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L’ambiente spaziale presenta delle condizioni particolari che possono influenzare ed in certi casi degradare le caratteristiche meccaniche di materiali di impiego spaziale e quindi influenzare negativamente il comportamento globale delle strutture che operano in questo ambiente.
Nel progetto strutturale si deve tenere conto di questi possibili effetti legati ad esempio a fenomeni di sublimazione , degassamento, termici, radiazione e ossidazione.
L’ambiente spaziale di riferimento tipico è quello relativo a missioni che comprendono orbite intorno alla Terra o missioni nello spazio profondo: naturalmente si possono avere situazioni completamente diverse come nel caso delle missioni che prevedano uno sbarco su altri pianeti (o satelliti di altri pianeti). Ad esempio, per fare riferimento a situazioni attuali, nel caso di sistemi spaziali che devono operare sulla superficie di Marte o di Titano.
In particolare per strutture che operano in Orbita Terrestre Bassa, indicata con LEO (Low Earth Orbit) gli effetti dovuti all’ambiente spaziale sui materiali sono significativi.
Tra questi effetti si ricordano in particolare i punti seguenti.
Il vuoto nello spazio : in orbita intorno alla Terra ed a grande distanza dalla Terra la pressione varia da:
pleo = 1.3x10-7 KPa (a 200 Km di quota )
p6500 = 1.3x10-12 KPa (ad oltre 6500 Km di quota).
In queste condizioni di pressione si possono presentare degli effetti significativi come la decomposizione di polimeri o la sublimazione (perdita di molecole) nei metalli.
La sublimazione ha effetti diversi come la possibile formazione di depositi su sistemi ottici e su sistemi di protezione termica: questo può portare ad una degradazione nel sistema di trasmissione dati e ad un riscaldamento della struttura. Alcuni materiali presentano delle velocità di sublimazione molto elevate anche a temperature limitate (inferiori a 200 °C), tra questi materiali sono zinco, stagno (impiegato per saldature), magnesio e cadmio.
Le matrici impiegate nei materiali compositi presentano una pressione di vapore più alta di quella dei metalli e quindi delle velocità di sublimazione che sono anche più elevate: questo richiede una particolare attenzione per l’impiego di materiali compositi nel caso di missioni di lunga durata.
Il degassamento (cioè il rilascio di particelle di gas in un ambiente a bassa pressione come nel vuoto spaziale) è un problema comune a molti materiali: le particelle dei gas rilasciati interferiscono con altri elementi e possono portare a dei cattivi funzionamenti (ad esempio a danneggiamenti del sistema di protezione termica ed effetti di contaminazione).
Quindi i materiali certificati per l’impiego spaziale devono presentare delle caratteristiche prefissate di degassamento. L’effetto di degassamento si può ridurre con un processo di preriscaldamento ponendo il materiale nel vuoto ad alta temperatura. Problemi particolari sono legati ai lubrificanti nel vuoto così come l’assorbimento di umidità da parte dei materiali compositi può aumentare l’effetto di degassamento.
Effetti legati alla temperatura: in assenza di atmosfera il processo di trasferimento dell’energia termica è legato soltanto alla conduzione e alla irradiazione ( in un campo di temperatura -160 °C< T* < 180 °C ), i valori delle temperature di interesse variano a seconda del sistema spaziale, della missione e del sistema di controllo termico.
I sistemi passivi di controllo termico impiegano le proprietà superficiali di assorbimento e di emissione : le superfici bianche o di alluminio anodizzato hanno dei rapporti assorbimento/emissione molto piccoli mentre per le superfici nere questo rapporto è vicino ad 1.
Naturalmente si hanno delle temperature molto più elevate (rispetto al campo indicato) in condizioni di rientro dove si devono impiegare materiali speciali: ad esempio per lo Space Shuttle si impiegano delle piastrelle isolanti sulle superfici esposte al riscaldamento aerodinamico.
Nel caso di sistemi spaziali in orbita bassa le condizioni di temperatura sono relativamente facili da sostenere mentre nel caso di missioni fredde (missioni nello spazio profondo) le basse temperature tendono ad aumentare la capacità di resistenza e le caratteristiche elastiche (come il modulo E) dei materiali, ma anche a rendere i materiali molto più fragili.
