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PROPRIETA’ MECCANICHE - INFLUENZA DELLA TEMPERATURA
Prenderemo in esame le caratteristiche meccaniche dei materiali metallici, intendendo con questo termine quei dati, ottenuti attraverso prove unificate, che servono a stabilire se un materiale è adatto all’impiego previsto.
I metodi di prova sono concettualmente identici a quelli adottati a temperatura ambiente, con la complicazione di doverli applicare in condizioni criogeniche.
I risultati sono variamente influenzati dalla temperatura in relazione alla struttura cristallina, alla composizione chimica ed al tipo di sollecitazione.
La prova di trazione consiste nel sottoporre un provino, le cui dimensioni devono rispondere a certe prescrizioni, ad una forza di trazione lungo il suo asse, con una velocità di deformazione controllata, sino alla rottura.
Si rileva il diagramma tensione-deformazione, intendendo con tensione il rapporto tra il carico applicato e la sezione iniziale, e con deformazione il rapporto tra l’allungamento di un tratto di riferimento e la sua lunghezza iniziale.
Il diagramma, che ha indicativamente la forma rappresentata in fig. 1, presenta un primo tratto iniziale rettilineo, nel quale la tensione è proporzionale alla deformazione, essendo il coefficiente di proporzionalità il modulo di Young, E, del materiale.
In questa fase se il provino viene scaricato riprende la sua lunghezza iniziale. Il comportamento è elastico.
Proseguendo nella deformazione il diagramma abbandona l’andamento rettilineo, la deformazione si compone ora di una parte plastica, che non scompare eliminando la tensione, e che corrisponde circa allo scostamento della curva dalle legge di proporzionalità. Si assume come parametro di questa transizione la tensione che produce uno scostamento dalla proporzionalità dello 0,2%: Rp;0,2. La deformazione plastica avviene a volume costante.
Proseguendo la forza cresce sempre meno, sino ad un massimo (se non interviene prima la rottura). Il fenomeno per il quale la forza necessaria a produrre la deformazione plastica cresce con la deformazione stessa è detto incrudimento.
La tensione corrispondente al massimo è la resistenza a trazione del materiale, Rm.
La deformazione, sino a questo punto è stata uniforme nel tratto a sezione costante di riferimento. A partire dal massimo compare in una sezione del provino un restringimento, strizione, dove si concentra l’ulteriore deformazione e la cui sezione continua a diminuire, sino a rottura.
La deformazione corrispondente alla rottura, A, è l’ultimo parametro che si rileva e dipende dalla lunghezza iniziale di riferimento (A senz’altra indicazione corrisponde ad una lunghezza di riferimento pari a 5 diametri).
L’area sotto la curva misura il lavoro fatto, riferito al volume del tratto di riferimento; sino al punto di massimo questo è uniformemente distribuito nel volume.
Nella pratica le sollecitazioni applicate al materiale sono in genere più complesse della semplice trazione.
Il risultato della prova di trazione è utile se si può disporre di un criterio che permette di stabilire che stati diversi di tensione sono equivalenti se hanno eguali certi parametri.
Il criterio più utilizzato, per materiali duttili, detto di von Mises, considera egualmente pericolosi due stati di tensioni che hanno lo stesso lavoro di distorsione, da cui si ricava che la sollecitazione di trazione equivalente è:
dove s1, s2, s3 sono le tensioni principali.
Il diagramma ricavato nella prova di trazione non rappresenta le tensioni e le deformazioni effettive. Se si riporta la tensione effettiva, calcolata tenendo conto della variazione della sezione, in funzione della deformazione effettiva, calcolata tenendo conto della variazione di lunghezza, si ottiene una curva con andamento sempre crescente e con pendenza via via decrescente sino alla rottura.
Nella figura 3, è riportato un esempio di criostato per prove di trazione, utilizzato per carichi sino a 100 KN.
Nelle prove di trazione condotte a temperature comprese tra 4 e 30 K, è possibile osservare una instabilità nella fase di scorrimento plastico, che nel diagramma sforzi deformazioni si presenta come una seghettatura continua, fig. 2.
Il fenomeno è presente negli acciai inossidabili, nelle leghe di rame, in alcune leghe di alluminio, nelle leghe di titanio, nel ferro.
