Grammatica italiana

Grammatica italiana

 

 

 

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Grammatica italiana

 

INTRODUZIONE ALL’ITALIANO CONTEMPORANEO

1. L’ITALIANO E LE LINGUE ROMANZE

Cos’è la linguistica?
La linguistica si occupa di:

  • Fonetica/Fonologia
  • Morfologia
  • Sintassi
  • Semantica
  • Lessicologia

La linguistica può essere divisa in base agli scopi:

  • Linguistica interna/esterna: approccio allo studio della lingua inserito in un contesto in cui si tiene conto del contesto sociale (esterno) oppure non è legato (interno)
  • Linguistica sincronica/diacronica: predilige l’analisi in un tempo storico (sincronica) o l’evoluzione della lingua nel tempo (diacronica)
  • Linguistica generale/applicata
  • Linguistica storica: affronta la lingua dalla nascita ai giorni nostri
  • Linguistica comparata/dialettologica: si studia la lingua in rapporto ad altre lingue
  • Sociolinguistica: studio di una lingua in relazione al contesto sociale

La nascita della linguistica
La linguistica nasce con l’invenzione dell’alfabeto ed è una riflessione sulla lingua. Ha una rilevanza nel mondo classico (Aristotele, Varrone, Quintiliano). Nel Medioevo si assiste alla nascita dei volgari, che si oppongono al latino. Si da la prima definizione di grammatica, che è il rapporto tra il latino e le lingue volgari e assume importanza con Ascoli. Linguistica e grammatica sono due cose completamente diverse: la linguistica è una scienza, è una serie di conoscenze ordinate, che consente di giungere a verità obiettive, legate ad alcuni fenomeni culturali. La grammatica non è una scienza, ma un’insieme di convenzioni e norme individuate e scelte da qualcuno, che fanno riferimento alle regole di sintassi e logica di una lingua. La grammatica dice cosa è giusto e cosa no, mentre la linguistica studia il valore della frase, cioè la funzione della parola nella frase.
L’italiano fa parte delle lingue romanze, suddivisibili nei seguenti gruppi:

  • Gruppo italo – romanzo: italiano, sardo, ladino (più friulano), dalmatico
  • Gruppo balcano – romanzo: rumeno
  • Gruppo ibero – romanzo: spagnolo, portoghese, catalano
  • Gruppo gallo – romanzo: francese, provenzale, guascone, francoprovenzale.

Il rumeno
Parlato nella Romania politica, in Istria (istrorumeno), in alcune regioni della penisola balcanica (macedorumeno), Asia minore e nelle vicinanze di Salonicco (meglenorumeno) e ha una varietà letteraria (dacorumeno).

Lo spagnolo
Si parla nella Spagna politica tranne in Catalogna, Valencia, nelle quattro province nord – occidentali (Galizia) e nelle province basche (area pirenaica). Viene parlato anche in America latina, Texas, California, Arizona. La varietà letteraria è il castigliano e ha alcuni dialetti: asturiano – leonese, aragonese, andaluso; sono tutte variazioni dello spagnolo, dovute a motivi di provincia.

 

Il portoghese
Parlato nel Portogallo politico, in Galizia, negli Arcipelaghi delle Azzorre e di Madera, Brasile, Angola e Monzambico, lingue creole (parlate da popolazioni con denominazione politica portoghese di Asia e Africa). La varietà letteraria è il gallego (Lusitania settentrionale).

Il catalano
È una lingua ponte (cioè a cavallo tra l’italo – romanzo e il gallo – romanzo). Si parla nella Catalogna storica (Barcellona), in Valencia e Alicante, nelle isole Baleari, Andorra, Rossiglione (Francia) e Alghero. La varietà letteraria è il barcellonese.

Il francese
Parlato nella Francia politica, Vallonia (Belgio), Svizzera francese, Lussemburgo, Canada, Marocco, Algeria, Haiti. La varietà letteraria è il franciano. La Francia ha dialetti: pittavino, normanno, piccardo, vallone, lorense, borgognone, champenois. La varietà letteraria è la lingua individuata come modello di riferimento per la lingua scritta.

Il provenzale (occitano)
È una lingua storica, che si sviluppa nelle prime scuole letterarie e poetiche. Si parla nella Provenza storica (antica Gallia), in val Pellice, Chisour, Susa, Vermenagna, Stura, Maira, Gesso, Guardia Piemontese. La varietà letteraria è il limosino

Il guascone
È parlato in Guascogna e Bearu e non ha varietà letteraria

Il francoprovenzale
Si parla nella Francia sud – orientale (Lione, Delfinato, Savoia, Franche – Comtè), Svizzera romanza (Ginevra, Neuchâtel, Losanna), Val d’Aosta, Valli di Lanzo, media – bassa val di Susa. La varietà letteraria è il lionese.

Il ladino o retroromanzo
È parlato nella regione alpina centrale ed orientale (antica Rezia). Si divide in tre:

  • Occidentale: cantone dei Grigioni
  • Centrale: Dolomiti
  • Orientale: Friulano

Non ha varietà letteraria

Il dalmatico
È l’unica lingua scomparsa. Nel 1898, quando Udìna morì, solo, vecchio, stanco, sfigato e senza figli, si esaurì perché questo era l’ultimo parlante. Si parlava lungo la costa dalmata, da Fiume all’Albania e nell’isola di Veglia (infatti è anche chiamato vegliato, da Matteo Partoli).

2. IL REPERTORIO LINGUISTICO DEGLI ITALIANI

Il repertorio linguistico degli italiani
Per repertorio linguistico si intende l’insieme di italiani. Ma non tutti gli italiani parlano (solo) italiano: sono considerati nativi dell’italiano, coloro che lo utilizzano come socializzazione primaria e usano il dialetto del gruppo italo – romanzo. Ci sono cinque lingue romanze e sei lingue o varietà non romanze. Il repertorio linguistico è molto complesso
Le cinque lingue romanze sono:

  • Provenzale
  • Francoprovenzale
  • Ladino
  • Catalano
  • Sardo

Le sei lingue non romanze sono:

  • Tedesco
  • Sloveno
  • Croato
  • Albanese
  • Greco
  • Rom

26/02/2013
Come definire tale repertorio?
Vi sono due “(dia)sistemi” fondamentali (rappresentazione unitaria delle caratteristiche che accomunano due sistemi geneticamente affini):

  • Lingua nazionale (italiana)
  • Dialetti del gruppo italo – romanzo

Si collocano su posizioni diverse perché da un punto di vista sociale alla lingua sono affidati gli stili scritti, alti e istituzionali, ai dialetti il parlato, basso e familiare.
In Italia si parla si diglossia (coesistenza di due sistemi linguistici che hanno prestigio sociale diverso) oppure «situazione di bilinguismo (coesistenza di due lingue autoctone e allo stesso livello) endogeno a bassa distanza strutturale» [G. Berruto]
Le due lingue a contatto sono interne al territorio considerato o alle comunità del territorio (“endogeno”) e sono simili tra loro (“a bassa distanza strutturale”), hanno tratti in comune. Non bisogna commettere l’errore di pensare che i dialetti italiani siano simili all’italiano: lo esano all’origine ma poi si sono separati  da esso tanto che il dialetto lucano è più distante dall’italiano dallo spagnolo.
Oggi:

  • maggioranza relativa (40 – 50%) che sa e usa italiano e dialetto (competenza passiva, capirlo)
  • ampia minoranza che non sa o non usa il dialetto
  • piccola minoranza che non sa/non usa l’italiano

La regione in cui si parla meno l’italiano in casa e nelle comunicazioni primarie è il Veneto (17%) seguito dalla Sicilia. La regione in cui si parla di più è la Liguria (62%).
Vi sono però delle eccezioni (apparenti); Toscana (Firenze): non si può parlare di bilinguismo perché dialetto fiorentino e italiano sono fondamentalmente la stessa cosa, anche se l’italiano nasce dal fiorentino letterario trecentesco, e quindi il dialetto è cambiato e non è più uguale all’italiano; e Roma: è esistito un volgare romanesco fino al Sacco di Roma (1527 – 28, quando Carlo V e i Lanzichenecchi distrussero Roma per motivi politici e religiosi. Segna la fine del rinascimento italiano, danni ingenti, muore il 50% dei romani più altri in seguito a carestie), in seguito al quale si ha la sua prima scomparsa. Subito dopo, Clemente VII (figlio di Giuliano de’ Medici, nipote di Lorenzo) deve ripopolare la città e si porta dietro la sua corte toscana (lingua fiorentina). Pochi anni dopo l’unità, diventa capitale, quindi qui si deve parlare italiano e si deve diffonderlo come lingua nazionale (insegnato nelle scuole, usato in pubblica amministrazione). Questo per quanto riguarda l’area urbana; in periferia si parlano i dialetti laziali.
Vi sono territori in cui accanto a italiano e dialetti ci sono altre lingue: nella comunità di Gressoney si parlano fino a 5 lingue contemporaneamente (italiano, tedesco [varietà alte], dialetto piemontese [varietà media], titsch [un dialetto tedesco] e francoprovenzale [varietà basse]; lo stesso avviene nelle isole greche salentine (italiano, dialetto pugliese, dialetto salentino e grico) e della Calabria. Anche le migrazioni interne sono alla base di complicazioni, forte componente meridionale (a Torino soprattutto pugliese, siciliano e calabrese). È altrettanto complesso il panorama dialettale; si individuano cinque macro aree:

  • dialetti settentrionali: fino alla linea immaginaria “La Spezia – Rimini” hanno caratteristiche comuni. Sono: piemontese, ligure, lombardo, emiliano – romagnolo, marchigiano e il dialetto della Toscana del Nord (zone limitate). Sono dialetti gallo – italici. Il veneto ha invece una fisionomia propria.
  • dialetti toscani e centrali: dialetto toscano (Toscana politica), Umbria, Lazio centro – settentrionale fino alla linea Roma – Pescara. Sono: toscano, umbro e laziale.
  • dialetti meridionali: si dividono in due gruppi: dialetti meridionali mediani (Lazio sud, Abruzzo sud, Campania, Molise, Puglia senza Salento, Basilicata e Calabria centro – settentrionale) e area meridionale estrema (Salentino, calabrese meridionale e siciliano); hanno tratti comuni evidenti.
  • Sardo
  • Corso: in Corsica a livello dialettale si parla catalano; è caratterizzata da un gruppo di dialetti per lo più di origine toscana, con eccezioni al Sud (a Bonifacio si parla un dialetto simile al genovese del ‘500 – ‘600), mentre al Nord si parla in dito corso.

27/02/2013
Dialetto e lingua: preliminari di metodo
Per dialetto si intende una varietà linguistica non standardizzata:

  • è ristretto all’uso orale (ambienti familiari e colloquiali)
  • comunità ristretta ai parlanti
  • secondaria (per prestigio) a un’altra lingua dominante
  • esclusa da usi formali/istituzionali (scuola, amministrazione, burocrazia, ecc.), dove vige l’italiano come lingua ufficiale.

Quando si parla di lingua, invece, si intende:

  • l’italiano standard, cioè quello proposto dalle grammatiche (parte dal fiorentino)
  • lingua unitaria
  • è il risultato di un processo che ha preso l’avvio nel 1525 (data di pubblicazione delle “Prose della volgar lingua” di Bembo, che voleva porre un riferimento per l’ambito letterario)
  • inizialmente è strumento di espressione scritto di ceti elevati
  • poi è veicolo comunicativo di tutte le fasce sociali come varietà dell’uso quotidiano.

Il termine “dialetto” è ambiguo, e la discussione parte da Dante. È sinonimo di lingua, mentre per altri è una lingua minore; altri ancora lo vedono come variante locale di una lingua nazionale; si pensa a una “parlata rustica” di culture subalterne e arretrate (accezione negativa); oppure a una lingua priva di tradizione scritta (letteraria); o ancora a un sistema comunicativo di minor prestigio e addirittura a una minoranza linguistica.
In realtà:

  • i dialetti sono lingue sorelle dell’italiano, poiché hanno la medesima origine
  • sono due diasistemi sullo stesso livello
  • non è una forma corrotta di una lingua nazionale
  • deriva dal greco διάλεκτος “lingua, varietà letteraria del greco antico”

Secondo M. Weinreich, “una lingua è un dialetto con un esercito e una marina” (1945). Sinonimi di dialetto sono: parlate, patois, varietà e vernacoli.
Le varietà sono:

  • insieme delle realizzazioni di un sistema linguistico
  • no gerarchie su base di prestigio, storia, uso, estensione geografica, ecc..
  • varietà veneta, toscana, siciliana ecc..

Fra dialetto e lingua
I dialetti italiani sono varietà italo – romanze indipendenti.  Si parla di dialetti “primari e “secondari”:

  • i primari sono quelli  che hanno origine dalla varietà nazionale (latino) e hanno un rapporto di subordinazione sociolinguistica con l’italiano
  • i secondari sono parlate insorte dalla differenzazione geografica di una data lingua
  • italiani regionali
  • in altri Paesi questa definizione ha un senso perché vengono considerate le varietà di inglese e spagnolo il sud America.

Gli italiani regionali:

  • sono varietà intermedia tra italiano standard e dialetto locale
  • derivano da:
  • sovrapposizione di quello a questo
  • l’importazione, nelle diverse regioni, dell’italiano

3. LE VARIETà DELL’ITALIANO CONTEMPORANEO

Le varietà dell’italiano contemporaneo
L’italiano è una gamma assai ampia di diversificazione, perché esistono molte varietà. Esistono dei parametri che consentono di individuare le varietà dell’italiano:

  • variabile diatopica: area geografica
  • variabile diastatica: gruppo sociale (italiano colto/standard; italiano popolare)
  • variabile diafasica: situazione comunicativa
  • variabile diamesica: mezzo fisico – ambientale.

I quattro parametri sono tra loco connessi; un italiano di livello alto a livello diastatico si collocherà in alto sotto un livello diafasico, diatopico e diamesico.

4/03/2013
La variazione linguistica

 

  • Mi pregio di informarLa che la nostra venuta non rientra nell’ambito del fattibile. (italiano aulico)
  • Trasmettiamo a Lei destinatario l’informazione che la venuta di chi sta parlando non avrà luogo.(italiano tecnico – specialistico)
  • Vogliate prendere atto dell’impossibilità della venuta dei sottoscritti. (linguaggio burocratico– amministrativo)
  • La informo che non potremo venire. (italiano standard)
  • Le dico che non possiamo venire. (italiano medio)
  • Sa, non possiamo venire. (italiano parlato – colloquiale)
  • Ci dico che non possiamo venire. (registri regionali – popolari)
  • Mica possiam venire, eh. (italiano informale trascurato)
  • Ehi, apri ’ste orecchie, col cavolo che ci si trasborda. (italiano gergale)

 

La varietà diamesica
Regioni di differenziazione tra scritto e orale:

  • Diversa natura semiotica del mezzo
  • Architettura della lingua: ha norme a seconda del mezzo

Diversi fattori su diversi livelli di analisi:

  • Grado di pianificazione del discorso: il testo è pianificato nullo se si ha una comunicazione orale (parlato – parlato)
  • Il “modo pragmatico” di organizzazione del testo: capacità di trasmettere un significato che passa attraverso significanti diversi, regolati dalla grammatica
  • L’interazione con il partner: quando si scrive non si ha di fronte l’interlocutore e quindi non si deve dare nulla per scontato e si ha una differenziazione tra scritto e parlato
  • La comunicazione non verbale: se parlo di fronte al mio interlocutore uso mezzi extra – linguistici che aiutano a esprimere ciò che non dico.

Le differenze tra scritto e parlato
Tre ambiti diversi:

  • Fenomeni che non riguardano lo scritto: sono solo dell’oralità (segni extra – linguistici: intonazione, gesti, prosodia)
  • fenomeni che non riguardano il parlato: alcune formule di cortesia, punteggiatura, segnali interpuntivi
  • fenomeni comuni a entrambi i codici che si presentano in forme differenti: sono modulate in maniera diversa.

Punto di partenza e di riferimento: la lingua scritta (scritto = scritto formale, cioè grammatica). L’italiano è una lingua letteraria.

Tratti del parlato
Una distinzione preliminare si ha tra:

  • parlato – parlato (con interazioni extralinguistiche)
  • parlato – scritto (sms, chat, mail, etc)
  • scritto – parlato (copioni, testi recitati, etc..)
  • E – italiano

Differenze a livello:

  • Testuale
  • Sintattico
  • Morfologico
  • Fonetico/Articolatorio
  • Lessicale

Testualità e pragmatica
Livello massimo di differenziazione
Cfr. la trascrizione di un testo parlato:

  • Frammentarietà sintattica e semantica;
  • Uso massiccio di segnali discorsivi;
  • Basso (o nullo) livello di progettazione;
  • Segmenti di discorso brevi (e sconnessi)

Esempio
[da A.A. Sobrero, Introduzione all’italiano contemporaneo, II, Roma-Bari, Laterza, 2007, p. 41].

            [Domanda: cosa fai nel tempo libero?]         

Eh, io sto in un gruppo- … che-e... siamo studenti nelle… più che altro studenti del liceo ma anche… universitari… che-e facciamo assistenza… assistenza sociale, insomma… nei quartieri popolari più che altro, nelle borgate di Roma o anche a Trastevere, così… con degli anziani, con persone anziane che hanno problemi… degli anziani poveri insomma… e con… cerchiamo di fare… delle scuole popolari anche con… con dei bambini che hanno più problemi scolastici così, anche problemi familiari… genitori analfabeti e cose di… così, di questo genere.
Da notare:

  • il procedere per piccoli blocchi semantici;
  • sintagmi nominali (assistenza sociale, genitori analfabeti, ecc.);
  • cambiamenti di micro-progettazione;
  • pause esitative;
  • continui aggiustamenti della formulazione (aggiunte, parafrasi, ripetizioni);
  • ricorrenza di particelle discorsive (ecco, diciamo, eh, insomma, cioè, ecc.);

 

Le particelle discorsive
Hanno la funzione di:

  • articolare e strutturare, con mezzi non sintattici, il discorso
  • gestire l’interazione con l’interlocutore (enfatismi).

Sono segnali di attenuazione (“diciamo”, anche con valore di riformulazione o correzione)
Possono essere demarcativi:

  • insomma
  • no (anche con valore di fatismo per sollecitare la conferma o la risposta)
  • ecco (formula di chiusura, apertura e sottolineatura)

Sono connettivi pragmatici (specificano le relazioni semantiche fra le parti del testo):

  • cioè (per riformulare o spiegare, ma anche riempitivo generico, desemantizzato), nel senso che.

Altri segnali discorsivi (fatismi):

  • in apertura: allora, bene/beh/be’, niente, comunque, tipo
  • in chiusura; capito?, vero?, tipo
  • contatto: guarda, senti, ascolta, dai, sai, ehi
  • vabbè, o(c)chei, boh, ecc
  • particelle modali: veramente, praticamente, ecc

5/03/2013
La sintassi
Tre ambiti di diversificazione:

  • sintassi del periodo: la differenza tra scritto e parlato riguarda la complessità delle frasi all'interno di un periodo
  • ordine dei costituenti frasali
  • coesione sintattica.

Sintassi del periodo
Paratassi (rapporto di dipendenza sintattica tra 2 o più proposizioni, struttura tipica dei discorsi  [coordinazioni]) vs. ipotassi (rapporto di dipendenza che lega alla principale le altre proposizioni; è il sistema tradizionale della scrittura [subordinazione]: giustapposizione asindetica e coordinazione (sequenza ravvicinata di due o più frasi che tra di loro non sono legate da nessi subordinanti o coordinanti; l'asindeto nasce come figura retorica della sintassi) . Limitata gamma di proposizioni subordinate. Ventaglio minimo di nessi di subordinazione:

  • E, dopo, poi, allora, ma, però (cong. coordinanti)
  • Perché, siccome (causali)
  • Quando, mentre (temporali)
  • Se, come  (connettivi subordinanti più frequenti)

L’ordine dei costituenti frasali
Presenta una sintassi rigida SVO. La funzione: sottolineare l’articolazione tema/rema e marcare la struttura informativa della frase. Tre tipologie di frasi:

  • Dislocazione a dx (enfasi sul c. oggetto): “le prendo io le sigarette”
  • Dislocazione a sx (enfasi sul soggetto): “le sigarette le prendo io”
  • Frase scissa: “è Gigi che prende le sigarette” (è un influsso gallo - romanzo nella nostra lingua)
  • Frase neutra: "Io prendo le sigarette"

(Bembo: dislocazione elemento popolareggiante, però è usato frequentemente da Dante e Boccaccio ed è presente nel Placito Capuano [960 - 963]

La coesione sintattica
Ricorrenza di strutture sintattiche interrotte:

  • Frasi incomplete;
  • Anacoluti (figura retorica della sintassi che prevede il non rispetto intenzionale della coesione tra le varie parti della frase o del periodo. E' anche detto TEMA SOSPESO o NOMINATIUUS PENDENS), molto usati in letteratura per funzione mimetica, per avvicinarsi al parlato "io il vino mi fa male"
  • Cambiamenti di microprogettazione;

Andamento superficiale apparentemente disordinato e sconnesso nell'oralità

Morfologia
Le differenze più evidenti scritto/parlato riguardano i verbi e i pronomi, categorie grammaticali soggette spesso a irregolarità.
Il piuttosto che: «… di questo passo, saranno gli omosessuali piuttosto che i poveri piuttosto che i neri piuttosto che gli zingari ad essere perseguitati»; non ha più solo funzione avversativa, ma anche disgiuntiva, come sinonimo di "o, oppure". Questa deformazione nasce tra Torino e Milano negli anni '80 come forma "snob" di parlato.
Paradigmi e funzioni morfologiche semplificati nel parlato, abuso di modi e tempi dell'indicativo.