Effetti delle radiazioni: le radiazioni elettromagnetiche e di particelle (come i protoni e gli elettroni che provengono da emissioni solari), e le radiazioni cosmiche possono rimuovere del materiale strutturale: l’entità di questa rimozione è in genere molto limitata e quindi non ha conseguenze significative sulle caratteristiche delle strutture primarie. La situazione è diversa nel caso di film sottili, che possono essere impiegati nei sistemi di protezione, gli effetti della radiazione possono portare poi ad una riduzione significativa della duttilità in molti materiali.
Effetti della ossidazione: in particolare in orbita bassa (LEO) l’ossigeno atomico libero (ATOX) ad alta energia e le radiazioni cosmiche possono degradare i materiali polimerici interagendo con le loro molecole. In maniera analoga film sottili, materiali compositi e superfici metallizzate possono essere danneggiati dagli effetti della ossidazione.
Ad esempio il Kapton subisce una erosione di 2.8 mm per 1024 atomi/m2 di fluenza di ossigeno atomico (dove la fluenza per un tempo T è pari al tempo T moltiplicato per la densità di ATOX moltiplicato per la velocità del satellite). In orbita bassa ( circa 200 Km) la densità di ATOX varia tra 2x109 e 8x109 atomi/cm3 ( a seconda dell’attività solare) mentre la velocità relativa è maggiore di 9 Km/s.Da questo effetto si ha anche un ulteriore degassamento, naturalmente questo effetto si può ridurre con l’impiego di sistemi di protezione.
Il campo magnetico terrestre richiede che i sistemi spaziali impieghino materiali non magnetici per la realizzazione della struttura: altrimenti si viene a creare un dipolo magnetico per effetto del moto del sistema nel campo magnetico terrestre.
Naturalmente la scelta dei materiali per l’impiego strutturale nei satelliti è un punto fondamentale del progetto: la scelta deve tenere conto di diverse caratteristiche oltre al rapporto tra resistenza del materiale e densità.
La resistenza specifica è data dal rapporto tra lo sforzo che provoca lo 0.2 % di elongazione al limite elastico ( sy) e la densità del materiale r la resistenza specifica è un parametro importante per un primo confronto preliminare. Le leghe di Titanio e alcuni materiali compositi ( con fibre di Kevlar o con fibre di carbonio) hanno dei valori molto elevati di questo rapporto,
La rigidezza specifica è il rapporto tra il modulo di elasticità del materiale (E) e la sua densità r (la rigidezza specifica è un indice di efficienza del materiale rispetto al peso) : alluminio e Titanio hanno valori simili per la rigidezza specifica, ma il Titanio ha una resistenza specifica più elevata.
Caratteristiche termiche: la conducibilità termica ed il coefficiente di espansione termica sono i parametri più importanti. La conducibilità termica è legata ad una funzione secondaria della struttura del satellite mentre il coefficiente a è direttamente legato agli sforzi termici che vengono indotti nella struttura: si possono avere degli sforzi termici elevati se due materiali con a molto diversi tra loro sono impiegati in una struttura. In alcuni casi sono importanti anche le deformazioni dovute alla temperatura (ad esempio per strumenti ottici) e valori molto limitati di deformazioni termiche si possono ottenere con l’impiego di materiali compositi con coefficienti a molto limitati (ad esempio le fibre di carbonio hanno degli a negativi e si possono quindi costruire dei laminati in fibra di carbonio con dei coefficienti di dilatazione termica del laminato molto piccoli).
I materiali compositi presentano un valore elevato (rispetto a quello di materiali metallici) della rigidezza specifica e delle capacità di dissipazione di energia elevate (sempre rispetto a materiali metallici) si possono così ottenere dei coefficienti di smorzamento strutturale relativamente elevati. Anche il coefficiente di dilatazione termica può essere molto ridotto (rispetto a quello di materiali metallici) e permette di realizzare strutture che presentano deformazioni termiche molto ridotte. Nei casi in cui la rigidezza elevata è un fattore fondamentale (come ad esempio nel caso di telescopi, antenne, riflettori) i compositi in fibra di carbonio divengono la scelta naturale.
Naturalmente questi materiali hanno anche delle limitazioni, come la sensibilità all’ossigeno atomico (che richiede l’impiego di strati protettivi). Inoltre l’impossibilità della manutenzione per i sistemi spaziali pone dei limiti all’impiego dei compositi. Si nota che nel caso di compositi laminati variazioni uniformi di temperatura possono portare ad effetti di warping (ingobbamento per variazione di temperatura) a causa dei valori diversi degli a di fibre e matrice.
