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VERBI.
Il verbo è una parola variabile che si riferisce ad azioni o stati attribuiti alle entità indicate dai nomi. Il verbo è anche la parte del discorso che dà maggiori informazioni dal punto di vista morfologico (persona, numero, tempo, modo, aspetto, diàtesi). In italiano queste informazioni morfologiche sono veicolate attraverso i suffissi legati al tema verbale nella forma attiva (leggo, scrissero) e nei tempi composti della forma attiva e nell’intera forma passiva sono veicolate con i verbi ausiliari (avere ed essere) premessi al participio passato che a sua volta fornisce l’indicazione del genere (Rosa è stata vista in città) o dell’oggetto (il vino l’ha bevuto Rosa).
Anche dal punto di vista sintattico il verbo è l’elemento centrale della frase, che si costruisce attraverso le reggenze del verbo stesso.
La distinzione tra nome / verbo è una opposizione diffusa in tutte le lingue del mondo.
LE FUNZIONI DEI VERBI.
La funzione predicativa rispetto ad un sintagma nominale, svolta dai verbi flessi nei modi finiti, esprime una condizione o un’azione attribuibile ad un individuo, indicato da un nome o da un pronome (Renzo nuota, tu corri, Luca aggiusterà la caldaia).
Un verbo può avere anche una funzione attributiva, come gli aggettivi, una funzione referenziale, come il nome, o una funzione avverbiale. Queste funzioni sono svolte dalle forme dei modi non finiti, cioè dal participio, dall’infinito e dal gerundio (I candidati esclusi hanno presentato ricorso, camminare fa bene alla salute, mi ha risposto urlando)
AZIONE VERBALE.
Con azione verbale indichiamo il tipo di azione espressa dal verbo, e in particolare il suo svolgimento nel tempo.
Verbi durativi e non durativi: un verbo di azione durativa descrive l’azione che si svolge in un certo lasso di tempo (ascoltare, dormire, correre): questi verbi sono compatibili con un’espressione che indichi una durata dell’azione (il professore ti ascolta durante il colloquio, hanno dormito tutta la notte, devo correre un’ora al giorno).
I verbi non durativi descrivono l’azione senza spessore temporale (addormentarsi, incamminarsi)
Verbi telici e non telici: un verbo telico indica un’azione che giunge ad uno stadio finale, conclusivo (costruire, spegnere, arrivare, invecchiare), mentre i verbi non telici indicano un’azione non orientata a uno stadio finale, a una conclusione puntuale e definita (riflettere, spaventarsi, mangiare, camminare).
Uno stesso verbo può essere considerato a volte telico e a volte non telico in rapporto con la presenza/assenza di un oggetto sul quale l’azione si compie ( Alessandro mangia, Alessandro mangia un biscotto, Lorenzo studia, Lorenzo studia geografia). Solo i verbi telici sono compatibili con espressioni che indichino il tempo necessario per completare l’azione.
1.4 LA DESCRIZIONE MORFOLOGICA.
Nelle grammatiche tradizionali la morfologia è lo studio della flessione delle parole, cioè delle declinazioni e delle coniugazioni.
La linguistica moderna ha approfondito la nozione di morfema, inteso come unità minima di significato e significante. Ogni parola dunque è composta da una somma di piccole porzioni di significato, ciascuno espresso da una sequenza di suoni:
/can-/ /-e/, /can-/ /-ile/, /viv-/ /-o/, /viv-/ /-rò/.
Il morfema ha una sua distribuzione, cioè una posizione nella catena delle parole.
La posizione del morfema in italiano è fissa ed è nella parte finale della parola.
In base al significato che veicolano possiamo distinguere:
Morfemi lessicali = referente concreto, un concetto, una qualità
Morfemi grammaticali = significato di natura linguistica (genere, numero, tempo, modo).
La nozione di morfema può essere controversa sul piano applicativo : esistono infatti morfemi polisemici , cumulativi, allomorfi, omonimi.
Tra i morfemi grammaticali distinguiamo:
morfemi derivativi = usati in maniera produttiva, anche con creatività del parlante, per formare parole
morfemi flessivi = usati in maniera sistematica, con significato regolare.
