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La tecnica dello slip casting, per quanto apparentemente semplice, rappresenta un’evoluzione di una tecnica risalente al XVIII secolo.
Una barbottina ceramica era colata all’interno di uno stampo di gesso, poi il materiale asciugava e consolidava. Oggi questa tecnica ha un’importanza strategica soprattutto nella lavorazione dei ceramici tradizionali (sanitari, bomboniere e vari oggetti di forma complessa), anche nel campo dei ceramici avanzati la tecnica dello slip casting ha molti vantaggi.
Il colaggio dello slip (lo slip è una sospensione di liquido e polvere ceramica) consiste nel riempire uno stampo poroso, tipicamente in gesso, con uno slurry ceramico.
L’acqua è rimossa dalla sospensione attraverso l’azione capillare esercitata dallo stampo poroso. Per azione di questa rimozione dell’acqua le particelle ceramiche sono compattate sulla superficie dello stampo per formare un oggetto solido. Lo spessore di questa superficie dipende da tanti parametri. Uno dei parametri che si può controllare meglio è il tempo, anche se lo spessore non è una funzione lineare del tempo. Si potrebbe accelerare il processo di drenaggio da parte dello stampo aumentando la temperatura dello stesso. Industrialmente per aumentare la capacità di drenaggio si applica il vuoto dalla parte dello stampo.
Aspettando il tempo opportuno, magari calcolato attraverso una curva di calibrazione, si realizza lo spessore voluto.
Se si vuole realizzare un oggetto pieno è necessario rabboccare lo slip nello stampo, man mano che l’acqua è drenata, fino ad ottenere il completo riempimento dello stesso con un materiale che è tutto solido e pieno.
Il green, cioè l’oggetto ceramico formato ma non ancora trattato termicamente, durante l’essiccazione subisce un piccolo ritiro che lo rende facilmente staccabile dallo stampo.
Sul green essiccato si esegue in genere un primo trattamento termico, detto presinterizzazione, cioè un trattamento termico al di sotto della temperatura di sinterizzazione durante la quale si raggiunge una resistenza meccanica tale da permettere lavorazioni di finitura superficiali e dimensionali.
NOTA: un materiale ceramico si può considerare green anche dopo la presinterizzazione, nella quale si formano dei colletti di giunzione tra i grani della polvere ceramica.
In seguito il green ceramico sarà sinterizzato.
La parte più difficile nel processo di slip casting è, come si può facilmente notare, la realizzazione degli stampi. Sarà importante prendersi cura dello stampo, infatti, dopo l’utilizzo questo deve essere pulito e asciugato per essere riutilizzato.
Questa slide dà un’idea della complessità del processo di slip casting (le parti in grassetto sono le più importanti).
Per realizzare un oggetto ceramico tecnico si devono tenere sotto controllo molti fattori.Un capitolo molto importante riguarda il materiale di partenza (le polveri ceramiche).Queste polveri, una volta amalgamate con un solvente e dopo aver controllato il contenuto solido, la quantità di leganti agenti bagnanti, deflocculanti, additivi di sinterizzazione, serviranno a realizzare lo slip.
Una volta preparato lo slip sarà necessario valutare la viscosità ed eventualmente agire opportunamente per abbassarla.
Un altro parametro molto importante è “pattern end mold preparation” vale a dire la preparazione dello stampo. Durante lo slip casting si deve poi controllare la viscosità, la temperatura ed il grado di riempimento dello stampo (spesso per aumentare la capacità di drenaggio si applica il vuoto dall’altra parte dello stampo).
A livello industriale è comune il così detto random destructive inspection, questa pratica consiste nel distruggere un pezzo prodotto ogni tanto per un controllo interno della qualità.
Di notevole importanza è la cura dello stampo, infatti, dopo l’utilizzo, questo deve essere pulito e asciugato per un successivo riutilizzo.
In seguito l’oggetto ceramico rimosso dallo stampo sarà sinterizzato.
Vantaggi: è sufficiente un piccolo investimento di capitale per iniziare la produzione. Una volta che s’impara a manipolare lo slip ceramico è facile ottenere sospensioni di buona qualità , omogenee e adatte per il colaggio.
A differenza dello slip casting, ad esempio in un processo di formatura a secco, è necessario adottare tecniche molto complesse di granulazione e tutta una serie d’accessori costosi.
Svantaggi: c’è un minore controllo nell’accuratezza dimensionale, che in ogni è caso presente poiché la sinterizzazione comporta una riduzione dei vuoti nel materiale che densifica. Densificazione che può variare in conseguenza del fatto che le polveri si possono impacchettare più o meno bene.
Una volta che si è ottenuto un oggetto presinterizzato si deve ulteriormente lavorarlo oppure, se le specifiche dimensionali (richieste dal cliente) sono molto stringenti, ad esempio il centesimo di millimetro, l’unica cosa da fare è un processo di finitura con paste diamantate dopo la sinterizzazione, che però aumenta in maniera esponenziale i costi.
Un altro inconveniente dello slip casting è la velocità di produzione, molto più bassa di un processo di stampaggio. L’utilizzo di uno slip di bassa qualità può causare differenze di ritiro nel pezzo finito perché le polveri, impacchettandosi in maniera non omogenea, hanno un ritiro non uniforme.
Lo stampo, essendo in gesso, è estremamente deperibile (poiché solubile in acqua), sarà quindi necessario riprodurre gli stampi.
NOTA: un pezzo si può considerare green ceramico anche dopo una prima sinterizzazione in seguito alla quale, grazie alla formazione di colletti tra i grani, può essere lavorato meccanicamente.
Il gesso è un legante aereoidraulico . Il materiale di partenza è il solfato di calcio biidrato CaSO4-2H2O che in natura si trova sotto forma di Selenite o Saccaroide.
Per ottenere il gesso utilizzato come legante è necessario disidratarlo attraverso un trattamento termico di poco superiore ai 100 °C (120-140°C). A questa temperatura avviene il processo di rimozione di una mole e mezzo d’acqua per mole di gesso e questo diventa emiidrato.
Un’ulteriore trasformazione si ottiene portando il gesso emiidrato sopra i 160°C.A questa temperatura il gesso perde un’ulteriore mezza mole d’acqua diventando anidro. In questa forma il materiale è molto meno reattivo ed inutilizzabile come legante.
Il gesso che si produce dal primo trattamento termico si suddivide in a e b .
La forma più diretta con cui si ottiene il gesso a Tamb è la b che è formata da microcristalli .Questa forma è anche quella che assorbe di più acqua perché più porosa .
Il gesso a si ottiene solo ad alta pressione e temperatura ed è costituito da granuli più grossi. In questo modo ha migliori caratteristiche di resistenza meccanica ma una minore capacità di drenare l’acqua per via del migliore impacchettamento.
I tipi di gesso a e b hanno essenzialmente la stessa struttura cristallina, si differenziano esclusivamente per le dimensioni dei grani e la porosità che riescono a produrre.
Il grano del gesso b ha una forma aciculare e s’impacchetta molto male, se si vogliono regolare le proprietà di uno stampo (resistenza meccanica e porosità) si devono controllare le percentuali di gesso a e b oltre alla quantità d’acqua per impastarlo.
Il gesso impastato con acqua indurisce in pochi minuti.
Il processo d’indurimento è la reazione inversa a quella del passaggio da gesso biidrato ad emiidrato. (La forma di emiidrato ottenuta ad alta temperatura è instabile a bassa temperatura ed alla presenza d’acqua è portata a convertirsi in biidrato). Il gesso emiidrato solubilizza molto velocemente in acqua e siccome la forma biidrato è molto più stabile risolidifica precipitando sotto forma aciculare assumendo una certa resistenza meccanica.
Poiché tra i cristalli del gesso non c’è un forte legame chimico (si tratta di particelle incastrate e con un leggero legame chimico) questo è molto fragile. La fragilità del gesso può essere un vantaggio perché lo rende uno dei pochi materiali inorganici lavorabili con macchine utensili.
Durante la solidificazione il gesso subisce un leggero aumento di volume che lo rende adatto come stucco per muratura.
In base alla granulometria (gesso a o b) il gesso si presta a diverse applicazioni.
Il gesso può essere poi impastato con acceleranti o ritardanti la presa (se è impastato con potassio o sodio aumenta il tempo di presa).
Il gesso può comunque essere utilizzato ad alta temperatura se è impastato con materiali inerti che ad alta temperatura non si ritirano come la sabbia silicea.
La resistenza meccanica e la porosità sono qualità concorrenti. Gli stampi per lo slip casting hanno una bassa resistenza meccanica perché devono essere porosi. E’ necessario raggiungere un compromesso.
Nella slide si osserva che in funzione del rapporto acqua gesso aumentano o diminuiscono le caratteristiche meccaniche o di assorbimento. Più aumenta il quantitativo dell’acqua nell’impasto più aumentano i vuoti e diminuiscono le caratteristiche di resistenza meccanica.
Lo spessore che raggiunge il materiale nello slip casting non è funzione lineare del tempo ma dipende da molti parametri. Esso è funzione del volume del materiale colato rispetto al volume del liquido rimasto ed è inversamente proporzionale al fattore di impacchettamento delle polveri.
Un altro parametro importante è la resistenza al trasporto del liquido nel gesso e nel materiale ceramico.
Inizialmente ciò che determina la quantità di acqua rimossa è la porosità del gesso ma, non appena si forma il primo strato di materiale, è la sua porosità che determina la quantità di acqua rimossa sugli stati successivi. Nel gesso questo parametro rimane quasi costante,nel materiale ceramico dipende dal fattore di impacchettamento delle polveri. Se le polveri s’impacchettano molto bene la capacità di drenare l’acqua diminuisce notevolmente.(A livello industriale per tener conto di tutti questi fattori si costruisce una curva di calibrazione).
Nello slip casting in generale si vuole un green ceramico che sinterizza a basse temperature per risparmiare tempo ed energia. Per ottenere questo risultato è necessario scegliere attentamente le dimensioni delle polveri.
Per ottenere il max dell’impacchettamento (circa il 75%) è necessario scegliere una polvere con una distribuzione bimodale in modo che il rapporto tra le particelle piccole e quelle grandi sia di 7 : 3 .
Nella formulazione di uno slip ceramico si devono utilizzare il 70% in peso di particelle grosse ( 2 mm) ed il 30% in peso di particelle piccole ( 0.5- 0.7 mm ).Inoltre il rapporto tra i diametri delle particelle grosse e piccole deve essere almeno 7 : 1 .
Questi valori portano al max valore dell’impacchettamento dopo il colaggio. L’alto impacchettamento che si ottiene in sistemi bimodali dipende dal fatto che le particelle piccole occupano gli interstizi formati da quelle grosse. Se si vuole ottenere una più alta densità si può utilizzare una distribuzione di polveri trimodale che rispetti quanto appena detto per le distribuzioni bimodali .