I materiali ceramici sono in genere troppo fragili per l’impiego in strutture primarie, trovano applicazione per strutture secondarie sottoposte a temperature molto elevate.
Vincoli al lancio. I carichi statici, espressi in genere in termini di g sono legati alle accelerazioni che un veicolo spaziale può sostenere per un periodo di tempo sufficientemente lungo da poter considerare la condizione di carico come quasi statica. Sono condizioni di carico del tutto diverse dalle vibrazioni o dagli urti (shock) che sono invece legati a tempi molto brevi, ma con livelli di accelerazione anche molto elevati.
I carichi statici al lancio dipendono dal sistema di propulsione impiegato: in genere nel caso di motori a propellente solido si hanno spinte elevate in tempi relativamente brevi (e quindi carichi statici più elevati) mentre nel caso di motori a propellente liquido si ha una maggiore possibilità di modulazione della spinta (e quindi carichi statici più limitati).
Le fonti essenziali di questi carichi si hanno durante la fase di lancio e quella di separazione degli stadi: l’entità dei carichi dipende dalla tipologia del lanciatore, i limiti dei carichi sono forniti dall’agenzia che gestisce il lanciatore stesso questa fornisce i valori previsti per i carichi statici durante le varie fasi di lancio.
Il carico pagante (payload) deve essere progettato con un fattore di sicurezza (FS) rispetto a questi carichi in genere con un valore compreso tra 1.25 ed 1.40, naturalmente con valori diversi a seconda che la missione preveda o meno la presenza di uomini .
Si devono poi considerare i carichi di durata molto breve, i carichi dovuti ad urti (shock loads) che si presentano durante l’accensione dei motori del lanciatore, la separazione degli stadi, le manovre per la corretta posizione in orbita. Oltre a questi “shocks” principali vi possono essere anche degli urti in orbita per effetto di azioni pirotecniche e di dispiegamento di pannelli solari o di antenne. Questa seconda classe di urti è di entità ridotta rispetto a quelli della prima classe, ma l’orientamento di questi urti secondari è più critico. Così un componente deve essere progettato per resistere non solo agli shocks di lancio in direzione longitudinale (di valore elevato) ma anche ad urti con orientazioni diverse (di valore minimo). L’importanza reale degli urti sul progetto strutturale si può valutare con prove di impatto sugli elementi a rischio e con analisi di simulazione numerica delle fasi transitorie,
Vibrazioni e frequenze di risonanza: le frequenze naturali del satellite devono essere separate da quelle del lanciatore per evitare effetti di risonanza che possono risultare anche distruttivi sul payload: naturalmente la prima esigenza è che il satellite non danneggi la missione interferendo con il lanciatore.
In genere si richiede che la prima frequenza naturale del satellite sia superiore a 30 Hz per l’asse longitudinale e superiore a 10 Hz per l’asse laterale (si nota che se il lanciatore ha un motore a propellente liquido si devono evitare le frequenze connesse con l’effetto POGO, cioè una possibile instabilità legata al sistema di alimentazione). Una regola di tipo empirico è quella di considerare valida la separazione tra lanciatore e satellite se la prima frequenza naturale del satellite è superiore a quella del lanciatore per un fattore pari (o superiore) a Ö2 :
f1S > 1.41 f1L
In fase di lancio si hanno anche delle vibrazioni di tipo random e di tipo acustico. che sono indicate dall’ente responsabile del lanciatore, queste vibrazioni sono provocate da instabilità nella combustione, raffiche, parti meccaniche in movimento e vengono trasmesse al carico pagante dalla struttura del lanciatore. Le vibrazioni acustiche si propagano nell’atmosfera o nella stiva di carico come vibrazioni ad alta frequenza (rispetto alle prime frequenze strutturali).
Oltre ai carichi dovuti alla spinta ed alla separazione tra gli stadi vi sono dei carichi dinamici dovuti alla portanza, alla resistenza ed al peso. La portanza in un lanciatore, che ha una struttura cilindrica, si sviluppa come una forza laterale (e naturalmente una forza laterale su di un guscio cilindrico a parete sottile ha un effetto più importante delle azioni longitudinali). Durante il volo il peso e la stessa geometria del lanciatore variano fortemente: ciò ha un effetto sulla posizione del baricentro che si sposta in conseguenza del consumo del propellente, della separazione degli stadi, dei movimenti all’interno dei serbatoi di propellente liquido (fuel sloshing) .