I morfemi flessivi sono raggruppati in classi di significato omogeneo, cioè Tempo, Aspetto, Modo e Persona, Numero.
I morfemi flessivi di una stessa classe sono fra loro in distribuzione complementare o in alternanza, per cui un solo morfema esprime Persona- Numero o Tempo-Aspetto-Modo.
Una classe di morfemi flessivi associata ad una variazione sistematica di significato è definita categoria flessiva; il significato di ogni categoria comprende diversi valori.
Un esempio è la categoria di Tempo che in italiano assume valori come Presente, Imperfetto, Futuro, Passato Remoto, ecc.
Il Nome possiede valori di Genere e Numero: rispetto a articoli, aggettivi e pronomi è controllore dell’accordo, cioè modifica i valori degli elementi con cui è in relazione secondo i propri sia all’interno di una frase, di un sintagma che oltre i suoi confini (i bambini bilingui sono integrati, hanno elaborato un questionario. Lo utilizzeranno su un campione).
Ricordiamo che classi e categorie non sono universali: russo e tedesco ad esempio presentano la categoria del Caso, assente in italiano, francese, inglese; altre lingue non hanno distinzione di genere o di tempo.
ALTERATI.
Una particolarità dell’italiano è la formazione di alterati con una tecnica sintetica per cui sia nomi che aggettivi con aggiunta di diversi suffissi assumono un valore semantico diminutivo, vezzeggiativo, accrescitivo o peggiorativo:
buono/buonino/buonoccio, cattivo/cattivello/cattivone/cattivaccio, piccolo/piccolino/piccoletto
ragazzo/ragazzino/ragazzaccio/ragazzone/ragazzastro/ragazzetto/ragazzuccio
I suffissi a loro volta possono combinarsi tra loro o con altri elementi detti interfissi :
mogliettina, pesciolino, piccinino, festicciola, bambinello
Con i suffissi di alterazione si può determinare un mutamento di genere nel nome:
un donnone, un villino, una palazzina.
1.4.1 GENERE.
La flessione per Genere è propria dei nomi, degli aggettivi, degli articoli, dei pronomi.
In italiano l’espressione di Genere e Numero avviene in maniera cumulativa con un unico morfo (una buona cena, i primi arrivati).
In italiano il Genere è maschile e femminile; in altre lingue troviamo una tripartizione con il neutro.
Non hanno flessione di Genere i nomi che indicano:
- esseri inanimati (casa)
- molti nomi di animali (lepre, volpe, corvo)
- nomi di professioni (ingegnere, giudice).
Per alcuni nomi e aggettivi è possibile una derivazione del Genere a partire dal maschile (buono-buona, ragazzo-ragazza), ma si hanno forme con morfi cumulativi nelle coppie paziente-paziente, artista-artista.
Una distinzione di genere non flessiva ma espressa da coppie di nomi con derivazione diversa si ha nei tipi uomo- donna, marito-moglie, gallo-gallina, re-regina.
Per un processo di analogia, gli apprendenti italiano L2 e anche i parlanti nativi tendono ad omologare il Genere grammaticale con quello naturale.
Distinguiamo quindi tra genere grammaticale, che è una categoria morfologica (la guardia, il vino), e genere naturale, cioè il sesso del referente del nome (il figlio, la figlia).
Il Genere può essere determinato convenzionalmente anche su una base semantica: ad esempio i nomi delle piante sono maschili e i nomi dei frutti sono femminili (il melo-la mela), il nome della disciplina o della scienza è maschile, femminile il nome dello scienziato (matematica-matematico).
1.4.2 NUMERO.
In italiano la categoria del Numero ha i due valori di singolare e plurale.
Il Numero indica l’opposizione tra un solo individuo e più individui.
Anche per il Numero osserviamo fenomeni non lineari:
-nomi con il solo plurale che indicano un solo oggetto (forbici, occhiali, nozze)
-nomi di massa che indicano un’unità non scomponibile (latte, vino, caffè ma i vini toscani)
-nomi collettivi che indicano un insieme (la folla).
L’espressione del Numero può essere veicolata anche da elementi lessicali come gli indefiniti e i numerali (qualche soldo, quattro salti, alcuni giorni).
