Ingegneria biomasse

Ingegneria biomasse

 

 

 

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Ingegneria biomasse

BIOMASSA

CHE COSA E’

Nel 2009 le biomasse hanno coperto il 10% circa del fabbisogno di energia nel mondo (International Energy Agency Key World Energy Statistics 2011). La vegetazione che copre il nostro pianeta è un magazzino naturale di energia solare. La materia organica di cui è composta si chiama biomassa. Le biomasse si producono nel processo di fotosintesi, durante il quale l'anidride carbonica atmosferica e l'acqua del suolo si combinano per produrre zuccheri, amido, cellulosa, lignina, sostanze proteiche, grassi, ecc. Nei legami chimici di queste sostanze è immagazzinata la stessa energia solare che ha attivato la fotosintesi. In questo modo vengono fissate complessivamente circa 2 x 1011 tonnellate di carbonio all’anno, con un contenuto energetico dell’ordine di 70 x 103 megatonnellate equivalenti di petrolio. 

 

DOVE SI TROVA

Le biomasse sono una delle fonti rinnovabili maggiormente disponibili sul nostro pianeta.Nel 2009 le biomasse hanno coperto il 10% circa del fabbisogno di energia nel mondo (International Energy Agency Key World Energy Statistics 2011). Il loro impiego, però, non è diffuso in maniera omogenea. Nei paesi in via di sviluppo, infatti, questa fonte di energia copre dal 34% al 40% del fabbisogno energetico complessivo. Al contrario, nei Paesi industrializzati il suo contributo è molto più modesto e le biomasse contribuiscono appena per il 3% agli usi energetici primari. In particolare gli Stati Uniti ricavano il 3,2% della propria energia dalle biomasse, l’Europa complessivamente il 3,5%. Eccezionalmente, in Svezia e Finlandia, bruciando gli scarti dell'industria forestale, viene prodotta una quantità di energia elettrica tale da coprire, rispettivamente, il 17% e il 15% del fabbisogno nazionale di energia elettrica. In Austria le biomasse coprono il 13% del fabbisogno elettrico nazionale. In Italia, invece, il contributo delle biomasse al bilancio energetico nazionale si limita al 2-3%. Tale distribuzione non tiene conto solo dell'attenzione e dell'impegno economico di alcuni paesi per la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie, ma anche della concreta disponibilità di terreni dove localizzare le "colture energetiche". Si è stimato, infatti, che nei Paesi sviluppati la sostituzione dei combustibili fossili con le biomasse richiederebbe la disponibilità di oltre 950 mega-ettari (milioni di ettari) di terreno da destinare alle colture energetiche. All’avanguardia nello sfruttamento delle biomasse come fonte energetica sono i Paesi del centro – nord Europa, che hanno installato grossi impianti di cogenerazione (produzione associata di energia elettrica e calore) e teleriscaldamento alimentati a biomasse. La Francia, che ha la più vasta superficie agricola in Europa, punta molto anche sulla produzione di biodiesel ed etanolo, per il cui impiego come combustibile ha adottato una politica di completa defiscalizzazione. La Gran Bretagna invece, ha sviluppato una produzione trascurabile di biocombustibili, ritenuti allo stato attuale antieconomici, e si è dedicata in particolare allo sviluppo di un vasto ed efficiente sistema di recupero del biogas dalle discariche, sia per usi termici sia elettrici. La Svezia e l’Austria, che contano su una lunga tradizione di utilizzo della legna da ardere, hanno continuato ad incrementare tale impiego sia per riscaldamento sia per teleriscaldamento, dando grande impulso alle piantagioni di bosco ceduo (salice, pioppo) che hanno rese 3-4 volte superiori alla media come fornitura di materia prima. L’Italia con i suoi 7.631 GWh si pone al 5° posto tra i paesi dell’UE15 per produzione da biomasse solide, rifiuti, biogas e bioliquidi. La Germania è il Paese dove nel 2009 la produzione è stata più alta e pari a 33.796 GWh. Gli altri seguono a distanza, in Svezia la produzione è stata pari a 11.122 GWh, in Gran Bretagna a 10.571 GWh (Fonte dati: Rinnovabili - rapporto statistico 2009, GSE pubblicato febbraio 2011) . 