Il carico pagante deve rispondere (nella sua configurazione “impacchettata” all’interno della stiva di carico) a vincoli dimensionali che sono stabiliti dalla caratteristiche del lanciatore: si nota che la dimensione assiale della stiva può in molti casi variare (entro limiti fissati) mentre la dimensione radiale viene rigorosamente fissata.
Questo vincolo dimensionale è fondamentale e determina (per gli elementi strutturali che in condizioni operative devono avere grandi dimensioni come pannelli solari ed antenne) la configurazione in forma “compatta” (relativa alla stiva di carico) e le caratteristiche del sistema di dispiegamento in orbita. Il meccanismo di dispiegamento deve riportare la struttura alle dimensioni nella configurazione operativa. Nella Tabella1 sono riportate le dimensioni, longitudinali e trasversali della stiva di carico di alcuni lanciatori.
Tab. 1 Dimensioni stive di carico
Paese |
Lanciatore |
Diametro (m) |
Lunghezza (m) |
Cina |
Lunga Marcia 3 |
2.3 |
3.1 |
Europa |
Ariane IV |
3.6 |
12.4 |
Giappone |
H-1A |
2.2 |
6.5 |
Giappone |
H-2 |
3.7 |
10.0 |
Italia/Europa |
Vega |
2.2 |
5.4 |
Europa |
Ariane V |
3.6 |
13.7 |
USA |
Atlas |
2.9 |
7.7 |
USA |
Titan 3 |
3.6 |
12.4 |
USA |
Titan 4 |
4.5 |
17.0 |
USA |
Shuttle |
4.6 |
28.7 |
Gradienti termici: in un sistema spaziale si hanno dei gradienti termici sia interni che esterni: i gradienti termici interni sono dovuti al riscaldamento provocato dai sottosistemi (propulsivo, di potenza, di comunicazione…) mentre quelli esterni sono dovuti al sole (nel caso di sistemi interplanetari si hanno anche problemi legati alla presenza di altri pianeti o satelliti). La presenza di gradienti termici può portare a sollecitazioni di origine termica e a distorsioni geometriche che possono portare a deformazioni di elementi strutturali e quindi disturbare l’allineamento e la stabilità di sensori di bordo. Quindi il calore generato all’interno del satellite deve essere condotto al suo esterno generalmente attraverso la struttura stessa del satellite. Questo si ottiene posizionando i sistemi che generano calore su degli elementi strutturali che presentano una elevata conducibilità termica e portano quindi il calore alla superficie del satellite dove si può ottenere una dissipazione del calore stesso per radiazione.
3. Il debris spaziale
Tutti i sistemi spaziali sono esposti al rischio di impatto con micrometeoriti (più in generale all’impatto con il debris spaziale, il termine indica i residui lasciati nello spazio); la struttura del satellite deve quindi tenere conto di questa possibilità con una protezione adeguata (almeno per una certa tipologia di impatto).
La probabilità di impatto di un debris con un sistema spaziale è data dalla:
Pimp = 1 – e(-SPD AC V T)
Dove i simboli indicano:
SPD = la densità spaziale del debris
AC = la sezione trasversale del satellite
V = la velocità relativa
T = la durata della missione
Questa relazione si riferisce in particolare ad un sistema spaziale in orbita terrestre bassa (LEO).
Naturalmente non è possibile progettare un satellite in grado di resistere ad un impatto qualsiasi ma il progetto si deve basare sull’ipotesi della dimensione massima del debris che il satellite potrà incontrare senza subire danneggiamenti. Un riferimento tipico è quello di un debris con massa di un grammo ed un diametro di 1.56 centimetri.
Vi sono dei metodi diversi per la protezione della struttura dal debris: ad esempio con l’uso di un “bumper” (il termine indica un apparato che ha il compito di assorbire l’urto in una collisione, come il paraurti di una automobile) o con l’uso di schermi multistrato . Nel caso del bumper il principio è quello di fare in modo che nell’urto con il micrometeorite si vaporizzino insieme sia il bumper che il micrometeorite : nella realtà ciò avviene esattamente solo nel caso in cui l’urto avvenga proprio con un micrometeorite con le caratteristiche (massa e diametro) previste nel progetto, mentre nel caso di impatto con un micrometeorite di massa inferiore a quella del progetto il bumper non si vaporizza totalmente e quindi lascia a sua volta del debris locale.