1.4.3 CASO.
Il Caso segnala, attraverso un morfema flessionale, cioè una variazione di desinenza, la funzione grammaticale di una parola in relazione con le altre parole della frase.
Il Caso caratterizza lingue antiche come il greco e il latino e tra le lingue moderne il tedesco.
L’italiano ha ridotto quasi del tutto la flessione per Caso; l’indicazione della funzione grammaticale è in italiano data dalle preposizioni.
In italiano il Caso si conserva nel sistema dei pronomi personali e nei pronomi relativi.
La flessione del Caso italiano ha i valori di nominativo, accusativo, dativo, genitivo, obliquo.
I pronomi personali si presentano
nella serie tonica (me, te, esso, essa, lei, sé, noi, voi, essi, esse, loro, sè )
nella serie atona, più articolata e usata senza preposizione (mi, ne, ci, ti, lo, la, gli, le, si, ci, vi, loro).
I pronomi atoni sono detti anche clitici e si legano da soli o in nessi di clitici ad altre parole (fammelo sapere, glielo dico, dammi).
Ci e Ne occorrono per il Caso genitivo e obliquo di tutte le persone (che cosa ne pensa ? le spese che ne derivano, ne riparliamo, che cosa ci hanno portato? Ci credo poco).
Si occorre nella terza persona singolare e plurale per le forme impersonali .
Si è anche l’unico pronome atono dell’italiano standard che ha valore di soggetto impersonale (si vive una sola volta, non si fuma).
L’uso del pronome si è particolarmente complesso: il si pronome coincide formalmente con il riflessivo di terza persona singolare e plurale ( Anna si pettina, gli studenti si sono aiutati ).
In italiano esiste anche il si passivante, a cui segue un verbo al plurale (i giornali si stampano ogni giorno).
Nell’italiano contemporaneo il sistema complesso della flessione del Caso pronominale tende a una ristrutturazione: ad esempio nel parlato la forma gli è estesa al femminile e al plurale (gli ho dato/ ho dato loro), è esteso anche ci ( prova a parlarci/ prova a parlare con lui, con lei).
Il pronome relativo che ha una flessione di Caso costituita dalla forma che per il nominativo e dalla forma cui per il dativo e genitivo.
Alla forma cui si possono premettere le preposizioni a, da, per .
Ricordiamo che il pronome relativo il quale non ha flessione secondo il Caso ed esprime i diversi ruoli grammaticali attraverso le preposizioni.
1.4.4 MORFOLOGIA VERBALE: PERSONA, MODO, TEMPO.
Il verbo italiano è flesso secondo le categorie di Tempo-Modo-Aspetto , Persona-Numero, Diatesi.
La flessione del verbo genera un grande numero di forme, distinte in forme semplici (amo) e forme composte (abbiamo amato).
Le forme semplici hanno un affisso di Tempo-Aspetto- Modo seguito da uno di Persona-Numero (parliamo, ascoltate).
Le forme composte sono formate da una prima parola, che è un verbo di supporto detto ausiliare (essere e avere ma anche andare e venire per la diatesi passiva) che veicola i significati Tempo-Modo-Aspetto, e da una seconda parola, che è il participio passato del verbo e porta il significato lessicale (hanno parlato, abbiamo ascoltato).
Le forme composte di solito esprimono un valore di anteriorità.
La diatesi (o forma o voce) esprime il rapporto del verbo con soggetto o oggetto.
La diatesi può essere :
- attiva quando il soggetto coincide con l’agente dell’azione (i vigili regolano il traffico);
- passiva quando l’agente non è il soggetto (il traffico è regolato dai vigili);
- riflessiva quando soggetto e oggetto coincidono (Anna si pettina).
La diatesi passiva e quella riflessiva si possono avere solo con verbi transitivi; nella diatesi passiva e riflessiva si usano forme composte con il verbo essere (sono lavato).
Con un verbo intransitivo il verbo essere è usato per le forme composte dei tempi passati.
PERSONA.
La categoria di Persona fa riferimento al parlante, all’ascoltatore o al contesto coinvolti nella comunicazione e si esprime attraverso i valori di prima, seconda e terza persona singolare o plurale.
