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Questa prova consiste nel sottoporre un provino ad uno sforzo di trazione, generalmente fino a rottura, in modo da poter determinare diverse proprietà meccaniche. Solitamente si impone una deformazione crescente su un provino sul quale sono tracciati due tratti che fungono da riferimenti posti ad una distanza L0. Durante la prova si misurano la forza F e l’allungamento L - L0. Per quanto riguarda la prova di trazione, si fa riferimento alla terminologia adottata nella norma UNI EN 10002/1.
Figura 1
Elemento essenziale di qualsiasi prova meccanica è la provetta (o provino). Questa deve essere ricavata dal pezzo in esame con una lavorazione meccanica tale da non alterare le caratteristiche del materiale a seguito di un involontario trattamento termico (lavorazione effettuata in modo troppo rapido) o di eccessive tensioni residue nel pezzo (figura 1).
Quella che segue è una legenda delle denominazioni e dei simboli utilizzati per le grandezze geometriche.
Diametro della sezione calibrata del provino a sezione circolare |
d |
Spessore della provetta piatta |
a |
Larghezza della provetta piatta |
b |
Lunghezza iniziale fra i riferimenti |
L0 |
Lunghezza parte calibrata |
Lc |
Lunghezza totale |
Lt |
Lunghezza ultima fra i riferimenti |
Lu |
Allungamento percentuale dopo rottura 100 Lu - L0 |
A |
Sezione iniziale parte calibrata |
S0 |
Sezione minima dopo rottura |
Su |
Coefficiente percentuale di strizione 100 S0 - Su |
Z |
La provetta di trazione può essere distinta in alcune zone: 1) le teste di serraggio; 2) le zone di raccordo; 3) il tratto utile.
Le teste di serraggio, filettate o meno, permettono l'applicazione stabile senza slittamento del provino ai morsetti della macchina di prova. Il tratto utile ( di lunghezza L0 ), è la parte della provetta interessante ai fini della accettabilità dei
risultati: nel caso in cui la rottura non avviene all'interno di questa zona centrale, i risultati non sono accettabili. Le zone di raccordo uniscono il tratto utile (di sezione inferiore) con le teste di serraggio (di sezione maggiore) con raggi di raccordo tali per cui l'effetto di intaglio è limitato al minimo possibile. Le sezioni delle provette possono essere circolari o rettangolari, e le proporzioni delle provette stesse sono precisate all'interno della sopra citata norma. Normalmente la relazione fra il tratto utile L0 e la sezione iniziale della parte calibrata S0 è :
L0 = 5.65
Nel caso di provette a sezione circolare la precedente relazione corrisponde a L0=5d (provette proporzionali). Si può anche derogare in talune occasioni a tali
relazioni, ma va scritto esplicitamente nel rapporto finale. Prima di effettuare la prova,
conviene suddividere il tratto L0 in un numero N di suddivisioni, mediante piccole incisioni oppure inchiostro ad asciugamento rapido. Nella tabella seguente si hanno un
insieme di definizioni e di simboli riguardanti i carichi:
Carico di snervamento superiore |
FeH |
Carico di snervamento inferiore |
FeL |
Carico di scostamento dalla proporzionalità |
FP |
Carico limite di allungamento totale |
Ft |
Carico limite di allungamento permanente |
Fr |
Carico massimo |
Fm |
Carico ultimo |
Fu |
Per avere i carichi unitari (denominati secondo la norma UNI con delle R con pedici analoghi ai precedenti, ma nei vari testi può essere usata la lettera s ) basta
dividere il carico considerato per la sezione iniziale S0 . Fa eccezione in carico unitario ultimo di rottura (tensione di rottura) che si ottiene dividendo Fu per la sezione minima di rottura Su .
La rilevazione delle deformazioni può essere effettuata sia utilizzando un estensimetro
applicato all'esterno del provino, sia rilevando l'allungamento grazie allo spostamento della testa traente.
