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Negli ultimi anni, le limitazioni legate all’impiego di organi e tessuti artificiali o derivanti da donatori, hanno portato allo sviluppo di una nuova scienza, l’Ingegneria dei Tessuti, che è diventata rapidamente un importantissimo filone di ricerca, oggetto di rilevanti investimenti [1].
“L’Ingegneria dei Tessuti è quel settore interdisciplinare che applica i principi dell’ingegneria e delle scienze che studiano la vita per lo sviluppo di sistemi in grado di restituire, conservare e migliorare le funzioni del tessuto” (Vacanti 1995).
“Il suo obiettivo primario è quello di ripristinare le funzionalità dei tessuti mediante l’impianto di elementi “viventi” che siano in grado, in tempi clinicamente accettabili, di diventare parte integrante dell’organismo in cui vengono introdotti, con ridotti margini di insuccesso postimpianto” [2].
Tale scienza mira alla rigenerazione di tessuti danneggiati grazie all’utilizzo di tre fattori chiave: cellule, scaffold e fattori di crescita [1]. In particolare, le cellule hanno il ruolo di sintetizzare il nuovo tessuto. Recenti studi dimostrano, tuttavia, che cellule isolate sono difficilmente in grado di organizzarsi spontaneamente per formare tessuti complessi, in assenza di strutture tridimensionali che le guidino e ne stimolino le attività [3]. Il ruolo dello scaffold è quello di indurre la rigenerazione tessutale fornendo una “guida temporanea” per la crescita cellulare, sotto appropriate condizioni di coltura, per assecondare il programma di differenziazione [1]. Il terzo fattore chiave dell’ingegneria dei tessuti è rappresentato dai fattoti di crescita, proteine il cui ruolo è di promuovere e guidare le cellule nella rigenerazione del neotessuto [1, 4-9]. L’iniezione diretta di fattori di crescita risulta inefficiente, a causa del rapido allontanamento del fattore dal sito d’interesse e della sua rapida digestione enzimatica o deattivazione. Inoltre, il rilascio locale e prolungato di molecole bioattive è necessario per minimizzare la propagazione indesiderata del segnale a altre cellule e tessuti e assicurare un’esposizione prolungata, al fine di ottenere la completa rigenerazione del tessuto [10]. I tre fattori chiave dell’ingegneria dei tessuti non sono sempre simultaneamente utilizzati. Tuttavia, recenti studi clinici hanno dimostrato che il successo degli approcci terapeutici che si rifanno a tale scienza è fortemente influenzato dalla loro delicata e
dinamica interazione reciproca. E’ stato, infatti, evidenziato che la rigenerazione funzionale del tessuto danneggiato dipende dall’opportuna integrazione di tali fattori [1].
Uno scaffold ideale per applicazioni nell’ambito dell’ingegneria del tessuto osseo, oggetto di tale studio, dovrebbe possedere una struttura tridimensionale altamente porosa e dotata di pori interconnessi, essere biocompatibile e biodegradabile, con velocità di degradazione coordinata con quella di formazione del nuovo tessuto in vitro o in vivo, nonché possedere proprietà meccaniche compatibili a quelle del tessuto osseo [11]. Inoltre, tale scaffold dovrebbe promuovere e guidare la rigenerazione del tessuto attraverso il controllo locale del microambiente, rilasciando opportuni segnali al sito d’interesse in maniera controllata nel tempo [12, 13].
Recenti studi sono focalizzati sull’integrazione delle tecnologie di progettazione degli scaffold per l’ingegneria dei tessuti con quelle del rilascio controllato di farmaci, al fine di favorire la morfogenesi di tessuti complessi [14, 15]. Gli approcci più ampiamente utilizzati, si basano sull’interdispersione del fattore di crescita all’interno dello scaffold [1, 14], o sull’incapsulazione dello stesso in microparticelle, successivamente incluse nello scaffold [17]. Tuttavia, tali approcci non permettono un controllo indipendente del grado di porosità, dimensione e interconnessione dei pori, nonché del rilascio di agenti bioattivi.
Tra i polimeri sintetici biodegradabili, utilizzati per realizzare scaffold per la rigenerazione del tessuto osseo, grande diffusione ha avuto il policaprolattone (PCL), preso in esame in tale lavoro di tesi. Il suo impiego è legittimato dalle caratteristiche chimiche e fisiche compatibili con quelle del tessuto osseo, soprattutto in relazione alla cinetica di degradazione del polimero, nonché ad acclarate doti di biocompatibilità, ampiamente documentate in letteratura [18].
