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I calcestruzzi autocompattanti (Luigi Coppola)
I calcestruzzi autocompattanti rappresentano una categoria di conglomerati che non necessita, durante la posa in opera, di alcuna forma di compattazione o vibrazione in quanto sono in grado di riempire completamente la cassaforma, consentendo nel contempo una efficace espulsione dell’aria intrappolata in eccesso rispetto a quella fisiologica e, quindi, capaci di garantire valori della resistenza in opera sostanzialmente coincidenti con quelli conseguibili sui provini prelevati a “bocca di betoniera” e compattati a “rifiuto”. Da questo punto di vista, quindi, i calcestruzzi autocompattanti possono ritenersi una naturale evoluzione di quelli superfluidi (classe di consistenza S5) e sono stati sviluppati per esasperare la possibilità di rendere la qualità del conglomerato in opera sostanzialmente indipendente dalle operazioni di posa e compattazione oltre che per accelerare le operazioni di betonaggio per la realizzazione di strutture in cui siano rilevanti i volumi di calcestruzzo impiegati. Il presente articolo è dedicato all’esame delle proprietà reologiche e meccaniche di questi conglomerati e alle possibilità che essi offrono di modificare anche le tradizionali tecniche di realizzazione delle strutture in c.a. e c.a.p.
I calcestruzzi autocompattanti (Self Compacting Concrete: SCC) sono stati sviluppati in Giappone verso la metà degli anni ottanta dove, successivamente, all’inizio degli anni novanta, sono stati impiegati per la realizzazione delle prime strutture in conglomerato cementizio armato. In Europa, invece, e in Italia in particolare, le prime applicazioni con questi materiali risalgono alla fine degli Novanta. L’autocompattabilità è una caratteristica che presenta molte sfaccettature anche di natura più complessa rispetto alla mera capacità del calcestruzzo di poter fluire facilmente all’interno della cassaforma garantendo velocità di esecuzione del getto maggiori di quelle conseguibili con i conglomerati superfluidi. Pertanto, un approccio più rigoroso all’utilizzo degli SCC, finalizzato a sfruttare appieno le potenzialità da questi offerti, impone di definire quali sono le proprietà che il conglomerato deve possedere per poter essere definito autocompattante anticipando sin d’ora che la fluidità è solo uno dei parametri che concorrono all’ottenimento dell’autocompattabilità.
Un calcestruzzo autocompattante deve essere caratterizzato:
In base a quanto sopra esposto si intuisce, quindi, che la fluidità (deformabilità) è solo una, e forse nemmeno la più importante, delle proprietà richieste per conseguire l’autocompattabilità. Pertanto, le specifiche di capitolato relative a questi calcestruzzi dovranno riguardare non solo la capacità di scorrimento del materiale, ma dovranno essere finalizzate anche a definire la resistenza alla segregazione del calcestruzzo fondamentale per poter ambire ad una qualità della struttura sostanzialmente indipendente dalle modalità di posa e di compattazione del conglomerato.
L’autocompattabilità, come specificato al precedente paragrafo, è il risultato del soddisfacimento di diverse proprietà reologiche del conglomerato che compendiano le capacità di scorrimento in assenza di ostacoli, la mobilità in sezioni congestionate di armatura ed, in generale, la resistenza alla segregazione dell’impasto durante la posa e a riempimento avvenuto dei casseri. La quantificazione di proprietà reologiche così e antitetiche può essere effettuata avvalendosi di diversi metodi di misura ognuno finalizzato alla misurazione di una caratteristica specifica degli SCC. Quindi, contrariamente a quanto avviene per i calcestruzzi tradizionali, dove la misura della lavorabilità è sufficiente per avere un quadro abbastanza esaustivo delle proprietà reologiche del materiale, per i calcestruzzi autocompattanti è, invece, necessario ricorrere a diverse metodologie di indagine se si vogliono cogliere i vari aspetti della autocompattabilità.
Le attrezzature più diffuse per la valutazione delle proprietà reologiche dei calcestruzzi autocompattanti sono:
Il cono di Abrams e la misura dello slump-flow
Il cono di Abrams impiegato per la misura dello slump nei calcestruzzi tradizionali può essere utilizzato per valutare la capacità di scorrimento del calcestruzzo autocompattante in assenza di ostacoli oltre che per trarre utili indicazioni sulla tendenza del conglomerato alla segregazione di flusso. La prova consiste nell’introdurre il calcestruzzo all’interno del cono e nell’azionare un cronometro nel momento in cui lo stesso viene sollevato. Le determinazioni che vengono effettuate sono le seguenti:
La misura dello slump-flow è proporzionale alla capacità di scorrimento del materiale in assenza di ostacoli: maggiore il valore di df e più elevata è la deformabilità del materiale, cioè la sua capacità di raggiungere zone distanti dal punto di introduzione del calcestruzzo nel cassero. I valori minimi di df richiesti per un calcestruzzo autocompattante variano a seconda delle normative e raccomandazioni: ad esempio, la norma UNI 11040 e le raccomandazioni EFNARC richiedono per df valori superiori rispettivamente a 600 mm e 650 mm. Le Linee Guida europee, oltre a fissare un valore minimo per df (550 mm), suddividono i calcestruzzi autocompattanti, relativamente alla misura dello slump-flow, in tre classi (Tab. 1).
Tabella 1 Valori massimi e minimi di df richiesti da diverse norme e classificazione dei calcestruzzi autocompattanti in base al valore dello slump-flow in accordo alle Linee Guida europee.
