novellino, 94, rr. 5–7)

Nella costruzione passiva, la perifrasi con essere in cui l’ausiliare è a un tempo semplice poteva indicare anche l’anteriorità, valore per il quale in it. mod. si userebbe l’ausiliare nel tempo composto corrispondente. Cf. (51a), in cui la perifrasi ha lo stesso valore che in it. mod., con (51b), in cui indica anteriorità, valore per cui si poteva usare anche l’ausiliare a un tempo composto (51c):

(51)   a.  di ciò che ll’uomo fae presentemente è lodato o biasmato (Brunetto Latini, Rettorica, p. 59, rr. 8–9)
b.  a voi sono già fatti diecimilia disinori ‘sono già stati fatti’ (Novellino, 51, r. 6)
c. io non vengo nella tua presenza per vendetta che io attenda della ingiuria che m’è stata fatta (Boccaccio, Decameron, 1, nov. 9, par. 6)

Quanto all’aspetto, la differenza più rilevante è la mancanza della perifrasi progressiva stare + gerundio, mentre erano presenti le perifrasi continue con andare e venire, oggi limitate al registro letterario: che vai tu faccendo…? (Bono Giamboni, Libro, cap. 3, par. 8), a quelli di Melazzo venia fallendo la vittuaglia (Giovanni Villani, Cronica, libro 12, cap. 128, vol. 3, p. 247, r. 27).

3.1.7 Accordo

Il predicato poteva non essere accordato con un soggetto postverbale di 3. pers. pl. in quelle costruzioni in cui l’ausiliare, se espresso, è essere: Della buona volontà di cui nasce le quattro virtù cardinali (Bono Giamboni, Trattato, cap. 2, rubrica), Quivi fue grandissime battalgle (Cronica fiorentina, p. 145, r. 32); ma con accordo: Al padre furono racontate tutte queste novelle (Novellino, 7, rr. 45–6). In quelle costruzioni che richiedono l’ausiliare avere, la regola è l’accordo: ciò c'han detto queste donne reali (Boccaccio, Teseida, libro 2, ott. 40, vv. 3–4).
L’accordo del participio era normale con tutti i tipi di oggetto diretto, anche se era obbligatorio soltanto in alcuni casi. Era facoltativo con gli oggetti non clitici (52) e con i clitici di 1. e 2. persona (53); era obbligatorio con i clitici di 3. pers. (54a), il ne partitivo (54b) e anche con gli oggetti non clitici collocati tra ausiliare e participio (54c):

(52)   a.  le pietre (…) avevano perduta loro virtude (Novellino, 1, rr. 41–2)
b.  tutte l’altre cose ha vinto (Novellino, 70, rr. 17–8)
(53)   a.  di cui t’ho pregata (Guido Cavalcanti, Rime,30, v. 49)
b.  di tra tutte l’altre t’ho eletto per mia donna (Andrea Cappellano volgarizzato (ed. Battaglia), libro 1, p. 87, r. 17)
(54)   a.  come se tu li avessi avuti (Novellino, 91, r. 7)
b.  La volpe (…) trovò un mulo:e mai non n’avea più veduti (Novellino, 94, rr. 2–3)
c.  Elli hae bene morte servita ‘si è ben meritato la morte’ (Novellino, 63, r. 26)

3.1.8 Strutture ellittiche

Per rispondere a una domanda si poteva ripetere il verbo flesso, accompagnato da (55) o da non (56); i verbi lessicali potevano essere sostititi dal pro-verbo fare, come in (55b) rispetto a (55c). Nella risposta il verbo compare senza i suoi complementi e nel caso delle perifrasi compare solo l’ausiliare (55d):

(55)   a. «…ma dimmi se tu l’hai ne la tua borsa». / (…) « ho…» (Dante, Paradiso, 24, vv. 65–6)
b.  No riconoscereste voi l'Acerbo / (…)? /  fareste (Rustico Filippi, Sonetti,7, vv. 1–3)
c.  «…ke non lascerai tu altrui le tue fatiche?» (…) «sì lascerai» (Albertano volgarizzato, libro 1, cap. 6, par. 56)
d. Non ho io perduta la graziosa fama del mio valore?  ho (Boccaccio, Filocolo, libro 3, cap. 34, p. 305, rr. 24–5)
(56)   «…darebbel·m’egli?» (…) «Non darebbe» (Novellino, 33, rr. 4-12)

3.2 Ordine delle parole
3.2.1 Il sistema V2

Le lingue romanze medievali mostrano tutte un ordine dei costituenti che nelle grandi linee può essere descritto come un sistema V2 (Salvi 2004, Benincà 2006): non nel senso che il verbo occupava regolarmente la seconda (o in casi limitati la prima) posizione nell’ordine lineare, come nelle lingue germaniche diverse dall’inglese, ma nel senso che lo spostamento di un costituente diverso dal soggetto nella posizione che precede il verbo finito comportava normalmente quella che tradizionalmente è chiamata inversione soggetto-verbo. Constatiamo cioè la ricorrenza di ordini alternativi del tipo: SVfinV-finOX (57a) / V-finVfinSOX (57b) / OVfinSV-finX (57c) / XVfinSV-finO (57d), oltre a VfinSV-finOX (57e):