Il fattore di impacchettamento massimo “packing factor max PFmax ” è calcola calcolabile come:
Pfparicelle grossre + ( 1- Pfparicelle grossre ) * Pf particelle intermedie + ( 1- Pfparicelle grossre ) * (1- Pf particelle intermedie ) * Pf particelle fini
Il miglior rapporto aqua-polvere, che garantisce da una parte un buon impacchettamento e dall’altra una buona fluidità, è quello che prevede il 40-50% in volume di contenuto solido .Se il contenuto di polvere ceramica è superiore a questi valori si rischia di realizzare un impasto troppo denso e difficile da colare, se il contenuto in solido è più basso si rischia di avere un green body troppo poroso e delicato da maneggiare.
Quando le dimensioni delle particelle nella soluzione diventano molto piccole (in questo caso si parla di sospensioni colloidali) le interazioni di tipo elettrostatico ,di Van Der Waals, dipolo-dipolo sono tali che le proprietà reologiche (scorrimento) mutano completamente.
Soluzioni di particelle colloidali già per contenuti di solido del 3-4% gelificano (la fase solida e liquida si permeano completamente).
Questo tipo di materiali ,non essendo legati chimicamente ma tramite incastri fisici e deboli forze, se sottoposti ad un adeguato shear rate (scuotendoli energicamente) tornano fluidi , se invece sono lasciati in quiete riassumono la forma di gel .I fluidi con queste caratteristiche sono detti di Bingham.
Consideriamo un fluido contenuto tra due piastre, se una delle due piastre è messa in movimento rispetto all’altra, il fluido avrà una serie di regioni di flusso di velocità, la parte più vicina alla piastra in movimento seguirà la velocità di quest’ultima mente lo strato di fluido vicino all’altra piastra sarà fermo. Si viene quindi a stabilire un gradiente di velocità tra le piastre con un moto del fluido laminare.
Quando il gradiente di velocità è proporzionale allo stress applicato si dice che il fluido è Newtoniano ed è possibile applicare la relazione :
t = h(-dV/dt) = hg’
t = shear stess
g’= shear rate
La costante che lega lo shear rate allo shear stress è la viscosità del materiale. Questa relazione vale solo per fluidi Newtoniani, in tutta una serie di fluidi non Newtoniani c’è un andamento più irregolare ,che può essere una legge esponenziale con una costante qualsiasi.
Per esprimere nuovamente la viscosità in termini lineari rispetto allo shear stress si definisce come viscosità del materiale l’esponente n-1 (anche se effettivamente non è una viscosità in qualche modo si può assimilare alla resistenza totale offerta dal liquido).
Quando n <1 il fluido è detto pseudoplastico,questo comporta che man mano che cresce lo stess la viscosità tende a diminuire. Un fluido di questo tipo è costituito da molecole che non sono inizialmente allineate ma che lo diventano per effetto dello stess diminuendo in questo modo la viscosità.
Quando n >1 il fluido è detto dilatante .In questo caso se il fluido è soggetto a basse sollecitazioni scorre liberamente ma sollecitato con forti stess comincia a generare attriti.
Come detto precedentemente una sospensione colloidale ,essendo un fluido di Bingham ,per essere messa in movimento necessita di uno stress aggiuntivo oltre a quello necessario allo scorrimento .
Lo stress iniziale da dare ad una soluzione di questo tipo è ty (Yield stress) e corrisponde ad una soglia iniziale di sollecitazione per renderla liquida.
Solo la differenza dello stress rispetto allo stress iniziale mette in movimento il fluido :
t - ty = hp g’
hp è la viscosità plastica e si può legare alla viscosità apparente tramite un termine aggiuntivo legato allo Yield stress :
ha = hp +ty / g’
Un liquido è tissotropico quando la sua viscosità apparente diminuisce col tempo. La tissotropia si verifica in fluidi pseudoplastici e di Bingham dove le sollecitazioni meccaniche sono tali da far diminuire la viscosità. La tissotropia è un fenomeno reversibile.
Un fluido Newtoniano , avendo una proporzionalità diretta tra s. rate e s. stress, ha un comportamento lineare.
In un fluido pseudoplastico la curva subisce un abbassamento e la viscosità diminuisce all’aumentare dello shear rate
Un fluido è dilatante quando all’aumentare dello shear rate la viscosità subisce un impennata rispetto al comportamento lineare.
Nella tabella in basso (della slide) sono riportati i valori tipici di shear rate per vari processi tecnologici .
Un’azione molto debole ,che può essere quella di livellamento per gravità,
ha un valore di shear rate pari a 10-1 sec-1 .L’intervallo di shear rate nel processo di colaggio (pouring) è tra 100 e 10 1.
Quando si prepara uno slip ceramico quello che si deve ottenere e che, dopo averlo agitato un po’, questo sia poco viscoso.
L’azione di spennellata e di spray corrispondono a grossi shear rate nel fluido.
In conclusione una sospensione ceramica , o più in generale un fluido non Newtoniano, è caratterizzata da un intervallo di parametri di viscosità che varia con lo shear rate.
Per stabilire la viscosità di una sospensione è necessario valutare inizialmente la viscosità del liquido che non contiene la polvere.
Il rapporto tra la viscosità della soluzione e la viscosità del liquido è detta viscosità relativa hr .Questo parametro è funzione della frazione volumetrica di solido nel liquido:
hr = 1+kh *f vp
f vp è la frazione volumetrica di particelle nel liquido
Maggiore è il contenuto solido maggiore è la viscosità relativa.
Per caratterizzare la viscosità è necessario tener conto di un altro parametro il fattore di forma idrodinamico kh che contraddistingue a parità di frazione volumetrica di solido due sistemi in cui la forma delle particelle cambia.
Esiste comunque una legge generica ricavata empiricamente che fa variare tramite un esponente la viscosità relativa :
hr = ( 1- f vp )- k f
L’andamento tipico della viscosità in una sospensione ceramica con l’aumentare della frazione volumetrica di solido nel liquido fino a 30-40% e per forme sferiche di particelle e quasi uguale a quella del liquido non caricato.
A secondo del fattore idrodinamico interviene una soglia limite per cui, dopo un certo volume di solido, si ha un’impennata del valore di viscosità passando da 4-5 mPa/sec a diversi Pa/sec (l’acqua ha una viscosità di 1mPa/sec il dentifricio 4-5 Pa/sec.
Nella formulazione di uno slip ceramico si deve utilizzare la max frazione volumetrica di solido nel liquido per evitare un’alta porosità nel green e nello stesso tempo non si deve oltrepassare un certo valore limite per non compromettere le proprietà reologiche e la colabilità.
-caricamento delle particelle di argilla
La viscosità delle sospensioni ceramiche è una proprietà che oltre a dipendere dalla forma geometrica delle particelle dipende molto dalle interazioni tra esse .
Le argille come visto nel corso del 4° anno sono dei fillosilicati che naturalmente si caricano elettrostaticamente grazie al fenomeno dello swelling (gli strati di argilla si staccano perdendo gli ioni intrappolati)
In questo modo l’aggregazione delle particelle è impedita.
I ceramici avanzati sono dei materiali altamente ingegnerizzati ,dalle alte prestazioni ,predominantemente non metallici ed inorganici con attributi funzionzionali speciali (questa def . è molto generale).
Un ceramico tradizionale invece ha degli attributi più specifici perché ,nella definizione ISO, si parla di materiale non organico e non metallico.
Quando si parla di ceramici avanzati bisogna pensare a dei materiali pensati, voluti fortemente e quindi altamente ingegnerizzati . (Ingegnerizzare un materiale significa pensarlo progettarlo e realizzare le opportune tecnologie per crearlo).
Perché un materiale sia avanzato bisogna che serva a qualcosa di speciale e quindi deve avere speciali attributi funzionali. La tecnologia dei ceramici è un “enabling technology “ cioè una tecnologia che permette di realizzare qualcosa e rappresenta una discriminazione tra uno stato ricco ed uno povero.
L’approccio moderno parte dalla funzione, vale a dire da cosa è necessario per realizzare un dato progetto (mercato demand pull in pratica tirato dalla domanda). I materiali in se non hanno valore ma ne acquistano molto se servono qualcosa.
I materiali ceramici servono a molte applicazioni in particolare, sulla parte più esterna della figura, si può notare un elemento ricorrente l’allumina che ha applicazioni interessanti nei più svariati settori grazie anche al suo basso costo. Questo ceramico è utilizzato per la sua alta resistenza meccanica, agli agenti chimici e alla temperatura (se è pura fonde a 2050 °C ). Tipicamente anche se si lavora con allumina pura le condizioni massime di utilizzo difficilmente superano i 1850 °C e ciò deriva dal fatto che a temperature vicine a quelle di fusione avvengono fenomeni di creep e ricristallizzazione che riducono drasticamente le proprietà meccaniche .
Un grosso problema dell’allumina è la bassa resistenza agli shock termici dovuta all’alta espansione termica.
Dal punto di vista ottico l’allumina può essere traslucente e ciò deriva oltre che dal processo produttivo anche dal materiale di partenza.
Per quanto riguarda le proprietà elettriche è il più venduto materiale tra i ceramici grazie al suo elevato potere dielettrico. Non è inoltre da trascurare l’utilizzo in campo medico essendo questo materiale bioinerte ( le cellule umane non lo riconoscono né come affine né come pericoloso).
Il materiale di partenza è la bauxite (minerale molto abbondante nella crosta terrestre ) .
La bauxite, allo stato naturale, contiene, oltre all’Al(OH)3, dei contaminanti ed in particolare una gran quantità di ferro (Il ferro è sostituibile all’alluminio in termini di raggio cationico, valenza ecc. ecco perché la bauxite allo stato naturale è rossa).
Il materiale una volta prelevato dalle cave è macinato (grinding) ed immesso in un reattore chimico (digester) nel quale applicando temperature e pressioni piuttosto elevate, alla presenza di soda, si permette all’Al(OH)3 di formare un composto anionico Al(OH)4- che va in soluzione.
I contaminanti possono così essere separati dal composto che a temperatura ambiente riprecipita come idrossido.
(Un problema che riguarda il processo Bayer e che il sodio non può essere eliminato completamente).
Dopo il digester c’è il setting tank che permette di separare la soluzione di Al(OH)- dai contaminanti “RED MUD ”. La soluzione così purificata è fatta raffreddare nel cooler e fatta precipitare nel precipitator.
Una volta lavato e classificato l’Al(OH)3 può essere venduto così com’è col nome di Higlite.