 

A CHE COSA SERVE

Le principali applicazioni della biomassa sono: produzione di energia (biopower), sintesi di carburanti (biofuel) e sintesi di prodotti (bioproduct). In ambito energetico vengono utilizzate soprattutto le biomasse ligneo-cellulosiche (legname e sottoprodotti di colture erbacee, arboree e forestali), utilizzate come combustibile per diversi scopi: il riscaldamento domestico, la produzione di energia elettrica e gli usi industriali. Altri settori interessati alla lavorazione di questa materia prima sono: l'industria della carta, della cellulosa, dei pannelli di truciolato, dei materiali compositi, dei mangimi e della chimica. Le "coltivazione energetiche", cioè coltivazioni di specie vegetali a rapido accrescimento, sono generalmente impiegate nella produzione di biocombustibili. Ad esempio, da processi di trasformazione della materia organica di piante produttrici di oli vegetali e zuccheri (il girasole, il sorgo zuccherino e la barbabietola), si ricavano il bioetanolo, utilizzabile come additivo nelle benzine, e il biodiesel, una miscela dalle caratteristiche simili a quelle del gasolio. Il biodiesel si ricava dalla trasformazione chimica dell’olio di colza, di soia o di girasole. La colza è una pianta dai fiori gialli che produce semi molto ricchi di sostanze oleose. Il biodiesel può alimentare i motori delle automobili e ha diversi vantaggi: è pulito, è biodegradabile, è più sicuro dei comuni combustibili fossili. Per produrre biodiesel occorrono grandi quantità di olii vegetali ed è per questo che esistono nel mondo grandi piantagioni destinate alla produzione di vegetali da olio.
I biocarburanti, oltre a prestarsi per produrre calore e/o energia elettrica, possono essere utilizzati per autotrazione, sia miscelati con altri combustibili fossili e sia, in alcuni casi, usati puri.

 

UN PO’ DI STORIA: LA BIOMASSA

Il fuoco, indiscutibilmente la più importante invenzione nella storia dell'uomo, è stato scoperto grazie alla combustione accidentale del legno. Il fuoco ha illuminato, riscaldato, protetto e nutrito l'uomo per migliaia di anni. In poche parole ha favorito la nascita della civiltà. Il legno, peraltro, è rimasto ancora per molti secoli la materia prima più utilizzata, non solo per alimentare il fuoco, ma anche come materiale da costruzione. L'invenzione della macchina a vapore, ci ha consentito, poi, di ottenere energia meccanica dalla combustione del legno, mentre, fino al XVIII secolo il vento e l'acqua erano state le uniche forme di energia meccanica utilizzate, grazie ai mulini. Con la Rivoluzione Industriale, la risorsa legno cominciò a scarseggiare a causa delle massicce deforestazioni realizzate per produrre energia. L'uomo ha dovuto cercare fonti d'energia alternative, trovandole nel carbone e nel petrolio, un tempo abbondanti, anche se non rinnovabili. Solo di recente, i maggiori fabbisogni d'energia, le prospettive d'esaurimento dei carburanti fossili e l'inquinamento prodotto dalla loro combustione, hanno spinto l'uomo a "riscoprire" l'utilità del legno e delle biomasse come fonti energetiche.

 

 

I PROCESSI BIOCHIMICI

I processi biochimici funzionano grazie all’azione dei funghi e dei batteri che crescono nella biomassa in determinate condizioni di temperatura e umidità. Questi microrganismi digeriscono la materia organica liberando molecole di scarto (per loro), ma preziose per noi. Non tutta la biomassa va bene per questi processi: funghi e batteri non mangiano proprio di tutto ma esigono materiali organici ricchi di proteine e di acqua. Sono ottimi le alghe, gli scarti delle coltivazioni di patata e di barbabietola, i rifiuti alimentari e le deiezioni animali. I principali prodotti ottenibili con questi sistemi sono il biogas, il bioetanolo, fertilizzanti per l’agricoltura e il calore. Il biogas è una miscela di gas costituita principalmente da metano (50-70%) e anidride carbonica che può essere impiegato per il riscaldamento o per far funzionare alcuni particolari impianti destinati alla produzione di energia elettrica. Il bioetanolo è un alcool che può essere usato per alimentare il motore delle automobili. Si ottiene dalla fermentazione degli zuccheri ricavati dalla barbabietola o dalla canna da zucchero. È un carburante di grande interesse perché è pulito ed economico. Si calcola che ogni anno vengono prodotte circa 11 milioni di tonnellate di bioetanolo, soprattutto negli Stai Uniti e in Brasile. Un’altra interessante applicazione della biomassa è il riscaldamento degli allevamenti di bestiame e delle coltivazioni. La decomposizione dei prodotti di rifiuto, come il fogliame o le deiezioni degli animali, produce calore che può essere usato per riscaldare le serre e le stalle.