(57)   a.  niuno (S) potrebbe (V-fin) andare (V-fin) in paradiso (X) (Bono Giamboni, Libro, cap. 74, par. 1)
b.  riconosciuto (V-fin) fue (Vfin) Paris (S) per figliuolo del Re Priamo (X) (Filippo Ceffi, Epistole eroiche, p. 42, rr. 4–5)
c. La bontade dell’acqua (O) puoi (Vfin) tu (S) bene (Avv) cognoscere (V-fin) (Tesoro volgarizzato(ed. Battelli), libro 3, cap. 5, p. 42, r. 15)
d. qui (X) ne aviano (Vfin) li diavoli (S) gittata (V-fin)                     la carogna (O) (Novellino, 17B, rr. 27–8)
e. Adomandò (Vfin) lo signore (S)mariscalchi (O) per sapere la bontà del destriere (Novellino, 2, rr. 8–11)

In tutti gli ess. il soggetto posposto segue immediatamente il verbo flesso e, quando il verbo è composto con un ausiliare (57d) o semiausiliare (modale) (57c), si trova tra l’ausiliare e la forma non-finita, un ordine del tutto escluso in it. mod.
Queste alternanze sono generalmente spiegate come il frutto di un doppio spostamento a partire da un ordine di base SVfinV-finOX: 1) quello del verbo finito in una posizione deputata prima della posizione soggetto, da cui risulta l’ordine VfinSV-finOX; ed eventualmente 2) quello di uno qualsiasi degli altri elementi in una posizione preverbale deputata (posizione di Operatore), da cui risultano gli altri ordini alternativi. Il vantaggio evidente di questa ipotesi è quello di offrire una spiegazione dell’ordine relativamente costante dei costituenti che seguono il verbo finito (in genere: SAvvV-finOX) di fronte alla variabilità del costituente che occupa la posizione preverbale.
Il soggetto, oltre che nella posizione dopo il verbo finito, poteva comparire anche dopo il verbo non-finito. In linea di principio in questa posizione il soggetto aveva un valore rematico (58); un soggetto tematico compariva invece normalmente prima del participio (57c,d)/(59):

(58)   a. a voi sono già fatti diecimilia disinori (Novellino, 51, r. 6)
b. E’ si vogliono [devono] dire nove paternostri (Giordano da Pisa, Quaresimale fiorentino, 10, rr. 133–4)
c.  vennegli lasciata aperta la sua camera per dimenticanza (Tavola ritonda, cap. 23, p. 83, rr. 25–6)
d. che gli era intervenuta sì gran dissaventura (Disciplina clericalis, p. 78, rr. 18–9)

  • Poi fu messer Azzolino preso in battaglia (Novellino, 84, r. 63)

Non erano però del tutto esclusi casi di soggetti tematici che non seguono immediatamente il verbo finito, come in (60), dove la malattia del parlante è il tema di quanto precede (Parry 2009):

(60)   tanto è ita innanzi la mia malizia (Bono Giamboni, Libro, cap. 3, par. 11)

Il costituente in posizione di Operatore poteva svolgere due funzioni molto diverse tra di loro: costituire il tema della frase, cioè l’elemento preso come punto di partenza della comunicazione e normalmente noto o deducibile in base al contesto precedente, come in (61), dove il pronome ciò, usato in funzione anaforica, riprende quanto contenuto nel testo che precede e lo pone appunto come tema dell’enunciato che segue; oppure poteva costituire il fuoco della frase, cioè la parte più saliente dell’informazione nuova trasmessa dalla frase, come in (62)–(63) o nel caso delle interrogative su costituente (64):         

(61)   a.  Ciò tenne il re a grande maraviglia (Novellino, 2, r. 22)
b.  e di ciò puòil parlatoreprendere suoi argomenti (Tesoro volgarizzato (ed. Gaiter), vol. 4, libro 8, cap. 49, p. 163, rr. 10–1)
(62)   Tanto amò costeiLancialotto (Novellino, 82, rr. 5–6)
(63)   a. di grande scienzia ti credo(Novellino, 2, r. 45)
b. in concordia fu con tutti li signori(Novellino,6, r. 27)
(64)   a.  Perché semo noivenuti a queste donne? (Dante, Vita nuova, cap. 14, par. 2)
b. A che fine ami tu questa tua donna? (Dante, Vita nuova, cap. 18, par. 3)

In it. mod. l’anteposizione di un costituente con funzione di fuoco è obbligatoria nelle frasi interrogative parziali (Perché siamo venuti qui?) e possibile in caso di contrasto (PIERO ho invitato, non Marco), in parte anche nei casi di fuoco enfatico basati su elementi scalari, come in (62), ma non è più possibile in casi di fuoco non-contrastivo come quelli di (63), in cui il fuoco è semplicemente un costituente rematico, cioè nuovo nel contesto (fuoco informativo; Vanelli 1999), e in it. mod. dovrebbe stare necessariamente in posizione postverbale. Analogamente oggi non è più in genere possibile neanche l’anteposizione con funzione di tematizzazione, per la quale si ricorre ad altre costruzioni sintattiche, come per es. la dislocazione a sinistra (Questo, il re l’ha ritenuto stupefacente, Da questo l’oratore (ne) può trarre i suoi argomenti), per cui v. più sotto.
Se la posizione di Operatore rimaneva vuota, la frase aveva in genere un valore particolare (Salvi 2011b, 360–2): interrogativa totale (65a), iussiva (65b), presentativa (65c), eventiva, in cui cioè un evento è presentato come conseguenza di un evento precedente (57e) (nel contesto: Avenne un giorno che a questo signore fu appresentato… un nobile destriere), ecc.:

(65)   a.  Hai tu bene veduto quali sono i rei disiderî della carne…? (Bono Giamboni, Trattato, cap. 20, par. 23)
b.  e se ll’una morisse, suceda l’altra in tucti ‘abbia l’altra l’intera eredità’ (Testamento della contessa Beatrice da Capraia, p. 239, rr. 19–20)
c.   Era una Guasca in Cipri (Novellino, 51, r. 3)

Le frasi a verbo iniziale alternavano con frasi in cui la posizione di Operatore era occupata da un costituente rematico (Vanelli 1999), spesso la forma verbale non-finita, come in (57b) e (66a), ma anche il complemento predicativo (66b) o un argomento, come in (66c–d). La generalizzazione sembra essere la seguente (Salvi 2012): viene anteposto il primo elemento del sintagma verbale (rematico), cioè il verbo non-finito o il complemento predicativo, oppure, in assenza di questi, l’oggetto diretto o un soggetto rematico. Il soggetto postverbale, se espresso, è normalmente noto dal contesto precedente (57b), ma può anche essere rematico (66a–b). Queste frasi hanno in genere lo stesso valore delle frasi a verbo iniziale: eventive (57b)/(66a–c), presentative (66d), ecc.:

(66)   a.  Morì il vescovo Lottieri dalla Tosa: chiamato ne fu per simonia uno altro (Dino Compagni, Cronica, libro 3, cap. 22, p. 202, rr. 4–5)
b.  Vero è che… (Brunetto Latini, Rettorica, p. 64, rr. 15–6)
c.  Danaio non avea da comperare da costui (Novellino, 71, r. 8)
d.  Due donne furo in Roma (Novellino, 71, r. 8)

Diversamente dalle lingue germaniche di tipo V2, le lingue romanze antiche potevano liberamente utilizzare ulteriori posizioni sul margine sinistro della frase, in particolare quella del Tema Sospeso e quella della dislocazione a sinistra, per cui nell’ordine lineare il verbo poteva occupare anche la terza, la quarta, ecc. posizione. Il Tema Sospeso (67) è sempre un SN e può quindi non avere la forma che avrebbe se si trovasse nel nucleo frasale; nel nucleo frasale ci può essere una ripresa anaforica, clitica, come in (67a) (li), o meno, come in (67b–c) (in lui, vostro), ma il legame con il nucleo frasale può anche essere solo di contenuto (67d):

(67)   a.  Uno mercatante che recava berrette, sì li si bagnaro (Novellino, 98, r. 3)
b.  Il maestro che dipinge o che fa l’arca, è mistieri che in lui sia una arca, o quella figura, la quale è più nobile che quella di fuori (Giordano da Pisa, Quaresimale fiorentino, 61, rr. 113–4)
c.  e voi non sarebbe onore che vostro lignaggio andasse a povertade (Novellino, 49, rr. 24–5)
d.  Le quatro pietre de la lana che rrimandasti a nNeri Brunellini, avemo posti i d. a tua rimandata (Lettera di Consiglio de’ Cerchi, I, p. 594, rr. 22–3)

Il costituente dislocato a sinistra ha la stessa forma che avrebbe nel nucleo frasale, mentre nel nucleo frasale, a seconda del tipo di costituente dislocato, può o deve esserci un clitico di ripresa, come li in (68a) o vi in (68b):

(68)   a.  Al primo barone che n’andò prima, lo Grande Sire li fece tagliare lo capo (Milione, cap. 156, par. 11)
b.  Et al detto luogho nullo vi vada né laude vi canti (Compagnia di San Gilio, p. 35, rr. 17–8)

I costituenti anteposti in posizione di Operatore non sono invece mai ripresi da un clitico (v. sopra ess. 57c,d e 61).
Sempre diversamente dalle lingue germaniche V2 (eccetto islandese e yiddish), non ci sono normalmente differenze sintattiche nell’ordine delle parole tra frase principale e frase subordinata: infatti:
1) le costruzioni V2 sono attestate in genere anche nelle subordinate, indipendentemente dal tipo: frase argomentale (69a), avverbiale (69b), relativa (69c); ed erano possibili anche, perlomeno in alcuni tipi di subordinate, il Tema Sospeso (70a) e la dislocazione a sinistra (70b):

(69)   a.  per più lettere v’aven noi scritto che ’l fornimento che vi bisongniasse (O) traeste (Vfin) di Bari (Lettera di Consiglio de’ Cerchi, I,p. 596, rr. 29–31)
b.  Non ti caglia di grande magione, chè in picciola magione (X) puoi (Vfin) tu (S) tenere (V-fin) regale vita (Tesoro volgarizzato (ed. Gaiter), vol. 3, libro 7, cap. 68, p. 461, rr. 4–6)
c.  nelgli altri nostri che di costà (X) verranno (Vfin) (Lettera di Consiglio de’ Cerchi,I, p. 595, r. 22)
(70)   a.  Anche ordiniamo e fermiamo che quelgli il quale andasse per Firenze (…) in die di lavorare, debbialgli essere sodisfacto (Compagnia di San Gilio, p. 54, rr. 12–5)
b.  E’ conviene che di quello che tu m’ài fatto io ne paghi li tuoi figluoli (Ingiurie lucchesi, 128)

2) l’ordine del verbo finito rispetto agli avverbi (che nelle lingue scandinave continentali è V–Avv nelle principali e Avv–V nelle subordinate) era costantemente V–Avv (71), come nelle principali (57c)/(58a)/(65a) (l’avverbio poteva anche ricorrere in posizione preverbale, ma senza differenza tra principali e subordinate; Ricca 2010, par. 2.1):