Le macchine utilizzate per questo tipo di prove possono essere sia oleodinamiche che elettromeccaniche ed hanno potenze che possono andare da alcuni grammi (per fibre e filamenti) a centinaia di tonnellate (per grandi strutture). Le macchine di piccola potenza (inferiore ad una tonnellata) sono solitamente del tipo a leve . Per le grandi potenze si preferiscono quelle idrauliche.
Per le prove di trazione il campione viene fissato ai relativi morsetti della macchina o per mezzo di cunei autoserranti o con manicotti smontabili, facendo ben attenzione ad esercitare esclusivamente sollecitazioni assiali, senza generare né torsioni né flessioni supplementari. La normativa fissa delle velocità limite sia per ciò
che riguarda la velocità di allungamento
(compresa fra 0.0025 e 0.00025 s-1 )
Prove meccaniche
Materiale |
Trattamento |
n |
k [MPa] |
Acc. 0.5% C |
Ricotto |
0.26 |
530 |
Acc.0.6% C |
Bonif. 540 °C |
0.10 |
1570 |
Acc.0.6% C |
Bonif. 705 °C |
0.19 |
1230 |
Rame |
Ricotto |
0.54 |
320 |
Ottone |
Ricotto |
0.49 |
900 |
Nella fase dell'incrudimento, si comincia ad evidenziare sul provino il punto della futura rottura: si ha una deformazione localizzata in un breve tratto del provino, che comincia a presentare una strizione sempre più accentuata (figura 3). Tale strizione coincide con una diminuzione della sezione effettiva su cui agisce la sollecitazione applicata. Quando la riduzione relativa dell'area della sezione trasversale diventa pari all'aumento relativo della sollecitazione si ha un massimo nel diagramma s - e in
Figura 3
corrispondenza di Rm (ove per s si intende il rapporto F/S0 ).
Da questo punto inizia la zona detta dello snervamento locale, in cui ad una
diminuzione della sollecitazione applicata corrisponde un aumento della deformazione. Questo sembrerebbe insensato se non si ricordasse che si sta considerando un diagramma
o - e , ove s è il rapporto fra carico e sezione iniziale S0 . Questa è la cosiddetta curva ingegneristica. Se si considera la sezione vera S in corrispondenza della strizione si
ottiene la cosiddetta curva reale. Tale curva differisce dalla precedente per quanto riguarda l'ultima parte , che segue un andamento sempre crescente.
Il passaggio dalla curva reale alla curva razionale può essere effettuato in parte basandosi su ragionamenti geometrici, in parte ricorrendo a misure effettuate in maniera particolare. Ricordando la definizione di deformazione
si può definire una deformazione percentuale "vera" in cui lo scarto percentuale viene fatto riferire sempre alla lunghezza effettiva del provino:
Dato che tutte le deformazioni che si considerano sono a volume costante, si ha che
Dalle espressioni precedenti si può osservare che per piccoli valori di e la curva razionale e la curva reale coincidono, mentre, per valori di e non più trascurabili,
praticamente dallo snervamento in poi, la curva razionale sposta i punti rappresentativi della prova verso l'alto e verso sinistra (figura 4). Tutto ciò è valido con buona approssimazione fino al punto in cui, nel corrispondente diagramma reale, si ha il massimo. Da questo punto in poi la deformazione localizzata non può più essere descritta dal suddetto modello, in virtù proprio della sua localizzazione: per poter avere il diagramma razionale fino a rottura si deve "localizzare" la raccolta dei dati riguardanti la deformazione, utilizzando degli estensimetri collocati in modo da dare la deformazione percentuale riferita esclusivamente alla zona di strizione, e non a tutta la lunghezza del provino.