Si pensa che un evento iniziatore, (spostamento di dislocazioni, twinning) sia in grado di produrre abbastanza calore da aumentare localmente la temperatura, grazie al basso calore specifico ed alla bassa conducibilità termica (riscaldamento adiabatico). All’aumento di temperatura corrisponde per la deformazione in atto uno sforzo di scorrimento minore, quindi si verifica una diminuzione della tensione ed un aumento della deformazione con ulteriore produzione di calore. Segue un incremento elastico della tensione, una deformazione plastica e un altro evento iniziatore.
Tutti i materiali metallici impiegati nella pratica costruttiva solidificano in una delle forme cristalline seguenti, fig. 4:
cubica facce centrate (Al; Cu; Ni; Fe g)
cubica corpo centrato (Fe-a; Nb; Cr; V, W)
esagonale compatta (Ti, Be, Mg)
La solidificazione inizia contemporaneamente in diversi punti della massa liquida ed i cristalli, detti grani, crescono indipendentemente, ciascuno con il proprio orientamento sino a venire in contatto. La zona in cui il grano è a contatto con quelli adiacenti, detta bordo del grano, presenta distorsioni e difetti nel reticolo, per la diversa orientazione di questo rispetto a quelli confinanti. Se la lega solidifica dando origine a due fasi si avranno nel solido grani dell’una e dell’altra fase, con una disposizione dipendente dall’ordine di solidificazione.
All’interno il reticolo presenta numerosi difetti di tipo fisico: vacanze, difetti nella successione degli strati, dislocazioni a spigolo, dislocazioni a vite, twinning, (vedere fig. 5), e difetti di tipo chimico: dovuti alla soluzione nel reticolo di atomi diversi, introdotti nel processo di produzione o aggiunti appositamente per conferire determinate caratteristiche al materiale.
Le soluzioni possono essere “di sostituzione”, se l’atomo di soluto occupa nel reticolo il posto di uno del solvente, od “interstiziali”, se l’atomo di soluto occupa uno spazio nel reticolo tra gli atomi di solvente.
Mentre le soluzioni interstiziali hanno limiti di solubilità stretti quelle di sostituzione possono arrivare alla solubilità completa .
In certe leghe la solubilità di alcuni elementi cresce con la temperatura, E’ quindi possibile sciogliere quantità di soluto ad alta temperatura, che nel raffreddamento restano in soluzione in eccesso, in condizioni metastabili. Con un opportuno trattamento termico, costituito da un riscaldamento mantenuto per un tempo abbastanza lungo, si può ottenere la precipitazione del soluto in forma più o meno fine a dispersa, sovente come composto intermetallico. Questo procedimento, noto come “invecchiamento artificiale” od “indurimento per precipitazione”, conferisce al materiale caratteristiche di elevata resistenza meccanica.
LA DEFORMAZIONE ELASTICA
L’elasticità nei metalli è data dalle forze interatomiche che agiscono nel senso di riportare gli atomi spostati nella loro posizione di equilibrio. Queste forze derivano da legami primari forti e quindi i moduli sono elevati.
Va osservato che nei cristalli vi sono direzioni in cui la densità di atomi è maggiore e di conseguenza le forze sono maggiori. Il modulo di Young è maggiore nelle direzioni di maggior impacchettamento. Nei materiali la struttura è costituita da un aggregato di grani diversamente orientati e quindi il modulo è una media dei moduli dei grani ed il materiale può essere considerato isotropo.
L’effetto della diminuzione di temperatura sul modulo è strettamente collegato alla sua influenza sulla contrazione termica, in quanto diminuisce lo spazio interatomico. Quindi il modulo aumenta al diminuire della temperatura, ma in modo molto contenuto e l’aumento tende ad annullarsi avvicinandosi allo zero assoluto.
Nella fig. 6 è riportato l’andamento di E in funzione della temperatura per alcuni materiali. Si nota il comportamento anomalo dell’invar.
LA DEFORMAZIONE PLASTICA
I materiali metallici sono caratterizzati in misura maggiore o minore dalla capacità di deformarsi plasticamente.