NORMA |
SFmin (mm) |
SFmax (mm) |
SF1 (mm) |
SF2 (mm) |
SF3 (mm) |
UNI 11040 |
600 |
- |
- |
- |
- |
EFNARC |
650 |
800 |
- |
- |
- |
LINEE GUIDA |
550 |
850 |
550-650 |
660-750 |
760-850 |
I valori di t500, invece, sono connessi con la viscosità del materiale e, quindi, indirettamente con la resistenza alla segregazione. Calcestruzzi che evidenziano bassi valori di t500 risultano poco viscosi con una capacità di scorrimento elevata, ma allo stesso tempo con una maggiore tendenza alla segregazione rispetto a quelli che denotano alti valori di t500. Anche per questa misura le normative e raccomandazioni presentano visioni abbastanza difformi se si tiene conto che la norma UNI 11040 impone per t500 un valore massimo di 12 secondi, mentre le raccomandazioni EFNARC suggeriscono valori compresi tra 2 e 5 secondi. Le Linee Guida europee, invece, suddividono i calcestruzzi in due classi quelli con t500 inferiori o pari a 2 s o con t500 maggiore di 2 s.
L’imbuto a forma di V (V-funnel)
La resistenza alla segregazione del calcestruzzo autocompattante può essere accertata anche attraverso la prova condotta con il V-funnel: essa consiste nel misurare il tempo necessario per il calcestruzzo a fuoriuscire completamente da un imbuto a forma di V subito dopo il termine della miscelazione dell’impasto (t0) e dopo 5 minuti (t5) di permanenza all’interno dell’imbuto. Il valore di t0 è correlato alla viscosità del materiale: maggiore è il tempo di svuotamento, più elevata è la viscosità del sistema e, quindi, minore è la sua capacità di flusso. Per contro, valori di t0 elevati sono indice di una maggiore resistenza alla segregazione dell’impasto. Anche riguardo a questa misura le diverse raccomandazioni non presentano uniformità di vedute. Infatti, sia la norma UNI 11040 che le raccomandazioni EFNARC suggeriscono tempi di svuotamento compresi tra 4 e 12 secondi. Le Linee Guida europee, invece, non specificano il valore minimo per t0, ma suddividono i calcestruzzi autocompattanti in due classi relativamente al tempo di svuotamento al V-funnel: la prima caratterizzata da valori di t0 inferiori o uguali a 8 secondi; la seconda classe con t0 compreso tra 9 e 25 secondi (Tab.2). Le Linee Guida, inoltre, ritengono che la misura del tempo di svuotamento sia correlata a quella del t500 nella prova dello slump-flow procedendo alla classificazione del calcestruzzo, relativamente alla resistenza alla segregazione, utilizzando indistintamente una delle due misure (Tab.2) . E’ importante notare che ai fini della resistenza alla segregazione è altresì opportuno che la differenza tra t5 e t0 risulti compresa tra 0 e 3 secondi (Tab.2). Se la differenza tra le due misure, infatti, dovesse risultare maggiore, questo sarebbe indice di una tendenza del conglomerato alla segregazione interna e al blocking durante il flusso.
Relativamente alla resistenza alla segregazione le Linee Guida europee prevedono anche l’esecuzione di una prova che consiste nel misurare la perdita di massa rispetto a quella iniziale di una quantità prefissata di calcestruzzo posta su un setaccio di apertura pari a 5 mm per 5 minuti. Ovviamente, la tendenza alla segregazione dell’impasto sarà tanto maggiore quanto più elevata è la perdita causata dalla separazione della pasta di cemento dall’aggregato grosso a causa della sua eccessiva fluidità. Due sono le classi di conglomerato previste: SR1 ed SR2 (Segregation Resistance: SR) con perdita di massa inferiore rispettivamente al 20 e al 15% (Tab. 2).
Tabella 2 Valori minimi e massimi del tempo di svuotamento al V-funnel in accordo alle norma UNI 11040, alle raccomandazioni EFNARC e classificazione dei calcestruzzi in termini di resistenza alla segregazione in accordo alle Linee Guida europee
NORMA |
t0min (s) |
t0max |
(t5-t0)min |
(t5–t0)max |
VS1/VF1/SR1 |
VS2/VF2/SR2 |
UNI 11040 |
4 |
12 |
0 |
3 |
- |
- |
EFNARC |
6 |
12 |
0 |
3 |
- |
- |
LINEE GUIDA |
- |
25 |
- |
- |
≤ 2 s, ≤ 8 s, |
>2 s, 9-25 s, |
La scatola ad L
La scatola ad L è costituita da una porzione verticale in cui viene introdotto il calcestruzzo il quale, inizialmente, è impedito a fuoriuscire dal basso grazie alla presenza di una saracinesca alla cui apertura il conglomerato fluisce nella porzione orizzontale dell’attrezzatura attraversando un graticcio costituito da due oppure da tre armature disposte verticalmente. La valutazione della capacità di attraversamento viene effettuata misurando la differenza di altezza del conglomerato nel punto più lontano (h1) raggiunto e quella valutata a tergo della saracinesca nella porzione verticale dell’apparecchiatura (h2). La capacità di attraversamento (passing ability) sarà tanto più elevata quanto più il rapporto h1/h2 si approssima ad 1 e viene ritenuta sufficiente (sia dalla norma UNI 11040 che dalle raccomandazioni EFNARC) se il rapporto h1/h2 risulta almeno pari a 0.80. Le Linee Guida, come per le altre proprietà che caratterizzano l’autocompattabilità, distingue i calcestruzzi in termini di passing ability in due classi: entrambe debbono possedere un rapporto h1/h2 almeno pari a 0.80, ma la prima (PA1) e la seconda classe (PA2) di calcestruzzi conseguono questo risultato fluendo, rispettivamente, attraverso due o tre armature (Tab.3).