Questo appena esposto è il caso più generale che si può presentare, ma non è certamente l'unico. Infatti si può avere, nel caso di materiali fragili, una curva costituita solamente dalla parte lineare. Oppure si può avere una zona di snervamento senza caduta di carico oppure senza "seghettatura". Si può avere una curva senza snervamento, in cui si ha un passaggio diretto dalla zona di
Figura 4
deformazione lineare a quella di
deformazione con incrudimento. Si può inoltre avere una curva senza una vera e propria parte lineare elastica .
Nel caso non si abbia un carico di scostamento dalla proporzionalità ben evidente, viene definito un carico unitario di scostamento dalla proporzionalità convenzionale corrispondente ad una deformazione permanente p.e. dello 0.2 % (figura 5). Da sottolineare la convenzionalità di un carico così definito: la deformazione che si ottiene infatti non è completamente reversibile, e di questo se ne deve tenere conto in sede progettuale. La determinazione di tale carico viene fatta, secondo la norma UNI 556 parte terza, tracciando una retta parallela alla parte rettilinea del primo tratto della curva di trazione, ad una distanza, misurata sulle ascisse e, pari alla percentuale di deformazione prescritta (p.e. lo 0.2%). Se durante la prova di trazione si interrompe l'applicazione del carico prima della rottura del campione, la curva s - e seguirà
una retta con la stessa inclinazione della parte lineare elastica. Se la prova viene quindi interrotta nella zona elastica, non si avranno deformazioni permanenti.
Se, dopo avere interrotto la prova di trazione in
corrispondenza di una s per il
quale il materiale subisce
Figura 5
incrudimento, si riapplica il carico, la curva s-e che si ottiene è decisamente diversa dalla precedente: in questo caso il materiale metallico mostra un carico unitario di scostamento dalla proporzionalità decisamente superiore al precedente caso . Il materiale, attraverso il precedente incrudimento, acquista la capacità di sostenere maggiori carichi senza deformazioni residue. L'aumento del carico unitario di scostamento dalla proporzionalità di un materiale in seguito alla deformazione plastica preliminare è definito incrudimento, e si usa molto nella tecnica, p.e. nel caso di lamiere di rame o di ottone (laminate a freddo), oppure nel caso di catene , cavi, cinghie, spesso "stirate" con carichi che superano i carichi di lavoro.
Per la determinazione dell'allungamento a rottura A, si deve effettuare la misura
della distanza fra i riferimenti del tratto utile sia prima della prova ( L0) che a rottura avvenuta ( L ), misurando in quest'ultimo caso la lunghezza del provino ottenuto unendo
nel modo più aderente possibile le due facce della frattura. La norma prevede che il punto di rottura deve situarsi all'interno del tratto utile, e distare dal riferimento più vicino almeno un terzo della lunghezza ultima del provino. Qualora ciò non si verificasse, il valore di A ottenuto sarà minore di quello reale. Onde evitare di scartare i risultati di provini in cui il punto di rottura, pure verificatosi nel tratto utile, non risponde alla suddetta condizione, si può procedere con il seguente metodo: ricordando che il provino è stato preventivamente suddiviso in N parti uguali, dopo la prova si designa con A il riferimento iniziale dello spezzone più corto e con B quello dello spezzone più lungo la cui distanza dal punto di rottura è la più prossima a quella fra il punto di rottura ed il riferimento A.
Tutte le grandezze ottenibili con la prova di trazione non sono funzione solamente della composizione chimica del materiale considerato: esse variano con le condizioni di prova e con gli eventuali trattamenti termomeccanici subiti dal materiale (si deve ricordare l'eccezione costituita dal modulo di Young , che non varia al variare del trattamento termomeccanico subito dal materiale).
Considerando le condizioni di prova, si osserva che l'influenza maggiore sui risultati è dovuta alla temperatura ed alla velocità di prova (ed infatti la normativa si cura di fissare in modo univoco l’intervallo di variabilità della seconda, e di raccomandare di riportare accuratamente la prima nel rapporto finale).