Superato il limite elastico il materiale si deforma in modo permanente, a volume costante per scorrimento dei piani di atomi, l’uno rispetto all’altro. Questo scorrimento non avviene in modo casuale, ma, di preferenza secondo i piani di maggior densità atomica e su questi nelle direzioni di maggior densità. La combinazione di una direzione e di un piano di scorrimento si chiama “sistema di scorrimento”.
Se per qualche ragione è impedito lo scorrimento lungo un sistema di massima densità, che richiede il minor sforzo (sistema primario), intervengono altri sistemi secondari.
Dovendo rispettare la congruenza con i vicini un grano non può deformarsi secondo un solo sistema di scorrimento. E’ stato dimostrato che per rispettare questa condizione occorre che siano attivi almeno cinque sistemi di scorrimento.
Le differenze che si riscontrano nel comportamento dei materiali possono essere attribuite fondamentalmente ai differenti sistemi microscopici di deformazione che operano nelle diverse strutture cristalline.
In tutti i casi se si valuta lo sforzo necessario per produrre in un cristallo lo scorrimento di un piano di atomi rispetto ad un altro (scorrimento simultaneo), si ottengono valori molto elevati, ordini di grandezza maggiori di quelli riscontrati sperimentalmente.
La spiegazione di questa differenza risiede nel fatto che lo scorrimento non avviene simultaneamente, cioè tutti gli atomi si spostano contemporaneamente di un passo, ma in modo consecutivo secondo un meccanismo che si sviluppa per mezzo delle dislocazioni presenti nel cristallo. La deformazione risulta prodotta dallo spostamento della dislocazione, una distanza atomica alla volta e quando la dislocazione ha attraversato tutto il cristallo si è prodotto uno scorrimento pari ad una distanza atomica (fig. 7).
Il numero di dislocazioni inizialmente presenti non è così elevato da giustificare le deformazioni complessive che si ottengono, ma debbono intervenire dei meccanismi che funzionano da sorgenti.
Lo spostamento delle dislocazioni è bloccato dai bordi dei grani e nuove sorgenti che richiedono tensioni maggiori devono essere attivate. Questa sequenza provoca un rapido incrudimento già nella fase iniziale della deformazione plastica, tanto più forte quanto più piccoli sono i grani.
Tutte le imperfezioni che interrompono la regolarità del cristallo costituiscono un ostacolo al movimento delle dislocazioni. In particolare le dislocazioni stesse, spostandosi secondo sistemi di scorrimento che si intersecano, interagiscono dando origine a barriere che impediscono il passaggio di altre dislocazioni. La deformazione prosegue con tensioni sempre più alte, sino a raggiungere valori tali che le dislocazioni riescono a superare le barriere trasferendosi su un piano di scorrimento parallelo, fig. 8 (cross-slip). L’incrudimento cresce meno velocemente e tende a stabilizzarsi.
In generale i difetti che provocano distorsioni di poche distanze reticolari sono dipendenti dalla temperatura mentre sono poco influenzati i difetti più estesi.
METALLI PURI
Nelle figure 9, e 10 sono riportate le curve sforzo-deformazione di un campione di rame e di un campione di alluminio, in funzione della temperatura.
Il campione di rame, a temperatura ambiente mostra un certo tasso di incrudimento a dimostrazione che la fase di cross-slip richiede tensioni più elevate. Nell’alluminio questa si manifesta all’inizio della deformazione e la curva ha un andamento più piatto.
Al diminuire della temperatura si può osservare che:
Dal punto di vista pratico si può dire che le caratteristiche meccaniche migliorano, ma la resistenza è molto bassa.
La lavorazione a freddo migliora sia lo snervamento che la resistenza a rottura ma riduce l’allungamento.
L’effetto è dovuto al grande numero di dislocazioni che si producono e restano bloccate.
LEGHE OTTENUTE PER SOLUZIONE
La presenza di atomi in soluzione ha per effetto di aumentare la tensione di snervamento e di intensificare e prolungare il successivo incrudimento, in conseguenza dell’azione esercitata sulle dislocazioni. L’effetto è proporzionale alla quantità disciolta.
Nei metalli c.f.c. gli atomi di soluto, sia di sostituzione che interstiziali, producono una distorsione simmetrica e l’effetto di pinning è relativamente debole.
La diminuzione di temperatura aumenta sia la tensione di snervamento sia l’incrudimento e la tensione di rottura, mentre influisce meno sull’allungamento.