 

I PROCESSI TERMOCHIMICI

Tutti sanno che per accendere ed alimentare il fuoco occorre un materiale che brucia che, in termini tecnici, si definisce combustibile. Il combustibile da solo non basta perché il fuoco esista, occorre un altro elemento: il comburente. Il più comune comburente è l’ossigeno che, in una reazione di combustione, ha la funzione di “ossidare” il combustibile con conseguente rilascio di energia sotto forma di calore e luce. Il fuoco, quindi, non è altro che la manifestazione visibile di una reazione chimica, la combustione, che avviene tra due sostanze diverse: il combustibile e il comburente. Esistono moltissime sostanze e materiali combustibili. In principio l’uomo bruciò il legno, successivamente il carbone. Oggi i combustibili più usati sono quelli fossili: petrolio, metano e carbone fossile.
La combustione è il metodo più antico per ottenere energia dalla biomassa. Gli antichi focolai, i camini e le stufe oggi sono stati sostituiti da moderne ed efficienti caldaie che riescono a sfruttare al meglio l’energia nascosta nel legno e nei suoi derivati. Se funghi e batteri prediligono le sostanze umide e proteiche, il fuoco si alimenta meglio con materiali asciutti e ricchi di cellulosa. La cellulosa è una molecola complessa, molto resistente e costituita da lunghe catene di glucosio, il più semplice degli zuccheri. I vegetali sono fatti di cellulosa e quindi lo sono anche il legno, le foglie, la carta e il cotone. Esistono vari sistemi per ottenere energia dal legno classificabili secondo la temperatura alla quale avviene la combustione e il tipo di trasformazione fisica e chimica che si ottiene. Per prima cosa bisogna precisare che questi sistemi funzionano con legname triturato. Le scagliette di legno, dette chip, possono essere utilizzate così come sono oppure compresse e compattate in blocchetti, il pellet. Questi mattoncini di legno aumentano l’efficienza delle caldaie e le rendono più pulite. Il legno, così trasformato, può essere bruciato ad altissime temperature (intorno a 1000°C) fino a ridurlo a una miscela di gas utili per muovere turbine e produrre energia elettrica. Bruciato a temperature inferiori (tra 400 e 800°C) il legno si separa in un sostanze gassose, liquide e solide. La componente solida, il carbone, si può ancora usare come combustibile mentre la parte liquida, l’olio pirolitico, può alimentare motori o essere la base per la sintesi di altri prodotti.

 

BIOPOWER

Le tecnologie per ottenere energia (biopower) dai vari tipi di biomasse sono naturalmente diversi e diversi sono anche i prodotti energetici che si ottengono. Le tecnologie del biopower convertono i combustibili rinnovabili della biomassa in calore ed elettricità usando apparecchiature simili a quelle usate con combustibili fossili. Una vantaggiosa caratteristica della biomassa è la sua disponibilità rispetto alla domanda, in quanto essa è in grado di conservare intatta la sua energia fino al suo utilizzo. In sintesi, i processi di conversione in energia delle biomasse possono essere ricondotti a due grandi categorie: processi termochimici e processi biochimici. 
Processi termochimici: i processi di conversione termochimica sono basati sull'azione del calore che permette le reazioni chimiche necessarie a trasformare la materia in energia e sono utilizzabili per i prodotti ed i residui cellulosici e legnosi in cui il rapporto C/N abbia valori superiori a 30 ed il contenuto di umidità non superi il 30%. Le biomasse più adatte a subire processi di conversione termochimica sono la legna e tutti i suoi derivati (segatura, trucioli, ecc.), i più comuni sottoprodotti colturali di tipo ligno-cellulosico (paglia di cereali, residui di potatura della vite e dei fruttiferi, ecc.) e taluni scarti di lavorazione (lolla, pula, gusci, noccioli, ecc.). 
Processi biochimici: i processi di conversione biochimica permettono di ricavare energia per reazione chimica dovuta al contributo di enzimi, funghi e microrganismi, che si formano nella biomassa sotto particolari condizioni, e vengono impiegati per quelle biomasse in cui il rapporto carbonio/azoto sia inferiore a 30 e l'umidità alla raccolta superiore al 30%. Risultano idonei alla conversione biochimica le colture acquatiche, alcuni sottoprodotti colturali (foglie e steli di barbabietola, ortive, patata, ecc.), i reflui zootecnici e alcuni scarti di lavorazione (borlande, acqua di vegetazione, ecc.), nonché alcune tipologie di reflui urbani ed industriali. Le tecnologie attualmente impiegate nel biopower sono: cofiring, pirolisi, gassificazione, combustione, sistemi “small-modular”, digestione aerobica, digestione anaerobica e carbonizzazione.