Questo materiale è molto importante dal punto di vista industriale perché, essendo inerte (fino ad una certa temperatura) ed avendo un basso costo, può essere utilizzato come riempitivo (filler) di materiali plastici ( si lega molto bene con questi). L’Al(OH)3 in polvere è un ottimo protettivo termico perché, riscaldato ad alta temperatura, ha una fortissima entalpia di reazione per convertirsi in allumina (assorbe molta energia).
Una volta convertito in allumina è un materiale estremamente inerte, resistente e se proviene da una reazione veloce è anche molto poroso, isolante e protettivo termico attivo.
La trasformazione da idrossido d’alluminio in allumina è un processo che comincia a temperature superiori a 100 °C evolvendo acqua e ha termine, con una completa disidratazione dell’idrossido, intorno ai 500 °C (è un processo lungo che richiede molta energia)
Industrialmente se si vuole ottenere allumina si prende l’idrossido, ottenuto per precipitazione, è s’immette in un forno rotativo leggermente inclinato (rotari klin), in questo modo si ottenere un processo continuo.
Le polveri d’idrossido entrano nell’estremità più alta del forno e grazie al gradiente termico (la temperatura è più bassa alle estremità e più alta al centro) subiscono un trattamento termico che le converte in allumina.
Esistono vari tipi d’allumina, quella che ci interessa più da vicino è l’allumina a che si ottiene portando l’idrossido ad una temperatura superiore ai 1100 °C.La forma cristallina di tipo a è anche chiamata Corindone e nella forma perfetta è detta Zaffiro.
Le polveri ottenute sia da un processo termico (come il Bayer), sia dal materiale fuso e poi raffreddato devono essere trattate, la prima cosa da fare,essendo in presenza d’agglomerati, è quella di ridurre la granulometria attraverso i mulini (mill) per ceramici.
Esistono vari tipi di mulini :rotary crusher (funzionano come un macinino da caffè) ,hammermill (a martello), crushing rollers (con rulli) .
Più le polveri sono fini maggiori sono i costi di produzione sia perché il materiale macinante si consuma sia perché l’energia richiesta è elevata .
Per ottenere granulati delle dimensioni di mm la tecnologia che si usa è quella dei rotary crusher o hammermill. Se le dimensioni che si vogliono ottenere sono molto inferiori la tecnologia usata quella de mulino a palle.
Questo mulino è costituito da un cilindro che contiene al suo interno delle biglie ceramiche molto dure a base d’allumina. Una volta messo in rotazione le biglie all’interno, raggiunta un certa altezza, ricadono schiacciando e frantumando i granuli ceramici che si trovano in mezzo. Con questa tecnica si possono ottenere polveri ceramiche fini delle dimensioni della frazione del mm.
Nello scema della slide si può vedere che in funzione delle dimensioni d’alimentazione (feed size) e di quelle che si vogliono ottenere (product size) si devono utilizzare diverse tecnologie di macinazione.
I mulini a palle possono lavorare a secco e in umido. La macinazione più efficace è quella in umido, lo svantaggio e che le polveri devono essere essiccate.
Le polveri ceramiche possono essere suddivise in base alle dimensioni.
La polvere propriamente detta (powder) ha dimensioni che vanno dal mm al centinaio di mm e si presenta come agglomerati di grani di polvere per questo motivo è detto granulato. Ciò che si trova al di sotto del mm è detto colloide perché le dimensioni di queste polveri sono tali che immesse in un solvente non riescono a sedimentare ma restano in sospensione.
Questo dipende dal fatto che la forza necessaria alla sedimentazione che dipende dal proprio peso non riesce prevalere su tutta una serie di altre forze (elettrostatiche , dipolo-dipolo ecc.).
Un sistema per separare un colloide da una soluzione è la centrifugazione.
Una volta ottenute le polveri queste devono essere controllate per stabilire la granulometria e miscelarle in modo opportuno. La miscelazione è un fattore molto importante nella formulazione di uno slip. Se utilizzassimo polveri tutte delle stesse dimensioni l’impacchettamento ottenibile sarebbe molto basso. Questo si verifica se le polveri oltre ad essere tutte delle stesse dimensioni hanno anche forma irregolare (la forma sferica assicura un migliore impacchettamento).
Nel 1° grafico della slide si nota che per avere una riduzione del volume specifico di impacchettamento, in un sistema costituito da polveri fini e grosse, è necessario miscelare il 70% di polveri grosse (coarse) con il 30% di polveri fini.
Il 2° grafico rappresenta delle curve cumulative utili per stabilire le dimensioni delle polveri. Queste curve esprimono la quantità delle polveri suddivise in base alle dimensioni. Sulle ascisse c’è la dimensione delle particelle e sulle ordinate la massa cumulativa (quella che si somma). Per determinare la quantità di massa di particelle che hanno una dimensione inferiore ad una data basta considerare l’intercetta sul grafico della curva cumulativa. La curva designata con D=64% rappresenta una possibile distribuzione monomodale di particelle fini , cioè una distribuzione di tipo gaussiano centrata in un certo punto.
Se si esegue la derivata della curva cumulativa si ottiene la distribuzione in frequenza .
Quando una curva si porta da un valore 0 % ad uno 100% senza gradini la distribuzione è di tipo monomodale , questo vuol dire che le particelle hanno tutte una certa dimensione che oscilla intorno ad una dimensione media. Quando si ha un profilo a gradini (es. D=77% a due gradini) significa che una certa quantità di polvere ha una dimensione che varia intorno ad una media, la restante ha un’altra dimensione che oscilla sempre intorno alla stessa dimensione media. Nel caso della D=77% si ha che il 20% è sotto i 2 mm e l’80% ha una dimensione superiore.
Una distribuzione di questo tipo è ideale per un buon impacchettamento.
Una volta asciugate le polveri sono setacciate attraverso dei setacci (messi in vibrazione e in cascata) a partire dal setaccio a maglie (mesh) più grosse ,che è posto più in alto, fino a quello a maglie più piccole ,posto alla fine. Le polveri a secondo delle dimensioni rimangono intrappolate nei vari setacci e si ottiene una separazione per classi granulometriche.
Questo tipo di separazione non può essere utilizzato per separare polveri più piccole di qualche decina di mm perché non si possono utilizzare maglie più sottili di queste dimensioni.
La tecnologia che si utilizza per polveri di dimensioni inferiori è quella a base elettrica e a base ottica.
Un esempio di misura elettrica è il granulometro a capillare che sfrutta la variazione di corrente che circola tra due elettrodi in una soluzione durante il passaggio di un granulo di polvere attraverso un capillare.
Un esempio di misura ottica è quella della diffrazione del raggio laser che sfrutta la legge di Mye. Quando un raggio laser colpisce una particella o è rimandato indietro o è deviato (scatterato) di un certo angolo che è tanto maggiore quanto minore è la dimensione della particella. Queste tecniche consentono di misurare particelle di frazioni di mm fino ad 1mm.
C’è in ogni caso un problema di lettura di questi dati perché una misura che da una distribuzione bimodale potrebbe essere causata da una forte asimmetria delle polveri, in questo caso è necessaria qualche informazione preliminare (la struttura delle particelle dipende oltre che dal tipo di macinazione anche dalla struttura cristallina, una struttura lamellare tende a formare granuli piatti).
Se si vogliono effettuare misure su particelle colloidali si utilizza la fotocorrelazione ottica che permette di individuare particelle submicroniche. Questo sistema si può spiegare partendo dai principi del moto Browniano . I sol colloidali vibrano nella soluzione hanno un moto termico. Questo moto diventa collettivo e dipende dalle dimensioni, misurando lo scattering ottico dovuto al moto collettivo e sfruttando la fotocorrelazione ottica si possono misurare le dimensioni delle particelle colloidali.
Ovviamente dal punto di vista visivo già può essere fatta una prima stima di quello che c’è in una soluzione. Il principio fondamentale e che interferiscono con la luce le particelle che hanno dimensioni almeno dell’ordine di grandezza della luce ( 400-700 nm) per cui iniziano ad interferire con la luce particelle che hanno dimensioni superiori ai 50 nm .
Ciò che ha dimensioni molto inferiori ( 3-10 nm) non scattera la luce e quindi una sospensione colloidale con particelle così piccole appare trasparente (se una soluzione appare torbida significa che le particelle sono dell’ordine di 20-40 nm, se appare lattiginosa le dimensioni degli aggregati sono 100-400 nm).
La tabella nella slide mostra l’applicazione più o meno adatta in funzione del tipo di allumina (cioè in funzione delle dimensioni e della purezza) .
La slide mostra un grafico in cui in ordinata è riportato il grado di purezza dell’allumina ( più ci si allontana dallo zero maggiore è il contenuto di soda Na2O), in ascissa è riportata la dimensione del grano cristallino.
Quello che conta dal punto di vista della reattività e della sinterizzabilità è la dimensione del grano cristallino che compone il grano di polvere .
In alcuni casi il grano cristallino coincide col grano di polvere in altri casi il grano di polvere è un aggregato di grani cristallini .
La ripartizione in ultimate crystal size va da un grano molto fine che è ottenuto trattando le polveri di idrossido ( Boemite ) solo alla temperatura che gli consente di trasformarsi in allumina a o quasi ma che non gli consente di crescere ( più aumenta la temperatura più aumentano i fenomeni di aggregazione e crescita delle particelle ).
Le particelle vengono classificate dal punto di vista granulometrico- composizionale standard e coarse quando ci sono particelle dell’ordine del mm. quando le dimensioni cristalline sono tali da dare un’allumina tabulare o sferica (dimensioni grosse) queste polveri hanno una reattività bassa.
Diminuendo il contenuto di soda e tenendo basse le dimensioni cristalline si ricade nell’ambito delle termaly reactive ( sono delle polveri molto reattive che cominciano a sinterizzare a 1500 ° C ).
Quando le particelle sono grosse per la sinterizzazione occorrono temperature alte (1700 °C) e non è detto che sinterizzino bene ( se all’interno includono un poro difficilmente riescono ad espellerlo)
Grafico sintering properties.
L’allumina ha una densità teorica di 3,96-3,98 g / cm3 questo nel caso di cristallo ideale.
A secondo dell’ultimate crystal size si nota che utilizzando grani grossi (spherical) la densità del sinterizzato scende drasticamente.
La migliore densificazione si ottiene con allumine fini e più pure (UA).
Nella slide sono riportati i principali tipi di impurezze : ossido di ferro , ossido di silicio , ossido di sodio , ossido di magnesio.
L’impurezza che caratterizza maggiormente le polveri di allumina è l’ossido di sodio perché ,essendo un materiale alcalino ,è quello più perturbante dal punto di vista delle temperature .
La gravità specifica è quella che riguarda la densità del singolo grano ( come si può notare è 3,96 g / cm3 .