Esprimono la flessione di Persona-Numero i verbi di modo finito, i pronomi personali e i possessivi.
Nel verbo la Persona è in genere espressa da un morfema flessionale (espressione sintetica: andiamo, pensava); in casi di ambiguità o nei modi non finiti è espressa da un pronome (espressione analitica: essendo tu partito, che tu vada).
I pronomi personali tu, lei, ella, voi, loro hanno anche funzioni di allocutivi, si usano cioè per rivolgersi a qualcuno secondo delle convenzioni di uso e di cortesia (come tu hai chiesto, come Lei ha chiesto, come Ella ha chiesto, come Loro hanno chiesto, come Voi avete chiesto).
MODO.
La categoria di modo indica il tipo di comunicazione che il parlante instaura con il suo interlocutore o l’atteggiamento del parlante verso la sua stessa comunicazione.
In italiano il modo ha
I modi di valore non finito sono da considerare un’estensione tradizionale e in parte arbitraria.
La categoria di modo esprime certezza o incertezza sulla realizzazione dell’evento, ma spesso indica anche la dipendenza sintattica che possiamo così riassumere:
Indicativo: modo della realtà e delle frasi principali.
Imperativo: modo che esprime ordini, consigli, suppliche, inviti, preghiere; ha solo le forme della prima e seconda persona; la funzione imperativa per la terza persona è assolta dal congiuntivo, detto iussivo o esortativo (che vada lui) o ottativo se esprime desiderio, speranza (Fosse vero!) .
Congiuntivo: modo che esprime la componente potenziale e dubitativa, usato nelle frasi dipendenti, completive (vorrei che tu studiassi), interrogative indirette (gli chiese se avesse capito), relative limitative(voglio qualcuno che mi ami)o introdotte da congiunzioni che selezionano il congiuntivo(gli telefono benché sia tardi). Il congiuntivo compare nelle frasi principali solo come sostituto dell’imperativo (venga, entrino) o con valore dubitativo o ottativo (volesse il cielo, fosse vero).
Nell’italiano contemporaneo soprattutto parlato in dipendenza dei verbi di opinione, nelle interrogative indirette, nelle relative restrittive il congiuntivo è sostituito dall’indicativo.
Condizionale: modo che esprime diversi gradi di variazione della certezza, connota un’azione nel senso della soggettività e della relatività; ha solo i tempi presente e passato, è usato nelle frasi semplici.
Collegato a una subordinata ipotetica, il condizionale esprime la conseguenza prodotta dalla realizzazione di una certa ipotesi (se non ti dispiace, vorrei andare via). Nelle richieste ha valore attenuativo (potrebbe ripetere?). Il condizionale passato nelle frasi dipendenti può avere valore di futuro nel passato: credevo che sarebbe venuto.
I modi non finiti non presentano marche di modo e di persona, e sono indicati perciò anche come forme nominali del verbo perché possono assumere le marche di persona e genere nel participio.
Infinito: usato al presente e più raramente al passato; è usato
L’infinito presente si usa anche in frasi interrogative o esclamative (che fare?). In molti contesti l’infinito ha valore nominale ed è preceduto da articolo pur mantenendo reggenza verbale (nel comunicarvi la notizia).
Gerundio: modo con funzioni molteplici nelle dipendenti implicite, ha due tempi, il presente e il passato. Il gerundio può avere rapporti di stretta dipendenza con un verbo finito per indicare un’assoluta contemporaneità: andava correndo. La più frequente perifrasi verbale dell’italiano contemporaneo è formata da stare+ gerundio ed esprime la duratività dell’azione, caratterizzando il presente deittico sto mangiando o il valore dell’imperfetto stavo mangiando.
Participio: modo con funzioni nominali, ha due tempi, il presente e il passato. Il participio presente nell’italiano contemporaneo ha valore aggettivale o nominale (un sogno ricorrente, una folla urlante). Il participio passato è l’unica forma italiana che marca il genere, si usa nelle frasi dipendenti implicite (appena arrivati, hanno cercato gli amici).