Materiale |
Rm [MPa] |
R el [MPa] |
A% |
E [MPa] |
C14 |
340-440 |
235 |
28 |
206000 |
14CrMo3 |
440-570 |
294 |
22 |
206000 |
28CrMo125 |
740-880 |
560 |
14 |
= |
14CrMo910 |
470-630 |
>255 |
19 |
206000 |
G20Mo5 |
440 |
245 |
20 |
= |
Ghisa grigia non legata |
= |
294 |
1 |
= |
Ghisa nodul. ferr. |
461 |
304 |
17 |
|
CuNi20Fe |
361 |
127 |
39 |
90000 |
Inconel X |
1140 |
628 |
= |
= |
Al-Cu-Mg |
422 |
275 |
22 |
41000 |
La durezza può essere definita in vario modo a seconda del materiale considerato. Si può definire come durezza la resistenza alla scalfittura, la resistenza all'abrasione, la resistenza alla deformazione permanente sotto l'azione di un penetratore cui sia applicato un carico dinamico o statico.
Nel campo dei metalli si definisce come durezza la resistenza che il metallo preso in considerazione oppone all'azione di un penetratore cui sia applicato un carico statico.
A seconda del penetratore, delle modalità di prova e della modalità di analisi dei risultati, si possono definire diverse prove di durezza, normalizzate nella normativa UNI. Da sottolineare che quelle che verranno esposte nel seguito non sono le uniche prove di durezza esistenti, ma le altre hanno per i metalli un interesse solo storico, oppure sono state escogitate per altre classi di materiali.
Caratteristica comune delle prove che verranno descritte, è che il penetratore normalmente deve agire su una superficie liscia e piana, esente da ossidi ed impurezze superficiali. Qualora si effettuino prove su superfici non piane (superfici cilindriche convesse o concave, superfici sferiche ) le normative riguardanti la prova Vickers e la prova Rockwell forniscono delle tabelle all'interno delle quali sono contenuti i valori di correzione, mentre la normativa riguardante la prova Brinell non fornisce nessuna indicazione.
Nella esposizione di tale prova si farà riferimento alla nomenclatura ed alle indicazioni contenuti all'interno della norma UNI 560-75.
La prova consiste nel far penetrare nel pezzo in esame una sfera di acciaio molto duro di diametro "D" mediante un carico "F", e nel misurare il diametro "d" dell'impronta lasciata dal penetratore sulla superficie del pezzo, dopo avere tolto il penetratore.
La prova deve essere effettuata evitando che la macchina di prova subisca urti o vibrazioni, portando il penetratore a contatto con la superficie di prova (che deve essere pulita, priva di corpi estranei superficiali e di ossidi), applicando gradualmente il carico fino a raggiungere il valore di prova, che va mantenuto per 10-
15 s (a meno di accordi diversi nel caso di materiali non ferrosi: in tal caso il diverso valore del tempo di applicazione del carico va segnalato nella relazione finale).
L'impronta che si ottiene deve rispondere a determinate caratteristiche :
Tutte queste prescrizioni sono imposte dalla norma UNI con lo scopo di evitare l'arricciamento degli orli, il rigonfiamento del pezzo, l'influenza reciproca fra diverse impronte: queste sono eventualità che inficerebbero la validità dei risultati ottenuti.
Misurato il diametro dell'impronta del penetratore, il valore della durezza Brinell (HB)
Se si debbono utilizzare sfere di diametro minore (per motivi legati al rispetto delle raccomandazioni sopra elencate), onde ottenere risultati confrontabili, si deve agire in condizioni di "similitudine geometrica". Se infatti il carico di 29400 viene applicato ad una sfera di diametro inferiore a quello nominale (p.e. 2 mm), la distribuzione della pressione esercitata dalla sfera sul pezzo in esame sarà decisamente diversa da quella che si ha nel caso di sfera di diametro nominale, con la conseguenza che i valori di HB
che si ottengono non sono confrontabili. Quindi si dovrà variare il carico in modo da far sì che l'angolo 2f che si ottiene sia costante (figura 6).