Un altro parametro molto importante è il mean particle size ,cioè la dimensione media delle particelle, questo valore è messo a confronto con l’ultimate crystal size ,cioè con le dimensioni del grano cristallino.
La bulk density è suddivisa in loosed ,taped , pressed ( polveri sciolte compattate pressate ). Questa suddivisione nasce dal fatto che più le polveri sono fino più in aria tendono a stare separate (la densità arriva a 2,6 g / cm3) con un conseguente problema nel trasporto ( sacchi molto ingombranti ma con poca polvere).
I due parametri più importanti per i ceramisti sono il ritiro lineare linear strench e la fire density cioè la densità raggiungibile in determinate condizioni.
Il ritiro lineare è specificato sotto certe condizioni particolari fornite dal costruttore (con o senza agente flussante MgO).
Consideriamo ora le polveri nel solvente. Più le dimensioni delle polveri decrescono più le interazioni reciproche diventano sempre più probabili anche per piccole frazioni volumetriche di solido.
La flocculazione è il fenomeno di aggregazione delle particelle di polvere nel liquido che può portare anche alla gelificazione dello slip.
Esistono diversi meccanismi di gelificazione :
le polveri hanno una certa carica e siccome nel liquido ci sono degli elettroliti questi tendono in qualche modo a far attrarre elettrostaticamente le polveri .
se si usano miscele di polveri di natura diversa con potenziale zeta differente queste si attrarranno reciprocamente.
Se le polveri hanno forme particolari per cui una zona è caricata in un certo modo ed un’altra nel segno opposto queste zone si attrarranno .
Attrazione dovuta alla presenza sulle polveri di polimeri o colloidi bridge.
Questi fenomeni sono molto dannosi perché trasformano uno slip colabile in una massa solida inutilizzabile.
Quello che si utilizza per disperdere una soluzione di polveri ceramiche tecniche, che non si stabilizzano naturalmente come fa un’argilla in una barbottina, è l’aggiunta di surfattanti o polielettroliti anionici.
I surfattanti sono delle molecole organiche che hanno una terminazione polare ed una non polare .
Questa struttura è tipica dei tensioattivi del sapone che con la parte non polare si legano allo sporco e con la parte polare all’acqua lavando via lo sporco stesso.
Le particelle di sporco precedentemente non polari sono rese polari dalle micelle dei tensioattivi e solubili in acqua.
Queste stesse molecole tensioattive possono avere la funzione di deflocculare (specialmente quando si usano polveri ceramiche a base di ossidi ceramici ed in generale materiali ceramici di tipo ionico).
Gli ossidi ceramici solubili in acqua attrarranno la parte polare dei tensioattivi la coda di queste molecole ,che è non polare,rappresenterà un ingombro sterico impedendo ,per quanto forti siano i meccanismi di attrazione , di far flocculare le particelle.
Un meccanismo alternativo prevede l’utilizzo di polielettroliti anionici. Questi ,essenzialmente dei polimeri a base acrilica che contengono delle cariche (contengono dei gruppi OH- che si caricano negativamente).
I polielettroliti anionici in soluzione hanno una grossa probabilità di attorcigliarsi intorno alle particelle di polvere contribuendo a caricarle maggiormente o comunque a cambiare il loro stato di carica.
le soluzioni ben deflocculate sedimentano compattandosi bene perché , non formando degli aggregati , non possono lasciare degli interstizi ( caso a). Le sospensioni flocculare (caso b ) nella sedimentazione lasciano molti vuoti e questo fa sì che il green ceramico abbia una consistenza molto porosa , dando problemi di fragilità e di rottura a causa del grande ritiro durante la sinterizzazione.
Alcuni autori raccomandano comunque una deflocculazione non perfetta ,per non impedire il processo di drenaggio da parte dello stampo a causa di uno strato di green troppo denso.
Come si è detto c’è una naturale tendenza delle particelle ceramiche , se non sono caricate, ad incontrarsi nella soluzione e a flocculare. Consideriamo ora delle particelle colloidali. La teoria per cui queste particelle rimangono sospese è quella per cui la loro energia cinetica deve essere comunque inferiore alle forze repulsive che si vengono creare tra le particelle. Tipicamente l’energia cinetica delle particelle colloidali viene assunta pari a 10 volte la costante di Bolzman per la temperatura.
Due particelle che hanno questa energia cinetica e che si muovono l’una verso l’altra devono avere un potenziale elettrostatico negativo tale da permettergli di non scontrarsi. La carica sulle particelle viene chiamato potenziale x (si tratta del potenziale netto efficace che la particella possiede in una soluzione). In generale una buona azione di separazione si ottiene per un potenziale x di 25 mV anche se potenziali inferiori possono già stabilizzare le particelle.
Naturalmente una particella può essere carica ma non è detto che in soluzione quella particella abbia la stessa carica ,infatti, nel momento in cui viene immersa in un solvente di carattere polare ci saranno tutta una serie di controioni (cioè ioni opposti alla carica iniziale) che si legheranno elettrostaticamente alla particella. Insieme alle cariche legate si formano tutta una nuvola di particelle con un regresso della concentrazione di carica.
Se all’interno della soluzione si genera un campo elettrico le particelle cominceranno a muoversi secondo l’effetto complessivo di tutte le cariche assorbite. Quando si mette in moto una particella questa trascinerà solo le cariche che interagiscono più efficacemente con lei. In questo modo si genera un piano di scorrimento localizzato oltre il primo strato delle cariche fortemente legate. Si può pensare che il concetto di potenziale x sia legato al potenziale che c’è ad una certa distanza dal centro della particella, cioè quella distanza ,superata la quale, gli ioni vengono lasciati dalla particella in movimento sotto effetto del campo elettrico.
Al di là della carica netta dalla particella quello che conta è il bilanciamento di carica fra la carica della particella e quella assorbita fortemente. Quindi in prossimità del piano di scorrimento si può definire il potenziale x come il potenziale efficace che serve a trascinare la particella.
Il potenziale x definito in questo modo si può misurare sperimentalmente perché è collegato al moto della stessa particella. Se si mette in movimento una particella si andrà a misurare una certa velocità ne che dipenderà dalla viscosità della soluzione e sarà in qualche modo proporzionale al potenziale x . misurando la velocità e conoscendo le costanti dielettriche ,il campo ,la costante di Henry si può risalire al potenziale x.
In figura si può vedere la particella caricata negativamente ed il primo strato di controioni positivo. Oltre il primo strato può venire attratta un’altra serie di cariche. In prossimità di tutte le particelle che sono attratte in maniera forte si può andare definire quello che si chiama il doppio strato ,cioè la distanza shear rate in corrispondenza del quale si definito il potenziale x .
Il potenziale x dipende dal pH della soluzione nel senso che la quantità di ioni e controioni assorbiti dalla particella dipendono dalla quantità e dal tipo. Il pH non è altro che l’espressione della concentrazione degli ioni H+ o OH-. A secondo del numero di ioni presenti nella soluzione si possono avere valori differenti del potenziale x . Ad esempio per valori molto alti dell’acidità (vicini ad 1) il potenziale x deve essere molto probabilmente positivo.
Se partendo da una soluzione molto acida cominciamo ad aggiungere una base ( NH4OH ) si fa virare il potenziale x da valori molto positivi a valori meno positivi e si arriverà al punto in cui il potenziale x sarà nullo. Continuando ad aumentare il pH ( aggiungendo come faremo noi polielettroliti anionici ) dallo zero si passerà a valori meno negativi del potenziale x. Il punto in cui potenziale x è zero si chiama punto isoelettrico (I E P) che è il punto di massimo rischio di flocculazione per polveri ceramiche. Nel caso in figura l’I E P coincide con un valore di pH = 7 ci possono essere polveri anche con due I E P ( sostanze anfotere come l’allumina ). Il I E P non è sempre a pH = 7 dipende dal tipo di polvere utilizzata.
Se ad esempio le particelle hanno natura acida come SiO2 in soluzione tenderanno ad avere natura acida e per potarla al punto isoelettrico ci vorranno molti più controioni di quanti sarebbero necessari per una soluzione di carattere basico.
Il grafico nella slide spiega come controllare la viscosità della soluzione che è intimamente legata al potenziale x . Andando ad aumentare la quantità di polielettroliti non si fa altro che aumentare in termini assoluti il potenziale x . in realtà come si può vedere anche andando ad aumentare in maniera indefinita il la quantità di polielettroliti alla fine si perde la sua efficacia ( esiste un valore ottimale di polielettroliti da utilizzare ) .
E ‘ riportato l’andamento della concentrazione in peso del disperdente in funzione della viscosità.
L’aspetto delle polveri sinterizzate è quello di grani tutti legati fra di loro. L’aspetto traslucente è dovuto alla perfetta saldatura e adesione dei grani.
Sintering properties of high purity alluminas
La capacità di sinterizzazione valutata come la tendenza di raggiungere la densità teorica ( 3.96) varia a secondo delle polveri e della temperatura e ci sono dei valori limite per cui una certa polvere ,a meno che non si scaldi ,molto non riesce a superare.
Quando si aiuta il sistema con MgO , anche in piccole quantità ( inferiori allo 0,01 % ), i valori teorici di densità si raggiungono già a 1550 °C
Le variabili in gioco nella densificazione sono il tempo,la temperatura,l’atmosfera e dal punto della validità del test che dobbiamo fare, importante è la misura della densità.Solitamente si fa riferimento ai grafici tempo –temperatura –pressione; la pressione è molto utilizzata nelle tecniche di formatura a freddo. I processi di formatura a freddo in pressione possono essere di due tipi. Se la pressione viene applicata uniassialmente, premendo all’interno di uno stampo con un pistone uniassiale, nel caso si utilizzino delle polveri impastate al legante il processo prende il nome di cold uniaxial pressing; se invece la pressione viene applicata in tutte le direzioni il processo prende il nome di isostatic pressing. Questo secondo caso si realizza andando a mettere il campione ceramico in un contenitore metallico; se è a freddo si aggiunge anche un silicone che ha la capacità di contrarsi. Dopo si mette il green investito con il silicone in un autoclave e si applica una pressione utilizzando, ad esempio, del gas. La pressione del gas può arrivare intorno ai 200-300bar ed è tale pressione che compatta e che densifica il materiale.Comunque i processi appena citati sono processi di stampaggio a freddo; nel caso di formatura a caldo si parla di hot uniaxial pressing o hot isostatic pressing.