 

I verbi
Sottoutilizzazione di alcuni tempi e modi
Concentrazione di valori e impieghi su alcuni tempi dell’indicativo (presente, imperfetto, passato prossimo sono i tempi predominanti): è sparito l'uso del passato remoto tranne che in certe regioni meridionali, il trapassato prossimo nei rapporti di anteriorità dove ci vorrebbe il congiuntivo imperfetto.
Imperfetto come modo a scapito del condizionale (imperfetto di cortesia): nasce per sostituire il presente indicativo che pare meno cortese
Diminuzione del congiuntivo nei verba putandi (di opinione: credo, penso...), sovrastato dall'indicativo.

I pronomi
Hanno diverse funzioni, ne esiste una vasta gamma, quindi a livello orale alcuni sono stati semplificati. Maggiore frequenza di personali (enfasi espressiva):

  • lui, lei, loro (al posto di egli/ella/esso/essa)
  • gli come clitico dativo (gli ho dato: m. e f., sing. e pl.): per la grammatica va bene solo per il maschile singolare, a livello orale viene usato anche al femminile e al plurale.
  • ci egemone su vi: il primo non dovrebbe avere funzione locativa ma è particella pronominale di pria persona plurale.
  • questo/quello rimpiazzano ciò come pronome neutro; è inoltre scomparso codesto come pronome dimostrativo
  • che relativo prevalente su (il) quale

Fonetica e pronuncia
Fenomeni connessi con la velocità di articolazione
Il ritmo “allegro”
Fusione di parole all’interno del gruppo tonale con riduzione del numero delle sillabe:

  • Apocope: son venuto, so’ venuto, lavorà bene
  • Aferesi:’nsomma/’somma, ’sto, ’bastanza

Fenomeni di fonosintassi:

  • Fusioni di consonanti: [nõ na’skondo] per non nascondo
  • Legamenti: i-ffazzoletto per il fazzoletto
  • Assimilazioni e semplificazioni di nessi consonantici: arimmetica, propio
  • Raddoppiamento fonosintattico [ma marcato pure in diatopia]: s’annamo a-ffa ’na bbira

6/03/2013
Il lessico
Gamma di diversificazione ridotta. Frequenti ripetizioni dello stesso lessema. Lessemi dal significato generico (parole passe-partout): cosa, roba, affare, coso, tipo, fare, venire, andare, ecc.
Superlativi morfologici in –issimo. Diminutivi morfologici in –ino: il caso di attimino. Cfr. varietà diastratiche, diafasiche, diatopiche.

Varietà diastatiche
Varietà correlata con lo strato (classe) sociale. Fattori determinanti:

  • grado di istruzione;
  • modelli culturali e comportamentali di riferimento.

La variabile sociolinguistica: insieme di varianti della lingua connesso con fattori sociali.
Tra italiano formale – aulico e italiano popolare.

Italiano popolare
Varietà sociale per eccellenza, è l’insieme di usi ricorrenti nel parlato e nello scritto di persone non istruite; le sue caratteristiche sono:

  • è l’italiano di chi parla dialetto
  • ha un livello di estrazione medio – basso.

Presenta numerose devianze dall’italiano normativo:

  • ipercorrettivismo: un parlante che non è abituato a scrivere non sa dove mettere le doppie
  • discrezione dell’articolo: una vocale si stacca dal sostantivo e si attacca all’articolo. Il fenomeno opposto si chiama concrezione dell’articolo, in cui l’articolo è unito alla parola
  • conguaglio analogico: tendenza a semplificare una forma non regolare sulla base della desinenza dei verbi regolari
  • storpiatura: declinazione di un sostantivo tramite una desinenza sbagliata
  • variante aferetica: che

Per una tipologia dell’italiano popolare
Fenomeni da ascrivere a due ordini di meccanismi:

  • Contatto col dialetto retrostante (interferenze, ipercorrettismi, ecc.)
  • Rielaborazione e ristrutturazione delle norme dell’italiano

SINTASSI
Il periodo ipotetico dell’irrealtà presenta un conguaglio verbale nella protasi e nell’apodosi:

  • se sarebbe stato oggi, sarebbe nato un processo [Imm]
  • se sapesse leggere, andasse a lavorare via [Imm]

Si hanno scambi funzionali tra aggettivi e avverbi:

  • erano i nostri meglio clienti [Piem]
  • Cfr. La meglio gioventù

E concordanze a senso:

  • davanti a me ne morì cinque [Guerra]
  • sono tutti gente che lasciano [Imm]

Presenta il che polivalente in tutta la sua gamma di impieghi:

  • vai a dormire che ne hai bisogno
  • maledetto il giorno che ti ho incontrato
  • fai in modo che sia tutto pronto

oppure come indicatore generico di subordinazione:

  • si sentiva che era piovuto che era poco [Guerra];
  • se mi dà una licenza che vado a Bologna [Guerra].

Come introduttore generico della relativa:

  • mi dava dell’acqua che c’erano dei vermi [Guerra];
  • dentro al ricovero che mi aveva portato la signorina [Guerra].

Il che rafforzativo o integrativo: siccome che, mentre che, malgrado che, quando che, ecc.
LESSICO
Presenta i “malapropismi” (parola che deriva dalla commedia inglese “Malaprop”), con cui si intende una parola che non viene ricordata dal parlante italiano e viene sostituita da una parola simile, e le storpiature

  • Es.: gradi centimetri [‘centigradi’], raggi ultraviolenti [‘ultravioletti’], calamaro [‘calamaio’], posta proletaria [“prioritaria”], celebre [“celibe”], frustati [“frustrati”], pietre militari [miliare’], tri prosciutt [“Trivial pursuit”],, ecc.

 Assimilazione di ciò che non è familiare al noto e burocratismi, cultismi, tecnicismi, espressioni stereotipate da scuola, mass-media, ecc.

 

11/03/2013
MORFOLOGIA
Gli aspetti più interessanti sono relativi a pronomi e avverbi; i più frequenti sono relativi a ci, che diventa un clitico “tuttofare”. In grammatica è pronome di prima persona plurale (nominativo e accusativo). A livello di italiano popolare viene usato anche in funzione di soggetto e complemento oggetto, o come dativo generalizzato che neutralizza le opposizioni di genere e numero:

  • Ci dico [ai nipoti] che è brutto emigrare [Piem]
  • C’era la sentinella, io ci detti uno spintone [Guerra]

Il parlante si rende conto che il “ci” è sbagliato con un altro pronome, che ha maggior cortesia, ma è grammaticalmente sbagliato e usa il Le dativomaschile:

  • Le dici [a lui] di non venire [Piem.]

Me/te in luogo di io/tu (soggetto):

  • Me non poteva tenere il bambino [Piem].

Anche i verbi sono soggetti a eccezioni e errori:

  • Ricorrenza di forme analogiche (viene costruita la forma di un verbo irregolare con le corrispondenti dei verbi regolari): vadi, venghino, stassi,ecc.;
  • Scambi di ausiliari: “hanno cresciuto qua” [Imm].

In ambito popolare è molto diffuso lo scambio tra “il” e “la” (morfologia nominale) e la regolarizzazione dell’articolo:

  • Estensione di il in luogo di lo: il sciopero, il zaino, il stivale
  • Estensione di i in luogo di gli: coi zii, i scrutini

Si ha poi l’estensione analogica delle desinenze più regolari dei nomi: i ginocchi, l’uniforma, ecc.
FONOLOGIA
Fenomeni marcatamente regionali
Italiano popolare = italiano regionale basso
Si hanno fenomeni di epentesi e assimilazioni prevalentemente al Sud o nelle lingue che si parlavano prima dell’imposizione del latino:

  • Epentesi: pissicologo, aritemetica, ecc.
  • Assimilazioni (influenza esercitata da una consonante su quella che la segue): arimmetica, ecc.

Nello scritto

  • uso delle maiuscole e delle doppie,
  • punteggiatura e accenti
  • impiego di h.
  • errata divisione delle parole

Altre varietà diastratiche
Varietà diastratica alta: italiano colto = italiano standard
Altre differenziazioni su scala sociale:

  • differenze linguistiche fra generazioni
  • differenze linguistiche fra gruppi sociali specifici
  • differenze linguistiche fra uomini e donne

Uomini vs. donne:

  • varianti normative e di prestigio [donne]
  • “parlar gentile” e cortese [donne]
  • uso di certi termini (gioia, carino, bellino, stupidello [donna])
  • turpiloquio e imprecazioni [uomo]
  • terminologia tecnica [uomo]

 

Varietà diatopiche
Italiano contemporaneo cambia a seconda del luogo, della comunità geografica in cui viene parlato. Non si parla di dialetti, ma di italiano e di sue variazioni su base territoriale. Queste prendono il nome di italiani regionali

L’italiano regionale
INTRODUZIONE
Storia e caratteristiche della lingua italiana uniche in Europa
Alcuni paralleli con la lingua tedesca:

  • Opzione per una varietà prestigiosa
  • Dibattito sulla lingua sorto nel sec. XVI (1520 – 1570 con Bembo)
  • Tardivo raggiungimento dell’unità nazionale (1861 – 1870/ 1866 – 1871)

Ma una grande differenza:

  • Germania: la lingua della traduzione luterana della Bibbia si diffonde presso tutta la popolazione
  • Italia: la lingua delle Tre Corone è riservata alla scrittura e alle classi colte

DEFINIZIONE
«Sottoinsieme coerente di italiano fortemente influito, a tutti i livelli, dal dialetto, al punto che i tratti identificanti di questo italiano, quelli che lo differenziano da un (ipotetico) italiano medio, sono proprio, e quasi solo, quelli locali» [Cortelazzo 1992]
Le varietà di italiano regionale sono:

  • Settentrionale
  • Toscana (più prestigiosa)
  • Centrale e romana (Roma capitale nel 1871 + tradizione cinematografica)
  • Meridionale
  • Sarda

Vi sono varietà diverse dal punto di vista del prestigio (sviluppo delle città del Nord con borghesia capitalistica e nascita delle TV private). Oggi la varietà ad avere più prestigio a livello socio - linguistico

Le differenze
FONETICA
Nord

  • Realizzazione di s sempre sonora: [’ka:za]
  • Riduzione delle consonanti lunghe soprattutto tra le generazioni meno giovani: [’belo], [’nono], ecc.
  • Neutralizzazione dell’apertura/chiusura di e e o, quando si trovano in posizione tonica; è un'opposizione fonologica che distingue parole diverse: pésca, bótte

Toscana

  • Anaptissi (Epitesi: aggiunta di una sillaba o di una "e") sillabica dopo consonante finale (si aggiunge vocale anaptittica o di epitesi): barre(bar), busse(bus)
  • “Gorgia” (da gorgegola) delle occlusive sorde postvocaliche [k, t, p] (cioè aspirazione, o spiratizzazione: blocco solo parziale del canale fonatorio ed emissione di un suono simile a quello di un fruscio): [la ’hasa]; è un fenomeno diffuso a Firenze e in gran parte della Toscana, riconducibile ad un sostrato etrusco, nasce come  sua relazione rispetto al latino, impostosi con l'invasione romana. L'etrusco non conosceva i suoni occlusivi sordi (p, k, t), quindi i parlanti si sono trovati nell'impossibilità di pronunciare perfettamente questo suono, sostituendolo con un altro pi debole. Occlusive: articolate attraverso un blocco completo di una parte del canale fonatorio. Nella bassa provincia di Siena ciò non avviene. Le occlusive devono essere in posizione intervocalica (non sempre) e comunque postvocalica. Il caso estremo della gorgia porta alla caduta dell'occlusiva, cosa che avviene soprattutto a Firenze.
  • Perdita dell’elemento occlusivo nelle affricate [tʃ] e [dʒ]: [’ka:tʃo] > [’ka:ʃo] "cacio"; [’a:dʒile] > [’a:ʒile] "agile"
  • Mantenimento delle aperture e chiusure vocaliche: [‘pɛska] vs [‘peska]; [‘bɔtte] vs [‘botte]; questo avviene quasi solo a Firenze perché nel resto della Toscana c’è stata un’influenza del Nord
  • Riduzione del dittongo /wɔ/: [‘nɔvo], [‘bɔno]. Fenomeno di ritorno delle parlate del contado fiorentino, diffuso oggi anche a Firenze, ma non è partito da qui perchè i dittonghi sono fiorentini.

12/03/2013
Roma e il centro

  • Affricamento di [s] preceduto da l e n: [‘pɛntso], [‘poltso]
  • Rafforzamento di [b] e [g] intervocaliche (fenomeno molto caratteristico):[’rɔbba], [’adʒʒile]
  • [s] intervocalica sempre sorda (fenomeno dell’insordimento), anche quando dovrebbe essere sonora. Nasce a Roma, poi si sviluppa in tutte le parlate del Sud: [‘vi:zo] > [‘vi:so] = al sud
  • Rotacizzazione di [l] (cioè passaggio a  [r] davanti a consonante): [ar’tsare], [ar ’kilo]
  • Dileguo (caduta) di [l] negli articoli (ma non solo): [la ’mojje] > [a ’mojje]; questo si chiama  legge Porena: fenomeno individuato nel 1925 anche se nasce nelle zone più basse della popolazione per poi diffondersi, ma oggi riguarda tutto il Lazio, se non anche altre aree centrali.
  • Scempiamento di r intensa, quando è in posizione intervocalica: [‘gwerra] > [‘gwera]
  • Conservazione di [e] protonica (cioè che anticipa la sillaba tonica) nei monosillabi: [di] > [de], [mi] > [me]

Sud
Dovendo racchiudere le caratteristiche di più varietà regionali, è difficile trovare caratteristiche comuni a tutte le aree.

  • Arretramento degli accenti nei dittonghi: [’pjɛde] > [’pi.ede] (Na)
  • Sonorizzazione. occlusiva dopo nasale: [’kampo] > [’kambo] (Puglia)
  • Sonorizzazione di [ts] dopo [l]: [al’tsare] > [al’dzare] (Puglia)
  • Vocale atona indistinta finale: [’finǝ], [’panǝ] > [’penǝ] (Puglia)
  • Assimilazione di [r] + cons.: [’barba] > [’babba] (Sicilia) (in alcune zone diventa estremo: [‘baiba]
  • Apertura generalizzata (si ha un fenomeno apposto nella Puglia settentrionale) [e] e [o]: [’sɔle], [’pɛra] (Salento, Calabria, Sicilia). Questo avviene nelle aree meridionali estreme, mentre a nord della Puglia si ha il fenomeno opposto

MORFOSINTASSI
Nord

  • Uso pleonastico di pronomi e particelle personali: a me mi piace (nasce al Nord e poi di diffonde)
  • Pronome personale oggettivo “te”, usato in funzione di soggetto [tosc., rom.] (anche questo nasce al Nord e poi si diffonde)
  • Uso del passato prossimo in luogo del passato remoto [anche in Toscana]
  • Nomi di persona preceduti da art. det.: la Lucia (in tutto il Nord), il Carlo (solo Lombardia e Toscana)
  • C’è, c’era, ecc. con sogg. al pl.: c’era tante donne (piem < fr.) (influenza francese)
  • Rafforzamento di solo, soltanto con più (piem.)  
  • Fare che + … (it.reg.piem. faccio che andare a casa, facciamo che ci vediamo…)

Toscana

  • Sistema dei dimostrativi a tre unità (Toscana): uso colto fuori Toscana, spesso usato di sproposito
  • Alternanza tra p. prossimo e p. remoto
  • Uso del si impersonale con pr. sogg. IV pers.: noi si va
  • Particolari flessioni verbali: dicano ‘dicono’, dichino ‘dicano’ (solo fior.)
  • Valore vezzeggiativo-affettivo del suffisso -accio, -azzo: Woytilaccio [R. Benigni], bonazza, ecc.

Italia centrale e Roma

  • Stare + a + infinito: lo stanno a menà [valore di simultaneità];
  • Che enfatico interrogativo: Che, vieni al cinema? [neorealismo, diffuso pure al cinema]
  • Indicativo per il congiuntivo nei v. putandi: penso che può bastare
  • Accentazione rizotonica mediante sincope (cade la sillaba accentata e l’accento arretra sulla radice) nelle I persona plurale del pres. ind.: famo, dimo [tratto popolare romano]
  • Ci attualizzante generico, esteso oggi in tutta Italia: c’ho fame
  • Collocazione dell’agg.poss. dopo il nome: il libro mio (> sud)
  • Uso di mia, tua, sua con sost. m. pl.: sono fatti mia!
  • Uso pleonastico di da dopo il v. dovere: devi da crede (Roma)

13/03/2013
Sud

  • Accusativo preposizionale: ho visto a Davide (da Napoli in giù per influsso dello spagnolo)
  • Uso di di in luogo di da: mi viene di piangere
  • Uso di a in luogo di da, in: vado a Vincenzo, vado a mensa
  • Scambio di modo tra protasi e apodosi nel periodo ipotetico: se direi, farei; se direi, facessi; se dicessi, facessi (influenza spagnola)
  • Uso del passato remoto in luogo del passato prossimo
  • Uso transitivo di verbi intransitivi: scendere, salire, uscire, tornare, ecc.
  • Collocazione del verbo al fondo della frase: Salvatore bello è
  • Futuro epistemico (della possibilità) espresso da dovere + infinito: a luglio mi devo laureare
  • Uso di esserci per fare in costrutti «meteorologici»: c’è caldo, ecc. 

LESSICO – GEOSINONIMI
Parole di uso regionale (= regionalismi) che, nelle varie parti del territorio italiano, designano uno stesso oggetto. Come i sinonimi: significato uguale e forma diversa (rispetto ai corrispondenti termini dell’italiano standard). A differenza dei sinonimi: diffusione areale limitata.
Esempi:

  • Caffè espresso
  • Panettiere / prestinaio / fornaio / fornaro
  • Alloggio / appartamento / quartiere / quarto
  • Anguria / cocomero / melone (d’acqua)
  • Lavello / acquaio / lavabo / lavapiatti ‘lavandino’ (GEOMONIMO: termine identico che assume diversi significati e indica cose diverse)
  • Sberla / schiaffo / ceffone / sganassone
  • Attaccapanni / gruccia / croce / appendino, stampella

La <<gomma da masticare>>
3  tipologie ricorrenti:

  • It. reg. sett. cicca (< lomb.)
  • It. centr. gomma (> nord)
  • It. sett., centr., merid. ciungai, cingum, cingomma, gingomma, ecc. (< ingl. chewing gum)

Esiti di diffusione areale circoscritta: 

  • Piem. cicless (ma cfr. ance il bol. la cicle)
  • Fior. cincibiascia
  • Luc. caramella a molla («di uso raro»)
  • Sic. mastica, masticante, masticozza, tiramastica, ecc.

L’origine è lo spagnolo “cicle”, che designa il mastice o la gomma. “Cicles” può essere arrivato qui:

  • Con i soldati americani
  • Con gli emigrati in Sud America

Criteri di distinzione e tipi
Vari parametri per la classificazione dei geosinonimi.
Criterio del raffronto con il toscano (Sobrero 1988: 733):

  • geosinonimi toscani forti, con buona capacità espansiva nel resto d’Italia (ad es. ciotola vs. it.sett. scodella vs. it.merid. tazza);
  • geosinonimi non toscani forti, concorrenziali rispetto ai tipi toscani corrispondenti (ad es. insipido, scipito, insulso vs. tosc. sciocco ‘privo di sale’);
  • geosinonimi che coesistono alla pari, ognuno in un proprio àmbito geografico (ad es. il tosc. babbo e il sett. papà);
  • geosinonimi deboli, assorbiti dal tosc. (ad es., il ven. santolo, il merid. compare, il sardo nonno, rispetto a padrino).

Criterio del ‘rango’ o della forza espansiva (De Felice 1977):

  • geosinonimi di rango nazionale, che, adeguati nella forma al sistema linguistico italiano, hanno un’area di diffusione panitaliana: ad es. asino e somaro;
  • geosinonimi di rango regionale, che, anch’essi adattati ai paradigmi fonomorfologici dell’italiano, non raggiungono una diffusione nazionale:
    • parole sovraregionali: stracco ‘stanco’, abbuffarsi ‘mangiare smodatamente’, faticare ‘lavorare’;
    • parole propriamente regionali: bagnetto ‘salsa’, brocco ‘scarso, incapace’, caciara ‘frastuono’, caruso ‘ragazzo’, conca ‘testa’, ecc.;
  • geosinonimi di rango dialettale, con estensione d’uso e di notorietà locali: piola ‘osteria’, ramazza ‘scopa’, babbiare ‘scherzare’, ecc.

18/03/2013
Il fattore “prestigio” nella diffusione dei geosinonimi
Prestigio culturale o economico: formaggio, panetteria, ecc.
Il prestigio “nascosto” (ingl. covert prestige) e il medium giornalistico-televisivo-cinematografico: inciucio, monnezza, pennica, bella, scialla, tardona, patacca, una cifra, ecc.
I geosinonimi «alimentari».
I geosinonimi locali: gondola, catasto, pizza, panettone, grissini, ecc.