(71)   in ciò che m’hai apertamente mostrato che… (Bono Giamboni, Libro, cap. 11, par. 1)

Come in tutte le lingue germaniche, abbiamo però una differenza nell’ordine dei costituenti nelle domande parziali: nelle subordinate questo era Q–S–Vfin (72), mentre nelle principali si aveva l’ordine V2: Q–Vfin–S, come in (64), sopra (Benincà 2006):

(72)   a.  quella domandò chi (Q) elli (S)fosse (Vfin)(Fiori e vita di filosafi, cap. 28, r. 23)
b.  Quella causa è appellata dubitosa nella quale l’uditore non è certo a che (Q) la cosa (S) debbia (Vfin)pervenire (Brunetto Latini, Rettorica, p. 164, rr. 2–3)

3.2.2 Rimescolamenti

L’it. ant. aveva anche un altro tipo di costruzione dove un costituente poteva essere anteposto, apparentemente senza nessuna funzione pragmatica particolare, all’elemento che lo reggeva: in particolare si poteva anteporre al verbo non-finito un costituente che normalmente occupava una posizione postverbale (73a), o anche solo una sua parte (73b) (Poletto 2014):

(73)   a.  neuno possa buono advocato essere (Brunetto Latini, Rettorica p. 147, rr. 1–2)
b.  Certo questa parola (...) fa tutte risplendere l’altre parole che ivi sono (Brunetto Latini, Rettorica, p. 76, rr. 8–9)

Questo poteva avvenire anche a livello di sintagma, come in l’altra gente tutta (Novellino, 7, r. 42), parole e ragioni molte (Brunetto Latini, Rettorica, p. 146, rr. 17–8), con il sintagma nominale anteposto al quantificatore da cui dipende (cf. tutta [l’altra gente], molte [parole e ragioni]).

3.2.3 Posizione dei clitici

Un altro aspetto per cui l’ordine delle parole dell’it. ant. differisce da quello dell’it. mod., è la posizione dei pronomi atoni o clitici (Benincà 1994, cap. X). Mentre in it. mod. la differente posizione dei clitici è funzione del diverso modo del verbo (per es. indicativo e imperativo in ci vai e vacci!), in it. ant. il fattore determinante era la posizione del verbo nella struttura di frase (legge Tobler-Mussafia). Nella struttura lineare, i clitici seguivano il verbo flesso se questo si trovava all’inizio della frase (74), ma potevano precederlo o seguirlo se questo era preceduto da materiale realizzato foneticamente (75)–(76). Questa situazione si può spiegare basandosi sulla distinzione tra posizione di Operatore e posizioni marginali: i clitici potevano essere preverbali soltanto se la posizione di Operatore era occupata da un costituente con funzione di tema o di fuoco: soggetto (75a), oggetto diretto (75b), altro argomento (75c) o complemento (75d); dalla negazione (75e) (v. 3.1.5, sopra), oppure nel contesto di un subordinatore (75f); i clitici erano invece postverbali se la posizione di Operatore rimaneva vuota, e cioè se il verbo non era preceduto da niente (74) o soltanto da costituenti marginali: Tema Sospeso (70a), sopra, dislocazione a sinistra (76a), frase subordinata (76b), congiunzione coordinante (76c) (negli ultimi due casi in maniera non categorica nei testi conservati):

(74)   fuli detto che… (Novellino,2, r. 11)
(75)   a. Ella si va (…) / benignamente d’umiltà vestuta (Dante, Vita nuova, cap. 26, par. 5, vv. 5–6)
b.L’uscio mi lascerai aperto istanotte (Novellino, 38, r. 8)
c. Di ciò c’hai preso mi paga (Novellino, 8, r. 22)
d.  Allora mi chiamò la Filosofia (Bono Giamboni, Libro, cap. 16, par. 9)
e.   No li parlò (Fiori e vita di filosafi, cap. 8, r. 15)
f.   ben sarebbe degna cosa che mi fosse perdonato (Brunetto Latini, Rettorica p. 112, r. 17)
(76) a.   A voi le mie poche parole ch’avete intese holle dette con grande fede (Matteo de’ Libri, Dicerie volgari (red. pistoiese), p. 15, rr. 9–10)
b. S’i’ son tu’ servo, pregoti che… (Iacopo Cavalcanti, Tre sonetti,2, v. 12)
c.   e portolo a donna la quale sarà tua difensione (Dante, Vita nuova, cap. 9, par. 5)

Si noti che se il verbo era preceduto immediatamente da un oggetto diretto definito, potevamo avere un clitico di ripresa (76a) oppure non averlo (75b); nel primo caso il clitico di ripresa era sempre postverbale, nel secondo un eventuale clitico, come mi in (75b), era sempre preverbale – la soluzione inversa non era possibile (*le mie poche parole le ho dette con grande fede, *l’uscio lascera’mi aperto istanotte). È in base a questa generalizzazione che possiamo distinguere due diversi tipi di posizioni strutturali prima del verbo finito:

a) la posizione di Operatore interna al nucleo frasale (75b):
– non presenta clitico di ripresa, e
– esige la posizione preverbale dei clitici;
b)  una o più posizioni ai margini della frase, ma fuori dal nucleo frasale vero e proprio (76a):
– permettono o esigono un clitico di ripresa,
– non permettono la posizione preverbale dei clitici.