Tabella 3 Valori massimi e minimi per le prove di passing ability con la scatola ad L in accordo alle norma UNI 11040, alle raccomandazioni EFNARC e classificazione dei calcestruzzi in termini di capacità di attraversamento secondo le Linee Guida.
NORMA |
SCATOLA AD L: |
SCATOLA AD L |
PA1 |
PA2 |
UNI 11040 |
0.80 |
1.0 |
- |
- |
EFNARC |
0.80 |
1.0 |
- |
- |
LINEE GUIDA |
0.80 |
1.0 |
> 0.80 |
> 0.80 |
Al paragrafo precedente è stato evidenziato come, in sostanza, la valutazione delle caratteristiche di autocompattabilità richiede il ricorso a diverse metodi di prova in quanto nessuno di essi preso singolarmente è in grado di fornire un quadro esaustivo circa le proprietà reologiche richieste per gli SCC. Questo significa che calcestruzzi autocompattanti che posseggono stesse proprietà di scorrimento (ad esempio, perché evidenziano un medesimo valore dello slump-flow) possono, allo stesso tempo, essere contraddistinti da una tendenza alla segregazione o da una capacità di attraversamento completamente differenti. Per questo motivo, basare la scelta del calcestruzzo autocompattante sui risultati desunti da una soltanto delle metodologie di prova sopra menzionate può risultare del tutto erroneo. Inoltre, è opportuno far presente che non necessariamente per tutte le strutture è opportuno ricorrere all’impiego di calcestruzzi autocompattanti contraddistinti dalla massima capacità di scorrimento (SF3) o dalla minore viscosità (VF1) perché questa scelta espone al rischio di una maggiore tendenza dell’impasto a segregare. Allo stesso modo, non è detto che la scelta di viscosità elevate possa rivelarsi sempre la soluzione migliore per un calcestruzzo autocompattante in quanto se, da una parte, questo conduce ad una maggiore resistenza alla segregazione, dall’altra riduce la capacità di scorrimento che potrebbe, invece, rivelarsi fondamentale quando per la ridotta accessibilità dei punti di getto si richiede che il conglomerato fluisca per lunghe distanze. Si intuisce, quindi, che la scelta del calcestruzzo autocompattante deve tenere conto delle particolari esigenze derivanti dalla difficoltà di esecuzione del getto, della geometria e della percentuale dei ferri, della distanza che il calcestruzzo deve percorrere, al pari di quanto avviene nella scelta della lavorabilità dei calcestruzzi tradizionali con l’aggravante che, a causa dell’elevata fluidità del conglomerato per la necessità di non dover ricorrere ad alcuna forma di vibrazione esterna, la tendenza alla segregazione degli SCC risulta esasperata.
In accordo con quanto sopra riportato si possono fare ora alcune considerazioni riguardo alle proprietà dei calcestruzzi autocompattanti in relazione alla geometria dell’elemento strutturale, della densità dei ferri di armatura e della distanza percorsa dal calcestruzzo (Fig. 1):
Figura 1 Scelta dei parametri di autocompattabilità in funzione della geometria dell’elemento strutturale, della densità dei ferri di armatura e della distanza percorsa dal calcestruzzo.
In base a quanto sopra esposto, in Fig. 2 viene riportato un abaco con le proprietà richieste per il calcestruzzo autocompattante in funzione della tipologia strutturale cui esso è destinato. Per ognuna delle tipologie strutturali il conglomerato viene identificato attraverso le due proprietà di base (slump-flow e tempo di svuotamento al V-funnel) integrate dalle specifiche relative alla classe di resistenza alla segregazione (SR) e alla capacità di attraversamento (PA).
Figura 2 Proprietà reologiche dei calcestruzzi autocompattanti in funzione della tipologia strutturale cui il conglomerato è destinato.
La reologia è la scienza che studia le deformazioni subite da un corpo per effetto delle sollecitazioni cui esso è sottoposto. Essa, pertanto, può applicarsi allo studio dei sistemi cementizi che sono deformabili e capaci di scorrere sotto l’effetto di sforzi tangenziali.
Per un fluido ideale (newtoniano) esiste una proporzionalità lineare tra lo sforzo tangenziale applicato (τ) e il gradiente della velocità di scorrimento (D):
[1]
La formula evidenzia che la velocità acquisita dal liquido dipende, oltre che dallo sforzo tangenziale applicato, anche dalla viscosità del materiale (η): quest’ultima rappresenta la resistenza opposta dal liquido alla variazione di velocità. In sostanza, la viscosità rappresenta lo sforzo tangenziale necessario per promuovere una variazione unitaria della velocità del liquido. In un liquido poco viscoso come l’acqua la viscosità risulta paria a 1 mPa.s, mentre in una pasta di cemento vale 103 mPa.s. Questo significa che per produrre in una pasta di cemento una variazione unitaria della velocità occorre applicare uno sforzo tangenziale di tre ordini di grandezza maggiore di quello necessario per produrre lo stesso effetto nell’acqua.
Le paste di cemento, al contrario dei fluidi newtoniani caratterizzati da un gradiente di scorrimento proporzionale alla tensione tangenziale applicata, si comportano come dei fluidi plastici per i quali il comportamento reologico è descritto dall’equazione di Bingham:
[2]
dove f è il limite di scorrimento (o coesione) cioè la tensione tangenziale minima che occorre applicare per mantenere il corpo di Bingham allo stato liquido.