Varietà diafasiche
Due categorie di sottocodici:

  • Registri
  • Dipendenti dall’interazione e dal ruolo reciproco assunto da parlante e ricevente
  • Lingue speciali
  • Dipendenti dall’argomento del discorso e dall’ambito di riferimento

I registri
Fattori determinanti della variazione:

  • grado di formalità o informalità della situazione comunicativa

→    grado di attenzione e di controllo nell’attuazione della produzione linguistica
Tra italiano trascurato e italiano aulico
I REGISTRI BASSI
Si usano nella comunicazione più informale
Alcuni tratti dei registri bassi = italiano parlato-parlato:

  • Minima esplicitazione sintattica
  • Gamma di variazione lessicale ridotta
  • Realizzazione fonetica parlata rapida e trascurata
  • Il gergo

Incrocio fra variazione diafasica, diastratica e regionale
I REGISTRI ELEVATI
Alto grado di formalità
Sovrapposizione con l’italiano scritto-scritto:

  • Alta esplicitazione dell’articolazione sintattica
  • Ampia gamma di connettivi coordinanti e subordinanti
  • Strutture periodali complesse e ampie
  • Ampia gamma di variazione lessicale
  • Minore velocità di articolazione nel parlato

Impiego ricorrente di parole complesse (derivati, composti)
Uso di forestierismi (soprattutto cultismi [latinismi, grecismi])
Lessemi e varianti morfologiche arcaizzanti (ove, onde, giacché, rammentare, palesare, debbo, v’è)
I segni grafici:

  • accento circonflesso (principî)
  • accento per differenziare gli omografi (àncora, àmbito, ecc.)

4. L’ITALIANO GERGALE

L’italiano gergale

  • Mi hanno rifilato un bidone; è una truffa; sei un gaggio, ecc.
  • Gergo in senso proprio: lingua dei gruppi sociali marginali: vagabondi, mendicanti, ambulanti, malviventi.
  • Uso estensivo del termine: gergo medico, sportivo, giornalistico, teatrale, ecc.
  • Componente significativa del lessico italiano.

Il gergo: definizione, carattere, funzioni

  • Gergo: varietà di lingua (o dialetto) dotata di un lessico specifico utilizzato da particolari gruppi di persone, in determinate situazioni, per non rendere trasparente la comunicazione agli estranei e sottolineare l’appartenenza al gruppo.
  • Codice segreto, con funzione criptica: criptolalia del gergo
  • Esclude dalla comunicazione i ‘diversi’.
  • Rafforza i legami e il senso di coesione interna.

Segretezza del gergo

  • Gergo = lingua “artificiale” e “criptica” (si appoggia a una lingua già esistente, modificandola)
  • Artificiale: inventata meccanicamente (deformazioni fonetiche, scambi sillabici, ecc.)
  • I gerganti: usare l’amaro con lo zaraffo per improsare il vincenzo (o il bello, il gaggio, ecc.) (=usare il gergo con il compagno per abbindolare il povero capitato)
  • In realtà, gergo quasi mai usato in presenza di altri

Altri gerghi
I linguaggi teatrali

Gerghi in senso lato

  • g. teatrale (far fiasco)
  • g. cinematografico (cammeo)
  • g. televisivo (bucare lo schermo, traino)
  • g. giornalistico (bucare la notizia, essere sul pezzo, chiudere il numero)
  • g. sportivo (melina, torello, andare in bambola)

Gerghi transitori

  • A metà tra il gergo in senso stretto e gergo in senso lato
  • g. studentesco (bocciatura, marinare la scuola, secchione)
  • g. di caserma (nonno, stecca, fantasma)
  • Gergo militare e gergo studentesco/giovanile
  • Terminologia impropria perché non storici
  • Ma indubbia comunanza tra essi e i gerghi storici
  • Travaso lessicale
  • Contatto tra gli ambienti militari, giovanili e la strada, la piazza, il bordello, la malavita
  • Lingue in uso in determinate fasce d’età; condizione di temporaneo allontanamento dalla vita “normale”

Il gergo “strictu sensu”
I GERGANTI

  • Tra mercati, fiere e la piazza: il mondo di furbi, dritti, furfanti
  • Mondo popolato da: ciarlatani, girovaghi, imbonitori, cantastorie, giocatori d’azzardo, ecc.
  • Ma anche: ladri, vagabondi, accattoni, mutilati, ecc.
  • Ricorso alla malizia e all’astuzia per ingannare, derubare, ecc.
  • Principale caratteristica culturale del mondo della piazza: il gergo
  • La principale caratteristica è la lingua artificiale

Una lingua “di classe”

  • Lingua dell’intero complesso dei gruppi sociali marginali  della piazza
  • Bianti, calcanti, scarpinanti, dritti, leggere, furbi, furfanti, balordi, guappi, ecc.
  • Cohen: “Il gergo va considerato come una lingua di gruppo (prima che segreta) sotto l’aspetto sociale, e parassitaria sotto l’aspetto linguistico”
  • Lingua in cui si riconoscono i marginali, in opposizione alla parlata dei gag(g)i, parola che deriva dal gergo dei nomadi e indica “sedentario”

I gerghi della storia: le fonti letterarie

  • Prime attestazioni: Proverbia super natura feminarum (sec. XII),Cecco Angiolieri (XIII sec.),
  • Luigi Pulci, lettera a Lorenzo il Magnifico (1466).
  • A. Brocardo, Nuovo modo de intendere la lingua zerga (1531 ca.): glossario italiano-furbesco e viceversa. (vocabolario ante – litteram)

Linguistica del gergo

  • “Il gergo utilizza la grammatica e la fonetica della lingua o del dialetto locale (“lingua ospite”), e vi innesta un proprio lessico, largamente comune in tutta l’Italia e in parte anche comune agli altri gerghi europei” [cfr. Cohen 1919]
  • Rilessicalizzazione e risemantizzazione di un dato sistema linguistico.
  • Particolari procedimenti fonomorfologici nella formazione di parole nuove.
  • Impiego massiccio di metonimie e metafore, sineddochi, ecc.

19/03/2013

  • Morfologia
  • Caratteristiche comuni a tutti i gerghi:
  • Negazione espressa con temine parafono (assomigliano o lo contengono: è a metà tra fonetica e morfologia) di no: nisba (it. furbesco nap.), niberta, nicolò, ecc.
  • Affermazione: sedeci, siena, cortesia, ecc.
  • Deformazione mediante suffissi: altrera ‘altra’, leggera ‘legge’, quaserno ‘qua’, di foralla ‘di fuori’, ecc.
  • Troncamento: pula, caramba, para, ero (eroina), sgamà, ecc.
  • Inversione sillabica: antefo < fante ‘servo’, ecc.
  • Ristrutturazione lessicale a partire dalla vocale tonica (soprattutto al Nord): dét ‘dito’ > ètde; pél ‘pelo’ > èlpe, ecc.: si parte dalla sillaba tonica e si aggiunge ciò che la precede o si riaggiunge la vocale accentata
  • Inserzione di sillabe con f: esfetafa esfe defe lasfa quefe lesfe tifiefenenfe

 

Il gergo oggi

  • Il periodo di maggior diffusione europea dei gerganti: il sec. XVI
  • Il pitocco e il picaro
  • Anche in letteratura: poesia burlesca (Pulci), commedia (Ariosto, Ruzante); la “picaresca” spagnola
  • Oggi: più diffuso in città che nelle campagne, più al Nord che al Sud.
  • La società contemporanea:
  • maggiore controllo sugli individui;
  • spazi ridotti della marginalità (cfr., ad es., il nomadismo degli zingari)
  • Ridotti i gerganti legati alla piazza (alle strade e in generale alla taverna)
  • Sopravvivono nelle attività illecite (ladri e malviventi)
  • La criminalità organizzata e il linguaggio cifrato
  • Il sottoproletariato: soprattutto nelle grandi città e soprattutto nelle borgate romane.
  • Ambienti in cui non è facile entrare
  • Fondamentale importanza dei romanzi di borgata

Pier Paolo Pasolini: (1952) “Ragazzi di vita” racconta vicende di alcuni “pischelli” delle periferie romanesche; per rappresentare realisticamente frequenta queste persone, annota ciò che è importante a livello linguistico e lo riporta nell’opera. Desidera un riscatto per la classe del proletariato, dandole voce. Nel 1959 scrive “Una vita violenta”: grazie a lui questi termini sono entrati nel gergo comune e sono usati solo oggi.

  • Nell’italiano dell’uso, oggi circa 1000 vocaboli gergali

Esempi dal gergo carcerario centro – meridionale

  • baccagliare ‘litigare’
  • bernarda ‘organo genitale femminile’
  • ciocco ‘furto, rapina, lavoro illecito’
  • collegio ‘carcere’
  • fumo ‘hashish’
  • marchese ‘mese, ciclo femminile’
  • paglia ‘sigaretta; spinello’
  • regolare ‘individuo rispettato, conforme ai modelli di chi giudica’
  • sarago ‘coltello’
  • sbolognare ‘rifilare, vendere con l’inganno’

Neologismi gergali di “Ragazzi di Vita”
Usate per la prima volta da Pasolini e inserite nel lessico
1. Singole parole:
            abbioccato, acchittarsi, appioppare, arrapato, battere, battona, benza, caramba, cartina, cazziata, ciofeca, coatto, filare, ingrifato, marchetta, pappone, pellegrino, piedi piatti, rimorchiare, rosicare, sacco, sampietrino, sbarellare, sbolognare, scafato, scaricare, sgamare, sgarro, smandrappato, spinello, zinna, ecc.

2. Sintagmi e locuzioni:
            di brutto; stare in campana; essere giù di carrozzeria; essere una pippa; ecc.
A Roma, gallina = biocca e quando cova si abbiocca: quindi abbioccarsi vuol dire essere stanco; barella = i due non vanno dritti e quindi sbarellare

NOMINATIO: Denominazione di persone con soprannomi o nomignoli. Questa pratica nasce all’interno dell’ambito gergale per celare le identità. Un esempio interessante è costituito da “Romanzo criminale” (Giancarlo di Cataldo, 2002): ambientato a Roma negli anni ’70, racconta la storia di lotte tra bande malavitose per traffico di droga e prostituzione; i personaggi hanno tutti dei soprannomi (divergenza tra nome esplicito e condotta illecita), mentre le donne hanno nome e cognome (convergenza tra nome esplicito e condotta lecita):

  • Fierolocchio: (“occhio di una bestia”, strabico)
  • Scrocchiazeppi (“si spezza come un ramoscello)
  • Secco (ciccione, nominato per antifrasi)
  • Qualità intellettuali/morali: Dandi (elegante), Freddo
  • Mondo animale: Bufalo (particolarmente agitato)

5. IL LINGUAGGIO GIOVANILE

Il linguaggio giovanile
Come il gergo, non è facilmente collocabile in una delle varietà degli assi di riferimento (molto in basso nell’asse diafasico e diamesico) [“Pazz”, regia di Renato de Moria, 2002: omaggio ad Andrea Pazienza, soprattutto ai personaggi principali dei suoi fumetti; ambiente universitario bolognese del ’77, contestazione giovanile. Uso corrente del linguaggio giovanile su più livelli; uso di “cioè, tipo, praticamente..”. Emerge alla fine il linguaggio politico “società, meritocrazia, fascista..”
Il giovanilese si caratterizza per una forte contrapposizione alla società e ai suoi aspetti più istituzionali. Rifiuto generale delle formule di cortesia, viste come aspetto  di una società piramidale. Alla base del giovanilese storico c’è il disfemismo ≠  eufemismo. Dati due lessemi, intenzionalmente si utilizza quello più volgare  o più volgare, in contrapposizione alla lingua standard dell’ordine costituito.

20/03/2013
La variabilità del sottocodice è condizionata da vari fattori:

  • Di ordine diastratico:
  • Varietà substandard ma qui l’abbassamento del registro è intenzionale, bisogna avere un’ottima competenza linguistica per giocare con le lingue
  • L’apporto dell’italiano popolare e del gergo
  • Di ordine diafasico:
  • Il giovanilese non ha un codice limitato, le diverse generazioni procurano varietà di giovanilese diverse, ma con lo stesso scopo di contrastare la società
  • Il giovanilese non è un vero e proprio linguaggio
  • Rappresenta piuttosto uno stile che subentra nelle conversazioni
  • Ma possiede diversi registri, che si usano solo in determinate situazioni comunicative
  • Si ritrova, ormai, anche nello scritto (cfr. graffiti, ecc.)
  • Di ordine diacronico:
  • il «giovanilese» non sorge dappertutto nello stesso momento
  • prime tracce al Nord (anni ’50 – ’60), che mostrano un italiano diverso da quello parlato oggi, diverse varietà dal punto di vista cronologico.
  • Di ordine diatopico:
  • maggiore presenza al Nord
  • ruolo egemone delle varietà settentrionali
  • prestigio di alcuni movimenti
  • l’elemento dialettale
  • Anche a livello di italiano giovanile, come per gli italiani regionali, si considera la varietà più prestigiosa la varietà settentrionale anche per il prestigio di alcuni movimenti nati qui. Le varietà giovanili prendono spunto da varie fonti nell’ottica di un linguaggio espressivo e “svecchiato”, soprattutto al sud emerge il recupero del dialetto.
  • Di ordine diamesico:
  • Nasce in ambito orale e si sviluppa nella scrittura soprattutto con la letteratura generazionale (degli ultimi anni, riflette il linguaggio giovanile)

 

Un po’ di storia
Secondo alcuni è una varietà astorica, molto recente e quindi da considerare dal punto di vista sincronico. Se confrontato con il resto dell’Europa, l’Italia è arrivata in ritardo: in Germania si hanno le prime attestazioni scritte del giovanilese a fine ‘700 (situazione simile in Francia). Nuovi ruoli dei giovani nella società contemporanea, con maggiori gruppi universitari e maggiore istruzione soprattutto nelle città del Nord. Importante anche la diffusione  dei mass – media, soprattutto canzone e cinema, che hanno consentito la diffusione del giovanilese e ne hanno influenzato il linguaggio. Altro elemento è stato il servizio di leva: i giovani sviluppano in caserma un linguaggio, il gergo militare, che è parallelo al giovanilese. Non ci sono attestazioni dell’italiano giovanile prima della Seconda Guerra Mondiale; la prima attestazione certa di una varietà di giovanile risale al 1950 – 55 ed è ristretto ad un gruppo di giovani benestanti di Milano che si ritrovano in Via Montenapoleone: il gruppo dei montenapi.
Non tutti gli studiosi di linguistica sono concordi nel considerare questo gruppo come punto di nascita dell’italiano giovanile, ma ci sono dei documenti scritti che attestano che parlavano una loro lingua in cui si riconoscevano, né standard, né sub standard. La più importante testimonianza scritta è un romanzo di Franca Valeri “Il diario della signorina snob” (1952), che riproduce nella trama le azioni di questo gruppo e ne riproduce, a volte parodiandolo, il linguaggio (testimonianza importante). Caratteristiche evidenti: foneticamente il ricorso alle “r” uvualri  (connotazione snobbistica), morfologicamente uso di diminutivi o accrescitivi in voga ancora oggi (ferrarino, festone, champagnino) o l’uso dei costrutti con –super (supervacca); qui attestate per la prima volta abbreviazioni inizialmente snob (cine, tele, coca). Per quanto riguarda il lessico, tracce presenti ancora oggi sono denominazioni dei genitori, come “fossili, matusa, avi”, per sottolineare l’età avanzata, e per i soldi, come “argento, grana, carta”. Nel romanzo si attestano neologismi quali “bikini, mocassini, blue jeans, di brutto, a palla, salvarsi in corner…”. Questo gruppo, anche se non usa a tutti gli effetti il giovanilese perché non ne è consapevole, è un precursore dell’italiano giovanile. A partire dalla prima metà degli anni ’60 la letteratura si mostra attenta alla nascita del linguaggio giovanile.
Prime tracce, entrambe di ambientazione milanese:

  • Umberto Simonetta “Tirar mattina” (1963)
  • Maria Corti “Il ballo dei sapienti” (1966)

Apporto fondamentale per il giovanilese:

  • Traduzione italiana di J. D. Salinger, “The Catcher in the Rye” (1961)
  • Traduzione italiana di A. Burgess, “A Clockwork orange” (1969)

A metà degli anni ’70 si sviluppa in Italia una corrente numerosa che continua ancora oggi e si ispira a Simonetta e a Corti:

  • Rocco e Antonia, “Porci con le ali” (1976)
  • Enrico Palandri, “Boccalone” (1979)
  • P.V. Tondelli, “Altri libertini” (1980) e “Pao Pao” (1982)

Bisogna considerare, poi, un gruppo sociale dei primissimi anni ’80: i paninari, benestanti milanesi che si trovavano nei bar a panino e primi frequentatori del Mc Donald’s. Non si interessano di politica, ma hanno uno stile di vita incentrato sulla spensieratezza. Primo gruppo giovanile a diffondersi su scala nazionale e internazionale, che si ispirava ai montenapi, usando più o meno lo stesso linguaggio; “sfitty” (da “sfittizia”, cioè ragazza carina, spensierata) è la rivista di riferimento dei paninari (oltre a essere la protagonista di un fumetto). Ci sono stati programmi come “Quelli della notte” (1985)  e “Drive in” (1987) incentrati sulle loro vicende e che usano il loro linguaggio.
Dopo i paninari, si ha il periodo del movimento studentesco (1968, Palazzo campana è il primo edificio ad essere occupato dagli studenti): vengono occupate tutte le università tranne la Bocconi di Milano. Impossibilità di tradurre le aspirazioni dei giovani in azioni concrete: nel ’69 – ’70 il movimento finisce ma non fu inutile, perché mise al centro della discussione sociale e politica temi nuovi, come il baronaggio dei professori, il ruolo della donna, il pacifismo, eccetera. Quasi un decennio dopo, nel  1977, il movimento studentesco si riunisce soprattutto in alcune città come Bologna. Giovani che avevano spesso problemi con la famiglia condividono le stesse istanze e creano un loro linguaggio che si colloca in netta contrapposizione con il linguaggio dei poteri forti. Prelude elementi dell’italiano colloquiale, ma anche dell’italiano colto; dal punto di vista semiotico, uniscono nuovi tipi ai testi (graffiti, giornalini, volantini…).
Un medium che ha contribuito allo sviluppo del movimento, anzi il più importante, è il panorama musicale italiano, soprattutto la seconda generazione di cantautori, influenzati dai cantanti nord – americani, come Bob Dylan (temi della guerra del Vietnam), De Andrè, De Gregori e Guccini. Subito dopo, anche il rock italiano influenzerà il movimento (Schiantos, gruppo demenziale bolognese). Usano un linguaggio diretto, espressioni crude di ambito politico e bellico. Uso di slogan: “per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti” (La canzone del maggio, De Andrè). Il loro linguaggio non è più né quello dei paninari, né quello dei montenapi.

L’apporto innovativo
Fino a quel momento, l’italiano era una lingua statica, legata all’ambito letterario.  Si cercano quindi varietà più espressive che si differenzino dallo standard per una minore formalità. Innovazione nella dimensione intralinguistica (lessico, neologismi) e extralinguistica (tipi di testi, aspetti pragmalinguistici).

Il procedimento lessicologico
Si cerca un registro più espressivo e informale; quindi tra coppia di lessemi formata da eufemismo e disfemismo (rivendicazione di parola prima soggetta a tabù linguistici) si sceglie questo (uso della voce “cazzo” come parola passe – partout). Si assiste a una liberazione espressiva, si iniziano ad usare non solo parolacce, ma altre parole legate all’osceno e alla sfera erotica (figo, fighetto, fregarsene, sfottere..). Ricorso al parlare ironico, soprattutto metaforico, che rimanda alla sfera umoristica. Es.: semifreddo, fossile (persona anziana).

25/03/2013
Rivendicazione linguistica riguardante soprattutto il mondo femminile, l’italiano raggiunge la sua completa maturità grazie al raggiungimento della libertà espressiva, anche delle donne.
Altra caratteristica del procedimento lessicologico è il ricorso al linguaggi settoriali: a livello sociale nascono, si sviluppano e prolificano diversi strumenti di comunicazione di massa e i giovani hanno captato espressioni riferite all’informatica o ad altri campi precisi, li hanno estrapolati e hanno dato loro un nuovo significato (stand – by, sei connesso?, farsi una flebo di qualcosa…). Dai mass – media prendono espressioni (attapirato, nomination, tugurio), che vengono risemantizzate in ambito giovanile. Autore determinante per l’inserimento del linguaggio giovanile in letteratura è P.V. Tondelli, i cui romanzi hanno introdotto a livello letterario personaggi giovani con precise problematiche sociali e ha introdotto anche il giovanilese. Pier Vittorio Tondelli scopre Niccolò Ammoniti e anche l’autore di  “Jack frusciante è uscito dal gruppo”, Enrico Brizzi; ha contribuito più di chiunque altro allo svecchiamento del linguaggio (dalla strada, alla pagina scritta, al lettore).

Un nuovo “folklore verbale”
Alla base di tutti i registri giovanili c’è il desiderio di dare maggiore espressività alla lingua, opponendosi alla società con una varietà substandard, meno formale. Anche nella scrittura, dal punto di vista diamesico, prevale il linguaggio parlato, un minor grado di pianificazione sintattica, ripetizioni, ellissi, intercalari. Nei romanzi contemporanei dalla fine degli anni ’70 si assiste allo svecchiamento del linguaggio, con tratti tipici del linguaggio orale, mentre fino agli anni ’60 l’italiano scritto era legato ancora al modello di Manzoni.