L’altro approccio è in genere quello di mettere insieme il sistema di protezione termico con quello di protezione dal debris e quindi di mettere insieme uno schermo multistrato con materiali di protezione termica e strati con bassa conducibilità termica per la protezione dall’urto; questo metodo può risultare più favorevole (dal punto di vista del peso) rispetto al bumper.
4. Vincoli geometrici ed economici
La distribuzione di massa dei diversi componenti di un sistema spaziale è critica poiché determina tra l’altro la posizione del baricentro del satellite (su questa posizione del baricentro sono posti dei vincoli dal responsabile del lanciatore) e l’entità dei momenti di inerzia rispetto agli assi principali del satellite. Oltre alla previsione numerica di questi elementi è importante la valutazione sperimentale (che richiede una elevata precisione) di queste grandezze. La posizione dei sottosistemi di bordo dipende dall’impiego (ad esempio i sensori scientifici possono richiedere un campo di vista molto ampio, i pannelli solari richiedono delle grandi superfici e degli orientamenti rispetto al sole , le antenne richiedono anche posizioni e stabilità particolari).
Per quanto riguarda l’entità della massa strutturale rispetto a quella totale del satellite si possono dare delle indicazioni empiriche tenendo conto delle tipologie di missione che sono molto diverse tra loro: si può comunque ritenere che la massa strutturale possa variare da un minimo del 7 % della massa totale ad un massimo del 10 % (anche se una analisi statistica presenta dei valori al di fuori di questo campo di valori).
Il costo, per unità di peso di un sistema spaziale è complessivamente molto elevato: il costo del lancio (con la tipologia attuale dei lanciatori ) ha un valore di riferimento di 5000 euro al kilo, ma un valore di riferimento di 100000 euro al kilo per quanto riguarda il costo di sviluppo del sistema spaziale. Si nota quindi come in realtà il costo del lancio abbia una influenza minima sul costo complessivo della missione (anche se il costo del lancio fosse, al limite, nullo l’influenza sul costo complessivo risulterebbe “soltanto” del 5 %). L’elemento economico più rilevante è quindi legato al costo di sviluppo del sistema spaziale: questo porta verso la definizione di progetti più semplici mentre lo sviluppo della componentistica porta verso lo sviluppo di satelliti più leggeri.
Si è osservato che si possono definire diverse categorie di lanciatori, in seguito si farà particolare riferimento ai lanciatori di competenza della Agenzia europea Arianespace (Ariane 5, Soyuz, VEGA) anche se naturalmente esistono altri progetti negli USA, in Cina, in India e Giappone ed anche categorie diverse di lanciatori. Una prima distinzione riguarda il tipo di motore:
- a propellente solido
- a propellente liquido
In estrema sintesi il motore a propellente solido presenta una maggiore semplicità (molto relativa naturalmente) ed il suo dimensionamento strutturale si basa sul carico a pressione (verificando poi la capacità di resistere al carico di compressione dovuto alla spinta in volo ed all’azione del vento sulla rampa di lancio), nel caso di motore a propellente liquido la pressione è molto più ridotta (in particolare nei sistemi con pompe) ed il dimensionamento a pressione non è in grado di resistere ai carichi di compressione (che costituisce in questo caso l’elemento critico di progetto). La scelta del tipo di motore dipende da diversi fattori.
Fonti e tipologie di carico nel motore a propellente solido (Rocket Motor Case).sono indicati in Tabella 2.
Tab. 2 Tipologia di carico in motori a propellente solido
Origine del carico |
Tipologia di carico |
Pressione interna |
Biassiale in tensione (vibrazioni) |
Spinta assiale |
Assiale (vibrazioni) |
Nozzle del motore |
Assiale, flessionale, di taglio |
Controllo della spinta |
Assiale, flessionale, di taglio |
Superfici di controllo aerodinamiche |
Tensione, compressione,flessione,torsione |
Separazione degli stadi |
Flessione, taglio |
Manovre in volo |
Assiale, flessione, taglio, torsione |
Azione del vento prima del lancio |
Assiale, flessionale, taglio |
Carichi dinamici |
Assiale, flessione, taglio |
Trasporto al suolo |
Trazione, compressione, flessione, taglio |
Si nota che carichi rilevanti si possono avere anche durante le operazioni di trasporto a terra (in pratica per tutte le tipologie di carico) ed anche le condizioni ambientali (e per alcune tipologie di lanciatori i tempi molto lunghi di attesa ma pronti al lancio e le relative condizioni ambientali) possono risultare critiche.