 

 

GASSIFICAZIONE

Attualmente, in materia di biomasse, la cosiddetta "gassificazione" , che è un processo termochimico, viene considerata una delle tecnologie più valide e promettenti ai fini della produzione di energia elettrica sia per quanto riguarda l'efficienza, sia per quanto riguarda l'impatto ambientale. Ogni impianto si suddivide in tre sezioni, dove avvengono altrettante fasi del processo produttivo: gassificazione, turbina a gas e ciclo termico. Durante la gassificazione, la biomassa ancora umida viene immessa in un essiccatore che fa evaporare l'acqua in eccesso. Una volta essiccata, la biomassa passa nel gassificatore dove viene trasformata in un gas sintetico composto da azoto molecolare (N2), vapore (H2O), monossido di carbonio (CO), anidride carbonica (CO2), idrogeno molecolare (H2), metano (CH4) e una piccola frazione di idrocarburi più pesanti. Successivamente il gas sintetico viene raffreddato, filtrato per eliminare le polveri e purificato da contaminanti (acido cianidrico, ammoniaca e acido cloridrico) e composti organici (fenoli e acidi grassi). Dopo essere stato compresso, esso è pronto per alimentare la turbina a gas dove verrà bruciato per riscaldare l'aria da inviare al ciclo termico. In quest'ultima sezione dell'impianto, una caldaia recupera il calore contenuto nell'aria proveniente dalla turbina a gas e produce vapore per una seconda turbina, questa volta "a vapore". Infine, quest'ultima alimenta un generatore di corrente elettrica.

 

COFIRING

Al fine di ottimizzare gli impianti a carbone, è possibile utilizzare la biomassa come combustibile complementare al carbone. Questa soluzione è sicuramente una delle più economiche fra le opzioni energetiche offerte dalle fonti rinnovabili. Il cofiring consiste nella sostituzione di una porzione di carbone con biomassa da utilizzare nella stessa caldaia dell’impianto preesistente. Ciò può essere fatto miscelando la biomassa con carbone prima che il combustibile venga introdotto nella caldaia o utilizzando alimentazioni separate per il carbone e la biomassa. In base al tipo di caldaia e al sistema di alimentazione impiegato, la biomassa può sostituire fino al 15% del carbone in questa operazione di cofiring.

 

PIROLISI

La pirolisi è un processo di decomposizione termochimica di materiali organici ottenuto mediante l’applicazione di calore, a temperature comprese tra 400 e 800 gradi centigradi, in completa assenza di un agente ossidante, oppure con una ridottissima quantità di ossigeno (in questo ultimo caso il processo può essere descritto come una parziale gassificazione). I prodotti della pirolisi sono sia gassosi, sia liquidi, sia solidi, in proporzioni che dipendono dai metodi di pirolisi (pirolisi veloce, lenta, o convenzionale) e dai parametri di reazione. Uno dei maggiori problemi legati alla produzione di energia basata sui prodotti della pirolisi è la qualità di detti prodotti, che non ha ancora raggiunto un livello sufficientemente adeguato con riferimento alle applicazioni, sia con turbine a gas sia con motori diesel. In prospettiva, anche con riferimento alle taglie degli impianti, i cicli combinati ad olio pirolitico appaiono i più promettenti, soprattutto in impianti di grande taglia, mentre motori a ciclo diesel, utilizzanti prodotti di pirolisi, sembrano più adatti ad impianti di piccola potenzialità. La combustione diretta viene generalmente attuata in apparecchiature (caldaie) in cui avviene anche lo scambio di calore tra i gas di combustione ed i fluidi di processo (acqua, ecc.).

 

COMBUSTIONE

La combustione di prodotti e residui agricoli si attua con buoni rendimenti, se si utilizzano come combustibili sostanze ricche di glucidi strutturati (cellulosa e lignina) e con contenuti di acqua inferiori al 35%. I prodotti utilizzabili a tale scopo sono i seguenti: legname in tutte le sue forme, paglie di cereali, residui di raccolta di legumi secchi, residui di piante oleaginose (ricino, catramo, ecc.), residui di piante da fibra tessile (cotone, canapa, ecc.), residui legnosi di potatura di piante da frutto e di piante forestali, residui dell’industria agro – alimentare.
Sistemi “small-modular” 
Tali sistemi potrebbero potenzialmente soddisfare il fabbisogno energetico di oltre 2,5 miliardi di persone che sono sprovviste di energia elettrica. Tale potenzialità deriva dal fatto che la maggioranza di queste persone vive in aree dove sono disponibili grandi quantità di biomassa utilizzabile come combustibile. Uno small system con capacità di circa 5 megawatt potrebbe rappresentare un’ottima soluzione a livello di villaggio. Gli small system hanno un potenziale mercato anche nei Paesi industrializzati, in quanto potrebbero essere utilizzati come fornitura energetica complementare all’ordinaria rete elettrica. Rispetto ai sistemi a combustibile fossile, essi rappresentano una alternativa più accettabile dal punto di vista ambientale.