Questi processi fanno un uso combinato di pressione e temperatura ed il vantaggio rispetto alla messa, fisicamente, in forno risiede nel fatto che l’applicazione di forti pressioni anche di centinaia di bar fa si che ci sia un'aggiunta in più alla variazione di energia libera di Gibbs. Questo significa che il termine Pdv di riduzione di volume del materiale risulta in volume del materiale risulta in ffinché densifichi bene chiudendo tutti i pori anche dove c’è aria che tenderebbe a non densificare. In questo modo si può densificare bene il materiale anche a più basse temperature. Quindi con queste tecniche si ottengono materiali di qualità migliore in termini di porosità, di crescita non abnorme dei grani. Il problema di questa tecnica è che è molto costosa; basti pensare ai grossi forni che si utilizzano dove si raggiungono pressioni elevatissime che possono renderlo una bomba.
Facciamo ora un richiamo sulle tecniche di formatura a freddo dei materiali ceramici avanzati per quanto li dovremmo chiamare cementi. In realtà senza applicare la temperatura bensì facendo avvenire delle reazioni chimiche anche a basse temperature possiamo pensare di consolidare un materiale ceramico. Questa è la tecnica più utilizzata per realizzare i mattoni refrattari dei grossi forni, elementi di cui fare le camice interne dei forni, etc.
Un celebre legante idraulico, oltre al gesso è l’alluminato tricalcico. Questo per reazione con l’acqua forma un composto, un idrossido di calcio alluminio che è una sorta di gel, un materiale che solidifica in soluzione diventando una struttura microporosa. Questa struttura consente di fare presa. Una cosa che spesso si fa è utilizzare l’alluminato tricalcico in piccole quantità di 4-5% -10% mischiato poi all’allumina di grosse dimensioni che ha difficoltà a sintetizzare. Un impasto di 80-90% di grossi grani di allumina e cemento alluminoso costituisce un materiale refrattario che può arrivare a temperature di 1800° senza bisogno di sintetizzarlo ma semplicemente facendogli fare presa grazie alla reazione a bassa temperatura.
Per quanto poi i gruppi OH che si formano, quando il mattone refrattario verrà utilizzato, si decomporranno e comunque si formeranno ossidi di calcio alluminio sufficienti a tenere compatto il materiale. Naturalmente, essendo refrattari e avendo una certa capacità di isolamento termico, hanno performance non elevatissime come quelle dei materiali sinterizzati.
Un’altra reazione tipica è quella che si ottiene facendo reagire l’allumina con l’acido fosforico. Questa reazione è molto utilizzata dagli odontotecnici quando fanno gli stampi in cui fare la colata dei metalli. In altre parole gli odontotecnici non sinterizzano gli stampi ma utilizzano questi cementi a base di acido fosforico allumina, silice per fare uno stampo ceramico refrattario.
Un altro sistema è il sodium silicate cement. Si tratta di un cemento ottenuto per impasto di sodio silicato che in alcune concentrazioni può essere addirittura liquido: infatti prende anche il nome di water glass. Questo composto a seconda della quantità di sodio, può essere liquido ed essere considerato una sorte di legante liquido che reagisce dopo che è essiccata tutta l’acqua che lo impasta nel materiale refrattario.
La reazione del silicato di sodio con la sabbia, ad esempio, è quella che si utilizza in fonderia nei processi in cera persa. Si impasta il silicato di sodio liquido e lo si essicca semplicemente mettendoci dentro degli additivi, dei catalizzatori. Il silicato, durante l’essiccazione, fa presa e consolida la forma; ovviamente il consolidamento è molto relativo nel senso che in fonderia, una volta colato il metallo, la forma possa essere rotta facilmente.
Supponiamo di voler conoscere la composizione del punto tracciato nel centro del diagramma. La regola da seguire prevede, nel caso si volesse conoscere la percentuale di SiO2, di tracciare un segmento passante per il punto di cui si vuole conoscere la composizione e parallelo al lato del triangolo opposto al vertice su cui si trova SiO2 pura. Applicando la regola della leva si ricava che la quantità di silice è data dal rapporto AB/BD. Analogamente si ricavano la quantità di CaO come rapporto EC/BC e quella di Al2O3 come rapporto BF/BC. La cosa che semplifica di circa il 50% l’operazione di calcolo è quella di poter fare la lettura su un unico segmento. Ragioniamo ad esempio sul segmento BC e consideriamolo unitario. Sappiamo già che la frazione BF rispetto a BC rappresenta Al2O3 mentre EC rispetto a BC rappresenta CaO quindi automaticamente la quantità di silice è il terzo segmento restante.
La posizione dei principali refrattari a base di silice o dei cementi si può leggere in un unico diagramma. Infatti questi materiali sono accomunati dallo stare dentro lo stesso diagramma ternario. I cementi silicatici stanno sul segmento CaO-SiO2 mentre i cementi alluminati stanno sul segmento CaO-Al2O3. Una combinazione di tutti e 3 porta alla formazione di una fase liquida cioè ad un prodotto che trovandosi vicino all’eutettico può dare origine ad una fase vetrosa. Molto più strategico ed importante per i ceramisti è però il segmento che si trova fra SiO2 e Al2O3.
Nel diagramma c’è una piccola zona vuota perché c’è l’eutettico che è basso fondente. Continuando poi su questo lato troviamo fire brick, mullite cioè tutti materiali silicatici refrattari per i forni con temperatura di utilizzo fino ai 1400°.Più alto è il contenuto di Al2O3 e più alta è la temperatura di esercizio. La continuità di SiO2 e Al2O3 è interrotta dal fatto che esiste un composto intermedio che si chiama mullite e che cade in una piccola regione tra il 72% di Al2O3 ed il restante SiO2. Tutto ciò che sta a sinistra del composto mullitico è una miscela di silice e mullite, ciò che sta invece a destra è una miscela di mullite ed allumina. L’allumina è un bellissimo materiale dal punto di vista della resistenza termica quello che però le manca è la resistenza agli shock termici che ha invece la mullite che presenta un coefficiente di espansione termica pari alla metà di quella dell’allumina. Grazie alla sua forma cristallina più complessa, ha maggiore resistenza a creep dell’allumina e inoltre, sottocarico, un composto mullitico sui 1500° si deformerà meno di quanto si deforma un composto di pura allumina. L’allumina da sola è estremamente refrattaria, fonde a 2050°, ha un’inerzia chimica elevatissima e miscelata può avere proprietà meccaniche che normalmente non ha.
L’argilla ed l’acqua impastate formano l’oggetto, il green; l’aria può essere pensata come l’elemento essiccante dell’argilla mentre il fuoco come l’elemento che lo consolida.
Vediamo ora cosa succede ai materiali ceramici quando li mettiamo nel forno. Prendendo sempre l’allumina come punto di riferimento esaminiamo il diagramma delle proprietà termomeccaniche a carico libero(senza carico). Andiamo, cioè, a vedere come varia l’espansione o la contrazione ∆l/l al variare della temperatura in un green ceramico ottenuto con uno slip casting o in un green con dentro un legante organico come il polivinalcool, cera o altri materiali che lo tengono unito. Se cominciamo a scaldare il green nell’intervallo di temperatura che va da 0° a 500° soprattutto quando contiene un materiale che lo lega come una fase plastica si comporta in maniera strana. La curva sale e scende ed inoltre ci sono dei picchi non ben identificati. Questa è la regione più critica del trattamento termico di un materiale che contiene elementi plastici perché è la regione in cui avviene l’eliminazione termica del materiale organico. In altre parole ciò che brucia si decompone e non è più una fase legante quindi il materiale risulta delicatissimo. Se poi la fase organica brucia troppo velocemente, evolve del gas che crea delle tensioni interne che possono portare alla rottura del materiale. Lo stessa situazione si può pensare avvenga quando sulla superficie delle particelle sono presenti gruppi idrossidi OH o dell’acqua assorbita fisicamente o chimicamente all’interno del materiale. In particolare quando si parla di ceramici tradizionali come l’argilla l’acqua è proprio parte integrante della struttura cristallina cioè si sa già dall’inizio che l’argilla contiene oltre all’acqua dell’impasto anche un’acqua di cristallizzazione che deve essere eliminata. Anche in questo si deve fare molta attenzione perché questa acqua creando vapore, bolle rende il trattamento termico di un materiale ceramico a basse temperature, all’inizio, un evento molto critico. Tipicamente il grosso della sostanza organica e dell’ acqua vengono persi dal materiale nell’intervallo che va da 0° a 500°. Al di sopra dei 500° la sostanza organica e l’acqua sono quasi del tutto assenti. La combustione avviene in aria perché, se così non fosse, il materiale organico darebbe un residuo carbonioso che potrebbe rimanere così come è oppure potrebbe reagire con gli ossidi formando degli ossicarburi.
nota: molto importante sull’effetto finale della sinterizzazione è il tipo di atmosfera che si utilizza. Nel caso ad esempio dell’allumina i pori contengono aria che è 80% azoto,20% ossigeno,idrogeno, etc. Il poro chiuso contiene dell’ aria intrappolata che rimanendo dentro per quanto la si compatti costituisce un difetto insormontabile. Quindi se è presente questa aria sarà difficile chiudere e sinterizzare alla densità teorica un’allumina soprattutto perché l’azoto contenuto nell’aria è insolubile nell’allumina per cui rimane dentro i pori chiusi. Naturalmente se non è presente aria nei pori questi possono collassare. Se non ci si può permettere un forno da vuoto una soluzione potrebbe essere quella di creare un’atmosfera di sinterizzazione alternativa all’aria, un’atmosfera tipo l’ossigeno. La solubilità dell’ossigeno nell’allumina essendo l’allumina stessa fatta di ossigeno è elevata per cui se un poro, alla fine del processo di sinterizzazione, contiene inclusioni di ossigeno è facile che queste vengano trasportate via dal reticolo stesso del materiale. Anche l’idrogeno ha una certa mobilità nell’allumina.
Tra 0° e 500° si ha anche un piccolo ritiro dovuto semplicemente al fatto che il materiale organico decomponendosi fa spazio e quindi la polvere può ritirarsi leggermente. Tra i 500° e la temperatura precedente all’inizio della sinterizzazione cioè la temperatura alla quale i fenomeni di sinterizzazione incominciano a diventare prevalenti, il materiale in se per sé risulta inerte cioè rimane fermo e l’unica cosa che fa è quella di espandersi seguendo la legge di espansione termica intrinseca. Dopo, quando si supera una certa temperatura, si ha l’innesco di fase di ritiro. L’innecso di questa fase dipende dalla pressione,dall’atmosfera gassosa,dagli additivi di sinterizzazione; ad esempio il materiale sinterizzato con 0.2% di magnesio a 1100° risulta già molto duro e si fa fatica a levigarlo. Una volta iniziata la sinterizzazione si innesca questa caduta libera a valori negativi del ritiro per via della compattazione e densificazione del materiale. Informazioni utili alla sinterizzazione si possono ottenere con le tecniche termoanalitiche come ad esempio, la DSC o la termogravimetria. Il primo tratto di cui si capisce ben poco, può essere analizzato con la tecnica termogravimetrica. La curva che si ottiene con tale tecnica è contraddistinta dal fatto che tra 300° - 500° presenta una grossa variazione in termini di percentuale di peso. Quindi le curve termogravimetriche confermano il fatto che la fase critica è la fase che arriva a 500° cioè è la fase in cui avviene la combustione. Ovviamente non si può pensare che a 501° tutto sia stato bruciato perché c’è un’inerzia del processo. Una soluzione potrebbe essere quella di mantenere il materiale a quella temperatura per un certo lasso di tempo fino a quando la combustione degli organici non è completata oppure si potrebbe procedere riscaldando lentamente. La termogravimetria è una tecnica importante perché fornisce informazioni sulla durata della fase critica di rimozione degli elementi in più presenti nel materiale ceramico. La DSC è invece molto utile perché indica eventuali trasformazioni di fase. Se si registrano dei picchi di calore vuol dire che si sta nel mezzo di una trasformazione.