Dialettalità persa o riacquistata?
Le varietà giovanili si diffondono nella misura in cui regrediscono i dialetti: per questo si forma soprattutto a Nord e nelle aree urbane, mentre a Sud e nelle aree rurali c’è maggiore dialettalità (eterogeneità del giovanilese in diatopia). Dialetto e giovanilese sono due forme diverse di reazione alla lingua standard verso una maggiore espressività e poi verso una maggiore informalità, anche se per il giovanilese è più forte la contestazione del linguaggio ufficiale, visto come una realtà astratta ed effimera. Il giovanilese diventa il nuovo sub – standard nazionale.

La dimensione internazionale
I giovani mostrano interesse ed apertura verso il mondo, quindi il giovanilese assimila nuovi modelli: in origine si ha una gergalizzazione del mondo della tossicodipendenza, il cosiddetto droghese (trip, down, pusher, overdose [prestiti non adattati], tiro, sniffo, pippo, pista, striscia, sballo [calchi]). La lingua che contribuisce ad influenzare il giovanilese è l’inglese (sia GB che USA). Anni ’60: la musica diventa modello culturale di riferimento (seconda generazione di cantautori, rock, rap, raggae [generi di provenienza americana]). Sulla fine degli anni ’60 e per tutto il decennio successivo si ha l’influenza del fumetto, determinante per la diffusione di anglicismi. Al secondo posto si collocano gli ispanismi per la carica esotica dello spagnolo e giochi di parole, ha una maggiore potenzialità ludica.

Una lingua selvaggia?
Secondo alcuni linguisti, le varietà giovanili sono segno di un cattivo futuro dell'italiano contemporaneo:

  • sopravvalutazione del parlato:  perchè si legge di meno
  • il lassismo della scuola: in calo le ore di grammatica
  • perdita dell'ereditarietà letteraria: i modelli di riferimento non sono quelli letterari e non si ha una lingua standard
  • vocabolario limitato e stereotipato
  • la grammatica dei nuovi media: propongono modelli linguistici diversi dallo standard e visti dai giovani come modelli di riferimento

Questi punti porterebbero a un risultato evidente dall'analisi degli elaborati dei giovani studenti universitari (prove scritte di letteratura italiana, su 9000 il 60% è insufficiente per mancata conoscenza o competenza dell'italiano). Esiste una lingua ibrida che porterebbe alla morte dell'italiano: l'itangliano, una sorta di lingua franca avente le basi dell'italiano, ma fortemente influenzata dall'inglese.

Per concludere

  • Per la prima volta nascono linguaggi che sono varietà di italiano (substandard) che non è appartenente nè a gruppi sociali di una certa istruzione nè solo dialettali.
  • riempie il vuoto diafasico lasciato dalla vitalità ridotta del dialetto
  • l'italiano contemporaneo degli ultimi 50 anni ha visto un'evoluzione maggiore rispetto alle epoche precedenti soprattutto grazie al giovanilese
  • propongono un linguaggio da media o da elementi stranieri, come parte della loro realtà, poi estendono il loro uso; questo precede la maggiore dinamicità dell'italiano contemporaneo.

26/03/2013
6. L'ITALIANO DEI MASS MEDIA

Quando è presente l'elemento dialettale, questo serve quasi sempre solo per dare effetto comico. L'italiano contemporaneo è la lingua dei media.

Gli studi
Fino alla metà del secolo scorso è stato oggetto di scarsa attenzione perchè:

  • studi rivolti allo studio della lingua letteraria
  • riluttanza ad affrontare argomenti di stretta contemporaneità perchè la visione sarebbe appannata, non obiettiva.

Questo fino a quando B. Migliorini, T. De Mauro e G. L. Beccaria hanno reso anche questo oggetto di studi. Alcune date decisive:

  • 1954: avvento delle trasmissioni televisive, subito assai popolari, quasi nessuno aveva la TV, ci si riuniva da chi la possedeva. Esistevano forme mass - mediatiche (giornali a fine '800), ma è a prima volta che uno di questi assume una tale portata
  • 1964: Tullio De Mauro, "Storia linguistica dell'Italia unita", prende in considerazione anche l'influenza di TV, cinema, radio e giornali su lingua italiana.
  • 1973: Gian Luigi Beccaria, "I linguaggi settoriali in Italia", una parte consistente è dedicata ai media. Oggi l'interesse verso i media è ampio

Le lingue dei media: tratti comuni e tratti distintivi
Non può essere inserito l'italiano dei mass media nei linguaggi settoriali, perchè questi riguardano un ambito disciplinare o un argomento settoriale, il lessico privilegia la monosemia e la refenzialità e sono limitate a cerchie ben definite e ristrette di utenti. L'utenza del linguaggio dei media è illimitata, anonima e socialmente indifferenziata. Il destinatario può essere raggiunto tramite carta stampata o supporti audiovisivi. Utenza potenzialmente illimitata e molteplicità di canali di comunicazione.
Non tutti i linguaggi di comunicazione condividono omogenei caratteri particolari, al contrario, si ha una poliedrica natura dei messaggi trasmessi. Si differenziano per:

  • tipo di emittente che li confeziona
  • modi della trasmissione
  • obiettivi, funzioni e finalità

Presupporrebbero una trattazione separata. Ad esempio: distinzione e funzioni comunicative. Inizialmente le finalità del quotidiano erano cronaca e informazione politica; quelle di radio, TV, internet erano informazione, diffusione della cultura, divertimento e intrattenimento (funzione prevalente della neotv). Cinema e canzone hanno come finalità intrattenimento e cultura. Il messaggio pubblicitario ha una funzione conativa, cioè persuasiva, e avendo una peculiare e particolarissima fisionomia, si separa dalle altre forme. I media sono lontani tra loro, con una forte differenza di linguaggio. Altro fattore di diffusione: pluralità dei modi comunicativi:

  • espressione scritta: quotidiani e fumetti
  • espressione "trasmessa": radio, cinema, tv, musica
  • scritto "trasmesso": siti web
  • il linguaggi pubblicitari sfrutta tutte le risorse espressive messe a disposizione

 

Dal punto di vista della fruizione:

  • lettura (stampa): riferimento lingua scritta
  • audizione orale (radio)
  • vista + ascolto (TV, cinema, web)

Gli ultimi due fanno riferimento alla lingua parlata ma diversa dal libero colloquio dialogico perchè il flusso comunicativo parte dall'emittente in una sola direzione, il ricevente non può intervenire, interloquire o interagire, quindi è un ricevente passivo (eccezioni: telefonate in trasmissione). Ruolo fondamentale  è l'iconicità, la comunicazione mediatica è costituita da componente verbale e interazione tra loro; le immagini arricchiscono il linguaggio verbale e in alcuni casi hanno un ruolo dominante rispetto a questo; il rapporto parola/immagine varia a seconda del mezzo utilizzato. Storicamente, l'espressione verbale prevale nei quotidiani (immagini inserite alla fine degli anni '50), mentre nel cinema, tv, e in parte nel web, il linguaggio verbale ha un ruolo ancillare rispetto all'iconicità. Ci sono casi estremi in cui il linguaggio verbale risulta incomprensibile senza l'apporto di immagini o in cui è completamente assente (es: passaggi narrativi o descrittivi di film senza componente verbale come nei road movie 8 [Nanni Moretti "Caro diario", diviso in tre sezioni  che rappresentano tre parti del diario in cui Moretti racconta la sua vita: nella scena più celebre girando in moto per una Roma quasi deserta si rende conto di non aver visitato il luogo in cui è morto Pasolini; lo dice, poi silenzio e serie di immagini]). Discorso a parte merita la canzone, che gioca sul rapporto tra componente non verbale (prevale la melodia) e verbale (testo). I testi delle canzoni italiane sono caratterizzate da un linguaggio ripetitivo, stesse rime... Invece nel genere cantautoriale, rap e anche rock, il testo o prevale o è bilanciato alla melodia. Sotto un aspetto qualitativo, l'iconismo può essere grafico (schemi, tabelle, grafici) o figurativo. Questo distingue un iconismo statico (disegni, foto per esempio sui giornali) e un iconismo dinamico (tv e cinema). Le conclusioni che nascono dal rapporto dal rapporto tra linguaggio verbale e non verbale:

  • identità comunicativa tra immagini e parole: si parla di messaggi ridondanti (documentari scientifici), e di esigenze di completezza ed esattezza descrittiva
  • autonomia parziale:
  •       rapporto complementare
  •       immagini e messaggi in relazione ma con contenuti in parte diversi: integrazione e arricchimento (foto quotidiani, giornalismo televisivo,...)
  • autonomia totale:
  •       immagini e parole portatrici di messaggi irrelati, indipendenti; ciò accade nel linguaggio pubblicitario (es.: Benetton: prete e suora che si baciano, sottoscritta marchio Benetton, non c'entrano niente)

Le lingue dei media: l'oralità
La lingua dei media non è omogenea, ma ha diverse finalità e mezzi di comunicazione. Tuttavia ci sono alcune costanti che consentono di considerare i media come entità omogenee:

  • tutti i media trasmettono una varietà di italiano lontana da quella codificata dalla grammatica, quindi è innovativa.
  • l'italiano dei media privilegiala dimensione orale della lingua, anche qualora si trasmetta attraverso la scrittura (web). Nel caso di talk - show, dibattiti televisivi, ..., si hanno caratteristiche del parlato dialogico, quali fatismi, scarsa o inesistente pianificazione del discorso, segnali discorsivi,...

Il privilegiare l'oralità non riguarda solo la tv, ma anche costruzione a tavolino di situazioni mimetiche del parlato (scritto - parlato), come in copioni cinematografici: fumetti, canzoni... Il neorealismo, tradizione cinematografica che si avvicina alla realtà, riproduce il linguaggio quotidiano, con incursioni di varietà regionali o dialettali. Si sviluppa negli anni '50, proprio quando avviene l'unità linguistica italiana e molti abbandonano il dialetto, mentre lui, paradossalmente, costruisce situazioni mimetiche del parlato (finalità culturale dell'uso del parlato). L'uso di un linguaggio più vicino a quello del referente in ambito pubblicitario deve avvicinare il ricevente al prodotto. Uno sforzo di mimesi dell'oralità emerge a livello giornalistico dopo il grande successo della tv tramite le interviste; altre tracce dell'oralità nei giornali emergono dall’uso del neostandard, mentre tradizionalmente si usano forme vicine allo standard: presenta frasi scisse, focalizzazioni, colloquialismi lessicali, che formano il cosiddetto stile brillante, nato con il quotidiano “La Repubblica” (1976), che nasce con una volontà di innovazione del linguaggio. Esempio di questo stile è il “Buongiorno” di Gramellini, vicedirettore de “La Stampa”.
L’oralità è tipica anche dei siti web: mimesi realistica che vuole catturare il lettore (quotidiani on – line); oralità incontrollata e spontanea nei blog, social networks… : questa forma particolare di italiano è detta e –italiano.
Vi sono esempi limiti di oralità per cui si passa dall’oralità al trash linguistico (trivialità spinta, polemica insistita, rissa verbale), come “Uomini e donne”, “Il processo del lunedì”. Nonostante ciò, l’eccesso trasgressivo (allontanamento rispetto alla norma) è limitato, non può mettere in discussione la grammatica perché ci sono varietà che controbilanciano gli aspetti tendenti all’oralità: giornali – radio, TG, molte sezioni della stampa quotidiana, trasmissioni dall’intento culturale, ecc. Tutte queste restano legate ad un italiano colto. In definitiva: marche dell’oralità contenute e controllate.

27/03/2013
Pluralità di codici e registri
I media propongono sottocodici di italiano in cui non c’è una finalità di conservazione linguistica (no purismo), anzi, si apprezzano varie innovazioni. Limitandoci al lessico:

  • Stranierismi: vere parole straniere; giungono a noi da lingue straniere pur magari derivando dal latino e sono soprattutto anglicismi. Questo fenomeno inizia nella seconda metà del ‘900, dopo la caduta del fascismo (che proibiva parole straniere): esse si trovavano soprattutto nei quotidiani.
    • Decreto legge 11/02/1923: il regime tassa insegne commerciali straniere; prima mossa verso l’autarchia linguistica (chiusura dell’italiano)
    • Decreto legge 23/12/1940: divieto utilizzo “parola straniera” anche nel quotidiano
    • Decreto legge 05/10/1933: doppiatura il italiano di tutti i film importati, per evitare anche l’ascolto della lingua straniera. Questo decreto lascia tracce ancora oggi: la Spagna ha una storia simile per la dittatura.

Gli stranierismi sono presenti in tutti i mezzi di comunicazione di massa: nell’ultimo anno la vita politica è stata scandita da alcuni termini come “choosy” o “spending review”, oppure “endorcement” (appoggio di un politico ad un altro, dal latino dorsum, su cui si firmava per dare il proprio appoggio. Cavallo di ritorno: dal latino all’inglese a noi). Anche termini della TV come audience o zapping (falso anglicismo), fenomeno che nasce con il successo dell’inglese e sono o parole inglesi risemantizzate in italiano o parole non inglesi che lo richiamano (footing). Settore privilegiato in questo senso è il web, il cui gergo è l’inglese. Es.: “spam”, pseudo anglicismo, perché è il nome di una casa produttrice di carne in scatole, che, presente con cadenza martellante nella TV inglese, fu sottoposta a un processo satirico da un gruppo comico inglese. Da qui è noto il significato di spam come “messaggio indesiderato”. Sono presenti anche stranierismi in ambito pubblicitario. L’uso così massiccio di stranierismi è dovuto alla natura dei temi, che i media vogliono unificare.

  • Anche i neologismi nascono soprattutto dai media. Esempio del secondo caso di neologismi: l’accezione di “stella” come diva è un calco semantico dell’inglese “star”, che ha questo significato dalla fine dell’800. Si diffonde con successo, dopo la guerra, grazie ai film di Hollywood. Un caso simile è quello di “velina”, neologismo semantico: il suo primo significato è quello di carta velina; in ambito giornalistico, la velina che quel documento giornalistico che le agenzie del regime inviavano agli organi di stampa; così la velina diventa colei che porta la notizia in un telegiornale satirico (la parola nasce nel ’90). Da velina si formano poi vari termini, come “letterina, letteronza, meteorina, velona,…”. Altro neologismo semantico è “confessionale”, parola che esiste dalla seconda metà del ‘400 come luogo di confessione dei peccati, oggi usata nel Grande Fratello. Casi recenti di neologismi puri diffusi dai media: esodato, grillino, rottamatore, bunga – bunga, femminicidio (lemmatizzato nello Zingarelli 2012, una delle parole dell’anno), tutti di ambito giornalistico. Dallo Zingarelli 2013: barbatrucco, emo, apericena, cinepanettone, chupito… Non tutte le parole nuove dell’italiano avranno fortuna e lunga vita: sono i cosiddetti neologismi di una settimana o neologismi di una stagione, nati in ambiti particolari.
  • Regionalismi: si diffondono su scala nazionale spesso grazie all’uso che ne fanno i media. La loro presenza è scarsa nella stampa, ed è più presente nei quotidiani regionali o nel quotidiano “La Padania” per i suoi obiettivi politici. Sono molto vivi al cinema e in tv, con il cosiddetto Neorealismo, cioè la riscoperta degli italiani regionali e dei dialetti per una rappresentazione accurata e verosimile della vita quotidiana e del parlato di tutti i giorni. Ciò implica una reazione alla stagione fascista precedente, che proibiva le lingue straniere e i dialetti (il che porta a una degenerazione dell’italiano, mentre si voleva riavvicinarsi al latino classico, molto forte il mito di Roma). Tra le varietà più fortunate in questo ambito c’è il romanesco, ma anche il primo Benigni, Troisi (napoletano), Aldo, Giovanni e Giacomo (siciliano in opposizione al milanese, suscita effetto comico).
  • Dialetto: a partire dalla seconda metà del ‘900 subisce un processo di decadimento inesorabile e questo si riflesse anche sui media; assente nella stampa, assente nel cinema per ragioni commerciali (non avrebbe successo, lo capirebbero solo quelli del luogo), ma sopravvive nella canzone (De Andrè, 99 Posse..) per finalità culturale o opposizione sociale e nella pubblicità in maniera sporadica; è sentito come marchio di genuinità del prodotto e rimanda alle antiche tradizioni (“pummarola napoletana”).

Uno specchio a due raggi
In generale si può dire che le lingue dei media rappresentano uno specchio di usi linguistici comuni perché devono arrivare a un pubblico ampio. È una lingua media che non ha né picchi verso l’alto né verso il basso, con una prevalenza di tratti vicini alla medietà degli usi contemporanei (picchi verso l’alto: documentari, ma anche cartoni, programmi per ragazzi, o con finalità didattiche [Biancaneve: lingua del ‘700]).

  • Meriti: hanno influito su usi linguistici ed evoluzione dell’italiano contemporaneo. Hanno avuto un ruolo determinante nel processo di unificazione linguistica, che senza la tv sarebbe stato più lento. Anche gli altri media hanno contribuito, in maniera meno netta, a far conoscere l’italiano (promotore della coscienza) e il primo a notare l’importanza della tv fu Tullio De Mauro, nove anni dopo l’invenzione della televisione.
  • Espressioni a partire a titoli di film: Amarcord, al di sopra di ogni sospetto, l’attimo fuggente, gioventù bruciata, incontri ravvicinati, viale del tramonto.
  • Espressioni a partire da personaggi cinematografici o televisivi: Paparazzo (dal fotografo impertinente de “La Dolce Vita” di Fellini), Fantozzi, attapirato.
  • Stereotipi dell’informazione radiotelevisiva e giornalistica: tunnel della droga, anni di piombo
  • Testi delle canzoni: vita spericolata
  • La pubblicità: sottiletta, lavato con Perlana.

I principali meriti quindi sono:

  • sollecitare il desiderio di impadronirsi dell’italiano
  • avvicinamento e avviamento alle lingue straniere
  • funzione metalinguistica: il plurilinguismo (solo fascia più colta)
  • Demeriti: a seconda delle finalità che ciascun medium ha, ci sono varie varietà di italiano e ciò può creare confusione nello spettatore con istruzione non elevata (Ilaria Bonomi, che è stata presidente dell’Accademia della Crusca, dice che il problema non sta nella ricezione della lingua, ma quando l’utente la deve riprodurre e percepisce i vari registri come un unico corpus). Promozione controllata di stereotipi e luoghi comuni, consumati dai media e usati con indebolimento semantico; si usano parole molto forti in riferimento a fatti non così forti (agghiacciante, atroce, sgomento…);  riproduzione meccanica di associazioni di parole (netto rifiuto, secca smentita); frasi fatte (operazione chirurgica delicata); metafore. È una lingua di plastica, ripetitiva  e costellata di luoghi comuni e con questi stereotipi si impoveriscono le capacità espressive del parlante, spia di un impoverimento della psiche umana, non ci sforziamo di esprimere un concetto in maniera profonda e precisa, ma usiamo frasi fatte.

Per concludere
No processo ai media, ma i linguisti devono osservare la lingua e controllare l’uso di stereotipi, così come i traduttori, i mediatori linguistici,.., per generare un prodotto linguisticamente accettabile e controllarne la diffusione.


08/04/2013
PARTE II.1: FONDAMENTI DI DIALETTOLOGIA ITALIANA

      • PREMESSA

 

(Cfr dialetto e lingua: preliminari di metodo)
Il repertorio dialettale italiano non conosce paralleli altrove. La grande frammentazione vernacolare nel dominio linguistico italo – romanzo esiste già nel basso Medioevo, con le prime attestazioni scritte dell’italiano. Testimonianze certe della frammentazione vernacolare esistono già in tarda epoca latina, e le varietà corrispondevano alle regiones di Augusto.
Se prendiamo il “De vulgari Eloquentia” di Dante, e le 14 varietà dialettali che individua, queste non si differenziano molto dai dialetti di oggi; parla molto bene del volgare toscano, siciliano e bolognese, mentre definisce “volgari bruttissimi” quello lombardo e quello piemontese. Per spiegare queste differenziazioni esistono varie teorie:

  • La teoria preistorica: scuola capitanata dal glottologo Mario Alimei, per il quale è possibile individuare la nascita dell’indoeuropeo nel Paleolitico, tra il 33000 e il 9000. Tra il Mesolitico e il Paleolitico (9000 – 5000) sostiene che vi fosse in Italia questa differenziazione. Teoria da scartare perché non ci sono prove.
  • La teoria del “sostrato”: fa riferimento alle “lingue di sostrato”, parlate in Italia prima del latino. La differenziazione dialettale sarebbe data dall’influsso di queste lingue sul latino.
  • La teoria del “superstrato”: lingue intervenute dopo il latino, cl quale hanno convissuto per decessi o secoli e sono giunte con le invasioni; lo influenzano senza cancellarlo. È la teoria più autorevole, ma è un ragionamento superficiale perché ogni ragione ha poi la sua situazione.
      • LATINO, ITALIANO, DIALETTI

 

Prima di Roma
Scarse notizie sul popolamento dell’Italia prima dei Romani. Sappiamo che vi erano gruppi etnici con lingue in parte imparentate, in parte diverse. La teoria classica prevede due fasi del popolamento italiano prima di Roma:

  • Prima andata di migrazioni (IV – II millennio a.C.): popoli di stirpe “mediterranea”, come Liguri, Retii, Sardi, Piceni, Etruschi, Sicani…
  • Seconda ondata (II millennio a.C.): popolazioni indoeuropee dell’Europa centro – orientale, come Celti, Greci, Latini, Siculi…

Durante l’Impero Romano
L’espansione romana si colloca a metà del I millennio. I latini devono interagire con i “Mediterranei”, riusciti a sopravvivere agli indoeuropei, e con gli indoeuropei. Entrano quindi in contatto con le lingue indoeuropee che condividono tratti morfologici e lessicali simili a loro (greci, celti, veneti) e con lingue totalmente differenti (mediterranei). Si formano per questo motivo latini differenti e i mediterranei vengono chiamati pre – indoeuropei. Distribuzione lingue sul territorio (500 a.C.):

  • Piemonte, valli alpine occ., Liguria, parte Lombardia ed Emilia: Liguri
  • Toscana, parte Emilia, Umbria, alto Lazio, Campania sett.: Etruschi
  • Sicilia occ: Elimi e Siciliani
  • Sardegna: Sardi (forse affinità con Etruschi: questo spiegherebbe come mai è simile al toscano trecentesco)

Varietà del latino e “romanizzazione”
Derivano dal latino le lingue romanze e i dialetti.  Ma allora perché data una lingua madre si è giunti a tale differenziazione?