 

CARBONIZZAZIONE

La carbonizzazione è un processo di tipo termochimico che consente la trasformazione delle molecole strutturate dei prodotti legnosi e cellulosici in carbone (carbone di legna o carbone vegetale), ottenuta mediante l’eliminazione dell’acqua e delle sostanze volatili dalla materia vegetale, per azione del calore nelle carbonaie (catasta di legna a forma di cono, coperta di terra, con un canale centrale di sfogo (camino), nella quale si provoca una combustione lenta del legno per trasformarlo in carbone), all’aperto, o in storte (contenitori a forma di fiasco dal collo lungo e ritorto), che offrono una maggior resa in carbone.

 

DIGESTIONE ANAEROBICA

La digestione anaerobica è un processo di conversione di tipo biochimico che avviene in assenza di ossigeno e consiste nella demolizione, ad opera di microrganismi, di sostanze organiche complesse (lipidi, protidi, glucidi) contenute nei vegetali e nei sottoprodotti di origine animale, che produce un gas (biogas) costituito per il 50-70% da metano e per la restante parte soprattutto da CO2 ed avente un potere calorifico medio dell'ordine di 23.000 chilojoule al metro cubo. Il biogas così prodotto viene raccolto, essiccato, compresso ed immagazzinato e può essere utilizzato come combustibile per alimentare caldaie a gas per produrre calore (magari accoppiate a turbine per la produzione di energia elettrica), o centrali a ciclo combinato, o motori a combustione interna (adattati allo scopo a partire da motori navali a basso numero di giri). Al termine del processo di fermentazione nell'effluente si conservano integri i principali elementi nutritivi (azoto, fosforo, potassio), già presenti nella materia prima, favorendo così la mineralizzazione dell'azoto organico; l'effluente risulta in tal modo un ottimo fertilizzante. Gli impianti a digestione anaerobica possono essere alimentati mediante residui ad alto contenuto di umidità, quali le deiezioni animali, i reflui civili, i rifiuti alimentari e la frazione organica dei rifiuti solidi urbani. Tuttavia, anche in discariche opportunamente attrezzate per la raccolta del biogas sviluppato, solo il 40% circa del gas generato può essere raccolto, mentre la rimanente parte viene dispersa in atmosfera: poiché il metano, di cui è in gran parte costituito il biogas, è un gas serra con un effetto circa venti volte superiore a quello della CO2, le emissioni in atmosfera di biogas non sono desiderabili; quando invece la decomposizione dei rifiuti organici è ottenuta mediante digestione anaerobica nei digestori (chiusi) degli appositi impianti, quasi tutto il gas prodotto viene raccolto ed usato come combustibile. Il recupero del biogas dalle discariche è un sistema adottato soprattutto in via sperimentale in vari paesi (l’Inghilterra ha sviluppato un efficiente sistema di recupero di biogas da discariche, sia per usi termici sia elettrici). In Svezia, poi, esistono distributori di biogas per rifornire le vetture con impianto a metano.

 

DIGESTIONE AEROBICA

Consiste nella metabolizzazione delle sostanze organiche per opera di microrganismi, il cui sviluppo è condizionato dalla presenza di ossigeno. Questi batteri convertono sostanze complesse in altre più semplici, liberando CO2 e H2O e producendo un elevato riscaldamento del substrato, proporzionale alla loro attività metabolica. Il calore prodotto può essere così trasferito all’esterno, mediante scambiatori di calore a fluido. In Europa viene utilizzato il processo di digestione aerobica per il trattamento delle acque di scarico. Più recentemente tale tecnologia si è diffusa anche in Canada e Stati Uniti.