Nell’equazione di Bingham il valore di f è proporzionale sia alla capacità di scorrimento del materiale che alla resistenza alla segregazione: maggiore la coesione f, minore sarà la tendenza del materiale a separarsi, ma anche minore la deformabilità. Pertanto, al fine di produrre un calcestruzzo autocompattante è necessario garantire il raggiungimento di un valore di coesione sufficientemente elevato per attenuare il rischio di segregazione dell’impasto senza pregiudicare la deformabilità sotto l’azione di sforzi tangenziali modesti quali quelli derivanti nella posa in opera degli SCC dal solo peso proprio del conglomerato.
Tra i fluidi di Bingham quelli che meglio approssimano le caratteristiche richieste per i calcestruzzi autocompattanti sono i cosiddetti fluidi pseudo-plastici, caratterizzati, cioè da una viscosità plastica elevata per bassi valori dello sforzo tangenziale applicato (η1) e da una viscosità plastica ridotta per valori elevati di τ (η2). Valori elevati di η1 garantiscono una buona resistenza alla segregazione di flusso (passing ability). Per contro, valori ridotti di η2 consentono di mantenere alte le proprietà di autolivellamento del calcestruzzo anche sotto l’azione di modesti sforzi tangenziali generati dalla caduta e dal peso proprio del materiale in assenza di vibrazione.
Purtroppo, i fattori che governano la reologia del calcestruzzo mostrano nei confronti dei parametri reologici sopra descritti (coesione e viscosità plastica) influenze antitetiche ai fini del conseguimento dell’autocompattabilità. Generalmente, i fattori che aumentano la coesione inducono anche un incremento della viscosità plastica (e viceversa).
Le caratteristiche del cemento che influenzano la reologia del calcestruzzo sono sostanzialmente la finezza e il contenuto di C3S. Cementi fini e ricchi di C3S aumentano il limite di scorrimento e la viscosità. Per contro, i cementi di tipo II al calcare e quelli alla loppa d’altoforno e ancor più i cementi d’altoforno sono caratterizzati, a pari classi di resistenza, da una minore coesione, ma anche da una minore viscosità. Pertanto, ai fini del soddisfacimento dei requisiti di autocompattabilità sarà opportuno preferire cementi di alta classe di resistenza e ricchi in clinker quando l’obiettivo è quello di migliorare la resistenza alla segregazione dell’impasto e aumentare la viscosità del sistema. Per contro, l’impiego di cementi al calcare o d’altoforno può essere previsto se è più importante esaltare le capacità di scorrimento del materiale.
L’influenza del rapporto a/c sulle proprietà del calcestruzzo fresco sono identiche a quelle esercitate dalla finezza e dal contenuto di cemento: diminuendo il rapporto a/c aumenta la coesione e anche la viscosità plastica. Da questo si intuisce che per soddisfare le esigenze di autocompattabilità è necessario adottare rapporti acqua /cemento non troppo bassi se non si vuole pregiudicare le capacità di scorrimento dell’impasto. Come meglio verrà specificato nel paragrafo che segue sarà necessario adottare un rapporto tra il volume di acqua e quello dei materiali finissimi che consenta di ottimizzare sia la capacità di scorrimento che la resistenza alla segregazione dell’impasto.
Gli additivi esplicano sulle proprietà reologiche influenze diverse a seconda della loro natura. Gli additivi ritardanti, ad esempio, determinano, a parità di tempo trascorso dalla miscelazione, una riduzione sia della coesione che della viscosità plastica rispetto ad un impasto non additivato. Conseguentemente, essi possono apportare benefici sulle capacità di scorrimento del conglomerato, ma tendono, per effetto della diminuzione di viscosità, ad esasperare i fenomeni di segregazione del calcestruzzo. Essi, inoltre, possono determinare un allungamento dei tempi cui le casseforme sono sottoposte alla massima spinta.
Gli additivi maggiormente utilizzati per la produzione degli SCC sono quelli superfluidificanti. Essi vengono impiegati, generalmente, per aumentare la fluidità mantenendo invariato il dosaggio di cemento (pari rapporto a/c). Pertanto, essi consentono di ridurre la viscosità del sistema lasciando sostanzialmente invariata la resistenza alla segregazione del calcestruzzo. Per migliorare questa proprietà nel confezionamento degli SCC si fa ricorso all’utilizzo di additivi modificatori di viscosità.
Il termine di additivi modificatori della viscosità (Viscosity Modifying Agent: VMA) individua una categoria di prodotti cellulosici modificati o polimeri ad alto peso molecolare utilizzati già in passato per rendere pompabili i calcestruzzi magri (con dosaggi di cemento inferiori a 260 Kg/m3). Gli agenti modificatori di viscosità impiegati per la produzione dei calcestruzzi autocompattanti, invece, includono, oltre ai polimeri idrosolubili a base di cellulosa, anche quelli a base di glicole e i bio-polimeri. Indipendentemente, dalla loro natura gli agenti modificatori di viscosità destinati al settore del calcestruzzo autocompattante debbono possedere i seguenti requisiti:
Al fine di conseguire le caratteristiche di scorrimento, di viscosità, resistenza alla segregazione e capacità di attraversamento è opportuno, come evidenziato al precedente paragrafo, ricorrere all’impiego congiunto di additivi superfluidificanti e agenti modificatori di viscosità.