In una fase più tarda, le condizioni per avere i clitici in posizione preverbale si rilasseranno: nel veneto di Lio Mazor i clitici potevano precedere il verbo nelle domande totali, dove il verbo era in prima posizione nell’ordine lineare – cf. (77a) contro la soluzione veneziana più antica (77b) e quella fiorentina (77c). Si può supporre che in queste frasi la posizione di Operatore fosse occupata da un operatore astratto di interrogazione, che inizialmente non contava per la legge Tobler-Mussafia, ma in un secondo tempo diventa «visibile» nonostante non sia realizzato foneticamente (Benincà 1994, p. 173):

(77)   a.  (ven.) Me vòi-tu dar la taverna? (Lio Mazor, 13, p. 37, r. 1)
b. (ven.) Plaxev’ello? (Lite tra un mercante veneziano e uno raguseo, p. 18, r. 23)
c.  avvi insegnato Cristo queste cose…? (Leggenda aurea, cap. 129, p. 1142, rr. 3–4)

La posizione dei clitici in it. ant. era diversa anche nelle costruzioni verbo + infinito/gerundio (78). In questi ess. il clitico rappresenta l’argomento della forma non-finita, ma è cliticizzato al verbo finito che la regge (salita dei clitici). Anche in it. mod. la salita è possibile, ma solo con un numero ristretto di verbi (per es. volere, ma non ardire) ed è sempre facoltativa. In it. ant. la salita era la soluzione normale (il tipo voglio saperlo ricorre molto raramente, ed è certamente un’innovazione), e inoltre era possibile con un numero molto maggiore di verbi (per es. aiutare, aspettare, convenire, credere, degnare, desiderare, insegnare, intendere, ecc., tutti verbi che non la permettono in it. mod.):

(78)   a.  no l’ardiscon di guardare (Dante, Vita nuova, cap. 26, par. 5, v. 4)
b.  Vogliolo sapere da mia madre (Novellino, 4, r. 58)
c. vallo difendendo in ogne parte (Sonetti anonimi del Vat. Lat. 3793, 45, v. 13)

4. Subordinazione
4.1 Modi non-finiti

Il gerundio, oltre agli usi comuni con l’it. mod., poteva essere usato anche con il valore di una frase relativa: ne le braccia avea / madonna involta in un drappo dormendo ‘che dormiva’ (Dante, Vita nuova, cap. 3, par. 12, vv. 10–1); e poteva essere retto da una preposizione (v. 2.2, sopra). Come in it. mod., le frasi gerundive potevano avere un soggetto espresso, ma mentre in it. mod. questo segue sempre il gerundio, in it. ant. poteva precederlo: messer Bondelmonte cavalcando a palafreno (), messer Ischiatta delli Uberti li corse adosso (Cronica fiorentina, p. 119, rr. 6–8).

4.2 Il complementatore che

Nelle frasi subordinate di modo finito, il complementatore che poteva essere omesso (lo segnaliamo negli ess. con Æ) in condizioni simili a quelle dell’it. mod. di stile elevato (79a). Diversamente dall’it. mod., l’omissione di che era possibile anche nelle frasi relative, almeno a partire dalla metà del Trecento (79b):

(79)   a.  Non vo’ Æ ti faccia di ciò maraviglio (Monte Andrea, Rime (ed. Menichetti), son. 104b, v. 3)
b. sì come e in quel modo Æ ànno e sono usati d’avere i detti consoli della detta arte (Statuto dell’Arte dei vinattieri, p. 113, rr. 4–5)

Per contro che poteva comparire dopo il pronome interrogativo-relativo nelle relative senza antecedente con valore generalizzante:

(80)   a.  chi che ne sia lieto e gioioso, la reina n’è currucciata di tutto suo cuore (Tristano panciatichiano, p. 386, rr. 12–3)
b.  Ma, che che faccia, non pensa ch’a male (Fiore, 102, v. 14)

Sempre diversamente dall’it. mod., in una subordinata introdotta da che, questo poteva essere ripetuto a distanza. Quando all’inizio della completiva troviamo una frase subordinata (81), un costituente dislocato a sinistra (82) o un avverbio (83), possiamo avere un che prima del costituente marginale e uno subito dopo (81a)/(82a)/(83a); oppure, come in it. mod., può esserci solo il primo che (81b)/(82b)/(83b) (questa era la soluzione più comune); ma, diversamente dall’it. mod., è possibile anche che manchi il primo che e ci sia solo il secondo (81c)/(82c)/(83c), oppure, data l’omissibilità del complementatore in certi contesti, è possibile che manchino tutti e due (82d):