IL TELERISCALDAMENTO

Un sistema di teleriscaldamento si compone di una rete di trasporto e di una centrale di produzione del calore, messi entrambi al servizio contemporaneamente di più edifici. La centrale di teleriscaldamento può utilizzare tecnologie cogenerative e/o fonti rinnovabili. 
Gli impianti
Il calore che viene distribuito con i sistemi di teleriscaldamento urbano deriva da impianti a produzione semplice (solo calore) e a produzione combinata (calore + energia elettrica). Alla prima tipologia di impianti appartengono le caldaie per produzione di calore in forma di vapore, acqua calda, acqua surriscaldata, olio. Gli impianti a produzione combinata, invece, sono gli impianti di cogenerazione che nella pratica attuale possono essere alimentati da un ciclo a vapore con motori a combustione interna, con turbine a gas, a ciclo combinato. La rete di distribuzione è la parte più costosa dell’impianto di teleriscaldamento: si stima che il suo costo possa incidere sull’investimento complessivo per una quota compresa tra il 50% e l’80%. Il sistema di distribuzione può utilizzare diversi tipi di fluidi: la tendenza in Italia è quella di utilizzare acqua calda (80-90 gradi centigradi) o leggermente surriscaldata (110-120 gradi centigradi). 
La distribuzione del calore 
Il sistema di distribuzione può essere diretto o indiretto. Nel primo caso, un unico circuito idraulico collega la centrale di produzione con il corpo scaldante (termosifone o piastra) dell’utente. Viceversa, nel secondo caso, sono presenti due circuiti separati, mantenuti in contatto attraverso uno scambiatore di calore. Il sistema diretto comporta un minore investimento e minori perdite di calore.

 

UNA SOLUZIONE OTTIMALE

La soluzione ottimale per sfruttare le biomasse, oltre all'uso per riscaldamento individuale in caldaie a pellet o a tronchetti, è attualmente il teleriscaldamento a biomasse di piccole dimensioni (10 megawatt), che fornisce calore ad un'insieme di abitazioni e/o attività, posto nelle vicinanze del luogo di produzione della biomassa utilizzata (bosco, terreni di coltura, segherie, ecc.). Se la provenienza della biomassa è locale, la dimensione dell'impianto deve essere ponderata con cura per permetterne la rigenerazione delle fonti. Taglie superiori ai 10-15 megawatt costringono ad aumentare eccessivamente l'area di fornitura facendo crescere i costi economici e ambientali del trasporto da un lato, e non permettendo la valorizzazione della filiera del legno locale dall'altro. In Austria i piccoli impianti rurali di teleriscaldamento a biomasse sono oltre 300, con potenza compresa tra le centinaia di chilowatt e gli 8 megawatt. In Italia invece gli impianti sono solo alcune decine, anche se il settore sembra molto vitale. Uno dei motivi del successo di questi impianti in Austria va ricercato nell'economia agricola in gran parte impegnata in attività forestali, e nella diminuzione della domanda di legno da parte del mercato, che ha fatto crollare i prezzi e ha messo in crisi il settore agricolo, obbligando a trovare uno sbocco per la produzione che permettesse ai prezzi di risalire a un livello sostenibile per i produttori locali. La maggior parte degli impianti di teleriscaldamento è quindi sorta in zone rurali economicamente depresse che non avevano sbocco turistico, ma anche molte località turistiche sono state sensibili a questa tecnologia, valorizzando le minori emissioni e la fonte rinnovabile come elemento di promozione turistica. Anche in Italia questi impianti potrebbero essere la risposta alla depressione di alcune zone, con la creazione di occupazione per il mantenimento dei boschi, attività economicamente ed ambientalmente conveniente, considerando che aiuterebbe a prevenire erosione, frane, alluvioni e incendi. Il teleriscaldamento a biomasse è da considerare una tecnologia complementare e non antagonista alle caldaie domestiche a biomassa. Negli impianti di teleriscaldamento, con caldaie a griglia, si possono bruciare tutti gli scarti della filiera del legno, anche molto umidi e con basso potere calorifico. Nelle caldaie a legna delle abitazioni, invece, tali scarti non sono utilizzabili; si deve bruciare legno secco e di qualità, in pezzi di dimensioni adeguate, o scegliere caldaie a pellets se si vuole automatizzare l'impianto, evitando di doverlo rifornire continuamente (anche più volte al giorno nella stagione invernale). Legname con tali caratteristiche assicura, infatti, un minore ingombro a parità di massa secca bruciata (e quindi a parità di effetto utile), una combustione più regolare ed un trasporto/stoccaggio più semplice. Questa variabilità nell'alimentazione degli impianti a biomasse può permettere di sfruttare tutti i prodotti della manutenzione del bosco: gli scarti (rami, cortecce, radici, ecc, anche molto umidi) per il teleriscaldamento dove esista un adeguato bacino di utenza, i tronchi secchi e gli scarti pellettizzati per le abitazioni isolate. I residui (della pulitura dei boschi, delle colture agricole, delle segherie, ecc.), senza un impianto alimentato a biomasse, verrebbero smaltiti in altro modo: se lasciati all'aria produrrebbero la stessa quantità di CO2 immagazzinata durante l'accrescimento, se la fermentazione avvenisse in assenza di ossigeno si produrrebbe invece metano, il cui contributo come gas serra è 21 volte (in peso) quello della CO2. Se tali residui vengono smaltiti nelle industrie (cartiere, ecc.) impongono spesso costi di trasporto (economici e ambientali) non indifferenti. Affinché si possa ipotizzare di costruire un impianto di teleriscaldamento a biomassa, occorre che siano soddisfatti i punti seguenti. La distanza dalla fonte di approvvigionamento non deve essere eccessiva, poiché il trasporto può influire anche notevolmente sul costo della materia prima (e sul bilancio della CO2 emessa dall'impianto). La vicinanza alle fonti di approvvigionamento, inoltre, può permettere di avere un minor volume di stoccaggio all'interno dell'impianto di teleriscaldamento (consentendone la costruzione anche in aree più anguste), avvalendosi eventualmente della possibilità di stoccaggio presso il fornitore. Deve poi esservi la presenza di un'area adeguata, vicina alle arterie di trasporto e ad una distanza conveniente dall'abitato, dove poter costruire l'impianto ed i magazzini di stoccaggio, senza creare eccessivi disagi dovuti al traffico per l'approvvigionamento.