Gli additivi superfluidificanti, al contrario di quanto avviene nei calcestruzzi tradizionali, dove vengono impiegati per ridurre l’acqua di impasto e il dosaggio di cemento lasciando immutata la lavorabilità, nella produzione degli autocompattanti vengono utilizzati mantenendo fisso il dosaggio di cemento per aumentare la lavorabilità del conglomerato. Questa modalità d’impiego consente di ottenere una riduzione della viscosità plastica per alti sforzi di taglio (η2) e, conseguentemente, un aumento della capacità di scorrimento del calcestruzzo. La diminuzione della viscosità plastica avviene senza modificare significativamente la coesione dell’impasto. Pertanto, la resistenza alla segregazione dell’impasto a riposo (la segregazione interna a riempimento avvenuto sotto sforzo di taglio nullo) risulterà uguale a quella di un analogo calcestruzzo confezionato con lo stesso volume di acqua. L’aggiunta del superfluidificante, tuttavia, determina anche una drastica riduzione della viscosità per bassi sforzi di taglio e, quindi un peggioramento delle capacità di attraversamento del materiale attraverso sezioni congestionate. L’impiego degli agenti modificatori della viscosità è, pertanto, finalizzato ad un miglioramento della passing ability senza modificare η2 e, quindi, senza pregiudicare la capacità di scorrimento laterale del conglomerato.
Per la produzione di un calcestruzzo autocompattante, tuttavia, è necessario associare all’utilizzo degli additivi sopramenzionati un corretto proporzionamento degli ingredienti del calcestruzzo. A questo proposito il conglomerato dal punto di vista reologico può essere schematizzato come un sistema costituito da due fasi di cui una la pasta (acqua, cemento e polveri finissime di dimensioni inferiori a 0.125 mm) costituisce il fluido trasportatore; l’altra, invece, costituita dagli aggregati lapidei, rappresenta la fase trasportata. Pertanto, la reale possibilità di produrre un calcestruzzo autocompattante è associata alla necessità di aumentare il volume di materiale finissimo, che costituisce il fluido trasportatore, a scapito di un minor volume di aggregato e di quello grosso in particolare. Una regola pratica è quella di garantire un volume di materiale finissimo compreso tra 160 e 190 l/m3 circa. Un volume così rilevante di materiale finissimo non può essere ottenuto ricorrendo all’impiego del solo cemento in quanto occorrerebbero dosaggi di legante di circa 500-600 Kg/m3 improponibili per gli inevitabili rischi di fessurazione dei getti conseguenti sia ai gradienti termici che al ritiro idraulico. Pertanto, il confezionamento di calcestruzzi autocompattanti si basa sull’utilizzo combinato di cemento e di materiale finissimo con lenta o pressoché nulla velocità di idratazione quali la cenere volante, il calcare macinato, la loppa d’altoforno e il fumo di silice.
Relativamente a queste aggiunte occorre tener presente che la cenere volante può determinare un incremento della coesione e una riduzione della suscettibilità dell’impasto ad eventuali variazioni di composizione. Per contro, eccessivi dosaggi di cenere possono aumentare la viscosità del calcestruzzo e penalizzare, conseguentemente, la capacità di scorrimento del materiale.
I filler calcarei vengono correntemente utilizzati per la produzione del calcestruzzo autocompattante. I requisiti richiesti per queste aggiunte inerti sono squisitamente di tipo granulometrico: essi debbono possedere passante a 0.125 mm di almeno il 70%. Rispetto ad altre aggiunte, le polveri di calcare offrono il vantaggio di una maggiore costanza di qualità in termini di granulometria e, quindi, consentono un più agevole controllo della richiesta d’acqua d’impasto e, conseguentemente, delle proprietà di scorrimento del calcestruzzo. Per contro, rispetto alla cenere volante, conferiscono all’impasto una minore resistenza alla segregazione.
Accanto al requisito relativo al volume di finissimo (160-190 l/m3) è opportuno affiancare un ulteriore provvedimento legato al volume di acqua complessivo nel calcestruzzo il quale deve risultare compreso tra 170 e 210 litri/m3. Il volume di complessivo di pasta, inoltre, deve essere compreso tra 350 e 380 litri/m3 e il rapporto in volume acqua/ finissimo tra 0.85 e 1.10. Questi provvedimenti finalizzati ad ottimizzare volume e reologia della pasta debbono essere integrati da quelli relativi a limitare il volume dell’ aggregato grosso che deve risultare inferiore a 360 l/m3. Inoltre, occorrerà porre delle limitazioni anche al diametro massimo dell’aggregato che dovrà essere scelto in funzione delle caratteristiche di autocompattabilità da conseguire (Fig.3).
A conclusione del paragrafo in Tabella 4 vengono riassunti i principali requisiti composizionali sopramenzionati per il confezionamento dei calcestruzzi autocompattanti.
Figura 3 Scelta del diametro massimo dell’aggregato in relazione alla geometria della struttura cui il calcestruzzo è destinato e alla capacità di scorrimento laterale richiesta per l’SCC.
Tabella 4 Requisiti composizionali per il confezionamento dei calcestruzzi autocompattanti
COMPONENTE |
VALORI SUGGERITI |
VALORI SUGGERITI |
FINISSIMO |
450-550 |
160-190 |
PASTA |
- |
350-380 |
ACQUA |
170-210 |
170-210 |
AGGREGATO GROSSO |
< 970 |
< 360 |
ACQUA/FINISSIMO |
- |
0.85-1.10 |
SABBIA |
- |
45-55% del volume totale |
Le principali differenze composizionali tra calcestruzzi tradizionali superfluidi e conglomerati autocompattanti che possono essere riassunte in: un minor volume di aggregato grosso, un maggior volume di pasta,un basso rapporto acqua/finissimo, un contenuto più elevato di additivo superfluidificante (il quale viene utilizzato in percentuali simili a quelle impiegate nei calcestruzzi tradizionali, ma viene dosato rispetto alla massa del cemento e delle aggiunte), un volume di aria leggermente superiore (per il maggior volume di pasta) e un agente modificatore di viscosità.