Il participio passato è usato nei tempi composti della forma attiva e nella diatesi passiva.
TEMPO.
La categoria del Tempo fa riferimento al momento dell’enunciazione, visto come contemporaneo, anteriore o posteriore all’azione descritta dal verbo.
Il presente, il passato e , per il modo Indicativo, il futuro sono detti tempi deittici.
Il presente indica:
- un evento contemporaneo al momento dell’enunciazione (leggo il giornale, vieni qui!)
- un’azione abituale (pranziamo alle tredici, chiude il sabato)
- un’azione atemporale (il fumo fa male).
Il presente compare al posto del futuro accompagnato da un elemento temporale (dopo che ho terminato questo lavoro, mi prendo una vacanza)
Il presente storico si usa con riferimento al passato (Il Romanticismo si diffonde in Europa).
La categoria dell’aspetto non è marcata nel presente.
Il futuro si riferisce a un’azione posteriore al momento dell’enunciazione (la vedrò domani, sarà disponibile in libreria tra una settimana).
Nell’italiano contemporaneo il futuro è sostituito spesso dal presente, mentre è diffuso nel parlato il tipo vedrò di+ infinito nel senso di “cercherò di” (vedrò di venire).
Il futuro acquista spesso valori modali, ad esempio:
- nel futuro “epistemico” che esprime ipotesi e previsioni ed anche dubbi e incertezze (a quest’ora avrà cenato, uno scrittore che conoscerete, sarà anche vero, )
- nel futuro deontico, che esprime valore di “dovere” (le richieste dovranno pervenire entro il 20 gennaio)
- nel futuro in dipendenza di un verbo di opinione al posto del congiuntivo (credo che verrà).
Gli eventi anteriori al momento dell’enunciazione si distinguono in tre forme: imperfetto, passato prossimo, passato remoto.
L’imperfetto indica eventi passati durativi (durante la guerra si faceva la fame, negli anni Sessanta abitava a Milano ) o abituali (in estate facevamo i bagni al mare, in inverno andava a Cortina ) ;
il passato remoto indica un evento trascorso e definitivamente concluso (Dante nacque nel 1265, abitai a Roma);
il passato prossimo indica il risultato di un’azione con effetti sul presente ed ha forma composta con un ausiliare (ho abitato a Napoli da dieci anni).
L’imperfetto è un tempo in espansione nell’uso odierno , con valori modali:
-tende a sostituire congiuntivo e condizionale ad esempio nel periodo ipotetico dell’irrealtà del passato (se venivi ti divertivi)
-è usato nell’imperfetto di cortesia (volevo un caffè)
-è usato nel discorso indiretto come “citazione” ( mi ha detto che faceva tardi).
Futuro anteriore, trapassato prossimo e remoto sono detti tempi anaforici perché esprimono anteriorità o posteriorità rispetto a un altro tempo espresso dal testo o ricavabile dal contesto.
I tempi anaforici dunque non esprimono anteriorità o posteriorità rispetto al momento dell’enunciazione.
Questi tempi hanno una forma composta con ausiliare.
Il passato remoto, che costituisce uno dei tempi più complessi del paradigma verbale, è oggi in regresso nel parlato; è invece preferito anche per la sua formazione analitica il passato prossimo anche con riferimento ad azioni concluse e lontane nel tempo (questo libro è stato scritto venti anni fa).
C. Andorno, Dalla grammatica alla linguistica, Torino, Paravia Scriptorium, 1999; ristampata col titolo Grammatica italiana, Milano, Bruno Mondadori 2004
P. D’Achille,L’italiano contemporaneo, Bologna, Il Mulino, 2003
Grande grammatica italiana di consultazione, a cura di L. Renzi, G. Salvi, A. Cardinaletti , 3 voll., Bologna, Il Mulino, 1988-1995
L. Serianni (con la collaborazione di A. Castelvecchi), Italiano, Milano, Garzanti, 1977
Fonte: http://elearning.moodle2.unito.it/lingue/pluginfile.php/10354/mod_resource/content/1/grammatica%20e%20lessico%202005.doc
Sito web da visitare: http://elearning.moodle2.unito.it
Autore del testo: P.Bianchi C.Marello
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