 

PRODUZIONE DI BIOFUEL

Il termine biofuel potrebbe riferirsi anche ai combustibili usati per la produzione di energia elettrica, ma in genere si riferisce ai combustibili liquidi impiegati nei mezzi di trasporto. I più comuni biofuel sono senza dubbio il bioetanolo sintetizzato dai carboidrati e il biodiesel (un estere) ottenuto da grassi e oli. Nonostante l’etanolo ottenuto dagli amidi e dagli zuccheri stia fornendo un buon contributo sotto il profilo energetico ed ambientale, in seguito verrà esaminato l’etanolo prodotto da biomassa cellulosica come piante erbacee e legnose, residui agricoli e forestali e da grandi quantità di scarti urbani e industriali. Infatti, mentre gli amidi e gli zuccheri costituiscono un modesto quantitativo di materiale derivante dalle piante, la cellulosa e l’emicellulosa, che sono polimeri delle molecole dello zucchero, rappresentano la maggior parte della biomassa. I benefici legati ai biofuels derivano dal fatto di avere un impatto ambientale più contenuto rispetto ai derivati del petrolio e di usare materiali di scarto che solitamente non vengono utilizzati. Infine saranno brevemente analizzati altri due biofuel, il metanolo e i composti della benzina corretti.

 

BIOETANOLO

L’etanolo risulta un prodotto utilizzabile anche nei motori a combustione interna come riconosciuto fin dall’inizio della storia automobilistica. Se, però, l’iniziale ampia disponibilità ed il basso costo degli idrocarburi avevano impedito di affermare in modo molto rapido l’uso di essi come combustibili, dopo lo shock petrolifero del 1973 sono stati studiati numerosi altri prodotti per sostituire il carburante delle automobili (benzina e gasolio); oggi, tra questi prodotti alternativi, quello che mostra il miglior compromesso tra prezzo, disponibilità e prestazioni è proprio l’etanolo. La sintesi dell’etanolo da biomassa è articolata in quattro stadi:

  • produzione della biomassa fissando la CO2 atmosferica in carbonio organico
  • conversione della biomassa in un’alimentazione utilizzabile per la fermentazione (di solito sotto forma di qualche zucchero) applicando uno dei molti processi tecnologici disponibili: tale conversione costituisce lo stadio che differenzia le varie soluzioni tecnologiche nella sintesi del bioetanolo
  • fermentazione degli intermedi della biomassa usando biocatalizzatori (microrganismi come lievito e batteri) per ottenere etanolo in una soluzione poco concentrata: tale stadio può essere considerato come la più antica forma di biotecnologia sviluppata dall’uomo
  • processando il prodotto della fermentazione si ottiene etanolo combustibile e sottoprodotti utilizzabili nella produzione di altri combustibili, composti chimici, calore ed energia elettrica

Questi ultimi processi, pur essendo tra loro diversi, prevedono come ultimo stadio di sintesi la fermentazione. La fermentazione alcolica è un processo che opera la trasformazione dei glucidi contenuti nelle produzioni vegetali in etanolo.