Di solito si rinuncia ad avere un angolo di penetrazione costante per le difficoltà esecutive che tale obiettivo pone: la normativa infatti prevede che si effettui la prova con
un valore costante del rapporto
. Tale rapporto può assumere i valori 30, 20, 10, 5,
D 2
2.5, 1.25, 0.5: i valori più alti sono utilizzati nel caso di metalli molto duri, viceversa i
valori più bassi sono utilizzati per i metalli meno duri. La scelta di questa costante viene fatta in base al rapporto d/D . La norma UNI indica come poco attendibili i valori di durezza ottenuti con un rapporto d/D esterno all'intervallo 0.25 ¸ 0.5. Tale limitazione si riflette direttamente in una limitazione sull'angolo di penetrazione, o meglio sul semiangolo di penetrazione f , pari all' arcos(d/D). Di conseguenza l'angolo di penetrazione 2f deve essere compreso fra 120° e 151° .
La normativa sconsiglia di utilizzare la prova Brinell al di sopra di 450 HB: in tal caso si consiglia di utilizzare un penetratore più duro in carburo di wolframio, facendo bene attenzione a ricordare che il valore ottenuto rientra in scala diversa, segnalando ciò in una eventuale relazione finale (usando il simbolo HBW).
La prova Brinell unisce alla sua rapidità ed economicità ed al suo carattere sostanzialmente non distruttivo, la possibilità di legare, con una relazione empirica , la durezza alla resistenza alla trazione. Tale relazione ha la forma :
R = h HB
ove "h" assume valori diversi a seconda della classe di materiali metallici considerati (p.e. nel caso di acciai da costruzione h=1/3).
Per quanto riguarda la prova Vickers, si farà riferimento alla norma UNI 1955-75. Tale prova si svolge secondo modalità simili a quelle della prova Brinell, differendo da essa principalmente per il penetratore.
Questo è costituito da una piramide retta, a base quadrata, di diamante, con l'angolo al vertice (angolo fra due facce opposte) di 136° (figura 7). A tale angolo corrisponde un rapporto d/D pari a 0.375. Tale valore è esattamente al centro dell'intervallo consigliato dalla norma UNI riguardante la prova Brinell. La prova Vickers si svolge quindi in condizioni di similitudine geometrica, con un angolo di penetrazione costante.
Nel caso di condizioni "normali", la prova si svolge applicando un carico di 294 N ( = 30 Kgf) per 10-15
s. Possono essere anche usati carichi diversi, ma sempre compresi nell'intervallo 49-980 N ( = 5-100 Kgf ) .
Figura 7
HV = 0.189 F/d2
La durezza Vickers è data dalla formula:
ove d è la media fra le due diagonali dell’impronta.
La conversione fra valori di durezza Vickers ottenuti con vari valori del carico applicato, oppure ottenuti con diversi tipi di prove, è affidata a tabelle ed a relazioni empiriche di limitata validità.
Da sottolineare che i risultati della prova Vickers coincidono con quelli della prova Brinell fino a valori di circa 300 HB-HV (se la prova Brinell è condotta in condizioni
normali) o addirittura fino a circa 550 HB-HV (se la prova Brinell è eseguita in modo da avere un angolo di penetrazione costante pari a 136°).
Per tale prova si fa riferimento alla norma UNI 562-75.
Tale prova consiste nel far penetrare in due tempi un penetratore unificato e nel misurare l'accrescimento rimanente "e" della profondità dell'impronta .
Possono essere definite due diverse scale B e C a seconda che il penetratore sia una sfera di acciaio temprato e levigato (scala B) o sia un cono di diamante a base circolare con punta arrotondata ed angolo al vertice di 120° (scala C).
Il penetratore a cono è da usare per materiali aventi durezza Rockwell scala C (HRC) superiore a 20 (solitamente materiali aventi HB>200). Il penetratore a sfera deve essere usato per materiali con durezza Rockwell scala B compresa fra 20 e 100 (solitamente materiali aventi HB<200).