(81)   a. dirai (…) che, se tuo padre fu loro aspro, che tu sarai loro umile e benigno (Novellino,6, rr. 37–9)
b.  Noi credemo che quando avrete questa lettera Æ Chiaro sarà passato di costà per andare inn Isscozia (Lettera di Consiglio de’ Cerchi, p. 598, rr. 23–4)
c.  Ma so bene Æ, se Carlo fosse morto, / che voi ci trovereste ancor cagione (Rustico Filippi, Sonetti, 3, vv. 9–10)
(82)   a.  divennero sì copiosi in dire che, per l’abondanza del molto parlare sanza condimento di senno, che cuminciaro a mettere sedizione e distruggimento nelle cittadi (Brunetto Latini, Rettorica, p. 28, rr. 3–6)
b.  nostro intendimento sì è che secondo la quantitade de la coglietta [tipo di lana] che ssi faciesse inn Isscozia per noi Æ si compiesse di fare inn Inghilterra (Lettera di Consiglio de’ Cerchi, I, p. 598, r. 35–p. 599, r. 3)
c.  nel Consiglio di Roma si provide, Æ la risposta della domanda de’ Greci, che si dovesse fare per Socrate filosofo(Novellino, 61, rr. 11–3)
d.  convenne Æ, quegli che sanza lite potea passare per uno, Æ pagasse quattro(Novellino,53, rr. 21–2)
(83)   a.  (sen.) se quelli del castello possono émpiere ei fossi d'acqua, sì dovemo sapere che somigliantemente che ’l castello n’è meno leggiermente cavato (Reggimento de’ principi volgarizzato, libro 3, part. 3, cap. 21, p. 310, rr. 23–5)
b.  Pazientemente sostiene la fatta ingiuria quegli che piatosamente si ricorda che forse Æanche ha egli in sé cosa onde debbia essere sostenuto (Bartolomeo da San Concordio, Ammaestramenti, dist. 30, cap. 5, par. 7)
c.  Se qui per dimandar gente s’aspetta, / (…) io temo Æforse / che troppo avrà d’indugio nostra eletta (Dante, Purgatorio, 13, vv. 10–2)

4.3 Frase relativa

Come in it. mod., che poteva servire da introduttore di frase relativa, ma mentre nell’it. mod. che si usa solo quando l’elemento relativizzato non è introdotto da preposizione (cioè solo quando si relativizza il soggetto, l’oggetto diretto, un complemento predicativo o un complemento di tempo della relativa), in it. ant. le possibilità di uso erano più ampie. Oltre che per la relativizzazione del soggetto (84a), dell’oggetto diretto (84b), ecc., che poteva servire anche per la relativizzazione di un complemento preposizionale (85a), ma solo con riferimento a enti non-animati, mentre per gli animati si usava, come in it. mod., cui (85b):

(84)   a.  quella amistade ch’è per utilitade e per dilettamento nonn è verace(Brunetto Latini, Rettorica, p. 13, r. 25–p. 14, r. 1)
b.  Noi avemo pagato (…) quellaquantitade de la moneta che nne mandaste diciendo (Lettera di Consiglio de’ Cerchi,p. 595, rr. 4–7)
(85)   a.  uno bastone con che s’apogiava perch’era debole (Fiori e vita di filosafi, cap. 9, rr. 4–5)
b.  Moises fu il primo uomo a cui Iddio desse la legge(Tesoro volgarizzato (ed. Gaiter), vol. 1, libro 1, cap. 17, p. 52, rr. 8–9)

In ess. come (85a) che si comporta come l’omonimo pronome interrogativo, che può essere retto da preposizione e si riferisce solo a non-animati (quest’uso si ritrova, nelle relative dell’it. mod., solo in quelle all’infinito senza antecedente: non hai di che preoccuparti). L’uso esemplificato in (84), invece, è più simile a quello di un complementatore, e il fatto che le relative in it. ant. potessero essere introdotte da un complementatore si può vedere in quelle relative introdotte da che (comuni oggi nella lingua parlata), in cui l’antecedente era ripreso anaforicamente da un pronome clitico (86a–c), e in alcuni casi poteva rimanere non-espresso (86d): in questi ess. che serve solo a introdurre la subordinata, ma non esprime la funzione dell’elemento relativizzato, come farebbe invece un pronome relativo:

(86)   a.  più di mille / ombre mostrommi e nominommi a dito, / ch’amor di nostra vita dipartille ‘che amore allontanò…’ (Dante, Inferno, 5, vv. 67–9)
b.  Guiglielmo si vantò che non avea niuno nobile uomo in Proenza chenon gliavesse fatto votare la sella ‘a cui non avesse…’ (Novellino, 42, rr. 5–7)
c.  lli nimici entrarono per una porta che v’è intalglato di marmo uno angelo ‘in cui è…’ (Cronica fiorentina, p. 113, rr. 10–1)
d. le foglie che la materia e tu mi farai degno ‘di cui tu e la materia mi farete degno’ (Dante, Paradiso, 6, vv. 26–7)

Il confine tra le relative e le interrogative indirette parziali era incerto: in (87) l’interpretazione è quella di un’interrogativa indiretta, ma la struttura è quella di una relativa con antecedente:

(87)   a. Pittagora, adomandato quello ch’elli si tenesse, rispuose ch’era filosofo (Fiori e vita di filosafi, cap. 1, rr. 10–1)
b. non so là dov’io mi nasconda(Novellino,59, r. 29)

4.4 Concordanza dei tempi

L’armonizzazione temporale nota come concordanza dei tempi funzionava nelle grandi linee come in it. mod., ma con alcune differenze. Il futuro nel passato era espresso dal condizionale semplice (oggi si usa il condizionale composto):

(88)   puose la mano in sul naso a Giano della Bella, e disse ch’el glle moççerebbe ‘glielo avrebbe mozzato’ (Cronica fiorentina, p. 138, rr. 19–21)