  • Intanto, il latino si impone su un territorio in cui si parlavano già altre lingue, diverse etnie della Romània.
  • Non bisogna considerare il latino come una lingua fissa, perché possedeva varietà sulla base della geografia (> distanza, > differenza), e il latino parlato in un periodo è diverso da quello parlato in un altro periodo. Lo stile è differente: c’era latino letterario e colloquiale (“Epistulae ad familiares”, Cicerone). Il fattore socioculturale era diverso, il latino perfetto di Cicerone era diverso da quello dei legionari che occupavano i territori, di bassa cultura. I territori occupati prima dai Romani hanno subito una romanizzazione più intensa: il latino penetra in maniera forte. In altri territori occupati dopo (Sicilia, Piemonte) la romanizzazione è meno intensa quindi il latino penetra in modo meno forte.
  • Latino arcaico: VIII – II secolo a.C.
  • Latino preclassico: II secolo a.C. – prima metà I secolo a.C.
  • Latino classico: prima metà I secolo a.C. – 14 d.C.
  • Latino postclassico: 14 d.C. – II secolo d.C.
  • Latino tardo: II secolo d.C. – VIII secolo d.C.

Implicazioni etnico – geografiche
Influenze linguistiche determinate da popolazioni entrate in contatto col latino. Dobbiamo prendere in considerazione tre implicazioni:

  • sostrato: italico, etrusco, ligure, celtico…
  • superstrato: germanico e arabo
  • adstrato: greco, lingua più prestigiosa culturalmente e linguisticamente, quindi entrano molto prestiti linguistici in latino (soprattutto ecclesiastici) pur senza contatto diretto

Il sostrato
È quel complesso di condizioni etnico – linguistiche anteriori alla romanizzazione che, attraverso la fase di bilinguismo, e per la tenacia delle abitudini, ha reagito al latino. Esempi: in latino classico non esisteva la fricativa “f” intervocalica e la sua presenza in certe parole è data dall’influenza del sostrato italico osco – umbro (tufo, bufalo, zufolare). Al sostrato etrusco sono riconducibili i suffissi, -na, -ena, -enna, -ina (Porsenna, Ravenna), e anche la “gorgia” toscana. Al sostrato ligure sono riconducibili e suffissi –asco e –asca, diffusi soprattutto per i toponimi del Piemonte, della Lombardia e dell’Emilia (Cherasco, Grugliasco, Valle Anzasca; negli etnici bergamasco, comasco e monegasco).
Evidente l’influenza del sostrato celtico a cui si riconducono fenomeni tipici del francese.

  • Fonetica: passaggio di a tonica ad “è” (patrem > père)
  • Morfologia: sistema vigesimale (fr. Quatre – vingt.)
  • Lessico: introduzione di parole del tutto celtiche che entrano nel francese e poi altre lingue romanze:
  • Carrus (carro a 4 ruote usato per il trasporto delle merci) > italiano e spagnolo carro, francese char.
  • Cerevisio (birra) > francese antico cervoise, spagnolo cerveza
  • Camisia > italiano camicia, francese chemise, spagnolo camisa
  • Braca > italiano braca, francese braies, spagnolo braga
  • Gunna > italiano gonna, francese antico gonnè

Il superstrato
Insieme degli elementi etnico – linguistici venuti a sovrapporsi, in epoche successive, alle condizioni risultanti della romanizzazione. Questi elementi non sono riusciti a sopraffare o cancellare il latino adottato dalla popolazione, ma hanno contribuito a modificarlo. Gli unici due ceppi di superstrato sono germanico e arabo.

LE INVASIONI GERMANICHE

  • 425 d.C.: i Visigoti fondano in Gallia un regno con capitale Tolosa.
  • 443 d.C.: i Burgundi si insediano lungo il medio corpo del Rodano e intorno al lago di Ginevra
  • 486 d.C.: i Franchi si stabiliscono nelle regioni a Nord della Loira
  • 517 d.C.: i Franchi sconfiggono i Visigoti, che si ritirano nella penisola iberica fino al 711 d.C.)
  • 510-536 d.C.: dominio degli Ostrogoti d’Italia in Provenza.
  • 568 d.C.: i Longobardi occupano il nord e il centro Italia.

INFLUENZA DEL SUPERSTRATO GERMANICO
Fonetica
“h” aspirata in francese (la hache, haut)

Lessico

  • Guerra: it. guerra < *WERRA; it. spia < got. SPEHA; it. elmo < got. HILMS; it. tregua < germ. TRIUWA.; “guerra” sostituisce “bellum” anche nel concetto di guerra, lo scontro diventa molto più fisico, non con eserciti schierati;
  • Istituzioni politiche, sociali, giudiziarie: it. bandire < got. BANDVJAN; it. siniscalco, fr. sénéchal < germ. SINISKALK;
  • Caccia: it. bracco <germ. BRAKKO;
  • Edilizia: it. loggia < germ. LAUBJA (piemontese “lobbia” = balcone);
  • Vita domestica: it. tovaglia  < germ. THWAHLJA; it. fiasco < francone FLASKA; it. spiedo < got. SPIUTS; it. sguattero < long. *WATHARI, it. brodo < germ. BROD; it. arrostire < germ. RAUSTJAN; it. zuppa, germ. SUPPA.
  • Abbigliamento: it. guanto < francone WANT; it. scarpa < germ. SKARPA, it. nastro < germ. NASTILO.

09/04/2013

  • Parti del corpo: it. fianco < franc. HLANKA; it. schiena < franc. SKINA; it. anca < germ. HANKA. In latino non c’erano nomi per designarle, in germanico sì perché, nel modo più fisico di fare la guerra, erano le parti più colpite;
  • Aggettivi: it. bianco < germ. BLANK; it. bruno < germ. BRUN; it. biondo < germ. BLUND; it. franco < franc. FRANK ‘libero’. Furono introdotti per distinguere la carnagione e i capelli dei popoli germanici da quelli latini;
  • Antroponimi: BERNHART > Bernardo, REGINHART > Renart;
  • Nomi comuni: it. bastardo, ribaldo, codardo (e quasi tutte quelle parole con desinenze in –ard/-ald).

Introdotte poco meno di un migliaio di parole con queste invasioni tra V/IV – VII secolo d.C.

LA DOMINAZIONE ARABA
Cambia in Italia da regione a regione e da paese a paese in ambito romanzo. Il condottiero Tariq giunge nel 711 in Spagna, occupando poi quasi tutta la penisola iberica fino al 1492.
GLI ARABISMI
In questi sette secoli: 4000 parole nel lessico spagnolo; presenza intensa. In Sicilia, la dominazione araba è più corta e meno intensa (827 – 1090), e introduce 400 arabismo nel lessico siciliano, che sopravvivono come dialettismi. In italiano, ci sono circa 1 migliaio di arabismi risalenti all’epoca (no parole recenti come Jihad), arrivati con contatto in Spagna e nei Paesi Arabi (repubbliche marinare)
INFLUENZA ARABA NEL LESSICO

  • Scienza (influssi arabi in matematica, astrologia e filosofia, grazie alle traduzioni di Aristotele): AL- ĞABR ‘riduzione’ > it. algebra; AL-MANĀH > it. almanacco;AL-KĪMĪYĀ ‘pietra filosofale’ > it. alchimia; AL-IKSĪR ‘pietra filosofale’ > it. elisir.
  • Commercio: AL-MAHZAN ‘deposito, granaio’ > it. magazzino; TARÎF ‘avviso’ > it. tariffa; TAKWIM ‘ordine, conto’ > it. taccuino. Subentrano tecniche di commercio arabe.
  • Industria: ANBAR > it. ambra; TALK > it. talco; KĀFŪR > it. canfora; ZEIT ‘olio’ > sp. aceite; ZUM ‘succo di frutta’ > sp. zumo; AL-AMBIQ > it. alambicco.
  • Amministrazione: KABĀLA ‘imposta’ > it. gabella; DĪWĀN ‘registro delle merci in transito’ > it. Dogana, ma anche divano, perché era un luogo di transito su cui si perdeva molto tempo.
  • Abbigliamento: BÂBUSCH > it. babbuccia; (it. ciabatta?) G’UBBA ‘veste di cotone’ > it. giubba.
  • Esercito: AMĪR ‘comandante’ > it. ammiraglio. Di meno, rispetto a quelli germanici, perché lasciarono libertà culturale ai Paesi dominantri
  • Flora e fauna: ALBARKŪK> it. albicocco; HARŠŪF > it. carciofo; TAMR HINDI ‘dattero dell’India’ > it., sp. tamarindo; ZA’FARĀN > it. zafferano; SUKKAR > it. zucchero; ZURAFA > it. giraffa.

TOPONOMASTICA

  • Sp. Alcalá <  QAL’A ‘castello, fortezza’ (it. Calatafimi, Caltagirone < QAL’AT AL-GĪRĀN ‘castello delle grotte’)
  • Sp. Gibraltar >  ĞEBEL TĀRIQ‘monte di Tariq’; it. Mongibello ‘Etna’ (Monte è un termine latino, gibello deriva da gebel, (monte – monte; è una dittologia, cioè due parole che creano un composto di stesso significato)
  • Idronimi composti con guad- < WĀD(I) ‘fiume, valle’: sp. Guadalquivir < WĀDI AL KABĪR ‘il fiume grande’; Guadalupe < WĀDI + lat. LŬPUS, Guadalmedina < WĀDI + MADĪNA ‘città’.

Il latino volgare
C’era un latino classico letterario e uno effettivamente parlato, nei secoli della latinità, nelle regioni soggette alla dominazione romana (“sermo cotidianus” di Cicerone), un latino”scorretto” che era parlato della Dacia (Romania) fino in Portogallo. Con il termine latino volgare si intende l’insieme delle varietà d’uso succedutesi e alternatesi nei diversi secoli, nelle diverse regioni, con diverse funzioni. E da questo latino che deriva l’italiano.

Fonti del latino volgare
Essendo una lingua parlata, mancano fonti dirette che testimonino la sua esistenza e la sua parentela con l’italiano. Però abbiamo:

  • Opere di grammatici: “Appendix probi” (fine III – inizio IV secolo), opera anonima conservata nel monastero di Bobbio (Piacenza) in un testo manoscritto dell’ VIII secolo. È una lista su due colonne di 227 parole in ordine alfabetico: sulla prima colonna ci sono termini corretti in latino classico, sulla seconda, a destra, ci sono le parole sbagliate del latino volgare, probabilmente redatta da un maestro che sentiva pronunciare la parola errata dai suoi studenti e voleva correggerli. Es:
  • masculus non masclus
  • speculum non speclum
  • auris non oricla
  • sucrus non socra
  • nurus non nura
    • Autori latini: Plauto, Asinaria; Petronio, Satyricon; usano espressioni di latino volgare
    • Iscrizioni murarie: Pompei (i ricchi chiamavano “grafici” per iscrizioni d’amore sui muri), Ercolano, 62 d.C. – 79 d.C.; il Vesuvio ha salvato con la lava queste iscrizioni, posteriori al 62, quando vennero rase al suolo, e precedenti al 79 (eruzione)
    • Trattati tecnici: Vitruvio, De Architectura
    • Autori cristiani: Agostino, Gerolamo; la Vulgata(383-405), traduzione dell’Antico Testamento dall’ebraico in latino volgare, per renderlo comprensibile a tutti

Tra latino, latino volgare e volgari
I cambiamenti maggiori dal latino classico (alla base dell’italiano) sono:

    • Scomparsa della flessione nominale (declinazioni), differenza più grande fra latino e lingue romanze; scompaiono con la nascita delle lingue volgari
    • Introduzione degli articoli determinativi (< in latino volgare prende piede l’introduzione dell’aggettivo dimostrativo ILLE, ILLA, ILLUD (che funge da articolo ide): non “rosa pulcher flos est” ma “illa rosa pulcher flos est”.
    • “usura” o riduzione genetica: riduzione della consistenza fonetica delle parole, perché nella pronuncia affrettata del discorso orale si perdevano sillabe: est > è; illa > la, illo > lo… In francese questo fenomeno è molto forte: Solem sarebbe diventato so o sem, quindi per non far perdere troppe sillabe si fa solem + culum, soliculum “piccolo sole”, e si ha “soleil”. Stesso motivo per cui non diciamo frate ma fratello
    • Perdita della differenza tra vocali lunghe e brevi
    • Distinzione tra vocali aperte e chiuse
    • Crisi del futuro sintetico (latino classico amabo, monebo, legam), perso dopo la morte di Augusto perché aveva desinenze diverse per ogni persona. Viene sostituito dalle forme analitiche di futuro, infinito del verbo + presente di habeo: amerò = amare habeo “ho da amare”, forma che sopravvive nei dialetti del sud.
    • Forme analitiche di condizionale, infinito del verbo + perfetto/imperfetto indicativo di habeo (cfr toscano) amare habui lett.: “amare ebbi” > amerei (cfr francese/piemontese: amare + habebam > aimerais, ameria). In latino classico il condizionale non esisteva, ma era raggruppato nel congiuntivo.

Dal latino volgare ai volgari antichi

  • Perdita di potere dell’aristocrazia romana: il potere politico e culturale; era la classe da cui venivano i dotti. Quando perdono il potere a causa delle invasioni germaniche, viene meno il livello di istruzione e la classe media. A partire dal II secolo si vede che l’unica lingua utilizzata è il volgare (scrivevano poco)
  • Diffusione del cristianesimo: si diffonde dal II secolo d.C. e propone un modello linguistico basato sul latino volgare, per essere meglio compreso dai fedeli. Con ciò il latino classico scompare del tutto e quello volgare diventa punto di riferimento.
  • Invasioni germaniche

Questi fenomeni porteranno, a partire dall’ VIII secolo d.C. alle prime testimonianze delle lingue romanze e dei volgari italiani.

10/04/2013
Da questa eterogeneità di latini volgari si ha un’eterogeneità di “volgari” (italiano arcaico nelle sue diverse realizzazioni locali). Il primo “dialettologo” è Dante con “De vulgari eloquentia” (IX – XV), in cui si ha una puntualissima analisi delle caratteristiche delle varietà linguistiche presenti in Italia ai suoi tempi. Suddivide i dialetti non da Nord a Sud, ma da Est a Ovest, condannando quasi tutti i volgari (Roma, milanese, bergamasco, aquilese e istriano, sardo, ligure, lombardo [piemontese]). Salva il toscano, il siciliano e bolognese (in parte perché la scuola bolognese non lo usa)

I primi documenti in volgare
Tre gruppi fondamentali:

  • Testimonianze casuali spontanee: iscrizioni e graffiti
  • “L’indovinello veronese”
  • Documenti d’archivio: carte notarili e documenti processuali (unici in cui il volgare è usato intenzionalmente)

Il graffito della catacomba di Commodilla
Si trova a Roma, e fu inciso in un affresco del VII secolo. Nella cappella sotterranea della catacomba (cripta dei santi Felice e Adautto). È un luogo di culto fino al IX secolo e venne affrescata tra VII e IX secolo. “Non dicere ille secrita a bboce” (non dire i segreti a voce alta): è un indicazione ecclesiastica, dall’VIII secolo il canone liturgico prevede che le sezioni precedenti l’eucarestia siano recitate a bassa voce. È uno dei primi documenti italiani collocabili tra una veste liturgica latina e una italiana arcaica. So notano fenomeni fonologici tipici del romanesco, soprattutto “a bboce” (raddoppiamento fono sintattico -bb-). Questo vuol dire che, nel momento in cui i volgari iniziano a formarsi, presentavano già marcature dialettali del luogo. Altri due fenomeni romaneschi : “dicere”, infiniti verbali tipici dell’italiano centro – meridionale, e “secrita”, con non sonorizzazione di –c– e chiusura della –e–  in –i– tonica, fenomeno tipico dei dialetti centro – meridionali.

L’indovinello veronese
Collocabile tra fine VIII e inizio IX secolo d.C. Siamo più in ambito latino che volgare. Il manoscritto spagnolo che conteneva l’indovinello era nella biblioteca di Madrid, ma giunge a Verona già nell’VIII secolo: qui aggiungono due note in alto. “Se pareba boves alba pratalia araba & albo versorio teneba & negro semen seminaba” (spingeva innanzi i bui, arava il campo bianco e teneva un aratro bianco e seminava un seme nero). Fu risolto verso la fine dell’ ‘800 da una studentessa: allude all’atto della scrittura; l’unico elemento lessicale italiano è “versorio”, denominazione tipicamente veneta dell’aratro.

Il Placito capuano
È l’atto di nascita della lingua italiana: si tratta di un verbale di una causa giudiziaria, ed è l’insieme di quattro placiti redatti tra 960 e 963. Rodergrino d’Aquino aveva possedimenti presso il monastero di Montecassino, che rivendicava dicendo di occuparli da 30 anni e gli danno ragione perché l’occupazione trentennale scatta la proprietà. Fino al 1560 i documenti giudiziari erano in latino, ma qui si ha una cosa di “code switching” di una testimonianza (Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte S(an)c(t)i Benedicti ). Formula che ricorre quattro volte, si erano obbligati quattro testimoni a dire ciò. Si usa per distinguere testimonianze da processo e per ammonire gli altri, questa lingua la capivano tutti:

  • Sao/so (lat. Sapio)
  • Kelle /quelle (riduzione del nesso labio-velare “q” a velare “k” [kesto, kello])
  • Ki/qui
  • Contene (mancato dittonga mento tipico del volgare del centro – settentrionale)

Queste forme fanno capire la provenienza campana.

L’età carolingia
In questo periodo, i volgari italiani antichi acquisiscono spazi, funzioni, domini d’uso (anche letterari) che prima appartenevano al latino. In questo periodo anche “I giuramenti di Strasburgo” (primo documento francese). Si passa dal latino al volgare per:

  • Affermazione di società nuove, e, al loro interno, di nuove classi sociali.
  • Borghesia della finanza, del commercio e delle arti
  • Si sviluppano volgari diversi a seconda dei centri con la nascita di signorie e comuni, che erano molto autonomi (i comuni e la loro autonomia si riflettono sulle signorie).

I dialetti sono tutti collocati sullo stesso piano, e godono tutti dello stesso prestigio.

 

Il successo del toscano e la “questione della lingua”
A poco a poco,il toscano raggiunge quasi tutte le regioni italiane e gli altri volgari “retrocedono”. In fiorentino toscano scrivono Dante, Petrarca e Boccaccio, ma il fattore letterario ha un’importanza limitata, è circoscritto ai dotti. Vi sono altre ragioni politiche, economiche e culturali:

  • Politico: Firenze e le altre signorie toscane costituiscono presto Comuni e si sviluppano numerose e fiorenti attività mercantili e artigianali (XII secolo). Importanza politica di Firenze in Italia e in Europa nel ‘400, specie dopo la Pace di Lodi (1454, pace tra Venezia e Milano; limita le ambizioni dei vari Stati e favorisce il Rinascimento) e grazie a Lorenzo il Magnifico (garante dell’equilibrio).
  • Economico: forte influenza delle Comuni sulle aree rurali e consolidamento di un apparato istituzionale moderatamente orientato in senso statale. Importanti le corporazioni: patriziato che controllava le “arti maggiori”, la signoria dei Medici aveva un ruolo egemone. Fra fine XIII secolo e inizio XIV secolo si ha uno sviluppo straordinario dell’economia fiorentina: le banche fioriscono e il fiorino si espande in Europa
  • Culturale: da fine XII secolo al ‘500 si ha una concentrazione a Firenze di tutte le maggiori intelligenze creative europee (è il cuore dell’Umanesimo e del Rinascimento). Primato in ogni settore della letteratura (poesia: Lorenzo il Magnifico, Poliziano; prosa: Machiavelli, Leon Battista Alberti; scultura; pittura;  architettura)

Dal ‘400 si ha la supremazia “morale” di Firenze e della sua lingua sul resto della Toscana e poi al Sud. A sancire ciò è il rapido diffondersi della stampa (fine ‘400): editore di riferimento è il veneto Aldo Manuzio, che fonda l’Accademia aldina e nel 1494 la prima tipografia a Firenze. Norma fiorentina nella grammatica e nel lessico e volgare fiorentino più adeguato per la produzione letteraria ( Manuzio traduce testi fiorentini per insegnare l’italiano). Ma quale fiorentino? (Ve ne erano diverse varietà). Nasce un dibattito che si gioca intorno a tre possibilità:

    • Il modello trecentesco letterario e arcaico delle Tre Corone (Bembo)
    • La “lingua cortigiana”: integrazione fra modello trecentesco e gli apporti e arricchimenti provenienti dalle corti degli altri Stati italiani.
    • Il fiorentino contemporaneo del ‘500, è una lingua viva (Machiavelli)ù

Ha la meglio la lingua di Bembo, anche perché era amico di Manuzio (il fiorentino si forma tra 1300 e 1321). Le conseguenze di questa scelta sono capitali per la lingua italiana e per gli altri dialetti:

      • Blocco dello sviluppo “naturale” della lingua italiana per 4 secoli, fino a Manzoni.
      • Destinata solo alla produzione scritta e letteraria, non si afferma presso i ceti medi e popolari, i quali continuano a mantenere vivi i volgari italiani parlati e i dialetti.