Comunque si scelga il penetratore, la prova si svolge nel seguente modo:
dell'impronta "e" sotto il carico iniziale F0 dopo l'eliminazione del carico F1 (l'unità di misura adottata per "e" è 0.002 mm);
Si deve ricordare che i valori di HRB e di HRC hanno l'inconveniente di essere dei valori di durezza convenzionali.
Durezza Brinell Acciai per molle |
|
C45 |
200 |
C60 |
230 |
C70 |
250 |
C75 |
265 |
C90 |
270 |
50Si7 |
250 |
50CrV4 250 |
|
P-CuAl5 |
80-115 |
P-CuAl8 |
90-120 |
G-CuZn40 |
70 |
G-CuZn36Si1Pb1 |
110 |
Durezza Brinell Ghise malleabili |
|
GMB35 |
125-200 |
GMB45 |
150-210 |
GMB55 |
190-240 |
GMB65 |
210-250 |
GMN35 |
110-150 |
GMN45 |
250-210 |
GMN55 |
190-240 |
GMN65 |
210-250 |
Durezza acciaio temprato, con raffreddamento in olio, in aria forzata , in aria tranquilla |
|
Raffreddamento |
HB |
Olio |
390 |
Aria forzata |
290 |
Aria tranquilla |
250 |
Le strutture sono normalmente progettate in modo che le sollecitazioni esterne non superino in alcun punto il limite di elasticità del metallo. Una specifica di progetto di questo tipo mette la struttura al riparo da una rottura classica di tipo duttile. Tuttavia altre
modalità di rottura sono spesso osservate (fragile oppure semi -fragile). Questo evento può avere luogo in circostanze diverse da quelle usuali, quali, ad esempio:
Le prove classiche di rottura fragile (ad esempio la prova di resilienza) non permettono di definire una grandezza suscettibile di essere utilizzata come parametro di progetto quantitativo. E’ stato quindi necessario caratterizzare quantitativamente la resistenza di un materiale alla propagazione improvvisa di un difetto, introducendo la nozione di tenacità alla rottura. Questo è
l’obbiettivo principale della meccanica della rottura.
Le rotture improvvise possono essere classificate in due categorie:
deformazione plastica, che riguardano i materiali ad elevatissima resistenza per i
Figura 8
quali non esiste una dipendenza evidente fra la resilienza e la temperatura. In questo caso i fattori essenziali sono le inclusioni ed i difetti.
Lo stato generale della propagazione di una fessura all’interno di un metallo, rispetto allo stato di sollecitazioni esterno, può essere sempre riportato alla sovrapposizione di tre modi di rottura principali (figura 8).
Una superficie di rottura piana, sollecitato secondo la direzione ortogonale alla direzione di propagazione della fessura, corrisponde al modo I, quello sicuramente più estesamente analizzato, in quanto quello certamente più frequente. Nel seguito verrà unicamente considerato questo modo di sollecitazione.
Si consideri una placca infinita di un materiale perfettamente elastico nella quale sia presente una fessura passante di lunghezza 2a e di spessore trascurabile, ovvero con un raggio di fondo intaglio r = 0.
Lo sforzo normale sy, in prossimità dell’apice della cricca, nel piano della fessura stessa,
Si possono considerare due criteri di propagazione di una cricca:
s = sr =
ove E è il modulo di Young e 2gS corrisponde all’energia necessaria per far aumentare la superficie della fessura di una quantità unitaria. Tale energia critica può essere designata con GIC. Quindi:
KIC =
ove n è il modulo di Poisson.
KIC =
La conoscenza del KIC permette di determinare un valore critico ac della dimensione massima tollerabile di un difetto, per uno stato di sollecitazione determinato, oppure il valore critico della sollecitazione applicata sc per una determinata dimensione massima dei difetti presenti.