Nelle subordinate al congiuntivo, l’anteriorità rispetto al presente poteva essere espressa, come in it. mod., sia con l’imperfetto che con il perfetto (89), ma il valore dei due tempi non era lo stesso: l’imperfetto congiuntivo poteva avere sia un valore aspettuale imperfettivo (89a) (corrispondente di un imperfetto indicativo: non intendeva), sia un valore perfettivo di tipo aoristico (89b) (corrispondente di un perfetto semplice dell’indicativo: non gli fece), mentre il perfetto congiuntivo poteva avere solo un valore perfettivo di tipo compiuto (89c) (corripondente di un perfetto composto dell’indicativo: l’hai dimenticato) – in it. mod. in (89a) e (89c) avremmo gli stessi tempi dell’it. ant., ma in (89b) si userebbe il perfetto: non si ricorda che gli abbia fatto…:

(89)   a.  Et perciò dice Tulio che non pare che Ermagoras intendesse quello che dicea (Brunetto Latini, Rettorica, p. 66, rr. 8–9)
b.  non si ricorda che gli faciesse recare neuna cosa da Sant’Omieri (Lettera di Consiglio de’ Cerchi, I, p. 597, rr. 7–8)
c.  Credo bene che l’abbi dimenticato (Bono Giamboni, Libro, cap. 6, par. 6)

Inoltre l’imperfetto del congiuntivo serviva anche come corrispondente del condizionale semplice nelle subordinate al congiuntivo (dove oggi avremmo il condizionale):

(90)   non credo che ci fosse licito a fare ‘non credo che ci sarebbe lecito fare questo’ (Bono Giamboni, Libro, cap. 44, par. 6)

L’it. ant. mostra anche casi di mancata armonizzazione, come nei seguenti ess., dove il verbo della subordinata appare nel tempo che normalmente indica l’anteriorità (91a) e la posteriorità (91b) rispetto al presente deittico – si tratta cioè di casi in cui il perfetto e il futuro vengono usati per esprimere l’anteriorità e la posteriorità indipendentemente dal momento di riferimento:

(91)   a.  intra le quali aveva una sposa novella, alla quale voleano fare dire com’ella fece la prima notte (Novellino, 57, rr. 3–5)
b. l’altra partita dicea (…) come il Filgluolo di Dio nasscerà d’una pulçella sancta vergine ch’averà nome Maria(Cronica fiorentina, p. 127, rr. 28–31)

5. Coordinazione e strutture correlative

Se lo spostamento in posizione di Operatore (3.2.1) riguardava una struttura coordinata, si poteva spostare anche solo il primo membro della coordinazione (epifrasi; Salvi 2007):

(92)   a.  povero mi parea lo servigio e nudo a così distretta persona di questa gloriosa (Dante, Vita Nuova, cap. 33, par. 1)
b. la fede de le parole li è tolta e ogne autoritade di parlare (Fiori e Vita di Filosafi, cap. 25, par. 54)
c.  manifestolli dove elli amava e cui (Novellino, 60, r. 10)
d.  che ’nsegnare / li dovess’ e mostrare / tutta la maestria / di fina cortesia (Brunetto Latini, Tesoretto, vv. 1579–82)

Questo era possibile anche con coordinazioni di verbi se la posizione di Operatore rimaneva vuota (93) (v. 3.2.1) e all’interno dei SN (94), per cui possiamo supporre che anche i sintagmi disponessero in it. ant. di una posizione di Operatore:

(93)   possano i capitani e debbiano de’ danari dela Compagnia provederli (Compagnia di S. Gilio, p. 37, rr. 34–5)
(94)   a.  buoni torchi e orrevoli (Compagnia di San Gilio, p. 38, rr. 18–9)
b.  l’auro tutto e l’argento del mondo (Andrea da Grosseto, Trattati morali volgarizzati,libro 2, cap. 21, p. 86, r. 6)

Nella paraipotassi, un tipo di struttura correlativa assente in it. mod., si combinano i meccanismi della subordinazione con quelli della coordinazione. Abbiamo paraipotassi quando, in una frase complessa, dopo una subordinata iniziale la frase matrice è introdotta da una congiunzione coordinante, che in qualche modo riprende anaforicamente l’eventuale congiunzione subordinante iniziale, e che quindi deve essere congruente con questa, come si vede in (95c), dove la congiunzione subordinante concessiva avegna che ‘benché’ è ripresa con la semanticamente congruente congiunzione avversativa ma, e non con e, come negli altri ess.:

(95)   a.  da che m’hai chiesto consiglio, e io il ti do volontieri (Bono Giamboni, Libro, cap. 76, par. 10)
b.  E, dimorando la notte lo re Marco in sul pino, e messere Tristano venne alla fontana e intorbidolla (Novellino, 65(A), rr. 19–20)
c. E avegna che fosse lieve la cena e di poche imbandigioni, ma del rilievo [dei resti] si consolarono tanti poveri, che non avrei creduto che nel mondo n’avesse cotanti (Bono Giamboni, Libro, cap. 15, par. 14)

6. Bibliografia

I loci degli esempi sono citati secondo le abbreviazioni della Grammatica dell’italiano antico o, se queste mancano, secondo il corpus del Tesoro della lingua Italiana delle Origini.