 

BIODIESEL

Gli oli vegetali, i grassi animali e i grassi da cucina riciclati possono essere trasformati in biodiesel usando una serie di tecnologie per realizzare in condizioni operative di bassa temperatura e pressione le reazioni chimiche che portano alla formazione di composti chiamati esteri. Gli esteri sono liquidi o solidi, solubili in solventi organici e hanno un odore gradevole. Questi sono poi trasformati in biodiesel e glicerina. La glicerina è un prodotto secondario, che può essere usato nella produzione di creme per le mani, pasta dentifricia e lubrificanti. Il biodiesel è utilizzabile direttamente poiché non richiede alcun tipo d’intervento sulla produzione dei sistemi che lo utilizzano (motori e bruciatori); esso è utilizzato nell’autotrazione (motori diesel) sia puro che miscelato con il normale gasolio e nel riscaldamento. L’uso del biodiesel diminuisce la dipendenza energetica dai combustibili fossili, riduce le emissioni dei gas serra e i rischi della salute dovuti all’inquinamento atmosferico; non è tossico ed è biodegradabile in 30 giorni. Il diesel mescolato al biodiesel triplica la sua biodegradabilità. Il biodiesel contiene tracce di zolfo, che rientrano tuttavia nei parametri previsti dall’EPA (Environmental Protection Agency) del 2006. E’ sicuro da maneggiare e da trasportare; può essere stoccato negli stessi serbatoi del diesel e pompato con gli usuali mezzi tranne che nelle giornate fredde, durante le quali bisogna usare riscaldatori dei serbatoi o agitatori; è completamente miscibile col diesel e ciò lo rende un additivo molto flessibile. Il biodiesel, essendo un prodotto ossigenato, migliora il completamento della combustione, e la riduzione di emissioni inquinanti è proporzionale alla sua concentrazione nelle miscele. Uno svantaggio del biodiesel è l’emissione di NOX: la ricerca sta concentrando gli sforzi per mitigare il problema. Le prestazioni dei motori che utilizzano biodiesel puro, però, diminuiscono dell’8-15% rispetto al diesel tradizionale, a causa dei diversi contenuti energetici Per risolvere i problemi sopra citati si usa una miscela di diesel e biodiesel al 20%. Una miscela di biodiesel, etanolo (fino al 15% in volume) e un additivo (per aiutare le due sostanze a mescolarsi) è chiamata e-diesel. La miscela si prepara con un mescolamento a spruzzo, un processo che non richiede apparecchiature particolari e controllo della temperatura. L’e-diesel riduce molto le emissioni di particolati dovuti al diesel tradizionale.

BIOPRODUCT

Qualunque composto sintetizzabile dai combustibili fossili può essere ugualmente prodotto dalla biomassa. Questi bioprodotti (bioproduct) sono realizzati pertanto da fonti energetiche rinnovabili e di solito la loro produzione necessita di quantitativi energetici inferiori rispetto ai loro omologhi basati sul petrolio. I ricercatori hanno accertato che i processi utilizzati per produrre biofuel, possono essere combinati per ottenere antigelo, materie plastiche, colla, dolcificanti artificiali e pasta dentifricia. Altri reagenti per ottenere bioproduct sono il monossido di carbonio e l’idrogeno. Essi si formano in abbondanza nel riscaldamento della biomassa con la presenza di ossigeno. Questa miscela monossido di carbonio - idrogeno è nota come gas di biosintesi, da cui sono sintetizzati materie plastiche e acidi indispensabili nella produzione di pellicole fotografiche, fibre tessili e sintetiche. Quando la biomassa è riscaldata in assenza di ossigeno si forma l’olio di pirolisi, da cui è estraibile il fenolo, intermedio usato nella produzione di adesivi per il legno, stampi di plastica e schiuma isolante.

 

METANOLO

Noto anche come alcol del legno, il metanolo è prodotto di solito dal gas naturale, ma può essere altresì sintetizzato dalla biomassa. Il processo più diffuso è la gassificazione della biomassa, che consiste nel vaporizzare la biomassa ad alta temperatura, rimuovere le impurità dal gas caldo e farlo passare su un catalizzatore, che provvede alla sua conversione in metanolo. I composti della benzina corretti e prodotti dalla biomassa fungono da additivi dei carburanti per ridurre le emissioni inquinanti.

 

Fonte: http://www.ing.unibs.it/~claudio.uberti/ITG/FONTI%20ENERGETICHE/BIOMASSA.doc

Sito web da visitare: http://www.ing.unibs.it/~claudio.uberti/

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