In tale lavoro di tesi si propone l’utilizzo del PCL per la realizzazione, attraverso un approccio innovativo, di scaffold multifunzionali con proprietà morfologiche e meccaniche modulabili, capaci, inoltre, di rilasciare in maniera controllata nel tempo fattori bioattivi.
In particolare, tali scaffold sono stati realizzati mediante un approccio bottom-up basato sulla sinterizzazione di microparticelle di PCL, ottenute mediante la tecnologia di emulsione.
La prima fase di questo lavoro è stata focalizzata sulla realizzazione e caratterizzazione di microsfere in policaprolattone, ottenute attraverso due metodologie: singola emulsione (O/W) e doppia emulsione (W/O/W). Il processo di preparazione delle microsfere in PCL è stato ottimizzato per ottenere una distribuzione dimensionale adeguata alla realizzazione di matrici polimeriche biodegradabili mediante sinterizzazione.
Inoltre, il metodo della doppia emulsione consente di incapsulare efficientemente una proteina modello, Bovine Serum Albumine (BSA). In particolare, sono state realizzate sei tipologie di microsfere, mediante doppia emulsione, variando opportunamente diversi parametri, al fine di modulare la dimensione delle microparticelle, la loro morfologia interna e, conseguentemente, la cinetica di rilascio della proteina incapsulata.
La seconda fase di tale lavoro di tesi si focalizza sulla realizzazione e progettazione di matrici realizzate attraverso sinterizzazione di microparticelle. In particolare, sono stati realizzati scaffold tridimensionali mediante sinterizzazione termica o compattazione chimica (attraverso l’utilizzo di un’opportuna miscela di solventi) di microsfere in policaprolattone.
Sono stati realizzati scaffold tridimensionali mediante sinterizzazione di microsfere compatte, ottenute mediante singola emulsione (scaffold protein-free). Successivamente, sono realizzate matrici bioattive dalla sinterizzazione di microsfere contenenti la proteina, ottenute mediante doppia emulsione, e microsfere di dimensioni maggiori, ottenute mediante singola emulsione; utilizzando le stesse condizioni di processo ottimizzate per la realizzazione di scaffold protein-free. La dimensione dei pori e le proprietà meccaniche degli scaffold possono essere controllati dalla scelta delle dimensioni delle microsfere compatte, ottenute mediante singola emulsione. Il rilascio della proteina incapsulata può essere, invece, modulato dall’opportuna scelta della formulazione di microsfere ottenute mediante doppia emulsione.
Sulla base dei risultati ottenuti dallo studio e dalla completa caratterizzazione delle microparticelle di PCL e della loro sinterizzazione per ottenere matrici tridimensionali, l’ultima fase di tale lavoro di ricerca si è focalizzato sulla realizzazione di microparticelle composite chitosano-gelatina. La realizzazione di tali microparticelle è focalizzata ad estendere l’approccio della sinterizzazione termica e chimica ai materiali naturali.
Nella progettazione e nella realizzazione di materiali innovativi per applicazioni biomediche è necessario innanzitutto comprendere a fondo le problematiche che si dovranno affrontare nella ricerca; pertanto il primo aspetto è analizzare “come progetta la natura” ovvero valutare come l’evoluzione naturale abbia permesso la realizzazione di tessuti biologici con prestazioni così specifiche e così straordinarie, consentendo di operare l’ottimizzazione della microstruttura di ciascun tessuto in base alla specifica funzione fisiologica richiesta. Nella realizzazione di un materiale sintetico non è possibile ripercorrere le stesse procedure evolutive del tessuto naturale, ma, valutando le proprietà meccaniche e fisiche dei tessuti biologici e
studiando le correlazioni che esse presentano con le funzioni, è possibile comprendere ed ottimizzare la microstruttura in funzione delle proprietà richieste [19]. In quest’ottica si ritiene allora necessario introdurre alcune considerazioni sulla struttura e sulla composizione dei tessuti ossei, applicazione oggetto di tale studio.