Un oggetto più grosso senza aggiunta di resine a tenerlo in mano con il suo peso si rompe. La resina, il legante che si aggiunge allo slip è necessario per dare un’iniziale coesione al materiale. Nel caso dello slip casting bastano piccole quantità di polivinilalcool per migliorare di molto le proprietà meccaniche a bassa T.
Ci sono processi come quelli di formatura a secco che non si fanno con acqua in cui si gioca tutto sulla compattazione delle polveri. Se queste non si compattano bene come appunto nello slip casting devono essere tenute insieme da un legante che in genere è un materiale polimerico termoplastico. Nell’estrusore il materiale termoplastico viene fuso e poi raffreddandosi consolida il green ceramico.
Nota ( i leganti organici ) : Il polivinilalcool rappresenta un polimero lineare ed idrosolubile anche se lo si disperde in acqua con difficoltà e va aggiunto in piccole quantità perché già il 5-10% rende l’acqua molto viscosa e deteriora la caratteristica di viscosità dello slip. Il polivinialcool quando asciuga, ritorna polimero duro e se è circondato da polvere ceramica contribuisce a compattarla ed a tenerla insieme. Si tratta di lunghe catene che agiscono come se fossero dei lacci.
Oltre al polivinilalcool altro polimero idrosolubile che non polimerizza è la cera. Le cere sono delle paraffine piuttosto corte come dimensione e già a bassa temperatura fondono. E’ possibile miscelare alle polveri anche i classici polimeri termoplastici come il polipropilene, il polietilene e poi iniziare dei processi di stampaggio a caldo. Questi materiali fondono ad una certa temperatura insieme con le polveri, vengono inclusi in uno stampo, in un estrusore e raffreddando solidificano facendo solidificare anche il green ceramico.
Se non si è riusciti ad eliminare tutta la massa organica a 500° e si è saliti fino a raggiungere la temperatura di 800° accade che a 800° un’argilla normale comincia a formare una fase vetrosa. Questa fase comincia ad imrosa. Questa fase comincia ad imchiuderlo, sigillarlo per cui il materiale organico o l’acqua che non sono stati ancora eliminati, premono. Si tratta di gas che sta dentro il materiale e che vorrebbe uscire per effetto dell’espansione ma se il materiale è rigido, per via dell’espansione questo si rompe. Se è per esempio un vetro, questo schiuma cioè l’acqua per uscire forma delle bolle sulla superficie.
Questo è un processo che si può utilizzare se si vogliono realizzare oggetti ceramici porosi. La protezione dello shuttle a base di materiale coibentante e poroso è fatta, però, di fibre di silicio e non da un materiale schiumato perchè le fibre sono più resistenti dal punto di vista degli shock termici rispetto ad un materiale schiumato. Solo che quest’ultimo può raggiungere proprietà coibentanti elevatissime ed una grossa refrattarietà.
Materiali che funzionano sul principio della schiumatura sono le porte REI 60 cosiddette taglia fuoco perché contengono i vetri taglia fuoco. In queste porte tra due lamine di metallo sono inseriti i materiali refrattari. I vetri taglia fuoco sono costituiti da una serie di strati di vetro vero e proprio e da silicati alcalini idrati che a partire da 120°C incominciano a schiumare quindi evolve acqua. Se scoppia un incendio il fenomeno dello schiumaggio rende i vetri materiale refrattari, si espandano fino a 40 volte le dimensioni iniziali, non sono più trasparenti ma isolano. Il fuoco inizialmente rompe i primi strati, gli altri, superata la Tg diventano plastici e iniziano a sciogliersi. Quando la T è molto alta, rimangono però gli starti refrattari porosi.
La curva di riscaldamento disegnata è tipica di un ciclo di cottura della ceramica tradizionale, di una terracotta.
Tra 0° e 500°C la pendenza della curva non è eccessiva ciò vuol dire che il materiale si sta riscaldando lentamente ( questa fase dura circa 3h ). Per essere sicuri che tutte le evoluzioni gassose non lo rompano lo si tiene a 500°C per circa mezz’ora ( più è grosso il materiale e più lo si deve fare stazionare a tale T ). Successivamente può iniziare una fase di riscaldamento più veloce seguita però da un rallentamento quando si sta entrando nella zona di sinterizzazione ed una volta entrati in tale fase, si deve stazionare.
Il fenomeno della sinterizzazione da stato solido è un fenomeno in cui intervengono essenzialmente processi diffusivi. Tali processi sono caratterizzati da tempi molto lunghi quindi a seconda della composizione chimica, della dimensione del materiale si ha un tempo di ritenzione variabile che comunque non scende al di sotto di 1h, 2h. Più si aspetta e meglio è anche se non si deve esagerare perché altrimenti si rischia di avere crescite abnormi dei grani cristallini.
La sinterizzazione vera e propria può essere schematizzata grossolanamente come un processo di trasformazione della geometria, delle dimensioni del materiale che parte dalla sua forma di polvere. Le polveri pur avendo un alto numero di coordinazione non è detto che siano sempre molto impacchettate. In tal caso si deve fare in modo di accrescere il numero di coordinazione e di risistemare i grani per far si che la superficie di contatto tra i grani sia massimizzata e che sia ridotta la superficie libera. Questo è il processo di sinterizzazione che può avvenire con una moltitudine di meccanismi diversi tra loro.
Si possono distinguere tre categorie:
sinterizzazione che si accompagna con una vetrificazione: si ha la formazione di una fase all’interno del materiale che fonde e che si trova allo stato liquido. Questa fase liquida che circonda le particelle refrattarie che stanno nel mezzo non fa altro che compattare meglio i grani. Quello che accade è che i grani cristallini, nella fase liquida possono riarrangiarsi meglio di quanto possano fare a secco o nello slip e quindi possono ridurre il più possibile la fase porosa ed aumentare il numero di coordinazione.
sinterizzazione con fase liquida: la si può intendere come una sinterizzazione in cui la fase liquida non è tale da riempire totalmente gli interstizi della fase refrattaria. Nel casi di materiali ceramici tecnici quello che si tende a fare è formare una fase liquida che per reazioni chimiche e trasformazioni di fase si elimina. La porcellana delle giare è un esempio di sinterizzazione con fase liquida.
sinterizzazione senza fase liquida: in questo caso non c’è nessuna formazione di fase liquida. La T è al disotto di quella di fusione di ciascuna delle fasi ed i meccanismi di trasporto di massa e di diffusione sono altri.
In questo diagramma esiste una serie di materiali ceramici interessanti a cominciare dall’allumina pura continuando con la silice pura fino ad arrivare a materiali ceramici tecnici ed interessanti come la cordierite ottenuti aggiungendo del magnesio. Le marmitte catalitiche sono di cordierite. E’ un composto di silice magnesio ed allumina con la caratteristica di avere espansione termica praticamente nulla. Quindi quando dalla marmitta catalitica fuoriescono i gas caldi a 1000°C questi non provocano shock termico e la marmitta non si stanca. L’allumina non sarebbe adatta perchè spaccherebbe. L’allumina, a meno che non sia estremamente reattiva, di grana molto fine sinterizza al di sopra dei 1700°C ( un’allumina super macinata può sintetizzare a 1500°C soprattutto utilizzando degli additivi ). Una cosa che si fa quando si deve sintetizzare un’allumina normale di dimensioni non spinte è quella di additivarle un composto che possa avere composizione vicina all’eutettico.
Il diagramma di fase ternario presenta delle linee tratteggiate che sono delle linee di livello, sono le isoterme in corrispondenza delle quali coesistono la fase solida e liquida mentre le linee più grosse sono le zone di confine delle diverse fasi. Se prendo ad esempio il 90% di allumina e gli metto il 10% di cordierite o di talco o di caolinite, un materiale tipo l’argilla che contiene magnesio, alluminio e silicio, questo materiale ha la caratteristica di fondere a bassa T. Fondendo a bassa T (1350°C ) continuando a scaldare il materiale si porterà in equilibrio con l’allumina che è solida. Questa allumina solida tenderà in qualche modo a reagire e a dissolversi secondo il diagramma di stato per cui la composizione chimica del materiale si sposterà lungo la curva arricchendosi di allumina. Più salgo in T e più l’allumina che sta intorno tende a reagire. Questo potrebbe essere un fatto negativo ma in realtà non lo è perché man mano che l’allumina reagisce combinandosi con la cordierite , con il talco fuso si porta tutto l’insieme in una regione molto refrattaria che è quella di esistenza del corindone. Innanzitutto il materiale per quanto adesso non è più puro si trova in una fase cristallina molto dura, una sorta di soluzione solida di magnesio-silicio-allumina per cui partendo da una sinterizzazione con fase liquida si è avuta una fase liquida che legasse il materiale, che facesse da agente di trasporto. La cordierite ed il talco sono due forme cristalline: la cordierite è un composto ceramico, il talco è un fillosilicato. Entrambi però contengono magnesio, silicio ed allumina e comunque sia il talco che la cordierite sono gia fusi a quelle T.