Nelle fig: 11 e 12 sono riportate le curve sforzo deformazione per un ottone e per una lega Cu-Be.
LEGHE INDURITE PER PRECIPITAZIONE
Le proprietà meccaniche, e l’influenza su queste della temperatura, dipendono dal tipo, dalle dimensioni e dalla distribuzione dei precipitati.
Se il precipitato è fine le dislocazioni sono in grado di attraversarlo al raggiungimento di una certa tensione e lo snervamento si presenta in maniera netta.
In generale nella lega indurita per precipitazione la tensione di snervamento è prossima alla resistenza a trazione e non si nota un rapido incrudimento.
Diminuendo la temperatura nel caso della lega Ci-Be si ha un aumento dell’allungamento (fig. 13). Al contrario per la lega Al-Zn Mg l’allungamento diminuisce in modo drastico.
METALLI PURI
Le proprietà meccaniche dei metalli c.c.c., sono molto influenzate dalla presenza di piccolissime concentrazioni di atomi di impurezze, in particolare interstiziali.
Al contrario dei metalli c.f.c., in quelli corpo centrato il tasso di incrudimento è basso e la deformazione assai ridotta. La diminuzione di temperatura aumenta lo snervamento, aumenta il tasso di incrudimento e diminuisce drammaticamente la deformazione. A bassa temperatura la deformazione plastica, molto limitata è aumentata per effetto del twinning, che avviene di colpo con una caduta di tensione. Nella fig. 14 è mostrato il comportamento di un campione di ferro Armco, rifuso sottovuoto.
LEGHE INDURITE PER SOLUZIONE
Nei metalli c.c.c. le usuali piccole impurezze (azoto, carbonio, ossigeno, idrogeno) occupano posizioni interstiziali al centro delle facce o sugli spigoli.
Questo produce una distorsione tetragonale del reticolo con una forte interazione delle dislocazioni a spigolo e a vite con l’impurezza interstiziale che la blocca. L’indurimento per soluzione non è in pratica utilizzato.
LEGHE INDURITE PER PRECIPITAZIONE
La fig. 15 mostra l’influenza della temperatura su una lega di Fe allo 0,2% di C, allo stato normalizzato. Qui la struttura è data da ferrite primaria a perlite fine (mistura lamellare di ferrite e cementite Fe3C).
METALLI PURI
Nessun sistema di scorrimento primario è in grado di fornire i cinque sistemi indipendenti di deformazione necessari ad assicurare la congruenza, che sono invece forniti da un sistema di scorrimento secondario.
Un altro modo di deformazione contribuisce alla duttilità dei metalli e.c., il twinning. Verosimilmente questo, producendo un riorientamento dei grani, disposti in modo non favorevole, attiva altri sistemi di scorrimento.
Nella fig. 16 sono riportate le curve sforzo deformazione a diverse temperature per un titanio commercialmente puro.
Si vede che al diminuire della temperatura si ha un considerevole aumento dello snervamento ed un significativo aumento dell’incrudimento.
Il titanio risulta molto sensibile a piccole concentrazioni di impurezze interstiziali il cui effetto è di diminuire il numero di sistemi di scorrimento disponibili per la deformazione plastica.. Questo fatto aumenta considerevolmente lo snervamento ma contemporaneamente riduce la deformazione e favorisce l’insorgere della rottura per clivaggio.
LEGHE INDURITE PER SOLUZIONE
Le leghe di titanio sono particolarmente attraenti per l’impiego a bassa temperatura perché hanno un elevato rapporto snervamento/densità ed una bassa conducibilità termica.
La lega Ti Al5 Sn2,5, è costituita dalla sola fase a, esagonale compatta e presenta migliori caratteristiche di duttilità. Al diminuire della temperatura presenta un sensibile aumento del carico di snervamento, fig. 17.
L’altra lega impiegata, Ti Al 6V4 è una lega duplex costituita dalle fasi a e b (cubica corpo centrato) ed è meno duttile.
Per limitare l’effetto delle impurezze interstiziali, sono stati prodotti espressamente per gli impieghi criogenici i gradi E.L.I. (extra low interstitial).
LEGHE INDURITE PER PRECIPITAZIONE
Non vi sono leghe di questo tipo.