Si ha dunque una lunga storia di lingua “elitaria, ingessata, scritta”.
Dal punto di vista sociolinguistico, in tutto il territorio italiano, presso tutti i ceti alfabetizzati, si ha la consapevolezza della distinzione fra lingua e volgari, i quali retrocedono al ruolo di “dialetti”, ma hanno una grande fortuna a livello orale nella comunicazione primaria. Strumento che contribuisce a elevare il fiorentino trecentesco è l’Accademia della Crusca (anche detta “brigata dei crusconi”, contrapposta alla pedanteria dell’Accademia fiorentina, con i suoi discorsi giocosi [cruscate]), che nasce nel 1582 a Firenze, da Leonardo Salviati, soprannominato “L’infortunato”, che separava “la forma dalla crusca”, la lingua parlata da quella letteraria, svolgendo il compito di una specie di “polizia linguistica”. Nel 1612 si ha la prima “impressione” del vocabolario (lingua nazionale), che opera una censura netta della lingua viva. Le eccezioni furono Galileo e la sua “prosa scientifica”, fondata tra la fine ‘500 e la prima parte del ‘600; Galileo propone la redazione in volgare e non in latino per permettere una diffusione capillare della scienza. Opta per l’italiano fiorentino della sua epoca, cioè per una lingua viva e aperta al parlato colto. Inventa parole come “Cannocchiale” (canna con occhiale) e “pendolo”, termini che non avevano corrispondenti in latino. Sul finire del XVIII secolo si ha una tripartizione:

  • parlato con differenze da comune a comune
  • scritto letterario, paludato e arcaicizzante
  • prosa scientifica più vivace, duttile, pragmatica, divulgativa.

15/04/2013
Nel dibattito linguistico, un ruolo fondamentale riveste Manzoni, che aveva notato come l’italiano della produzione letteraria nostrana dal ‘300 fosse una lingua quasi morta, molto simile al latino, soprattutto rispetto al francese. Quindi elabora una serie di riflessioni che lo portano a una soluzione prima solo letteraria: una varietà di lingua nazionale, cioè il fiorentino contemporaneo “vivo” (Machiavelli). Manzoni ha come primo obiettivo quello di costruire il romanzo di una nazione (primi germi dell’unità nazionale) e ciò deve essere evidente anche attraverso l’uso di una lingua nazionale per tutti.

  • 1821 – 1823: “Fermo e Lucia”, la lingua è influenzata da francese e lombardo, ma accantona questo progetto definendolo fallimentare
  • 1827: “I promessi sposi”, toglie i francesismi e i dialettismi lombardi usando il dizionario della Crusca e ottenendo una lingua simile al fiorentino trecentesco. Nello stesso anno visita Firenze e viene a contatto con il fiorentino parlato colto.
  • 1840: seconda edizione de “I promessi sposi”, la lingua è caratterizzata dal fiorentino vivo; buona parte degli autori seguiranno poi l’esempio di Manzoni.

Manzoni entra nel vivo della questione linguistica anche al di fuori della letteratura: le scuole hanno insegnanti radicati alla loro varietà dialettale ; propone di mandare maestri fiorentini ovunque, ma questo è un insuccesso perché nemmeno questi erano così preparati e per motivi di spostamento. Un linguista  contemporaneo, Ascoli, individua due difficoltà per questo progetto:

  • Scarsa circolazione dell’italiano nel corpo sociale (no istruzione obbligatoria)
  • Eccessivo culto per la forma (insegnamento fiorentino trecentesco)

Gli altri volgari/dialetti, intanto…
Ciascuna corte aveva una propria lingua volgare per l’oralità. Nella produzione scritta, due modelli si oppongono al toscano:

  • La koinè settentrionale (Sovrareg, Boiardo, Ariosto):
  • Accoglienza elementi alloglotti (corte di Ferrara, quindi francese)
  • Influenza del toscano
  • La koinè meridionale (Sannazzaro, Basile)
  • Basato sul toscano con evidenti elementi napoletani. Si innesta nel secolo XVI – XVII in relazione al “bembismo”, i cui risultati sono: le farse dell’Allione (dialetto astiano, no influenza toscana), la “Venexiana”, la “Pastorale” di Ruzante (padovano e bergamasco). Tra sette e ottocento si sviluppa una maggiore comunicazione tra gli intellettuali dell’autorevolezza del dialetto e ciò si riflette nella letteratura: il veneziano di Goldoni, il lombardo di Porta, il romanesco di Belli.

Lingue e dialetti nell’Italia unita
Sulla base di una ricerca compiuta da Tullio De Mauro nel 1963 (1° edizione “Storia linguistica dell’Italia unita”) si valuta che nel 1861 vi erano solo 600 mila italofoni (2,5%); la condizione linguistica standard era la dialettofonia e vi era poi un alto numero di analfabeti, che comunicavano a livello molto elementare anche in dialetto.
Arrigo Castelloni, toscano e purista della lingua, forzando un po’ le cose, dice che la percentuale di italofoni era del 10%, ma la comunità linguistica accetta l’ipotesi di De Mauro. Negli ultimi due decenni dell’ ‘800 si ha un lento e continuo processo di erosione della vitalità dei dialetti a favore dell’italiano per tre ragioni: scuola, emigrazioni, inurbamento


L’istruzione scolastica
1859: Legge Casati (ministro dell’istruzione) prevede l’istruzione gratuita nei quattro anni di scuola elementare e obbligo di frequenza dei primi due. Dal 1861 fuoriesce dal Regno di Sardegna e si estende a livello nazionale. Nonostante ciò, la percentuale degli studenti rimane bassissima, tanto che raggiunge picchi vicini allo 0% al Sud e nelle zone rurale e di montagna al Nord. Condizioni strutturali delle scuole pessime , a livello di edifici e organizzazione…

  • Gli insegnanti, inoltre, spesso erano analfabeti o con basso livello di istruzione e spiegavano in dialetto
  • Ulteriore problema: la Chiesa, che si oppone alla diffusione dell’italiano tra il popolo, ma doveva essere insegnato solo alle gerarchie più alte. Inoltre, laddove si potevano superare questi problemi, la scuola si porta due vizi:
  • Il purismo: tendenza ad insegnare l’italiano delle Tre Corone e quindi lotta contra il dialetto
  • Dialettofobia: il dialetto è il nemico dell’istruzione

L’urbanesimo
Fine ‘800 – prima metà ‘900: seconda rivoluzione industriale, fuga dalle campagne verso le città, con vita culturale più intensa e che proponeva modelli linguistici prestigiosi anche per l’incremento dell’istruzione. Abbandono delle lingue patrie per l’italiano

L’emigrazione
Stessi anni (fino al 1970) dal Sud e dal Veneto verso il Piemonte e la Lombardia. Fenomeni migratori, quindi, sia interni, che esterni (Argentina, Venezuela, USA, Canada), bisogna adeguarsi alla nuova realtà linguistica.  Dal Sud, una volta giunti al Nord, prima imparano il dialetto locale e poi l’italiano, che progressivamente diventa lingua di riferimento dei centri urbani (abbandonano il loro dialetto).
Questi immigrati erano soggetti a discriminazioni (costretti ad abbandonare il lavoro) e per evitare si staccano dal loro dialetto. Fattori importanti per la diffusione dell’italiano: stampa, cinema, radio, tv, servizio di leva obbligatorio e burocrazia.

Il dialetto oggi
Secondo dati ISTAT, il picco più altro della riduzione della dialettofonia, e conseguente incremento dell’italofonia si è avuto negli ultimi 30 – 32 anni. È legittimo, quindi, chiedersi, dato questo processo, se è imminente la fine dei dialetti. Diminuisce gente con competenza attiva ma dialettologia e linguistica salvaguardano il patrimonio dialettale di ogni regione, quindi il dialetto facilmente morirà. Altre entità della vita culturale  italiana vedono il dialetto come una risorsa culturale e, inoltre, presso i giovani si ha una nuova concezione del dialetto, non più come indice di scarsa istruzione, ma come risorsa espressiva, registro sub – standard che, se usato consapevolmente, può esprimere meglio dell’italiano certi concetti. Non è una riscoperta quantitativa, ma qualitativa, come risorsa espressiva accanto all’italiano. Alcuni partiti propongono istanze politiche tramite l’utilizzo “snobistico” e ideologico del dialetto in contrapposizione all’italiano


PARTE II.2: FONDAMENTI DI DIALETTOLOGIA ITALIANA

2. I DIALETTI D’ITALIA

Caratteristiche dei dialetti italiani
È molto difficile classificare e stabilire dove si possa individuare una “frontiera” dialettale che separi un’area dialettale dall’altra. Es.: da Torino a Rivoli c’è differenza nei dialetti, ma minima; andando avanti verso ovest, Avigliana, dialetto diverso da Rivoli, ma non così tanto da stabilire una frontiera. Questo per il concetto di “continuum” geografico, no grandi differenze tra dialetti di aree limitrofe (procedendo a ovest, dialetto di Torino molto diverso da quello di Bardonecchia). Due tedeschi venuti in Italia per approfondire gli studi di italiano e dialettologia hanno elaborato il concetto del continuum. Altro concetto fondamentale è l’“isoglossa”, che consente di porre  delle frontiere a livello macroregionale, strumento di cui si servono la geografia linguistica e dialettologica.

  • DEFINIZIONE: linea tracciata su una carta linguistica per segnare i confini di un’area in cui è presente uno stesso fenomeno.

Le proposte di classificazione
Linee immaginarie da La Spezia, Nord Toscana, fino ad Ancona. Linee immaginarie da Roma, attraverso gli Appennini fino ad Ancona. Sono fasci di isoglosse; vi sono una serie di fenomeni che esistono al di sopra della linea La Spezia – Rimini (o Ancona), che ne caratterizzano le parlate e le differenziano da quelle al di sotto della linea. Stesso discorso per la linea Roma – Ancona. In mezzo c’è la Toscana, parte dell’Umbria e parte del Lazio settentrionale.

16/04/2013
Metafora della tavolozza dei colori per descrivere il continuum, non c’è passaggio netto da una tinta all’altra. Per classificare il panorama dialettale ci sono due criteri:

  • criterio diacronico: si confrontano i dialetti o le varietà con il latino: alcuni sono più conservativi (Toscano in fonetica e morfosintassi è più fedele alle norme latine. Il dialetto lucano ha più tratti in comune con il rumeno che con l’italiano; analogo raffronto si può fare con il piemontese, più affine al catalano), e vicini ad essa, altri se ne sono allontanati.
  • criterio sincronico: confronto tra dialetti partendo dal toscano fiorentino come modello base.

Questi criteri furono seguiti fino a quando si afferma la geografia linguistica, che ha reso possibile un approccio più scientifico alla dialettologia.

I dialetti e la geografia linguistica
Scienza del linguaggio che studia la distribuzione dei fenomeni linguistici nello spazio; il suo obiettivo fondamentale è quello che descrive il fenomeno del mutamento linguistico e ne chiarisce modalità e cause. Si prende un oggetto, si fa un’indagine sulle denominazioni di questo, si inseriscono in una carta geografica e su studiano i risultati. È uno strumento imprescindibile per lo “studio della natura e delle leggi che regolano il perpetuo mutarsi del linguaggio”, studio della storia linguistica di un’area e studio scientifico dei dialetti

Gli Atlanti linguistici
Sono raccolte di carte geografiche mute sulle quali vengono inserite lemmi che fanno riferimento alle parole usate in diverse parti del territorio, dette carte linguistiche. Es.: insieme di carte riferite alla vita dei campi saranno raccolte in una raccolta sulla vita dei campi (stesso ambito semantico). Intervistano soprattutto anziani in cui è più radicato il dialetto. In Italia abbiamo due Atlanti linguistici:

  • AIS: K. Jaberg – J. Jud, Sprach- und Sachatlas Italiens und der italienischen Schweiz, 8 voll., 1928-1940 (indagine svolta su materiali raccolti nei primi decenni del Novecento);
  • ALI: M. Bartoli et alii, Atlante Linguistico Italiano, I-…, 1995-… (Redatto a Torino)

È un progetto in continuo sviluppo.

Le proposte di classificazione
Gerhard Rohlfs: padre della geografia linguistica, tra gli anni ’30 e ’40 individua fenomeni interessanti e ha il merito di studiare con un approccio scientifico i dialetti. Essendoci due fasci, ne deriva una classificazione tripartita dei dialetti italiani:

  • Dialetti settentrionali: sopra la linea La Spazia – Ancona
  • Dialetti meridionali: sotto la linea Roma – Ancona
  • Dialetti toscani e centrali: tra i due fasci di isoglosse

A Nord della linea La Spezia – Rimini

  • Lenizione occlusive sorde intervocaliche latine: sonorizzazione (lombardo fradel), spiratizzazione (piemontese cavej) o dileguo (caduta) dell’occlusiva (piemontese frel)
  • Degeminazione consonantica (riduzione intensità consonantica lunghe intervocaliche): italiano settentrionale capel (cappello), bala (palla), …
  • Esistenza di vocali turbate: piemontese mür ‘muro’, lombardo lögia ‘scrofa’;
  •  Tendenza all’uscita consonantica: italiano settentrionale mal, fratel, liber
  • Palatalizzazione del nesso consonantico latino –ct- (per influenza del sostrato celtico): torinese lait,lombardo  lacc ‘latte’

A Sud della Roma – Ancona
Escluse le aree meridionali estreme.

  • Metafonia: abruzzese mesë ‘mese’, misë ‘mesi’; si tratta del mutamento del timbro della vocale tonica per effetto della presenza a fine parola di una vocale chiusa
  • Risoluzione dei nessi consonantici mediante anaptissi vocalica (la vocale che etimologicamente non fa parte della parola ma viene inserita per facilitarne la pronuncia): tecnica > tècchenica
  • Assimilazione dei gruppi consonantici –nd-, -mb-: monno, monnezza; piommo ‘piombo’, ecc.
  • Posposizione in enclisi (di appoggio) dell’aggettivo possessivo nei nomi di parentela: napoletano fràteme ‘mio fratello’

Ancora sulla teoria delle isoglosse
Le isoglosse corrispondono, non a caso, a caratteristiche geomorfiche del nostro territorio e a ragioni storico – politiche e linguistiche. La linea La Spezia – Rimini è il primo segmento appenninico ed è il confine politico tra gli Stati pontifici e la Repubblica fiorentina (poi Granducato di Toscana). La linea Roma – Ancona è il “corridoio pontificio” (è la linea che individuava la zona franca che divideva le Marche settentrionali dalle meridionali) e che oggi corrisponde alla Via Salaria.
I problemi della tripartizione (aree che si differenziano dal gruppo a cui dovrebbero appartenere):

  • L’area veneta
  • Le estremità siculo – calabro – salentine
  • La Sardegna e la Corsica (dialetto toscano e genovese)

Anche Rohlfs si rese conto di questi problemi e decise che le sue aree dialettali preferite erano Calabria e Salento, su cui scrisse anche due dizionari

Altre proposte di classificazione
Per migliorare la classificazione della tripartizione ci furono proposte di glottologi e linguisti – dialettologi:

  • Devoto (1970): vuole integrare teoria isoglossa con il criterio della “distanza”, applicando il criterio diacronico e misurando la distanza dal toscano
  • G.B. Pellegrini (1977): rappresentazioni cartografiche che estendono le isoglosse anche a livello microregionale e si individuano così 5 sistemi linguistici
  • Ladino
  • Dialetti alto – italiani
  • Dialetti toscani (Toscana politica e Corsica)
  • Dialetti centro – meridionali (area meridionale mediana e estrema)
  • Sardo

17/04/2013
I dialetti settentrionali
Quelli sopra la linea La Spezia – Rimini sono:

  • Gallo – italici
  • Veneti
  • Ladini

Tratti comuni a tutte queste parlate (cfr. tratti delle parlate sopra la linea La Spezia – Rimini)e poi ciascuna parlata ha caratteri personali propri

Il pedemontano
È diverso dal piemontese, che indica la varietà parlata a Torino e diffusasi anche al di fuori dei suoi confini. Vi sono molte varietà di pedemontano: la varietà di riferimento fondamentale è il torinese (lett. dal ‘200) che si è diffuso in quasi tutta la zona pianeggiante pedemontana. Poi vi è l’alto piemontese, varietà meno colta, considerata “popolare”; varietà lanciaroli, e a Nord di questa varietà ci sono le varietà monferrine (dal margine estremo Est fino ai confini di Alessandria) e l’Alessandrino (no parte meridionale, dove si parlano dialetti liguri e emiliano – piacentino). A Nord abbiamo: canavesano (vicino al francese), biellese, valsusano (risentono delle varietà francoprovenzali e lombarde), vercellese e lombardo nella provincia di Novara. Lingue minoritarie: francoprovenzale, occitano, valzer (tedeschi svizzeri) e tedesco.
Il panorama è quindi piuttosto variegato. I tratti distintivi che caratterizzano la regione o la  distinguono dalle altre varietà settentrionali sono:

  • Faucalizzazione (il luogo di articolazione non arretra dal palato anteriore alle fauci)della consonante nasale intervocalica postonica (anche quando è in fine di parola): lün-a, lan-a (cfr. it. banca);
  • dittongamento di E chiusa lat.volg. in ej:TELA> tèila, MENSE> mèis, ecc. (ma CATENA> cadèn-a);
  • palatalizzazione di A tonica latina (es.: lat. MANDUCĀRE > tor. mangé; TELARIUM > tlé ‘telaio’).

Dal punto di vista lessicale: molti elementi galloromanzi (francese, provenzale,francoprovenzale), il cui importo inizia già nel XII secolo; il Piemonte è il tramite attraverso cui molti gallicismi entrano in Italia.

Cenni di storia linguistica del Piemonte moderno
Fin dall’epoca pre – latina, il Piemonte è stato territorio isolato rispetto a grandi centri di potere (Roma, Toscana, Milano, Venezia), ma è in posizione strategica di porta verso l’Europa, quindi territorio di conquista: infatti è stato abitato da liguri, celti, latini, popoli germanici ma anche da saraceni. Quindi già in periodo alto – medievale ha un panorama complesso, e ogni popolazione influenza il latino volgare qui parlato. Fin dal periodo preromano, si ha una grande divisione del territorio, ma a partire dal secolo XI i Savoia cercano di unificarlo, incontrando resistenze dai Comuni piemontesi (le più importanti erano quelle di Alessandria e Asti, cioè il Ducato di Monferrato), che hanno una loro realtà linguistica. Dall’epoca tardo – rinascimentale, esercitano la loro influenza anche altri comune, come quello di Milano, che conquista micro territori.

I due avvenimenti più importanti della storia moderna, attraverso i quali il Piemonte si avvicina all’assetto attuale:

  • trattati di Cateau – Cambresis (1559)
  • Pace di Utrecht

Dal 1713, la varietà torinese inizia ad affermarsi anche grazie al suo prestigio culturale (in piemontese scrive Alfiere) e diventa koinè regionale. Bisogna prendere in considerazione le minoranze linguistiche e il fatto che fino all’Unità d’Italia la lingua di riferimento era il francese.

  • 1840: Carlo Alberto stabilisce che, accanto al francese, nelle scuole venga insegnato l’italiano
  • 1848: l’italiano diventa la lingua delle Camere

Interessante fenomeno che si rivela dalla seconda metà del ‘900 è il rapporto tra dialetto e immigrati dal sud e dal nord – est, che cercavano di abbandonare la loro lingua di provenienza e di imparare il piemontese (a partire dagli immigrati di seconda generazione; allineamento linguistico e dialettale forte ). Oggi, al Nord, il Piemonte è la regione in cui il dialetto viene usato di meno (dopo la Liguria), ma è alto il numero di quelli che capiscono il dialetto locale, pur parlando l’italiano

I dialetti toscani e centrali
LA TOSCANA
Coincidenza tra fiorentino e italiano, ma vi sono suddivisioni interne, che non sono dialetti ma parlate vernacolari, tutte, però, riconducibili al toscano, e quindi all’italiano. Sono:

  • (Fiorentino)
  • Dialetti occidentali (lucchese, pistoiese)
  • Senese
  • Varietà aretino – chianine (Arezzo e Val di Chiana, a Sud di Siena)

Il tratto distintivo che unisce le parlate e le oppone al resto d’Italia è il sistema eptavocalico (7 vocali: a, e, i, o , u, ɛ, ɔ), differenza sentita già nel ‘200, tant’è che le parole potevano rimare e con ɛ, e o con ɔ.
Il Toscano è parlato anche in Corsica, soprattutto i dialetto pisani nell’area settentrionale, mentre l’area meridionale risente dell’influenza sarda. A Bonifacio si parlano dialetti di varietà ligure.
L’AREA MEDIANA

  • Umbria meridionale
  • Marche meridionali
  • Abruzzo (solo L’Aquila)
  • Lazio centro – settentrionale

Situazione a parte: dialetto di Roma, parlato fino a quando è diventata capitale; il romanesco apparteneva al ceppo meridionale ed è parlato fino a fine ‘400, poi scompare gradualmente.