La geometria del Rocket Motor Case è condizionata dalla configurazione del grano e dai vincoli sulla lunghezza e sul diametro del lanciatore: si possono avere dei serbatoi cilindrici “lunghi” con rapporto tra lunghezza e diametro intorno a 10 o anche dei serbatoi sferici o quasi sferici (la geometria sferica permette di minimizzare il rapporto tra la massa strutturale ed il volume del serbatoio). Il rapporto tra la massa del propellente e la massa totale può variare da un minimo di 0.70 ad un massimo di 0.94 a seconda delle tipologie, con i valori più alti che si riferiscono ai serbatoi per i motori degli ultimi stadi del lanciatore.
Si nota che il valore della pressione interna, che è determinante per la valutazione dello spessore (e quindi dell’ordine di grandezza del peso) del serbatoio ha un effetto stabilizzante per quanto riguarda il carico di compressione (buckling), ma porta anche ad una discontinuità nelle deformazioni del serbatoio e della calotta di chiusura (si pensi al caso di serbatoio cilindrico con calotta di chiusura semisferica) che porta in corrispondenza della sezione di chiusura ad una distribuzione concentrata di taglio e di momento. Questa discontinuità richiede di tenere conto di un comportamento flessionale e non soltanto a membrana. Naturalmente per una valutazione dettagliata del progetto strutturale del serbatoio si fa riferimento ad una analisi agli elementi finiti che tenga anche conto delle caratteristiche del grano propellente contenuto nel serbatoio e di una analisi per la valutazione di sforzi e deformazioni di origine termica.
Il riscaldamento molto rapido della parete interna porta ad un gradiente termico attraverso la parete, la parete interna che viene esposta ai gas caldi viene protetta con isolanti termici. Il progetto strutturale del motore deve tenere conto anche del “nozzle”, dei sistemi di bordo e delle eventuali superfici aerodinamiche. I materiali metallici presentano diversi vantaggi, rispetto all’impiego di compositi, come la resistenza a temperature più elevate, la durata nel tempo e la maggiore facilità di trasporto e di conservazione.
Ad esempio il booster a propellente solido dello Space Shuttle ha le caratteristiche riportate in Tabella. 3
Tab. 3 Booster a propellente solido dello Space Shuttle
Peso totale |
569 ton |
Peso propellente |
502 ton |
Peso propellente/Peso totale |
88.2 % |
Lunghezza |
37.8 m |
Diametro |
3.65 m |
Pressione |
6.65 Mpa |
Spessore (in acciaio) |
11x10-3 m |
Spinta massima |
1.38x106 Kg |
Tempo di accensione |
123.7 s |
Si tratta di un motore segmentato (in 4 elementi), nel caso di motori molto lunghi (come in questo caso) si procede alla segmentazione del serbatoio e del grano propellente. I diversi segmenti vengono sigillati con un giunto multiplo ( O-ring ben noto dopo il primo disastro dello Shuttle)
Tra gli altri vantaggi dei materiali metallici (acciaio nel caso del booster dello Shuttle) c’è la capacità di assorbire carichi concentrati (con gli opportuni rinforzi) e lo spessore molto ridotto (minore di quello richiesto da un serbatoio equivalente realizzato in materiale composito): quindi a parità di dimensioni esterne si ottiene una maggiore capacità di carico di propellente.
I boosters a propellente solido dell’Ariane 5 (che sono ai lati del 1° stadio criogenico) sono i boosters a propellente solido più grandi tra quelli costruiti in Europa. Il “motor case” è costruito in acciaio con uno spessore di circa 8 mm , le caratteristiche principali sono riportate nella Tabella 4 seguente:
Tab. 4 Booster a propellente solido di Ariane 5
Peso totale |
273 ton |
Peso propellente |
238 ton |
Peso propellente/peso totale |
87 % |
Pressione massima |
6.3 Mpa |
lunghezza |
30 m |
diametro |
3.03 m |
spinta |
6.3x105 Kg |
Il motore a propellente solido del booster di Ariane 5 viene realizzato in 3 segmenti, quello superiore con 23.4 ton di propellente viene caricato a Colleferro gli altri due, con 106,7 e 107.6 ton di propellente, vengono caricati a Kouros.