L’aggiunta di nickel e di altri elementi come Mn, N, C, Co, Cu in lega con il ferro aumenta il campo di esistenza della fase g (c. f. c.) ritardando la trasformazione a temperature più basse od eliminandola completamente.
E’ quanto si verifica per gli acciaio inossidabili austenitici, leghe di ferro con aggiunta di cromo, nickel, manganese, etc., che secondo l’unificazione U.S.A. sono indicati con i numeri della serie 300.
Nei tipi della serie che presentano il minor contenuto di nickel l’austenite non è completamente stabile, e si trasforma in martensite per raffreddamento, per deformazione o per l’effetto combinato.
I prodotti di trasformazione nelle leghe meno stabili (304) sono in realtà due, una fase e a struttura esagonale ed una a’ a struttura cubica corpo centrata. La struttura e sembra una fase intermedia che si trasforma in a’.
In quelle meno instabili (316) si forma solo la fase a’ ed in quelle stabili (310, 310S) non si ha trasformazione, fig. 18.
La presenza della fase a’ aumenta la resistenza ed il tasso di incrudimento al diminuire della temperatura. Vi sono altre due effetti non secondari: la trasformazione avviene con aumento di volume e la fase è ferro magnetica.
Nelle figure 19 e 20 è riportato l’andamento delle curve sforzo deformazione per gli acciai 304L e 310.
Un sensibile aumento nel carico di snervamento si ottiene con piccole aggiunte di N (0,2%), a prezzo di una accettabile riduzione della duttilità. L’azoto è un elemento stabilizzante e l’aggiunta di manganese che ne aumenta la solubilità nell’austenite, va nello stesso senso.
Nella fig. 21 sono confrontate le caratteristiche meccaniche di un acciaio 304 con un 304N.
La rottura di un materiale può prodursi per scorrimento con deformazione plastica e assorbimento di energia, per rottura dei legami ad opera di forze parallele al piano di rottura, oppure per separazione delle superfici perpendicolarmente alla forza applicata (clivaggio). Entrambi i modi si verificano secondo piani cristallini preferenziali.
La possibilità che si verifichi l’uno o l’altro degli eventi dipende dal tipo di struttura, dalla temperatura, dalla velocità di deformazione, dalla purezza, etc..
In molti materiali lo scorrimento avviene per sforzi molto inferiori allo sforzo di taglio teorico perché le dislocazioni possono agire a questi livelli di tensioni. Se questo si può verificare le concentrazioni di sforzi possono essere rilasciate e non si raggiunge mai il livello per attivare la rottura per clivaggio.
Questo è quanto si verifica nei metalli puri del sistema cubico facce centrate.
Nei metalli con struttura cubica corpo centrato ed esagonale compatta è possibile che le dislocazioni siano bloccate e lo scorrimento impedito. In questo caso possono insorgere sforzi di trazione elevati che rendono possibile la rottura per clivaggio.
La prova di trazione su provetta con intaglio serve ad accertare la tendenza di un materiale alla rottura fragile. La provetta, di dimensioni normalizzate, presenta a metà altezza una gola a V con raccordo di fondo molto piccolo. La prova sostanzialmente consiste nel rilevare la forza di rottura alla temperatura richiesta. Per effetto della presenza dell’intaglio la forza di trazione non è uniformemente distribuita nella sezione di gola ma è maggiore sulla circonferenza esterna. Inoltre sono presenti anche tensioni tangenziali e radiali. Lo stato di tensione è triassiale e il rapporto tra lo sforzo di trazione massimo e quello medio (kt, fattore di intensificazione) è 7. Il materiale a lato dell’intaglio, che non raggiunge lo snervamento, agisce come vincolo ed impedisce lo scorrimento. In queste condizioni,nel caso di una piastra con un intaglio profondo,simmetrico a pareti parallele, lo sforzo medio nella gola per produrre lo snervamento risulta, adottando il criterio di von Mises, 2,8 volte lo snervamento rilevato dal provino liscio.
Il modo in cui questo impedimento porta alla transizione tra rottura duttile e rottura fragile è stato descritto da Orowan nel diagramma, riportato in figura 22 dove in funzione della temperatura è riportato lo sforzo di snervamento Y del materiale senza intaglio, lo sforzo di snervamento 3Y del materiale con intaglio (2,8 è stato arrotondato a 3) lo sforzo occorrente per la frattura fragile, che si considera come un processo indipendente sempre possibile e poco influenzato dalla temperatura.