I dialetti meridionali

  • Abruzzo adriatico (centro – meridionale)
  • Molise
  • Puglia
  • Campania
  • Calabria centro – settentrionale (no Reggio)

Il regno di Napoli mantiene omogeneità politica nel corso della storia e tutte le sue varietà hanno caratteristiche comuni (sotto la linea Roma – Ancona). Queste parlate del Regno di Napoli sono affini per il sostrato soprattutto nelle popolazioni osco – umbre (abitanti da Roma a Calabria settentrionale) per l’influenza che esercitavano sull’apprendimento del latino.
Tratti comuni ai dialetti meridionali:

  • Assimilazione
  • Ammutinamento delle vocali finali
  • Raddoppiamento fono sintattico
  • Apocope degli infiniti verbali
  • Posposizione del possessivo: italiano meridionale frateme, soreta, mugghierama,…
  • Accusativo preposizionale
  • Lessico: cfr. es. pugl. attane (< gr. attà ‘papà’), crai, mieru, ecc.;
  • Il frangimento: cfr. es. pugl. Canausa ‘Canosa’, farèinë ‘farina’;
  • Palatalizzazione adriatica di A: bar. mèrë ‘mare’.

I dialetti meridionali estremi
Si differenziano dai dialetti meridionali per una serie di fenomeni:

  • Conservazione consonanti finali
  • Posizione presostantivale del possessivo
  • Azione meno intensa della metafonesi e dell’assimilazione

Hanno tra loro tratti comuni:

  • sistema pentavocalico (< sic. <  gr. biz.): cfr. sic. filu, nivi, tila, tempu, suli, nuci, ecc.;
  • la retroflessione  (fenomeno fonetio che prevede il rivolgimento indietro della massa anteriore della lingua) di -LL- (< sic.): cfr. sic. beḍḍ(r)a, cavaḍḍ(r)u, coḍḍ(r)u, nuḍḍ(r)u, ecc.

Il Salento

  • Confini politici e storia: la Terra di Bari, la Terra d’Otranto;
  • La geomorfologia del territorio;
  • Una terra periferica, ponte con l’Oriente;
  • Tratti peculiari:
  • palatalizzazione delle labiovelari: lat. QUIS, QUEM > it. chi, che, salent. ci, ce;
  • passaggio del gruppo consonantico -STRUM a -sciu: masciu, mesciu ‘maestro’, fenescia ‘finestra’, ecc.
  • dittongamento: buenu, muertu, ecc. (salent. sett.)
  • epitesi(per evitare la terminazione tronca): tarant.  stoche ‘sto’, voche ‘vado’, brind. aqquai, addai ‘qua, là’, salent. sine, none ‘sì, no’.
  • l’“impopolarità” dell’infinito: salent. merid. oju ddòrmu ‘voglio dormire’, mi faci (cu) mmòru ‘mi fai morire’, ecc.

 

La Sicilia
Caratterizzazione linguistica unica perché riflette una storia regionale unica (VIII secolo a.C.: i Greci fondano Taormina, Catania,…). Dopo i latini vi furono dominazioni straniere numerosissime (arabi, normanni, angioini, spagnoli,…) e ciò ha dato vita a uno sviluppo dialettale diversificato. È la varietà più moderna del Sud, per la presenza di grecismi, arabismi, normannismi, catalinismi, castiglianismi (…) e per la grande crisi demografica di età normanna. Alcuni tratti specifici:

  • velarizzazione del nesso -LJ-: figghju, famigghja, ecc.;
  • particolari evoluzioni dei nessi FL- e PL-: ciumi ‘fiume’, cianu ‘piano’, ecc.;
  • l’allocuzione inversa.

Il lessico:

  • prestiti galloromanzi: accattari ‘comprare’, allumari ‘accendere’, custureri ‘sarto’, ecc.;
  • l’elemento iberico: sgarrari, spantari (< cat.); criata, manteca, cagghiari, capire ‘entrare, starci’ (< sp.), ecc.  

22/04/2013
Dal dialetto all’italiano
L’italiano ha un lessico composito: non tutte le parole sono di origine italiana, ma sono presenti numerosi forestierismi, da cui è derivato un arricchimento lessicale soprattutto nell’ultimo decennio.
Inoltre: 7000 dialettismi (oltre il 50% dopo l’Unità, addirittura quasi tutti dalla seconda metà del ‘900; quasi tutti sono definiti dialettismi “acclamati”, cioè lemmi, espressioni, locuzioni percepiti come italiani a tutti gli effetti, come far ridere i polli, fare un 48, essere nato con la camicia, mandare a quel paese…), che formano il serbatoio lessicali per la vita materiale (in riferimento a prodotti di attività dell’uomo tipici di una certa regione, come pizza), pratica, affettiva e per la ricerca espressiva.
Italiano: lingua fortemente letteraria, quindi ha parole solo per certi ambiti, non ha termini per parlare di ciò che non avviene nei libri. Ci sono settori particolarmente sensibili agli elementi dialettali: quello gastronomico (ogni regione ha i propri prodotti e quindi proprie denominazioni [tortellini/zampone/tagliatelle emiliane per il piemontese, panettone per il lombardo, mozzarella/pizza/vongola per il campano, cassata per il siciliano]), quello amministrativo (questore/questura per il piemontese, anagrafe/scontrino/catasto veneziano per il napoletano), quello dell’esercito e della malavita (mafia, camorra, ‘ndrangheta, pizzo, omertà…). Tra il X secolo e il 1861 solo 2386 dialettalismi entrarono nell’italiano.  Nell’ultimo decennio degli anni ’50 si ha un incremento dei dialettismi, perché in Italia vi erano migrazioni interne per il boom economico. Poi il dato cala, per poi rinascere negli anni ’80 con la tv. La metà dei dialettismi è di origine fiorentina, un migliaio di origine romanesca per cinema e letteratura, poi di origine veneta, lombarda, piemontese, siciliana e napoletana.
Si ha uno scarso apporto del calabrese: 9 parole vs 121 siciliane e solo 27 pugliesi. Maggiore influenza delle parlate settentrionali per il loro ruolo economico.


PARTE III: L’ITALIANO E LE ALTRE LINGUE

1. PER UN BREVE EXCURSUS SUL LESSICO ITALIANO

«Siamo, su questo pianeta, più di due miliardi e mezzo di persone, e in pratica ciascuno di noi è costantemente nell’atto di parlare o di ascoltare, di sentir parlare o di imparare a parlare. Nonostante tutto questo “universale brusio”, questo bla-bla sterminato […], nonostante tutto questo soltanto di rado ci sorprendiamo a riflettere sul nostro mondo di parole e su quello degli altri».
Considerazioni di filosofia del linguaggio del professor Beccaria:

  • la “potenza” della parola: plasma il pensiero dell’uomo e dà sentimenti
  • la “storia” della parola: contiene la storia del Paese a cui fa riferimento
  • la “società” della parola: rappresenta il contesto sociale in cui si sviluppa

Tutto ciò costituisce il lessico, patrimonio di una lingua.

Il lessico dell’italiano
Non è semplice dire quante parole abbia l’italiano; bisogna distinguere tra lessemi e forme: se consideriamo i primi, ovvero le parole inserite a lemma in un dizionario, oscillano tra le 210000 parole (1963 – 2009, “Grande dizionario della lingua italiana”) e le 260000 (9 volume, Tullio de Mauro, “Il grande dizionario dell’uso”). Invece le forme, cioè l’insieme delle parole dicibili e servibili in italiano, sono più di due milioni (es.: l’aggettivo bello ha un lessema ma quattro forme [bello/a/i/e]), con diverse forme anche a seconda della funzione morfologica. Esistono parole polirematiche, cioè agglomerati di parole formate da sostantivo + aggettivo, sostantivo + sostantivo, sostantivo + avverbio, che contano da come una parola dal punto di vista dei lessemi (bacio -> al bacio,…)

Quale italiano?
L’italiano è una lingua di cultura in cui sono presenti:

  • stratificazione sociale: competenza dei singoli; tra 80000 e 90000 unità per un individuo di istruzione medio – alta (laureato)
  • stratificazione storica: parole con continuità ininterrotta, altre tipiche di un periodo
  • stratificazione funzionale: a seconda degli ambiti d’uso.

Si dovrebbe parlare di parole dell’italiano o degli italiani (in riferimento alle varietà)?
Due dati curiosi: la metà dei verbi italiani presenti nel dizionario di De Mauro esisteva già tra il ‘200 e il ‘500, mentre l’80% di aggettivi e sostantivi si formano successivamente. Il verbo ha un’impalcatura antica, ma predisposta ad accogliere parole nuove.

La classificazione del lessico italiano

  • Vocabolario di base: circa 7000 lemmi. Si suddivide in:
    • Lessico “fondamentale”: 2000 parole o poco più che i parlanti italiani usano sempre nella conversazione quotidiana e occupano il 90% dei testi scritti e il 95% del parlato. Tra queste ci sono le preposizioni, gli articoli, le congiunzioni, gli avverbi e i verbi ausiliari, ma anche i verbi come “fare”, “andare”…
    • Lessico “di alto uso”: poco più di 2500 parole, comprese da tutti coloro che hanno un livello di istruzione medio – basso. Abbiamo verbi come “abbassare”, sostantivi come “alimento”, aggettivi come “africano”..
    • Lessico “di alta disponibilità”: tra le 2000 e le 2300 parole che fanno riferimento a parole che può accadere di non dire o non scrivere mai, ma sono legate ad azioni o a fatti quotidiani noti a tutti, come “accogliente”, “abbraccio”, “zampogna”.

Le prime due categorie si sono formate entro il 1500 e sono presenti già nella letteratura delle origini; la terza categoria contiene parole nuove dell’italiano, formatesi dal ‘500 in avanti (asciugacapelli, frigorifero…)

  • Vocabolario comune: 45000 lessemi compresi da chiunque abbia un’istruzione medio – alta. Sono parole esclusivamente italiane (no dialettismi o regionalismi) e non sono formate da tecnicismi, cioè parole del settore tecnico – scientifico. Sono esempi parole come “aromatico”, “vecchiaia”, “zittire”, “zelante”. L’insieme di vocabolario di base e vocabolario comune forma il vocabolario “corrente”, che comprende lemmi primi di sfumature regionali, stilistiche e settoriali.
  • Altre categorie:
    • Regionalismi: circa 5000 unità
    • Dialettismi: circa 7000 unità
    • Gergalismi: difficili da quantificare perché difficile è penetrarvi
    • Tecnicismi: circa 100000 unità, sono parole delle scienze, arti, agricoltura, sport… Rappresentano settori del lessico costantemente soggetti a innovazioni (soprattutto straniere)e non sono sempre conoscibili da chi ha un’istruzione alta. Sono anche voci letterarie non più in uso, ma utili per chi studia

La formazione del lessico italiano
Dal punto di vista del modo di formazione (da quali e in quali lingue) si distinguono tre grandi sezioni:

  • Latinismi, che possono aver avuto tradizione diretta o indiretta
  • neoformazioni o formazioni endogene italiane
  • forestierismi o esotismi

I latinismi

  • Diretti: lessemi derivanti ininterrottamente dal latino parlato in tutte le epoche (bottiglia, evoluzione diretta del latino butticella); sono attivate all’italiano per naturale evoluzione ereditaria dal latino, tra il 10% e il 15% del lessico globale, ma oltre il 50% del vocabolario di base, sono le parole più frequenti della nostra lingua.
  • Indiretti: sono i “cultismi”, non si sono formati per un processo naturale di evoluzione dal latino volgare a italiano, ma per azione degli Illuministi (XVI – XV), che nel Medioevo arricchiscono il lessico italiano con parole latine. Es.:biblioteca, cibo, cultura, influenza, manuale, materno, mensile, pensione, secolo, lavabo, agenda,…

Dal punto di vista morfologico, sono vicine al latino perché sono rimaste “coagulate” (lavabo [futuro 1° persone singolare] e agenda [gerundivo di ago] sono due latinismi puri). Anche queste parole hanno avuto un ruolo determinante per l’arricchimento del lessico

23/04/2013
Una parola continua ad essere in un dizionario anche quando cessa di essere utilizzata. Gli allotopi sono parole con lo stesso etimo ma forma diversa: una ha origine popolare e l’altra dotta, una ha una trafila continua, l’altra indiretta (angustia – angoscia, causa – cosa, disco (cultismo attestato dal 1550; indica il disco di cartilagine tra le vertebre) – desco (parola di origine popolare; indica il piano di appoggio), vizio – vezzo).

Neoformazioni italiane
Le parole che si formano in italiano attraversano un’aggiunta di prefisso o suffisso a latinismi o forestierismi già presenti nella lingua italiana. Ad esempio:

  • coppia > accoppiare > accoppiamento, ecc.:
  • alcool (parola derivata dall’arabo “tintura per sopracciglia”) > alcolista > alcolico > alcolizzato

Sono il 35% dei lessemi del vocabolario di base

 

Forestierismi
Nel 1785 Melchiorre Cesarotti scrive il “Saggio sopra la filosofia delle lingue”, in cui dice che “nessuna lingua è pura”: l’incontro linguistico è alla base del rinnovamento lessicale di una lingua ed è essenziale per la sua sopravvivenza. Anche Machiavelli, nel “Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua” (1524 – ‘25), dice che le parole che provengono da altre lingue vengono adattate morfologicamente alla lingua in cui entrano, il purismo è un’utopia.

I “purismi”
I prestiti esistono da quando è nato l’italiano, che ha sentito il bisogno di prendere parole da altre lingue per ampliare il lessico. Inizialmente questi erano prestiti di necessità, parole entrate per oggetti che non erano conosciuti. In reazione a ciò, si sviluppa la dottrina del purismo, che propina l’adesione linguistica intransigente a un solo canone linguistico (fiorentino trecentesco). Tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800, con la Rivoluzione francese e Napoleone, entrano i primi francesismi e nasce questa tendenza a voler difendere l’italiano, proponendo il fiorentino trecentesco. Un’altra grande manifestazione di purismo si ha con il fascismo (purismo: epoca di grandi scambi o nazionalismo)

Il regime fascista e la lotta al forestierismo
Nel 1938 viene dichiarato il “Purismo di Stato”, cioè viene evitato l’uso di parole straniere. Viene vietato l’uso nei nomi di esercizi pubblicitari, di merce trattata o commercializzata, insegne e pubblicità. Inoltre vengono italianizzati nomi proprio, cognomi, toponimi cono suono pseudo – straniero (Malàn, molto diffuso nelle vallate pinerolesi, diventa Malano)

L’Accademia d’Italia
Nasce tra il 1926 e il 1929 con lo scopo di proteggere la purezza della lingua e portare le nostre parole all’estero. È un’emanazione del regime in opposizione alla Crusca, che viene fatta chiudere (l’ultimo dizionario arriva alla lettera C). Tra il ’41 e il ’43, nel bollettino dell’Accademia, vengono pubblicati i “15 elenchi di esotismi”, che riportavano tutti i forestierismi e proponevano le sostituzioni. Ma vi sono parole insostituibili (bar, film, tennis), che vengono accettate. Altre vennero sottoposte ad adattamento grafico (suffè, bignè, ragù, ciac, vafer, valzer, vodca, brioscia, festivale,…).
Vi sono anche delle vere e proprie sostituzioni:yoghourt > latte bulgaro; garage > autorimessa; gin > gineprella; cocktail > arlecchino; caramella mou > tenerella; smoking > giacchetta da sera; cabriolet > trasformabile, ecc.
Alla fine del regime, le rivendicazioni delle zone di confine diventano più forti e aumentano il desiderio di appartenenza alla zona d’origine (area friulana > slava, Bolzano > tedesca,…)

Il “prestito” linguistico
Passaggio di una singola parola o locuzione da una lingua ad un’altra, fenomeno comune a tutte le lingue. “Prestito” è una definizione imperfetta, perché implica una restrizione che non avviene quasi mai e inoltre il prestito può avvenire anche dal dialetto, non solo da parole straniere

  • “Cavalli di ritorno”: l’italiano “diporto” passa al francese, poi all’inglese, dove diventa “sport” e torna a noi in questa forma.

Altre denominazioni
Essendo denominazione imperfetta si cercano alternative: una di queste è forestierismo, parole o locuzioni di origine straniera, denominate più integralmente prestiti integrali (jazz, top secret, desaparecido), o adattate alle strutture fono – morfologiche nella lingua, ma non ancora completamente naturalizzate, tanto che conservano il carattere straniero (menù). Altre proposte: barbarismo (connotazione svalutativa; lingua inferiore alla nostra), stranierismi, xenismi ed esotismi (oggi non è sinonimo degli altri: sono parole provenienti da lingue remote, con le quali manca il contatto culturale e con le quali, di conseguenza, non si stabiliscono veri e propri processi di interferenza. Spesso arrivano a noi tramite altre lingue [quelli dell’America Latina tramite spagnolo e portoghese] e fanno riferimento a cose concrete: usanza, oggetti, piante, animali di regioni lontane,… Più una lingua è vicina, maggiore è la profondità del prestito [giapponese: sushi, kimono; francese: socialismo, comunismo, che sono termini più astratti]).
Vi sono 250 che contribuiscono a creare forestierismi (francese, spagnolo, tedesco, inglese, russo).

Fattori linguistici del prestito
Sono dovuti all’azione del sostrato, al rapporto di superstrato e adstrato (francese ‘700 – ‘800; oggi inglese)

Fattori extralinguistici del testo

  • Rapporti culturali (anche letteratura, per molti secoli unico mezzo che consente il passaggio di parole, di solito portate oralmente dai mercanti).
  • Scambi economici
  • Invasioni

Il passaggio è più facile se più stretti sono i rapporti tra due lingue: molti francesismi, pochi iberismi.

Il fattore della “superiorità”
Fa riferimento alla superiorità di un Paese rispetto ad un altro, in settori e disciplina. Ad esempio, l’italiano è una lingua franca nelle arti e nella musica, soprattutto in riferimento ai secoli rinascimentali (XIV – XV); il francese è la lingua franca nell’ambito della moda e in ambito culinario; l’inglese in ambito sportivo e tecnologico.
La natura del rapporto è indicativa della qualità del prestito: per la sua superiorità istituzionale, la Francia ha portato parole più astratte.

La trasmissione del prestito

  • Il travaso lessicale avveniva in passato come conseguenza di uno spostamento fisico di persone (in ordine di importanza: guerre, commerci, pellegrinaggi, scoperte geografiche) e quindi oralmente, perciò chi sente una parola la riproduce più o meno bene e per una conseguenza naturale psicolinguistica tende ad adattarla alla propria lingua. Es: arancio (persiano), besciamella (francese), bistecca (inglese).
  • Dalla fine del XVIII secolo si ha una maggiore alfabetizzazione, e quindi un contatto culturale e una via scritta di trasmissione: il prestito inizia ad avere una forma più simile a quella originale anche perché ad usarlo sono gli intellettuali.
  • Oggi: dalla seconda metà del ‘900, cono il Villaggio globale e i mezzi di comunicazione di massa, hanno particolare fortuna i prestiti anglo – americani non adattati

29/04/2013
Suddivisione generale dei prestiti
Sulla base della necessità che le parole hanno o meno in una lingua, si hanno:

  • Prestiti di “necessità”: parole nuove perché fanno riferimento a una realtà che non esiste nella lingua in cui arriva. Sono soprattutto esotismi (nuove culture, nuove parole. Es.: boomerang [indigeni australiani], patata, arancio); maggiore è la distanza tra i popoli, maggiori sono i prestiti di necessità
  • Prestiti di “lusso” o di “moda”: parole che hanno un corrispondente nella lingua in cui arrivano. Oggi il fattore “moda” è alla base dei prestiti (offside, mister, penality; show, gossip, store,..)