Amenta, Luisa (2004), Costrutti esistenziali e predicazioni locative: un confronto tra siciliano e italiano antico, in: Maurizio Dardano/Gianluca Frenguelli (edd.), SintAnt. La sintassi dell’italiano antico. Atti del Convegno internazionale di studi (Università “Roma Tre”, 18–21 settembre 2002), Roma, Aracne, 17–31.
Benincà, Paola (1994), La variazione sintattica. Studi di dialettologia romanza, Bologna, Il Mulino.
Benincà, Paola (2006, in: Raffaella Zanuttini et al. (edd.), Crosslinguistic Research in Syntax and Semantics. Negation, Tense and Clausal Architecture, Washington, Georgetown University Press, 53–86.
Cardinaletti, Anna (2010), Il pronome personale obliquo, in: Giampaolo Salvi/Lorenzo Renzi (edd.), Grammatica dell’italiano antico, Bologna, Il Mulino, 414–450.
Castellani, Arrigo (2000), Grammatica storica della lingua italiana, vol. I: Introduzione, Bologna, Il Mulino.
Cella, Roberta (2012), I gruppi di clitici nel fiorentino del Trecento, in: Dizionari e ricerca filologica. Atti della Giornata di Studi in memoria di Valentina Pollidori. Firenze, 26 ottobre 2010, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 113–198.
Dardano, Maurizio (ed.) (2012), Sintassi dell’italiano antico. La prosa del Duecento e del Trecento, Roma, Carocci.
Ledgeway, Adam (2009), Grammatica diacronica del napoletano, Tübingen, Niemeyer.
Loporcaro, Michele (2014), Perfective auxiliation in Italo-Romance. The complementarity of historical and modern cross-dialectal evidence, in: Paola Benincà/Adam Ledgeway/Nigel Vincent (edd.), Diachrony and Dialects. Grammatical change in the dialects of Italy, Oxford, Oxford University Press, 48–70.
Parry, Mair (2009), The Position of the Subject in the Vernaculars of Medieval Italy, in: Sanda Reinheimer Rîpeanu (ed.), Studia linguistica in honorem Mariae Manoliu, Bucureşti, Editura Universităţii din Bucureşti, 261–272.
Poletto, Cecilia (2014), Word Order in Old Italian, Oxford, Oxford University Press.
Renzi, Lorenzo (2010), La flessione casuale nei pronomi dal latino alle lingue romanze, Revue de Linguistique Romane 74, 27–59.
Ricca, Davide (2010), Il sintagma avverbiale, in: Giampaolo Salvi/Lorenzo Renzi (edd.), Grammatica dell’italiano antico, Bologna, Il Mulino, 715–754.
Salvi, Giampaolo (2004), La formazione della struttura di frase romanza. Ordine delle parole e clitici dal latino alle lingue romanze antiche, Tübingen, Niemeyer.
Salvi, Giampaolo (2007), Coordinazioni asimmetriche nelle lingue romanze antiche (seconda parte), in: Roberta Maschi/Nicoletta Penello/Piera Rizzolatti (edd.), Miscellanea di studi linguistici offerti a Laura Vanelli da amici e allievi padovani, Udine, Forum, 427–435.
Salvi, Giampaolo (2011a), Spostamenti ed estrazioni in italiano antico, Revue Roumaine de Linguistique 56,195–224.
Salvi, Giampaolo (2011b), Morphosyntactic persistence, in: Martin Maiden/John Charles Smith/Adam Ledgeway (edd.), The Cambridge History of the Romance Languages, Vol. I: Structures, Cambridge, Cambridge University Press, 318–381.
Salvi, Giampaolo (2012), On the Nature of the V2 System of Medieval Romance, in: Laura Brugè et al. (edd.), Functional Heads. The Cartography of Syntactic Structures, Volume 7, New York, Oxford University Press, 103–111.
Salvi, Giampaolo/Renzi, Lorenzo (edd.) (2010), Grammatica dell’italiano antico, Bologna, Il Mulino.
Salvi, Giampaolo/Renzi, Lorenzo (2010/2011), La Grammatica dell’italiano antico. Una presentazione, Studi di Grammatica Italiana 29/30, 1–33.
Salvioni, Carlo (1903), Del pronome enclitico oggetto suffisso ad altri elementi che non sieno la voce verbale, Rendiconti dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere 36 (serie II), 1012–1021 (ristampato in: Carlo Salvioni, Scritti linguistici, edd. Michele Loporcaro et al., Bellinzona, Edizioni dello Stato del Cantone Ticino, vol. II, 96–105).
Thiella, Anna (2008), Il sintagma nominale negli antichi volgari di area veneta e lombarda, Laboratorio sulle Varietà Romanze Antiche 2, 1–163.
(http://www.maldura.unipd.it/ddlcs/laboratorio/home.html/)
Vai, Massimo (2014), Materiali per una storia del pronome soggetto in milanese, Acme 67, 101–144.
Vanelli, Laura (1999), Ordine delle parole e articolazione pragmatica nell’italiano antico: la ‘prominenza’ pragmatica della prima posizione nella frase, Medioevo Romanzo 23, 229–246.
Vanelli, Laura/Renzi, Lorenzo/Benincà, Paola (1985), Typologie des pronoms sujets dans les langues romanes, in: Actes du XVIIe Congrès International de Linguistique et Philologie Romanes, vol. 3: Linguistique descriptive, phonétique, morphologie et lexique, Aix-en-Provence, Université de Provence, 163–176 (ristampato in: Paola Benincà, La variazione sintattica. Studi di dialettologia romanza, Bologna, Il Mulino, 1994, cap. IX).

Giampaolo Salvi

 

Fonte: http://gps.web.elte.hu/cikkek/SIA.doc

Sito web da visitare: http://gps.web.elte.hu/

Autore del testo: sopra indicato nel documento di origine

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

Sintassi dell’italiano antico

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

Sintassi dell’italiano antico

 

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco

www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve

 

Argomenti

Termini d' uso, cookies e privacy

Contatti

Cerca nel sito

 

 

Sintassi dell’italiano antico