Il calcestruzzo autocompattante, rispetto ai conglomerati tradizionali, presenta una maggiore dipendenza delle sue caratteristiche reologiche dalle variazioni del dosaggio degli ingredienti rispetto al valore nominale. Pertanto, la sua produzione non può che avvenire in impianti dotati di processo industrializzato certificato da un organismo terzo prevedendo, inoltre, stringenti controlli sia sulla distribuzione granulometrica degli aggregati che sul contenuto di umidità che necessariamente deve essere determinata ad ogni carico nel mescolatore. Per il minore attrito generato, i tempi di miscelazione per la produzione degli SCC risultano più lunghi rispetto a quelli richiesti per un conglomerato tradizionale. Per evitare il problema della formazione dei grumi generalmente è conveniente iniziare il mescolamento ad una consistenza più bassa (tipica dei conglomerati tradizionali) e, solo dopo aver ottenuto una efficace dispersione di tutte le particelle, procedere all’aggiunta di ulteriore acqua, dell’additivo residuo e, infine, dell’AMV. Quindi, si potrà procedere ad effettuare eventuali aggiustamenti di acqua per conseguire la consistenza finale miscelando ad un velocità di rotazione di 12-16 giri al minuto circa.
L’impiego del calcestruzzo autocompattante nella realizzazione delle strutture impone l’adozione di alcuni accorgimenti nella fase di preparazione dei casseri, della posa in opera e delle operazioni di finitura che risultano in molti casi completamente differenti rispetto a quelli richiesti per le operazioni di betonaggio da effettuarsi con i conglomerati tradizionali. Un primo aspetto riguarda la tipologia, i sistemi di controventamento e di fissaggio delle casseforme.
Durante la messa in opera del conglomerato e ad operazioni di betonaggio ultimate il calcestruzzo prima di completare la presa esercita sui casseri una spinta laterale che è funzione dei seguenti parametri fondamentali:
A parità di tutte le condizioni, la spinta aumenta al diminuire della coesione e della viscosità del calcestruzzo; pertanto, si intuisce come il calcestruzzo autocompattante, per la maggiore fluidità e scorrevolezza, determini un incremento della pressione esercitata sui casseri rispetto ad un conglomerato tradizionale. Tuttavia, occorre tener presente che la maggiore spinta derivante dall’impiego del calcestruzzo autocompattante diventa significativa soltanto quando il getto viene effettuato per caduta del calcestruzzo dall’alto e quando le velocità di riempimento diventano relativamente alte (> 4-7 m/h). Quando la velocità di riempimento supera i 7 m/h il calcestruzzo autocompattante imprime sulle sponde dei casseri una spinta triangolare assimilabile a quello idrostatica di un fluido che possiede una massa di 2500 Kg/m3 circa. Il conglomerato tradizionale, la cui velocità di posa in opera non supera, salvo casi eccezionali, i 4 m/h, per via della maggiore coesione e viscosità, esercita sulle sponde del cassero una spinta variabile all’incirca tra il 40 e 65 % di quella idrostatica a seconda della consistenza che possiede al getto (i valori più bassi sono quelli tipici di classi di consistenza S2 e quelli più elevati sono relativi a lavorabilità maggiori di 21 cm di slump). Nel caso del calcestruzzo pompato dal basso la spinta esercitata sui casseri è tipicamente di tipo idrostatico quando le velocità di riempimento superano i 10 m/h. Nella Figura 4 è riportato l’andamento della pressione registrata sui casseri di elementi verticali in calcestruzzo di lunghezza pari a circa 10 m, altezza 5.5 m e spessore 0.25 m realizzati mediante getto del calcestruzzo dal basso attraverso un bocchettone con serranda di arresto disposto su una parete delle testate del cassero. Il riempimento delle casseforme è avvenuto ad una velocità di circa 27 m/h.
In definitiva, atteso che una delle motivazioni che induce le imprese a utilizzare i calcestruzzi autocompattanti è proprio quella di accelerare i lavori di esecuzione dell’opera, le velocità di riempimento dei casseri quando vengono impiegati gli SCC superano generalmente i 10 m/h e, pertanto, le reali pressioni indotte dal calcestruzzo sulle casseforme sono di tipo idrostatico. Ne consegue che per l’impiego di calcestruzzi autocompattanti è necessario ricorrere all’utilizzo di casseri opportunamente progettati in quanto quelli tradizionalmente destinati alla realizzazione di strutture impiegando i calcestruzzi convenzionali sono dimensionati per resistere a spinte notevolmente minori.
Figura 4 Spinta esercitata sui casseri dal calcestruzzo autocompattante durante l’esecuzione del getto di pareti verticali con pompaggio del conglomerato dal basso verso l’alto (sonde disposte ad altezze diverse).
I calcestruzzi autocompattanti posseggono una minore tendenza alla segregazione esterna rispetto ai calcestruzzi tradizionali. Pertanto, l’altezza di caduta del conglomerato può risultare maggiore di quella massima (50 cm) prevista per i conglomerati convenzionali. Tuttavia, il calcestruzzo autocompattante, soprattutto quello caratterizzato da basse viscosità (VF1), possiede maggiore tendenza a segregare. Pertanto, è buona norma durante la posa tenere il manicotto della pompa annegato nel calcestruzzo o al massimo prevedere altezze di caduta del conglomerato non superiori a 1-2 m in relazione alla viscosità dell’SCC. Altezze di caduta di 5 m segnalate in passato come valori possibili per gli SCC in qualsiasi contesto sembrano siano assolutamente da sconsigliare. E’ da tener presente, infine, che un’eccessiva altezza di caduta del conglomerato può peggiorare il facciavista delle strutture per la maggiore difficoltà ad espellere l’aria dall’impasto. Per quanto attiene, infine, allo scorrimento laterale del calcestruzzo autocompattante, laddove la logistica lo permette, è buona norma spostare il tubo getto in modo che il conglomerato debba percorrere pochi metri lateralmente. Occorre tener presente che maggiore è la distanza percorsa e più elevato sarà il rischio di separazione degli ingredienti. Una ragionevole regola pratica è quella di non superare distanze laterali di scorrimento pari a 8-10 m circa.