Tra i prodotti ceramici abbiamo terrecotte, faenze e terraglie che hanno una T di sinterizzazione piuttosto bassa, non supera generalmente i 1000°C. A queste T non evolve una quantità di fase vetrosa sufficiente a fare una sinterizzazione vetrosa vera e propria per cui è una sinterizzazione con eventualmente fase vetrosa. Nelle faenze si hanno processi di mullitizzazione cioè si ha la formazione di mullite dall’argilla che contiene il silicio e l’alluminio. Comunque nelle argille quando ci sono degli altri composti si deve sempre tener presente il digramma di fase ternario. L’argilla che è un fillosilicato piuttosto termolabile è il primo a decomporsi anzi prima ancor di lui si decompone il feldspato. Le T della faenza e delle terrecotte sono tali da comportare la creazione di una fase liquida cospicua all’interno che lo compatti, lo cementiti. Quindi la pasta che compone il biscotto, la terracotta, la faenza è un materiale ceramico tendenzialmente poroso che quindi ha bisogno per diventare impermeabile di essere sigillato con invetriatura, con uno smalto vetroso. La cristallina è vetrosa. Gli smalti vetrosi sono dei materiali che hanno la caratteristica di fondere ad una T a cui il biscotto non fonde, si tratta di materiali a più basso punto di fusione. I materiali a più basso punto di fusione si ottengono in una serie diversa di modi. Fino a poco tempo fa una tecnica molto utilizzata era quella che usava come fondente il piombo per cui le vetrine di materiale ceramico tipo le faenze, il coccio erano smaltati con colori di silicati in cui la presenza di piombo fino al 30% ha l’effetto di rendere fusa la massa gia a 500°C. Nella fase dell’invetriatura il biscotto cioè il materiale ceramico poroso viene inzuppato in una sospensione di vetro ed acqua, si ricopre di uno strato e viene posto nel forno dove lo strato si livella creando uno rivestimento impermeabile. Si è pensato di sostituire il piombo e di utilizzare altri additivi che abbassino la T di fusione come ad esempio elementi alcalino terrosi tipo il calcio, il magnesio, il potassio, il sodio. Lo stagno come metallo è basso fondente. Esso a 100°C fonde ma come ossido è estremamente refrattario. L’ossido di stagno è quell’ingrediente che viene chiamato cristallina. Si devono distinguere due tipi di smalto per le ceramiche tradizionali: uno smalto vetroso coprente, trasparente o colorato che però lascia vedere il coccio posto sotto ed uno smalto che diventa opaco, bianco. Il primo in genere è un vetro che fonde, il secondo è opaco e ciò significa che tiene al suo interno dei materiali cristallini che non sono fusi mentre tutto il resto della pasta vetrosa lo è. E’ una sorta di sinterizzazione vetrosa al contrario cioè invece di avere il 20% di fase vetrosa e l’80% di materiale refrattario si ha in una cristallina una grande quantità di fase vetrosa. La faenza e la maiolica sono praticamente delle ceramiche cotte porose rivestite da uno smalto cristallino opaco bianco su cui poi si applica la decorazione (soprasmalto). Si tratta di colori che si spennellano sul fondo bianco che è il fondo naturale delle faenze. L’insieme di polvere vetrosa bianca ed ossido di stagno si presenta come un foglio di carta bianca su cui scrivere. L’ossido di stagno rappresenta in questo caso la parte refrattaria della vetrina. Gres e porcellane si contraddistinguono per avere un alta T di cottura che può arrivare a 1200° - 1300°C e questo fa si che gres e porcellane si possano ritenere sinterizzate con un processo di sinterizzazione con fase vetrosa. La fase vetrosa si ottiene perché si stanno utilizzando più alte T ma anche perché la ceramica che abbiamo utilizzato ha degli ingredienti controllati molto speciali. Quindi il gres e le porcellane ottenute con sinterizzazione con fase vetrosa in cui la fusione di alcuni elementi contribuisce a renderli materiali estremamente compatti sono usati per pavimenti che risultano così più pregiati di quelli realizzati in terracotta perché più resistenti meccanicamente. Se un pavimento in gres è ben densificato anche quando si invecchia, si scalfisce o si riga, levigandolo, potrebbe ritornare allo stato originale di lucentezza mentre se si riga un pavimento in terracotta la parte vetrosa viene meno e rimane la parte marrone dell’argilla. Quindi la porcellana ed il gres sono materiali ceramici che al di la della loro compattezza ed alta T, alla quale sono stati ottenuti, sono molto resistenti anche agli attacchi chimici.
Non tutti i materiali argillosi danno porcellane e gres solo perché vengono cotti ad alta T ma ci vuole una miscela sapiente di ingredienti in modo da modulare il contenuto di materiale refrattario, inerte, plasticizzante, fondente. Al fine di controllare gli ingredienti per ottenere porcellane e gres viene in aiuto il diagramma ternario.
Fig.1(lucido precedente): ai vertici del diagramma ternario ci sono gli elementi puri che in questo caso sono la silice che fa da parte inerte; il clay anche se nelle porcellane e nei gres più di valore si parla di caolino che è un’argilla primaria particolarmente pura con poche contaminazioni alcaline, alcalino-terrose; i feldespati che sono silicati ad impalcatura, silicati silico alluminati che oltre alla silice e all’allumina che fanno l’impalcatura attraverso i tetraedri nello spazio, contengono una gran quantità di spazi vuoti riempiti da cationi grossi che sono sia alcali che alcalino terrosi come sodio, potassio, magnesio. Ciò che essenzialmente conferisce al feldspato la caratteristica di fondente è una gran quantità di sodio e potassio che quindi ne determinano a T già molto basse la fusione. Il lato del silica-clay rappresenta il lato più refrattario. Le porcellane dure essendo costituite principalmente da caolino e silice sono molte refrattarie. Aumentando il contenuto di felpato si ottengono le ceramiche dentali con cui l’odontotecnico ricostruisce una scheggia di dente o realizza le capsule. Le porcellane cinesi hanno invece il 25% di silice, il 25% di feldspato ed il 50% di caolino. Questa è una tipica ricetta cinise, giapponese per fare una porcellana tralucente e di qualità.
Questo diagramma si riferisce sempre ad una sinterizzazione con fase vetrosa. Il composto B è il composto base che si vuole sinterizzare che se fosse tutto puro sarebbe ideale mentre A e l’additivo di cui si ha bisogno per facilitare la sinterizzazione Quello che si vuole è che l’additivo formi un eutettico il più possibile basso fondente rispetto alla T di fusione del composto base per avere a T abbastanza al di sotto della T del composto una fase liquida che faccia da impasto. La solubilità dell’additivo nel composto deve essere bassa mentre quella del composto B deve essere buona sia nel liquido che nel solido. Se B è molto sciolto nella fase liquida, questa agisce come agente di trasporto del materiale e quindi contribuisce alla trasformazione dei grani in modo che questi si compattino bene e riducano la superficie di contatto.
Continuiamo a parlare di sinterizzazione con fase liquida e senza fase liquida.
Nello stadio iniziale della sinterizzazione il materiale è abbastanza compatto e può essere lavorato con utensili perché, pur non avendo subito ritiro, sulle polveri è avvenuto un incollaggio a punti.
Quindi strategicamente si arresta la sinterizzazione a questo punto per eseguire lavorazioni e poi proseguire con la sinterizzazione.
Lo stadio intermedio della sinterizzazione si classifica in base ai valori della densità che si può raggiungere (fino al 92 % della densità teorica). A questo livello i grani di polvere si sono riarrangiati abbastanza bene ,rimangono in ogni modo una serie di pori ( che non sono interconnessi ed estesi come prima ).
Lo stadio finale della relazione è quello che prevede la completa eliminazione di tutti i pori nel materiale.
Nello stadio iniziale ed intermedio della sinterizzazione i pori sono abbastanza continui tra loro , quando si raggiunge il 92-95%della densità teorica questi formano una fase discontinua e molto critica da eliminare. Si utilizza per questo motivo MgO per cercare di eliminare la porosità cercando di non indurre una grossa crescita dei grani.
Queste considerazioni valgono sia per una sinterizzazione da fase solida sia per una sinterizzazione con una piccola quantità di fase liquida.
Anche queste considerazioni di tipo termodinamico sono abbastanza generali. La sinterizzazione, dal punto concettuale, va pensata come la tendenza de materiale a portarsi verso il minimo di energia. Dal punto di vista termodinamico tutto ciò che può portare ad una diminuzione di energia può determinare una compattazione.
La variazione dell’energia libera di Gibs è la ragione energetica che spiega la sinterizzazione ed è la ragione per cui un materiale molto poroso e debolmente impacchettato aumenta la sua densità.
In maniera del tutto generale la variazione dell’energia libera di Gibs si può decomporre in tre contributi :
Variazione di energia libera di volume.
Variazione di energia libera dovuta al rimodellamento dei bordi di grano.
Variazione di energia libera dovuta alla variazione della superficie.
( In realtà questa suddivisione vale solo per una sinterizzazione da fase solida che non coinvolge reazioni. Se ci sono delle reazioni chimiche è necessario aggiungere i potenziali termochimica, inoltre è da ricordare che la variazione di energia libera è anche dovuta alle transizioni di fase).
Il contributo principale dal punto di vista energetico è il lavoro svolto dal sistema per ridurre la sua area specifica che si traduce in un ÑG pari alla tensione superficiale per la variazione di superficie. Quindi la riduzione di superficie per il sistema è un guadagno energetico che dà la possibilità di cambiare forma alla materia.
L’area specifica del materiale, cioè la somma delle superfici di ciascuna particella che lo compone,inizialmente è molto elevata ( stiamo considerando la polvere ). La conoscenza dell’area specifica dopo la sinterizzazione è indice di quanto è stato efficace il processo di sinterizzazione. Se in un sinterizzato si misura ancora un’alta area specifica il materiale presenterà una gran quantità di pori interconnessi aperti.
Se si parla di sinterizzazione dallo stato solido quello che si assume e che ci sia trasporto di massa ,in questo modo il materiale può cambiare forma.
Il trasporto di massa può avvenire in tutte le fasi : nel bulk , nel liquido e nel gas. Ovviamente il trasporto di massa nel bulk non può avvenire nelle prime fasi della sinterizzazione in cui c’è solo un contatto puntuale tra i grani quindi, nelle prime fasi , ciò che contribuisce maggiormente è il trasporto nel gas e sulla superficie delle particelle. Nei meccanismi di sinterizzazione viscosa ciò che entra in gioco nelle prime fasi della sinterizzazione è il trasporto nella fase liquida.
In figura si può vedere il modello a due particelle che propose Frenkel per spiegare la sinterizzazione viscosa.
Due particelle di vetro o metallo ,che hanno una viscosità non infinita, poste a contatto ,col procedere della sinterizzazione, tendono ad aumentare la superficie di contatto saldandosi sempre più. Il punto di contatto si chiama colletto e rappresenta , a differenza di tutte le altre parti della sfera ,l’unica zona di concavità. Man mano che passa il tempo il colletto aumenta le sue dimensioni diventando dello stesso ordine di grandezza della sfera e attivando sempre di più i meccanismi di trasporto di massa.
Perché la sinterizzazione sia viscosa almeno il 20% della fase solida deve trasformarsi in liquido. Quello che ci si aspetta è la risolidificazione del vetro che, come si è visto per i ceramici tecnici, si può convertire tutto in una fase che non è né amorfa né bassofondente.