Potenzialmente il prestito di necessità non esiste perché di fronte ad un oggetto nuovo posso inventare il nome che lo designi. Es.: il pomodoro, in Europa, si chiama tomate; l’Italia inventa questa parodia. Ci sono casi in cui la parola straniera davvero non è necessaria, ma viene ostentata per ragioni di (semi)prestigio (endorsement, mission, location, ecc.). Sono comunque parole nuove che rinnovano e arricchiscono il lessico italiano. Quindi la linguistica dovrebbe operare una distinzione differente:

  • Prestiti definitivi: rimangono nella lingua perché sono utili
  • Prestiti effimeri: cadono in disuso (cfr. la recessione dei francesismi sette – ottocenteschi)

Le tipologie del prestito
Dal punto di vista della forma, la parole straniera può avere tre forme morfologiche:

  • Prestiti integrali o non adattati: mantenuti almeno graficamente come nella lingua originale, al limite con variazioni di pronuncia (cocktail, boutique, mouse,…)
  • Prestiti adattati: molto diffusi fino a metà ‘900, parole non autoctone nella nostra lingua, ma perfettamente integrate e adattate a norme fonetiche e morfologiche della lingua d’arrivo (regalo [spagnolo], cugino, guerra [latino “verra”], sciovinismo [francese], stoccafisso [lingue nordiche, tramite inglese])
  • Calco: riproduzione con materiale della propria lingua di un modello straniero. Anche il calco è un forestierismo, perché deriva da un processo di traduzione; i calchi si dividono in:
    • Calco strutturale: traduzione letterale dei due elementi del composto (skyscraper = grattacielo; weekend = fine settimana; basketball = palla canestro; ancien regime = antico regime)
    • Calco semantico: si dà un nuovo significato ad una parola italiana già esistente per influenza traducente di un’altra lingua ( sito: “spazio informatico raggiungibile tramite Internet”; stella: “personaggio noto, divo”)

Classificazione per tipologia di contatto

  • Diretto: deriva da contatti ravvicinati per ragioni geografiche tra lingua modello e lingua replica. Caratterizza soprattutto le aree mistilingue sulla linea di confine. Ad esempio, gli iberismi arrivano attraverso la Francia
  • A distanza: attraverso rapporti occasionali, al di fuori di eventuali aree di contatto (esotismi, America Latina…)
  • Mediato: entra in una lingua replica da una lingua modello tramite un’altra lingua. Ad esempio, gli anglicismi del Medioevo fino a fine ‘800 ci arrivano dalla Francia. Anche i termini letterari (“Viaggio sentimentale” di Sterne, tradotto da Foscolo dal francese, “sentimentale” è anglicismo).

Integrazione e acclimatamento
In caso di prestiti definitivi, l’italiano, pur tentando di mantenere la struttura morfologica e fonetica della lingua d’origine, tendeva ad adattarmi alla sua lingua (questo fino a qualche anno fa). Bisogna però distinguere tra:

  • Prestiti acclimatati: riconosciuti come stranieri, ma considerati ormai parte della nostra lingua perché molto radicati (bar, film, sport,..)
  • Prestiti integrati: si può avere integrazione funzionale (categoria grammaticale, soprattutto per i falsi forestierismi) e formale (grafia, fonetica, morfologia) Cfr. il fonema inglese [ʌ] si pronuncia come a nel processo di integrazione : budget, trust, pick-up, ecc.

I linguisti, per quanto riguarda il plurale dei prestiti, consigliano di non farlo come nella lingua originale, ma di lasciarlo invariato come segno dell’avvenuto acclimatamento del prestito

Gli pseudo – forestierismi
Parole con aspetto straniero privo di modello alloglotto corrispondente.

  • Frequenti parole derivate da termini stranieri che non hanno corrispondente nella lingua d’origine (camionista, snobismo, sportivo,…)
  • Nomi propri stranieri passati a nomi comuni solo nella lingua ricevente (montgomery [antoponimo, cognome], scotch [eponimo, marchio generico],…)

Falsi forestierismi più nascosti sono: footing, smoking (in inglese smoking racket è la giacca per andare a fumare che usavano i signori a teatro. È una riduzione di sintagma), slip (forse slittamento semantico da to slip, che vuol dire “togliere velocemente”); non sono anglicismi, perché in inglese non esistono nel significato che diamo loro quotidianamente. Gli pseudo – anglicismi si formano perché il peso dell’inglese sull’italiano è molto forte, dalla parole inglese si applica un processo inglese per formare una nuova parola. Infatti sono attestati da fine Ottocento in avanti.

Analisi quantitativa
È arduo stabilire percentuale e frequenza dei prestiti. Alta variabilità a seconda di:

  • Settore di lingua: si potrebbero considerare italiano contemporaneo, italiano dell’800, italiano del Rinascimento.
  • Livello d’uso
  • Contesto comunicativo: es.: percentuale di anglicismi molto alta nel settore informatico, che però è inglese settoriale

I criteri per stabilire il confine tra forestierismi in via di integrazione e i prestiti integrati nella lingua sono:

    • analisi sui 500000 lemmi del vocabolario corrente: i forestierismi integrati sono più dei non integrati (quasi il 10%). Di questi, la metà sono francesismi, e un terzo sono anglicismi
    • indagine sui 4-5000 lemmi del lessico di alta frequenza (“fondamentale” è più frequente di “di alto uso”): i forestierismi integrati sono meno dell’1%, tra cui ci sono una ventina di anglicismi (come bar, basket, club, computer, fan, tennis,..), una decina di francesismi (blu, garage, hotel, moquette, …); irrilevante la presenza di forestierismi di altra origine. La lingua che ha maggiormente influito sull’italiano (escluso il latino) è il greco. In inglese i prestiti adattati (prima del ‘900) sono solo circa 2000, mentre in francese sono più di 3500.

30/04/2013
2. GLI ANGLICISMI IN ITALIANO

Attestazione del termine
Fenomeno che oggi non ha battute d’arresto perché si parte da un pregiudizio di fondo: l’apparente insostituibilità del prestito, in particolare degli anglicismi. Fino a fine ‘800 e all’inizio del ‘900, la presenza di anglicismi in italiano era scarsa: ciò si deve soprattutto alla scarsa somiglianza tra le due lingue; infatti era il francese a influenzare l’italiano (anche se oggi molti linguisti considerano l’inglese come un mix di germanico e latino). Poi non ci fu questo contatto ravvicinato per la maggiore distanza geografica. Gli anglicismi entrarono tardi e quasi sono per via scritta, come quotidiani e tradizioni letterarie, quindi mezzi culturali. Grande afflusso inglese dalla seconda metà del ‘900 attraverso il doppiaggio, tramite il quale arrivano anche termini quotidiani. La presenza dell’inglese nell’onomastica testimonia quanto sia radicato profondamente l’inglese nella nostra cultura. A partire dalla metà del XVIII secolo dilaga in Europa, dando il via alla cosiddetta “anglomania”: Baretti, sul giornale “La frusta letteraria”, nel 1764, invita ad usare l’inglese anche in contesti letterari. È un torinese anglofono che usa per la prima volta il termine anglicismo (da affiancare a francesismo). Altri termini sono: inglesismo (dal 1757), anglismo (secolo XX), angloamericanismo.

L’influenza inglese dal Medioevo al primo Novecento

    • Medioevo: prima fase di tradizione scritta dell’italiano antico. Pochissimi anglicismi, influsso irrilevante. Gli anglicismi adattati sono casi eccezionali tra XII e XIV secolo. Nel Duecento compaiono due termini:
  • Sterlini (dal 1211), plurale di sterlino (adattato come fiorino)
  • Stanforte (tessuto)

Nel Trecento, vengono importati termini inglesi in ambito commerciale dai mercanti veneziani: chierico “impiegato”, costuma “dogana”, feo “stipendio” (tutti tramite il francese).

    • Rinascimento: si rafforzano i rapporti tra ambasciata veneta e inglese, quindi influenza del lessico di politica, legge e amministrazione. No terminologia lessico comune:
  • Alto tradimento: “reato compiuto dal Presidente della Repubblica o da un militare contro lo Stato”
  • Camera stellata: “tribunale inglese che giudicava casi politici, in funzione dal 1487 al 1640”
  • Gran cancelliere: “alto magistrato che sovrintendeva a un cancelliere regio”

In questo periodo si verificò anche il fenomeno contrario, cioè italianismi in Inghilterra (teatro elisabettiano, Marlowe, Shakespeare,…). La lingua inglese gioca con il nome di Machiavelli: match-(d)evil (Machevill that evil none can match).
Da sottolineare, nel XVI secolo, il primo dizionario di J. Florio “A worlde of wordes”(1598), per far imparare l’italiano agli inglesi. Dal Seicento con la traduzione di Lorenzo Magalotti di “Paradise Lost” (John Milton) dal francese, la cultura inglese entra in Italia. 

    • Settecento: seconda Rivoluzione industriale, si istituisce in Inghilterra un nuovo sistema politico e istituzioni parlamentari (dopo 1642), l’impero coloniale, “mito americano”, prestigio culturale, scientifico e militare. Tutto ciò porta a un generale sentimento di ammirazione verso Inghilterra e America. Si scoprono i classici della letteratura inglese: i primi tradotti in italiano sono “Paradise Lost”, “I viaggi di Gulliver”, e le opere di Sterne. Giuseppe Baretti e i fratelli Verri operano a favore della cultura inglese: il primo con il dizionario bilingue del 1760, attraverso cui mostra l’interesse scientifico per apprendere l’inglese; i secondi attraverso la rivista letteraria “Il caffè”.

L’apporto lessicale
Nel ‘700 ci sono i primi consistenti nuclei di anglicismi. I settori più sensibili sono:

  • Vita politica e sociale
    • Prestiti integrali (bill “disegno di legge in Parlamento”, club “circolo politico”, pamphlet, humour)
    • Anglolatinismi (sono cavalli di ritorno), o calchi facilmente integrabili: autodeterminazione, coalizione, costituzione, legislatura, opposizione, ordine del giorno. Difficili da riconoscere perché sono integrati nella lingua e sottoposti ad adattamento
  • Commercio e navigazione: biglietto di banco, importare, brick, cutter
  • Moda, cibi, bevande: fumo di Londra, whiskey.
  • Aggettivi (riflesso di una presenza più forte dell’inglese nell’italiano): immorale, sentimentale (Sterne)
    • Ottocento: apporto inglese maggiore grazie alla diffusione della stampa e delle traduzioni letterarie (42 romanzi di Scotto e i principali di Dickens). Tradotte anche opere di tipo filosofico, storico, e scientifico; prestiti integrali in ambito politico (premier, leader, meeting) e adattati (assenteismo, non intervento, radicale,…). Lessico della vita mondana perché è il secolo di Wilde (dandy, fashion, festival). Secolo dello sviluppo tecnologico: mezzi di trasporto (rail, locomotiva, vagone, tunnel); bevande, gastronomia (gin, brandy, roast – beef)
    • Tra Otto e Novecento: modello inglese nello sviluppo dei settori lessicali “nuovi”:
  • Economia: boom, business, copyright, manager, marketing
  • Innovazioni tecnico – scientifiche: yacht, rompighiaccio, bus, clacson
  • Radio e cinema, quindi musica: cartoni animati, cast, film, set, jazz, swing
  • Sport: football, goal, cross, dribbling, offside > fuorigioco, tennis, ring
  • Vita quotidiana, costume sociale, professioni: barman, boss

 

Gli anglicismi dalla metà del Novecento ad oggi
Tra le Due Guerre e soprattutto dopo le Guerre Mondiali, cambia il ruolo del francese, che non fa più da tramite per far arrivare gli anglicismi e perde prestigio, quindi diminuisce l’attrattiva francese e aumenta quella inglese, soprattutto l’American English, tramite il cinema, letteratura (Hemingway) e la musica (rock). Diventa una lingua franca per le comunicazioni ufficiali tra gli Stati e gli Organi Interni, la lingua della ricerca scientifica e dei mass – media.
Dopo le Guerre si ha un picco dell’istruzione scolastica in Italia e in ambito accademico vi sono le prime pubblicazioni scientifiche in inglese

Gli anglicismi nella lingua comune
Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e con l’influenza dei mass – media, entrano in italiano prestiti integrali inglesi nel vocabolario di base e i prestiti si diffondono così anche nei ceti più bassi dove si ambientano rapidamente. Con l’omologazione tecnologica e informatica si ha un’ulteriore diffusione dell’inglese. Con la letteratura, i prestiti arrivarono con il mezzo grafico non si potevano riprodurre perfettamente nella pronuncia, poi ciò diventa possibile con musica, radio,…

I settori chiave

  • Cinema, televisione, informatica (cult, news, zapping, follower, tweet > *twit, twittare);
  • Pubblicità e marketing (sponsor, spot, testimonial);
  • Gergo giovanile (dark, punk, trip, overdose) e sportivo.
  • Scienza, economia, finanza.
  • La forza dei media nel processo di acclimatamento del prestito: slogan, film, notizie, pubblicità, ecc.

Il genere degli anglicismi
In inglese non c’è distinzione, vi sono vari criteri per stabilire il genere di sostantivo inglese:
5+1 fattori possibili:

  • Il genere naturale: vamp, girl
  • La forma (desinenza) della parola: -ion (relation) acquisisce sempre femminile, -ty è femminile
  • Significato della parola nel corrispondente d’arrivo
  • Predominanza di uno dei due generi nella lingua d’arrivo: l’italiano predilige il maschile
  • Tramite linguistico: riprendiamo genere che era stato dato dal francese
  • I fattori psicologici: film (femminile perché è legato a “pellicola”), pigiama (femminile perché termina in –a), la jeep, la coca – cola (inizialmente vista come maschile)

Vi sono parole “ermafrodite”:suspense, mail, emoticon

  • Perché la bistecca è femminile? Forse per analogia con “fettina, cotoletta”

06/05/2013
Aspetti linguistici
Influsso di una lingua sull’altra si nota soprattutto nei sostantivi, categoria di gran lunga più rappresentata. Ma influsso inglese si nota per la sua crescente pervasività:

  • Aggettivi: bipartisan, no global, no profit, trendy, cordless
  • Aggettivi sostantivati: i big
  • Avverbi interiezioni e fraseologismi: pay per view

L’acclimatamento oggi
Di fatto le lingue oggi hanno meno capacità di assimilazione, il forestierismo subisce un adattamento morfologico minimo per la crescente conoscenza delle lingue (> prestiti non adattati). Questo anche perché la parola straniera entra con la scrittura oppure con i media (può leggerla e ascoltarla). Può esserci compresenza di prestiti integrati e calchi: web/rete, scaricare/download, hacker/pirata…
Però assimilando un fonema dell’inglese a uno simile dell’italiano ne adattiamo la pronuncia. Il plurale dei prestiti non integrati non è segnalato, ed è un segno proprio dell’integrazione della parola nella lingua. (Euro: plurale invariato prevale nel dibattito tra linguisti, ma sarebbe logico dire due euri, giusto dal punto di vista morfologico perché non è prestito integrato ma parola pass - partou .

Effetti più profondi
Non solo interferenza lessicale dell’inglese ma anche:

  • Nella grafica: > impiego nell’ambito pubblicitario delle lettere non tradizionali k, x, y e usi iconici delle lettere (T-shirt; inversione a U, che deriva da U – turn)
  • Nella morfosintassi: i nuovi costrutti derivativi prefissoidali (co-, non-) e suffisoidali (-gate, -matic,)
  • sequenza determinante + determinato (lungodegente, sieropositivo, videodipendente);
  • tendenza all’abbreviazione e alle sigle;
  • impiego avverbiale degli aggettivi (pensa positivo);
  • ricorso alla co-disgiunzione e / o.

3. I FRANCESISMI IN ITALIANO
“Parole di origine francese che entrano in italiano”
Ma la Francia politica è costituita anche da occitano (occitanismi) e provenzale. Gallicismi: dal gallo romanzo a italiano.
Influsso francese fortissimo alle origini e poi dai primi decenni del ‘900 in forte calo per la crescita dell’inglese. Oggi nel nostro vocabolario di base, inglese e francese sono allo stesso livello quantitativo, ma l’inglese e destinato a crescere. Influenza per ragioni geografiche, di somiglianza tra le lingue (inizialmente i prestiti unilaterali nel Medioevo perché la Francia era modello culturale, istituzionale,…).
Picchi massimi:

  • il Duecento e la prima metà del Trecento;
  • dalla metà del Seicento ai primi decenni del Novecento, quando la Francia ha un ruolo dominante in Europa

Sono gruppi di parole > stratificati nel tempo e meglio mimetizzate nella nostra lingua perché i prestiti sono iniziati molto presto e si sono mantenuti a livelli alti.

Il periodo medievale
Primi riflessi francesi su italiano nell’epoca carolingia (IX – X) soprattutto su elementi germanici: entrano dal francese voci che derivano dal francone (bosco, feudo, conte, contea, cavaliere, vassallo, cameriere, cugino, mangiare [dovremmo avere “manducare”, usato in italiano antico], parlare, svegliarsi). La distribuzione geografica italiana dei primi francesismi in Italia corrisponde alla Via Francigena, che metteva in comunicazione Roma con la Francia fino a Santiago di Compostela, percorsa dai pellegrini e anche dai mercanti (passava per Lucca e Siena).

I secoli XIII – XIV
In vari ambiti della vita sociale:

  • Sistema nobiliare: barone, dama, leale, paladino, scudiere, ecc.;
  • Vita militare, caccia, svaghi aristocratici: bersaglio, bottino, freccia, giavellotto, messaggio, coniglio, daino, quaglia, giostra, torneo, ecc.;
  • Lessico quotidiano: burro, formaggio, giardino, cuscino, gioiello, torcia, tovaglia, danza e danzare, ecc.
  • In ambito letterario provenzale (trovatori) entrano cera, coraggio, gioia, noia, sollazzo, ecc.

Queste parole sono soprattutto al Sud, per i regno normanno (XI – XII) e angioino (fine XII – XV).
Scuola siciliana nasce fra impulso dei trovatori della Provenza ed è la prima scuola poetica italiana (Federico II, Giacomo da Lentini…)

Dal Rinascimento al Settecento
Nel XV e XVI secolo: inversione di polarità.
Dalla metà del XVII secolo: la gallomania, perché la Francia è modello in tutti i settori della vita aristocratica e borghese a livello europeo. Ampliamento degli ambiti di diffusione:

  • militare (arruolare, baionetta, barricata, carabiniere, ecc.);
  • abbigliamento (moda, cravatta, parrucchiere, stoffa, ecc.);
  • gastronomia (caffettiera, liquore, pasticceria, sciampagna, ecc.);
  • arredamento e vita domestica (ammobiliare, comò, persiana, sofà, tappezzare, ecc.);
  • lettere e arti (manierismo, ottimismo, progresso, tolleranza, genio, sensibilità e sensibile, spirito, ecc.);
  • politica, economia, filosofia (autorizzazione, gabinetto, aggiotaggio, empirismo, fanatismo, pregiudizio, ecc.);
  • le traduzioni scientifiche (analisi, congestione, decadenza, elettricità, erotico, progettare e progetto, ecc.).

Il periodo rivoluzionario (1796 – 1799)
Diffusione quasi capillare in Francia e Italia dei media (stampa quotidiana di uso propagandistico per i rivoluzionari per sensibilizzare i ceti popolari). Erano termini di propaganda, soprattutto giacobina e repubblicana: democrazia, eguaglianza, federalismo e federazione, funzionario, ghigliottina, giacobino, rivoluzionario, sovversivo, terrorismo e terrorista, destra e sinistra (come binomio polittico).

L’Ottocento e il primo Novecento
Gallomania fino a metà ‘900. Francese lingua internazionale per eccellenza, largo uso nei giornali, letteratura e intrattenimento e per la comunicazione ufficiale al Nord (fino al 1848 con lo Statuto Albertino). Per la prima volta prestiti integrali : bon ton, chic, débacle, deshabillé, élite, tête-à-tête, toilette, tour de force, ecc.
Periodo delle colonie, per questo parole importate da colonie francesi: ar. crumiro, lillà; turch. colbacco, sciacallo, tulipano; russo zibellino; indiano scialle; lingue amerinde caucciù, colibrì, giaguaro; afric. scimpanzé.

Il “purismo del regime” e la censura
Sostituzioni con parole create ad hoc o già esistenti: garage e rimessa, hôtel e albergo, menu e carta o lista, omelette e frittata, nuance e sfumatura, notes e taccuino, réclame e pubblicità.
Sostituzioni che hanno successo, però parole francesi che entrano in questo periodo e mantengono una loro vitalità (cinema, autobus, camion, motocicletta, roulotte, taxi, carburante).

L’età contemporanea
Progressiva perdita di centralità del francese.

  • La politica: crescita zero, pluralismo e pluralista, presa di coscienza, qualità della vita, terzo mondo e terzomondista.
  • La moda: boutique, dépliant, moquette, fuseaux, prêt-à-porter, ecc.
  • La sostituzione con anglicismi: nécessaire > beauty-case, mannequin > top model, maquillage > make-up, équipe > team; festival.

 

Modalità del prestito
Fino al Settecento, prestiti adattati: gendarme gendarme, bijouterie bigiotteria; toilette toeletta.
Dall’Ottocento, prestiti integrali (con semplificazione fonetica): fr. menu /məˈny/ → menu /meˈnu/.
I calchi:

  • strutturali (parafulmine ← fr. parafoudre);
  • sintattici (colpo di fulmine, colpo di stato, luna di miele, ecc.);
  • semantici (traduzione del significato con una parola esistente che aveva un’altra accezione semantica) (coperto ‘posto a tavola’, direzione ‘insieme dei dirigenti’, effetti ‘capi di vestiario’).

Pseudo francesismi
Formazione intenzionale di parole che pretenderebbero di essere francesi ma non lo sono (effetto gallomania)
Es.: casquè ‘figura del tango’, prémaman, vitel tonné, ecc.
Per estensione indebita o specializzazione semantica:

  • caveau ‘spazio blindato di una banca’ (fr. ‘cantinetta, cripta’);
  • chiffon ‘stoffa leggera di seta’ (fr. ‘pezzo di tessuto logoro’);
  • frappé ‘bevanda di latte e ghiaccio’ (fr. ‘raffreddato con il ghiaccio’ agg.);
  • soubrette ‘stella del varietà’ (fr. ‘chi recita a teatro il ruolo della servetta’).

 

Fonte: http://www.appuntiunito.it/wp-content/uploads/2014/01/appunti-lezioni.doc

Sito web da visitare: http://www.appuntiunito.it

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