Si può valutare lo spessore del serbatoio motore dal dimensionamento a pressione, secondo un modello semplice a membrana dalla
t = (p R FS)/ sy
Dove con t si indica lo spessore del serbatoio, con R il raggio del serbatoio, con FS un fattore di sicurezza e con sy il valore limite di sforzo del materiale; se si fa riferimento ad un acciaio si può assumere sy = 1.6x109 Pa. Nel caso del booster di Ariane 5 per un fattore di sicurezza FS = 1.4, . con le dimensioni e la pressione indicate in tabella si ottiene uno spessore t = 8.35 mm.
Per una verifica del carico critico assiale che il serbatoio può sopportare (in assenza della pressione interna) si debbono valutare i rapporti geometrici tra raggio e spessore: R/t = 1.515/8.35x10-3 = 181 e tra lunghezza e raggio L/R = 30/1.515 = 20 e si possono poi utilizzare diagrammi come quello di Fig. C8.8b o semplici relazioni per la valutazione del sigma critico
6. Il nozzle .
Il nozzle ha la funzione di espandere e di accelerare i gas caldi e deve resistere all’ambiente ad alta temperatura a cui si trova, le dimensioni possono variare a seconda della tipologia del motore, si va da un diametro di gola di 1 mm ad oltre 1 metro, così come la durata di accensione può variare da frazioni di secondo a qualche minuto. Quasi tutti i nozzle dei motori a propellente solido sono raffreddati per ablazione: il materiale di base della costruzione può essere acciaio o alluminio (con la funzione strutturale primaria) e poi “liners” in composito con funzioni ablative che sono incollati alla struttura primaria. Gli strati di materiale ablativo sono progettati in modo da isolare il materiale strutturale primario, mantenere il profilo aerodinamico interno necessario per la combustione e per bruciare in modo parziale e controllato in modo tale da impedire che si danneggi il materiale strutturale primario. Lo spessore degli strati di materiale ablativo è tale da mantenere le superfici di incollaggio con la struttura al di sotto di temperature pericolose per il collegamento. La tipologia dei nozzle varia poi a seconda che si tratti di strutture semplici o molto complesse.
Uno dei nozzle più grandi e complessi attualmente in produzione è quello usato nel motore a propellente solido che deve fornire il 71.4 % della spinta di decollo dello Space Shuttle: si tratta di un progetto che punta sulla massima sicurezza (dal punto di vista strutturale e termico). Comprende nove strati ablativi incollati su sei strati di acciaio ed alluminio collegati insieme per costituire la struttura primaria, le caratteristiche geometriche sono riportate in Tabella 5.
Tab. 5 Geometria del nozzle dello Space Shuttle
Diametro della gola |
1.35 m |
Diametro di uscita |
3.73 m |
Lunghezza totale |
4.45 m |
peso |
10869 Kg |
7. Caratteristiche di motori a propellente solido
Si considerano a titolo di esempio le caratteristiche di motori a propellente solido destinati a missioni diverse; il confronto riguarda il motore del primo stadio del Minuteman, il motore dello stadio superiore ed un motore di apogeo come riportato in Tabella 6.
.
Tab. 6 Caratteristiche di diversi motori a propellente solido
|
I stadio Minuteman |
Motore stadio superiore |
Motore di apogeo |
Spinta massima |
91480 Kg |
10800 Kg |
2900 Kg |
Pressione massima |
6.03 MPa |
5.95 MPa |
4.04 MPa |
Pressione media |
5.53 MPa |
4.35 MPa |
3.92 Mpa |
Peso totale |
22960 Kg |
2960 Kg |
361 Kg |
Peso propellente |
20807 Kg |
2720 Kg |
334 Kg |
Peso prop/peso tot |
90.6 % |
91.9 % |
92.5 % |
Lunghezza |
7.69 m |
1.84 m |
1.24 m |
Diametro |
1.67 m |
1.61 m |
0.69 m |
Materiale |
Acciaio |
Kevlar/epossidica |
Titanio |
sy (in Gpa) |
1.6 |
0.72 |
1.17 |
Spessore (in mm) |
3.75 |
8.89 |
1.66 |
8. Analisi strutturale del propellente solido
L’obiettivo essenziale nella “stress analysis” dei motori a propellente solido è quello relativo alla progettazione del grano propellente (oltre ai liners ed il supporto) in modo che non si abbiano dei valori eccessivi di sforzi e di deformazioni. Diversi carichi di tipo statico e dinamico sono in azione sul grano propellente durante la costruzione, il trasporto, il mantenimento in magazzino e la fase operativa.