I calcestruzzi autocompattanti sono progettati per poter riempire gli stampi senza vibrazione alcuna. Sottoporre comunque il conglomerato all’azione del vibratore ad immersione non migliora affatto le caratteristiche del calcestruzzo in opera, ma può, invece, accentuarne la tendenza alla segregazione, soprattutto in quegli impasti caratterizzati da bassi tempi di svuotamento al V-funnel. Si può derogare a questa regola nel caso di solette che possono essere sottoposte ad una blanda azione della staggia vibrante onde migliorarne la qualità estetica della superficie.
A causa della minore capacità di bleeding i calcestruzzi autocompattanti possono presentare dei problemi rispetto ai calcestruzzi tradizionali in termini di finitura. La mancanza di acqua superficiale e la tendenza ad assumere un comportamento tixotropico rende questi calcestruzzi difficili da rifinire in quanto si presentano appiccicosi ed esposti, soprattutto in climi asciutti e ventilati, alla precoce formazione di croste superficiali. Per questo motivo le operazioni di finitura delle superfici debbono essere anticipate rispetto ai tempi dei calcestruzzi tradizionali.
La minore quantità di acqua che perviene sulle superfici per effetto del bleeding è responsabile di una maggiore tendenza degli autocompattanti a evidenziare quadri fessurativi per effetto del ritiro plastico. Pertanto, per questi conglomerati le operazioni di maturazione diventano indispensabili e debbono iniziare immediatamente dopo aver ultimato le operazioni di finitura superficiale.
Nelle strutture realizzate con i conglomerati tradizionali la vibrazione, soprattutto se effettuata a parete, tende a richiamare le bolle di aria verso la sponda del cassero e a schiacciarla determinando, al disarmo, la presenza di una serie di bolle di dimensioni variabili da qualche mm a un cm circa che, sebbene non costituiscano un problema per la durabilità dell’opera essendo profonde 1-2 mm circa, ne deturpano l’estetica. L’assenza di vibrazione conseguente all’impiego dei calcestruzzi autocompattanti farebbe intuire che questo fenomeno delle bolle superficiali dovrebbe, con questi conglomerati, attenuarsi. Le esperienze di cantiere hanno, tuttavia, confermato che l’ottenimento di un eccellente faccia-vista dipende dagli stessi parametri che influenzano quello delle strutture realizzate con i convenzionali conglomerati quali la:
Sebbene diventa difficile generalizzare alcune affermazioni si possono fare alcune considerazioni in merito alla qualità estetica dei getti:
Uno dei principali obiettivi che ci si prefigge di conseguire con i calcestruzzi autocompattanti è quello di ottenere per il conglomerato in opera resistenza a compressione sostanzialmente prossima a quella massima raggiungibile sui provini cubici prelevati allo scarico del calcestruzzo in cantiere (massima resistenza a compressione raggiungibile atteso che il provino viene compattato a rifiuto e maturato in condizioni ottimali di temperatura e di umidità relativa).
I risultati di una indagine sperimentale condotta sottoponendo a prove di schiacciamento alcune carote (rapporto h/d=2) estratte da un muro in calcestruzzo gettato dal basso verso l’alto con un calcestruzzo autocompattante (CE II/A-L 42.5R, c=340 Kg/m3, cenere volante ≈140 Kg/m3 e AMV=0.5 Kg/m3) hanno evidenziato per la resistenza a compressione un valore medio di 30.06 N/mm2 inferiore di appena l’8% rispetto a quello (32.8 N/mm2) misurato su provini cilindrici (altezza/diametro=2) confezionati a bocca di betoniera e maturati in adiacenza al muro in modo da eliminare l’effetto della temperatura sui valori ottenuti. Inoltre, i valori di resistenza a compressione delle carote prelevate in punti disposti ad altezze e distanze diverse dal punto di introduzione del conglomerato nella cassaforma sono tutti compresi nell’intervallo 27.2-32.4 N/mm2. I dati ottenuti mostrano, quindi, una ridotta dispersione dei risultati di resistenza a compressione e un abbattimento delle prestazioni meccaniche rispetto al provino confezionato a bocca di betoniera di gran lunga inferiore rispetto a quello massimo ammesso sia dalle Norme Tecniche per le Costruzioni che dalla pre-norma europea prEN 13791. Pertanto, si può concludere che l’utilizzo del calcestruzzo autocompattante può consentire di adottare un requisito più stringente per la resistenza caratteristica a compressione in opera C(x/y)* rispetto a quello previsto per le strutture realizzate con conglomerati di consistenza tradizionale. La prescrizione sui controlli in opera potrebbe essere così formulata:
La qualità della zona di transizione all’interfaccia pasta-aggregato influenza significativamente il comportamento deformativo del calcestruzzo e ne governa le modalità di collasso. I calcestruzzi autocompattanti, caratterizzati da una maggiore coesione rispetto ai conglomerati tradizionali, essendo interessati da fenomeni di bleeding interno minori, sono contraddistinti da una zona di transizione di migliore qualità e, pertanto, da una minore percentuale di difetti e di microfessurazioni rispetto ai calcestruzzi convenzionali. Conseguentemente, a seguito di questo miglioramento della qualità della microstruttura per i calcestruzzi autocompattanti ci si deve attendere sia allo stato fresco che indurito prestazioni più elevate rispetto ad un calcestruzzo convenzionale di pari rapporto a/c equivalente.