Frenkel riuscì a trovare una formula analitica per valutare il ritiro volumetrico (ÑV/V) esprimendolo in funzione di parametri fisici che fanno parte del processo di sinterizzazione. Il coefficiente 9/4 deriva dalla geometria sferica considerata mentre i termini energia superficiale, tempo, viscosità e dimensioni delle particelle intervengono in qualsiasi geometria che si vuole considerare.
Il risultato principale è che attraverso il modello di Frenkel si può esprimere il ritiro volumetrico di un materiale ,che sta sinterizzando per sinterizzazione viscosa, in funzione dell’energia superficiale , del tempo di sinterizzazione ,delle dimensioni delle particelle e dalla viscosità.
Più sono piccole le particelle più è alto il ritiro volumetrico così come alti valori della viscosità limitano il ritiro.
Il tempo è la variabile più facilmente controllabile ,infatti si può supporre che per tempi sufficientemente lunghi il materiale sia completamente compattato.
Rivedere appunti tecnologia materiali e chimica applicata.
La sinterizzazione con fase liquida interviene quando si ha una quantità in volume in volume di fase liquida minore del 20%.
Questo meccanismo si può spiegare in due stadi successivi.
Nel 1° stadio il particolato solido refrattario che non si è sciolto è ricoperto da un sottile strato di fluido che si è creato e che agisce da lubrificante tra le particelle. Nel 2° stadio la fase fluida che si è formata consente, in presenza di una buona solubilità della fase refrattaria nel liquido, un buon trasporto di massa.
La possibilità di avere un fluido, all’interno del quale il trasporto di massa è molto più veloce che in una fase gassosa o volumica, è un accelerante del processo di sinterizzazione.
-meccanismi di trasporto
Il meccanismo trainante, dal punto di vista cinetico, è un processo diffusivo ( in qualsiasi modo esso avvenga: nel gas, nel volume o nella fase liquida).
Quindi indipendentemente dal mezzo, il meccanismo di trasporto di massa, segue una legge Fickiana di diffusione Je = -D*dc /dx .
Se consideriamo due sfere a contatto quello che si assume nella fase iniziale è un meccanismo di trasporto nella fase gassosa con un’evaporazione di materia dalle zone convesse e una ricondensazione nelle zone concave. Questo meccanismo è quello responsabile della crescita del colletto. Il meccanismo d’evaporazione e trasporto nella fase gassosa è utile soprattutto nella fase iniziale della sinterizzazione. Quello che si attiva successivamente è un trasporto dovuto alla presenza dei difetti puntuali ( interstiziali o costituzionali ) che si spostano nel materiale. Precedentemente si è affermato che il trasporto di massa avviene a causa di un gradiente di concentrazione, ciò che determina questo gradiente, nel trasporto in fase gassosa ed in fase solida, è la presenza di superfici curve.
Se ad es. si ha un liquido in equilibrio col suo gas ( acqua che ha una certa tensione di vapore dipendente dalla temperatura ) ,man mano che la temperatura aumenta, aumenterà anche la concentrazione di vapore nell’aria. La tensione di vapore ,presente anche nei solidi, oltre che dalla temperatura dipende anche dalla curvatura delle superfici.
Ad una superficie convessa corrisponde una tensione di vapore maggiore che ad una superficie concava. Quindi la presenza delle superfici curve spiega perché nella fase gassosa c’è un gradiente di concentrazione e nel materiale c’è un gradiente di vacanze.
La presenza delle vacanze favorisce la sinterizzazione infatti spesso nell’allumina si utilizzano degli additivi di sinterizzazione che si comportano come sostituti aliovalenti dell’alluminio (l’alluminio ha valenza 3 un sostituto aliovalente a basse concentrazioni è il Titanio).
L’effetto di queste impurezze con valenza superiore determinano delle vacanze d’alluminio per compensare le cariche.
Le vacanze rappresentano il sistema ideale per trasportare la massa nel materiale attraverso un meccanismo di salto nei vuoti, l’effetto netto è lo spostamento della lacuna .
Ritorniamo alla schematizzazione delle sfere quello che succede, nel momento in cui sono a contatto, si forma una zona concava ( il colletto ) ed una convessa ( il resto delle sfere ). Ci sono diversi meccanismi di trasporto dalla parte convessa alla parte concava. Come si è detto i meccanismi che si attivano per primi sono quelli che sfruttano la fase gassosa e le superfici perché il contatto è solo puntuale.
Nel momento in cui il colletto si è formato il trasporto può avvenire nella massa con il meccanismo descritto precedentemente descritto delle vacanze. La densificazione può avvenire solo se c’è il trasporto di massa.
I primi meccanismi ,cioè quelli superficiali , non determinano la densificazione ma spiegano perché nella fase iniziale della sinterizzazione c’è un ingrossamento del colletto. Una volta che i colletti hanno raggiunto una dimensione adeguata entrano in gioco altri meccanismi di trasporto che hanno, per esempio, come sito d’inizio i bordi di grano ( vicini ai colletti ). Queste regioni di difettosità sono una sorgente di concentrazione di vacanze e quindi una ragione di trasporto di materia. Grazie ai bordi di grano ,alle dislocazioni ecc… si può spiegare il fenomeno di trasporto di materia che implica la densificazione.
I meccanismi appena descritti ci dicono tutto sul 1° e 2° stadio della sinterizzazione , rimane da descrivere ciò che succede nello stadio finale. In questa fase i pori non sono più interconnessi e rappresentano un grosso problema per il materiale.
In questa fase i grani del materiale vedono i pori come delle piccole inclusioni sui bordi. Un grosso grano ,a causa della sua geometria, è concavo rispetto ad un piccolo grano, ciò comporta che il piccolo grano ha una tensione di vapore più alta. In questo modo un piccolo grano tende disperdere materia ed un grosso grano a guadagnarla. Questo fenomeno ,denominato coarseling, può causare un ingrossamento eccessivo dei grani (specialmente in presenza di una distribuzione granulometrica delle polveri). Il fenomeno del coarseling è molto pericoloso nei materiali ceramici e deve essere contrastato. La scomparsa dei piccoli grani tende ad unire ed ingrossare i piccoli pori che su di essi risiedevano, in questo modo si creano grossi pori difficilmente eliminabili.
Un altro motivo della pericolosità del coarseling è che con l’aumentare dei grani aumentano i bordi di grano ,la difettosità e la rugosità superficiale. A causa di tutto questo, alla luce della legge di Griffit, il materiale diventa più fragile.
Una strategia per evitare la crescita eccessiva dei grani è di adottare degli additivi insolubili che si posizionano sui bordi di grano rallentando la scomparsa dei piccoli grani (es. zirconia in allumina o titanio in allumina che a grosse concentrazioni è insolubile ).
Nella slide si può vedere un grafico in cui in ascisse c’è il rapporto tra la temperatura attuale del materiale e la temperatura di fusione ( i valori vanno da 0 a 1 in ogni modo nella sinterizzazione non si deve arrivare a fusione ma a 2/3 – 3 /4 la Tf ) ed in ordinate il log del del rapporto tra le dimensioni del colletto e quelle della particella ( quando log =0 colletto e particella hanno le stesse dimensioni ).
Un materiale che sinterizza si può pensare che compia un percorso nel diagramma. Ovviamente si parte da una situazione in cui c’è bassa temperatura e piccoli punti di contatto. Nelle diverse zone del diagramma sono classificati i meccanismi di diffusione predominanti ( superficiale, di volume, sui bordi ecc…).
A basse temperature e per piccoli punti di contatto prevalgono meccanismi d’evaporazione , trasporto sulle superfici e sui bordi di grano.
Si può pensare di scaldare lentamente il materiale fino alla formazione dei colletti per poi effettuare un viraggio verso una regione dominata dal trasporto nel volume. Evidentemente potrebbe essere ideale una soluzione in cui si possa arrivare a bassa temperatura in una zona di diffusione di volume ,ma ciò è difficilmente realizzabile perché sarebbe un processo molto lento. In ogni caso è più conveniente che la sinterizzazione avvenga a bassa temperatura con un meccanismo di trasporto nel volume.
Partiamo da una situazione semplice con tre elementi A, B e C insolubili nella fase solida e solubili in quella liquida. Sul diagramma consideriamo una composizione h alla quale, ad una temperatura superiore ai1400 °C, si ha tutto liquido e vediamo l’evoluzione durante il raffreddamento.
Non appena la temperatura scende sotto i 1400 °C comincia a condensarsi il solido C (siamo nel dominio di C). A questo punto la fase liquida diventa più povera in C e si allontana da C lungo il segmento che congiunge C ad h. La composizione si sposta ad es. fino al punto k ad una temperatura di 1300 °C (lo spostamento avviene lungo C-h perché in ogni caso la composizione deve rimanere costante per una questione riguardante la similitudine dei triangoli).
Arrivati in k la composizione del liquido e del solido si possono ricavare con la regola della leva applicata al segmento C-k (C-h / k-C = % della fase liquida ). Continuando a raffreddare fino ad l a 1250 °C il materiale ha tre fasi ed una sola varianza. A questo punto anche A comincia a solidificare è la composizione si sposta sulla linea di confine tra le fasi per cui il materiale comincia a diventare più povero anche in A. Arrivati in m la quantità di fase liquida rispetto alla solida è m-h/m-n e nella fase solida la quantità di A rispetto a C si trova applicando la regola della leva al segmento AC (per sapere quanto solido di C c’è rispetto ad A si esegue il rapporto nA / AC).
Continuandosi a spostare sulla curva limite ad un certo punto si raggiunge l’eutettico (presenza simultanea di quattro fasi) in cui si assiste al blocco della temperatura e alla solidificazione delle tre fasi liquide rimaste.
Vediamo ora il comportamento di un composto solido nelle condizioni q (non a 1300 °C ma a Tamb) durante il riscaldamento.
Quando si raggiunge la temperatura di 1140 °C , pari alla temperatura dell’eutettico, si assiste alla formazione delle prime gocce di liquido con composizione eutettica g. Man mano che liquefa g la composizione può essere letta lungo il segmento continuo passante per q (ancora una volta, sfruttando la regola delle leva, possiamo calcolare la composizione di solido e di liquido).
Continuando con il riscaldamento il liquido si arricchisce in B e la composizione si muove sulla linea di confine delle fasi dove è intercettata dal prolungamento del segmento B-q. Quando si arriva in q a 1300 °C si ha tutto liquido.
Se tra A, B e C c’è la formazione di composti intermedi ,es. d , per ricondurci alla situazione precedente si suddivide semplicemente il diagramma.
Fonte: http://www.antonio.licciulli.unisalento.it/lezioni/sbobinamento.doc
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Autore del testo: Avantaggiato N., Marrazzi S., Negro P.
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