L’osso è un materiale composito naturale, caratterizzato da una matrice di fibre di collagene altamente orientate rinforzata da particelle di fosfato di calcio, immersa in un fluido fisiologico (circa 10% in peso), che conferisce una certa plasticità al materiale. Al suo interno la presenza di cellule (prevalentemente osteociti ed osteoblasti) che ricoprono circa il 15% del suo peso,
consentono la continua ricostruzione dei tessuti, motivo
per il quale l’osso viene definito un tessuto vivente
[20]. Ma esso è innanzitutto un tessuto duro mineralizzato, in virtù del fatto che la matrice extracellulare è per la maggior parte impregnata di cristalli minerali, in prevalenza di fosfato di calcio, che le permettono di trasmettere e sorreggere gli sforzi.
COMPONENTI |
QUANTITA’ IN PESO (%) |
Minerale (apatite) |
69 |
Matrice organica
|
22 |
Acqua |
9 |
Tab. 1.1: Composizione osso[2]
La presenza di minerali, così come la particolare distribuzione delle componenti organiche nella sostanza intercellulare, conferiscono a questo tessuto spiccate proprietà meccaniche (durezza e resistenza alla compressione, alla trazione e alla torsione), congiuntamente ad una notevole leggerezza. In virtù di queste proprietà, il tessuto osseo costituisce un materiale ideale per la formazione delle ossa dello scheletro, che costituiscono nel loro insieme l’impalcatura di sostegno dell’organismo. Inoltre, dato il notevole contenuto in sali di calcio, il tessuto osseo rappresenta il principale deposito di ione calcio per le necessità metaboliche dell’intero organismo [21]. La deposizione del calcio nell’osso e la sua mobilizzazione, finemente controllate da meccanismi endocrini, contribuiscono in modo sostanziale alla regolazione dei livelli plasmatici di questo ione.
Le proprietà meccaniche dell’osso sono molto variabili in virtù della loro dipendenza da due fattori:
I principali fattori composizionali sono il grado di mineralizzazione e la porosità; è intuitivo che la resistenza e la rigidità aumentano al crescere del contenuto di fase minerale nell’osso e diminuiscono all’aumentare della porosità del materiale. Tra i fattori organizzativi, invece, ha un peso notevole la disposizione delle fibrille di collagene, nonché l’organizzazione spaziale delle trabecole [22].
Ciò che rende in realtà complessa la valutazione globale delle proprietà meccaniche dell’osso è il fatto che tali variabili sono fortemente anisotrope: ciò è dovuto al fatto che nell’osso è possibile distinguere un ben definita organizzazione gerarchica che prevede diversi livelli strutturali, per ognuno dei quali è necessario individuare le relazioni che legano le proprietà meccaniche alla struttura stessa [23].
Le proprietà meccaniche dell’osso dipendono da molteplici fattori:
Un campione secco mostra un leggero aumento del modulo di elasticità ma minore resistenza a rottura, minore allungamento ed in genere minore tenacità.
L’effetto della direzione del carico è sensibile in quanto la struttura dell’osso è fortemente anisotropa.
Il tessuto osseo può essere considerato un materiale viscoelastico. In particolare, al crescere della velocità di carico il materiale risponde più rigidamente mostrando un modulo elastico più elevato. Tale risposta può essere attribuita ad un’azione prevalente della componente minerale. Al contrario, per velocità di carico più modeste, la risposta della componente fibrosarisulta preponderante ed il modulo, quindi, risulta progressivamente più piccolo.
L’aumento di sostanza minerale causa un aumento di densità, una diminuzione del lavoro necessario per rompere l’osso e della resistenza a flessione aumentando il modulo di Young [20].
In Tab. 1.2 sono riportati alcuni valori delle proprietà meccaniche di diverse tipologie di ossa in condizioni di riferimento:
Tipo di osso |
Direzione della prova |
Modulo di elasticità [GPa] |
Sforzo a rottura per Trazione [MPa] |
Sforzo a rottura per compressione [MPa] |
Ossa arto inferiore femore |
Longitud. |
17,2 |
121,0 |
167 |
Ossa arto superiore omero |
״ |
17,2 |
130,0 |
132 |
Vertebre cervicale lombare |
״ |
0,23 |
3,1 |
10 |
Cranio |
tangenz. radiale |
- |
25,0 |
- 97 |
Fonte: http://www.fedoa.unina.it/1861/1/Luciani_Ingegneria_dei_Materiali_e_delle_Strutture.pdf
Sito web da visitare: http://www.fedoa.unina.it/
Autore del testo: Luciani
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