Da un punto di vista strutturale il motore a propellente solido è un guscio cilindrico molto sottile quasi completamente riempito da un materiale viscoelastico (il propellente) che presenta delle proprietà meccaniche del tutto diverse da quelle dei materiali delle strutture primarie, La caratteristica viscoelastica del propellente dipende dalla sua storia temporale ed il materiale si può danneggiare per effetto degli sforzi a cui viene sottoposto (effetto del danno cumulativo); le situazioni più critiche si verificano quando le deformazioni in superficie sono molto grandi e si formano delle cricche superficiali che portano a nuove superfici di accensione e questo fa sì che la pressione aumenti (e di conseguenza aumenti la spinta).
Il fatto che la spinta aumenti (rispetto al valore di progetto) ed anche il tempo di accensione sia diverso rispetto a quello di progetto (in questo caso si ha una diminuzione) fa sì che la traiettoria del lanciatore sia diversa da quella di progetto il che può influire sull’obiettivo della missione. Inoltre lo sviluppo di molte cricche (e cricche di profondità) fa aumentare la pressione il che pone a rischio la sicurezza dell’involucro del motore (che viene dimensionato a pressione). Altra situazione di rischio si ha quando il legame alla periferia del grano propellente si può rompere e quindi si può formare un gap tra il liner , l’isolante ed il materiale strutturale primario.
Vi sono molti altri problemi come la temperatura del grano (un valore troppo grande porta ad una riduzione importante nelle caratteristiche meccaniche), la formazione di bolle d’aria, un eccesso di porosità e differenze di densità riducono localmente la resistenza del propellente e portano a formazione di cricche e scollamenti. Altri inconvenienti sono legati a deformazioni molto grandi del grano ed accensioni impreviste dovute al calore assorbito dal materiale viscoelastico per vibrazioni meccaniche (come può avvenire durante la fase di trasporto). Se il propellente presenta delle piccole cricche (in numero elevato) o delle cricche profonde o vaste aree di scollamento prima dell’accensione, l’area di accensione risulta molto più grande del previsto e quindi anche la pressione sale a valori più elevati, quindi con problemi di sicurezza.
Il materiale del grano propellente si presenta come una gomma quasi incompressibile, con un “bulk modulus” in compressione di circa 1.4 Gpa nello stato non danneggiato, poiché in un propellente ben preparato sono presenti pochi vuoti (<< 1%) la deformazione a compressione è bassa, tuttavia il propellente si può danneggiare con facilità per effetto dei carichi applicati (anche se di entità ridotta).
Se il limite della resistenza in tensione e taglio viene superato (per un valore che varia da 3.5x105 a 7x106 Pa) il grano verrà danneggiato localmente. Gli elementi del grano propellente sono tipicamente 3D e quindi tutti gli sforzi sono sforzi combinati.
Come tutti i materiali viscoelastici anche il grano propellente ha un comportamento non lineare: questo vuol dire che il valore limite (inteso come limite di sforzo e di deformazione) diminuisce man mano che un carico importante viene applicato, il materiale si indebolisce e si danneggia per ogni ciclo di carico. Le proprietà di questi materiali dipendono in modo importante anche dai processi di fabbricazione (con variazioni rispetto al valore di riferimento del 20-40 %) . Un deterioramento di natura chimica degrada con il tempo le caratteristiche meccaniche e rende più difficile la caratterizzazione di questi materiali e la previsione del loro comportamento meccanico.
Delle prove in laboratorio vengono condotte su campioni di dimensioni limitate per valutare il comportamento meccanico, come ad esempio la classica prova di trazione uniassiale (naturalmente condotta in condizioni ideali di laboratorio, lontane da quelle effettive di lavoro), si può avere ad esempio E = 4.6 Mpa e eel = 3% .
Una curva stress/strain per un tipico materiale per propellente solido indica l’effetto del danno cumulativo, lo sforzo massimo e lo sforzo a rottura.
Fonte: http://dma.ing.uniroma1.it/users/lss_ss/MATERIALE/Strutture%20Spaziali%20ambiente.doc
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