La riduzione del bleeding interno nei calcestruzzi autocompattanti è responsabile di una minore tendenza dell’impasto ad evidenziare fenomeni di assestamento plastico nella fase immediatamente successiva alla posa in opera.
La riduzione della capacità di bleeding nei calcestruzzi autocompattanti è responsabile di un maggior ritiro plastico rispetto ai conglomerati tradizionali. I dati disponibili in letteratura indicano che il ritiro plastico degli SCC è all’incirca il doppio di quello dei conglomerati tradizionali. Questo effetto sembra sia da ascrivere al maggior rapporto acqua/polveri dell’autocompattante e a tempi di presa più lunghi, determinati dal maggior dosaggio di additivo. I risultati sperimentali giustificano la necessità evidenziata al precedente paragrafo di procedere, immediatamente dopo le operazioni di finitura, alla maturazione umida delle superfici non casserate.
Prove sperimentali condotte su calcestruzzi autocompattanti e tradizionali hanno messo in evidenza che gli SCC posseggono maggiori resistenze a compressione rispetto ad un impasto convenzionale di pari rapporto a/c. Questo miglioramento sembra da ascrivere ad una zona di transizione meno porosa e priva di fessure. Inoltre, è da evidenziare come i calcestruzzi con filler calcareo presentino, rispetto a quelli con cenere volante di pari a/c, resistenze a compressione maggiori alle brevi stagionature. Questo effetto del filler calcareo sembra sia da ascrivere ad un incremento della cristallinità dell’ettringite e a una riduzione del periodo dormiente con conseguente accelerazione dei processi di presa e di indurimento. Questi dati sono confermati dal fatto che l’incremento di temperatura in condizioni adiabatiche è sistematicamente più alto nei calcestruzzi confezionati con filler calcareo rispetto a quelli prodotti ricorrendo ad aggiunte pozzolaniche quali la cenere volante.
Il miglioramento della qualità della zona di transizione all’interfaccia pasta-aggregato sembra, inoltre, essere responsabile nei calcestruzzi autocompattanti di una maggiore resistenza a trazione rispetto ad un conglomerato convenzionale di pari resistenza a compressione.
A causa del minor volume di aggregato grosso il calcestruzzo autocompattante possiede moduli di elasticità a compressione inferiori di quelli evidenziati da un conglomerato tradizionale di pari resistenza meccanica a compressione. Pertanto, in base ai valori di resistenza a trazione e di modulo elastico si può affermare che i calcestruzzi autocompattanti presentano una minore tendenza alla fessurazione di un conglomerato tradizionale di pare classe di resistenza caratteristica a compressione.
Il miglioramento della zona di transizione all’interfaccia calcestruzzo armatura è responsabile di un incremento delle tensioni di aderenza valutabile all’incirca tra il 15 e il 40% rispetto a quelle dei conglomerati tradizionali.
A pari rapporto a/c (0.40) gli autocompattanti presentano un minor coefficiente di diffusione dei gas (9.8 contro 13.6 . 10-18 m2/s). Analoghi valori sono stati ottenuti per calcestruzzi con a/c pari a 0.50 relativamente al coefficiente di diffusione dell’ossigeno (0.6 contro 1.5 . 10-16 m2/s).
Il coefficiente di diffusione del cloruro diminuisce negli SCC rispetto ai calcestruzzi convenzionali di pari rapporto a/c (16.1 contro 19.2 m2/s ; rapporto a/c = 0.40).
La resistenza ai cicli di gelo-disgelo rimane sostanzialmente invariata negli SCC rispetto ad un calcestruzzo convenzionale purché si provveda nel confezionamento ad inglobare un volume minimo di aria mediante gli additivi aeranti e si utilizzino aggregati non gelivi.
Il ritiro idraulico dei calcestruzzi autocompattanti dipende dagli stessi fattori composizionali che influenzano la contrazione dimensionale dei conglomerati tradizionali (rapporto a/c e volume di pasta di cemento equivalente rispetto al volume complessivo del calcestruzzo). Pertanto, si possono fare le seguenti considerazioni:
Il procedimento di Concrete Tender Design sviluppato al Capitolo 10 può essere esteso ai calcestruzzi autocompattanti avendo l’accortezza di introdurre alcune modifiche relativamente:
Tenendo presente questi aspetti le voci di capitolato per il calcestruzzo autocompattante possono così essere formulate:
CALCESTRUZZO AUTOCOMPATTANTE
Gli argomenti e le tematiche trattati nel presente capitolo possono essere approfondite consultando:
La cenere volante da questo punto di vista ha effetti simili a quelli derivanti dall’impiego degli additivi modificatori di viscosità. Essa, cioè, consente di evitare (robustezza) che modeste oscillazioni dell’acqua di impasto producano variazioni significative della reologia del calcestruzzo. Le Linee Guida europee a questo proposito richiedono che i calcestruzzi autocompattanti non subiscano variazioni della classe di proprietà reologica per oscillazioni di acqua rispetto al valore nominale di 5-10 litri/m3.
Il finissimo è costituito dalla somma del cemento, delle aggiunte pozzolaniche, delle frazioni del filler calcareo e delle sabbie di dimensioni inferiori a 0.125 mm.
Con i calcestruzzi tradizionali non si riesce a posare a velocità superiori a 5-7 m/h.
Fonte: http://dicata.ing.unibs.it/plizzari/IGF/AutocompattantiCoppola.doc
Sito web da visitare: http://dicata.ing.unibs.it/plizzari/
Autore del testo: sopra indicato nel documento di origine
Luigi Coppola – Calcestruzzi autocompattanti – estratto dal libro Concretum – McGraw Hill Italia
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