A temperatura ambiente F > 3Y e la frattura è duttile mentre a bassa temperatura è F <Y è quindi la frattura è fragile. Vi è un intervallo, in cui Y<F<3Y nel quale la frattura del provino senza intaglio è duttile e quella del provino con l’intaglio è fragile.
La prova su provino intagliato è stata scelta per la sua semplicità in quanto consente di utilizzare le stesse attrezzature della prova di trazione classica.
E’ inclusa ad esempio nella norma di accettazione della lega di Titanio TiAl5Sn 2,5, AMS 4924 D, in cui è prescritto che il rapporto tra tensione media di rottura nella sezione di gola e tensione di rottura del provino senza intaglio sia ³1.
Il diagramma ha un significato puramente qualitativo e serve a spiegare come la presenza di stati di tensione triassiali possa modificare il comportamento.
Chiedere che il rapporto non sia inferiore a 1 equivale a chiedere che venga in parte conservata la capacità di adattamento plastico in condizioni di sollecitazioni triassiali.
LA PROVA DEL PENDOLO DI CHARPY
La prova consiste nel colpire con un pendolo un provino di dimensioni definite nel quale è praticato un intaglio, fig. 23. E’ generalizzato l’uso del provino con intaglio a V, profondità 2 mm pareti a 45° raggio di raccordo 0,25. L’energia del pendolo è di 30 Kg x m e si ottiene l’energia assorbita per differenza, misurando l’energia residua dalla risalita del pendolo.
La prova è importante perché è diventata una delle prove richieste dai regolamenti per l’accettazione dei materiali e dei procedimenti di saldatura, per impieghi a bassa temperatura.
Ad esempio per gli acciai inossidabili è richiesta una prova alla temperatura di esercizio nella quale deve risultare KV ³ 28J.
Purtroppo l’attrezzatura non è adatta a prove a bassa temperatura e si sono viste soluzioni diverse più o meno valide. Misure a 4 K sono state condotte con il provino chiuso in un piccolo dewar di vetro od in una scatola di materiale isolante , raffreddata da un flusso di vapore di elio. Dal risultato della prova si detrae il contributo del contenitore, rilevato in una prova a parte.
Nella fig. 24 è riportato l’andamento dell’energia assorbita nella prova su un acciaio al carbonio in funzione della temperatura, confrontata con l’allungamento a rottura.
Si vede che a temperatura maggiore di T4 il materiale è tenace e duttile, a di sotto di T1 è senza dubbio fragile, tra T2 e T3 è duttile se deformato a bassa velocità con una sollecitazione monoassiale, ed è fragile se soggetto ad una sollecitazione triassiale applicata ad alta velocità.
Sia la prova con il pendolo di Charpy che quella di trazione su provino intagliato sono prove di confronto. I dati ricavati non sono applicabili ad alcun calcolo di verifica.
In un materiale è molto probabile che si trovino difetti di dimensioni piccole, come microcricche, soffiature, scalfitture.
Concentrazioni molto elevate di tensione possono prodursi al vertice di una microcricca e raggiungere il limite di E/10 necessario per rompere i legami atomici, anche se gli sforzi nominali possono essere molti ordini di grandezze inferiori.
La distribuzione di tensioni intorno al vertice di una cricca, in un materiale perfettamente elastico è data dall’espressione
vedere fig. 25. Il campo di tensioni è quindi proporzionale ad un fattore K che è funzione dello sforzo applicato, s, della dimensione della cricca a, di una funzione Y(a) dipendente dalla geometria.Vedere l’appendice A per alcune configurazioni.
La frattura si verifica quando il campo di tensioni al vertice della cricca raggiunge una intensità critica, cioè quando K raggiunge un valore critico Kc, il quale è caratteristico del materiale, è cioè una proprietà meccanica funzione della temperatura, della microstruttura, della velocità di carico.
L’aspetto importante è che K può essere calcolato per diverse geometrie strutturali usando l’analisi delle sollecitazioni.
L’applicabilità del calcolo è estesa al caso che all’apice della cricca vi sia una zona plasticamente deformata, se la dimensione di questa è piccola rispetto alla lunghezza della cricca ed alla sezione netta rimanente. In questo caso si tiene conto della presenza della zona plastica aumentando la lunghezza di una quantità ry
dove sy è la tensione di snervamento al vertice della cricca.
La dimensione della zona plastica è influenzata dallo spessore (vedi fig. 26). E’ importante che per B > 2,5 (KIc/sys)2 la curva di Kc diventi indipendente dallo spessore, in quanto solo in questo caso risulta essere una caratteristica del materiale.
La misura di KIc si ottiene, sottoponendo un provino di dimensioni normalizzate, ved. fig. 27, prima ad una sollecitazione a fatica che produce una cricca la cui lunghezza deve essere compresa entro certe dimensioni e quindi ad un carico crescente sino a rottura rilevando la curva carico apertura.Il pedice I contraddistingue il modo di rottura, con la forza agente perpendicolare al piano di avanzamento della cricca, che rappresenta il caso più frequente.
Nella figura 28 è riportato il disegno di una macchina per prove di tenacità sino a 4K. Nella figura 29 sono riportati i valori di KIC per alcuni materiali.
Il fenomeno della rottura per fatica progredisce in tre stadi: la formazione di una cricca, la sua crescita ed infine la rottura.
Quindi la vita di un componente è data dal numero di cicli occorrente per produrre e propagare la cricca sino a raggiungere le dimensioni critiche.
La legge di accrescimento della cricca è data da una relazione del tipo
Dove c ed n sono costanti empiriche e DK è la differenza Kmax – Kmin tra il massimo ed il minimo valore del fattore di intensità dello sforzo.
Questo significa che l’avanzamento è dovuto al campo di tensioni ciclico al vertice della cricca individuato da DK. Cioè profilo, frequenza, valor medio del carico sarebbero fattori secondari.
La legge da/dN - DK in un diagramma doppio logaritmico è rappresentata da una retta. Vi sono in realtà due limiti uno per bassi DK, rappresenta la resistenza indefinita, senza accrescimento, l’altro per valori di Kmax che si avvicinano al K critico, quando si ha una crescita accelerata. Vedere la. fig. 30.
Nella figura 31 sono riportati dati sull’accrescimento per alcuni materiali di interesse.
Si abbia una lastra piana, spessa, di larghezza 2w, che presenta una cricca di ampiezza 2a al centro. Si suppone che il rapporto a/w sia piccolo. Sul lato di ampiezza 2w è applicata una distribuzione uniforme di tensione sl.
L’espressione di K relativa alla geometria considerata è
KI = sl (pa)1/2 . (1 – 0,5 a/w + 0,326 a2/w2)/(1 – a/w)1/2
e per a/w sufficientemente piccolo
K = sl (pa)1/2
al raggiungimento della condizione critica, si ha:
si abbia: KI,c = 40 MPa . m1/2 e sl = 200 Mpa: risulta acr = 0,013 m
Perché il calcolo sia applicabile deve risultare
Questo calcolo consente di confrontare la dimensione alla quale, in date condizioni di carico si ha la frattura con quella del minimo difetto rilevabile, con le attrezzature ed i metodi di controllo disponibili.
Un recipiente viene provato ad una pressione superiore a quella di esercizio. Il difetto per il quale la pressione di prova risulta critica abbia dimensione caratteristica apt. Se il recipiente supera il test vuol dire che difetti di quel tipo hanno dimensioni inferiori od eguali ad a pt. Alla pressione di lavoro la dimensione per la quale la pressione risulta critica è maggiore, sia as.
La differenza as – apt è l’accrescimento concesso prima che la condizione di servizio diventi pericolosa. Il tempo corrispondente può essere stimato se si conosce la legge di accrescimento in funzione della variazione del fattore di intensità dello sforzo.
BIBLIOGRAFIA
D.A.Wigley ”Mechanical properties of materials at low temperatures” Plenum Press 1971
R.P.Reed and A.F.Clark “Materials at low temperatures” American Society for Metals 1983
Fonte: https://www.ge.infn.it/~vaccaron/dispense_files/alessandria/CORSO%20MATERIALI%20CON%20LINK1.doc
Sito web da visitare: https://www.ge.infn.it/~vaccaron/
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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