La metodologia per effettuare la prova per determinare il KIC è mostrata nella normativa ASTM E399, ed è basata su delle prove di trazione o di flessione su tre punti effettuate su provette intagliata e precriccate a fatica. Durante queste prove di trazione o di flessione si registra la curva carico-apertura dell’apice dell’intaglio (Load-COD, ove
per COD si intende Crack Opening Displacement) e si determina il carico che corrisponde ad una propagazione della cricca del 2%.
Il valore del KIC è calcolato a partire da questo carico grazie a delle relazioni che sono state ottenute mediante l’analisi degli sforzi elastici effettuate sulle provette. La validità dei risultati dipende dal reale raggio all’apice della cricca e dalle dimensioni del provino. Le condizioni che devono essere prese in considerazione affinché il risultato sia valido sono:
Affinché queste condizioni siano rispettate, sia la lunghezza iniziale della cricca “a” che lo spessore del provino “B” devono essere superiori al seguente limite inferiore [mm]:
Il tipo di provino normalmente più utilizzato è quello compatto (tipo CT, Compact Type, figura 10).
Le condizioni per il precriccaggio a fatica hanno una notevole influenza sul valore di KIC ottenuto. Questo è il
motivo per cui sono imposte le seguenti condizioni:
Figura 10
1Kf max è il valore massimo di K applicato durante il precriccaggio a fatica.
Diversi sono i tipi di curve carico-COD che possono essere ottenute (figura 11). Il valore critico del carico FQ è ottenuto nel modo seguente. Si traccia a partire dall’origine degli assi la curva secante OF5, la cui pendenza è inferiore alla tangente alla curva nell’origine del 5%. Nel caso di curva di tipo 1, la variazione del carico durante la parte
di prova antecedente a F5 è tale che esso resta sempre inferiore ad F5. In tale caso FQ = F5. Nel caso di curva di tipo 2 oppure 3, nelle quali è evidente che il carico in qualche parte della curva antecedente a F5 risulta maggiore di tale valore, si ha che FQ è pari al carico massimo raggiunto durante la parte di prova precedente F5 stesso.
Determinato FQ, il valore di KQ per il provino compatto CT
Nel caso in cui le condizioni sopra illustrate sono rispettate, KQ = KIC, ovvero KQ risulta l’espressione numerica del valore critico del fattore di intensificazione degli sforzi in deformazione piana.
Nel caso che un metallo sia sottoposto a dei cicli di sollecitazione ripetuti nel tempo, esso subisce delle modificazioni microstrutturali con un complessivo danneggiamento per fatica. Questo danneggiamento non si evidenzia con alcuna modificazione macroscopica e la rottura può avvenire in corrispondenza di carichi modesti, anche decisamente inferiori al limite di elasticità.
Le prove di fatica più semplici consistono nell’imporre ad una serie di provette di forma opportuna degli sforzi periodici, con forma d’onda sinusoidale, sia mediante carico assiale, sia mediante flessione rotativa (figura 12). Ogni ciclo è caratterizzato da un valore massimale della sollecitazione smax e da un rapporto di carico R = smin/smax. Per ogni livello di smax analizzato sia la frequenza che il rapporto di carico vengono mantenuti costanti, e si determina così il numero di cicli necessario a portare a rottura il provino (N). I risultati ottenuti presentano una dispersione che può essere più o meno elevata.
Il diagramma di Wöhler è una visualizzazione della resistenza alla fatica del materiale per una determinata modalità di sollecitazione. Esso rappresenta la relazione sperimentale fra smax ed N. La curva di Wöhler corrisponde ad un valore intermedio di N per il quale la probabilità di rottura, oppure di sopravvivenza, è 0.5 (figura 13).
Si possono distinguere tre zone diverse:
oligociclica. Essa corrisponde a delle sollecitazioni comprese fra Re ed Rm: ogni ciclo comporta una deformazione plastica macroscopica Dep che comporta un indurimento per incrudimento. Per un numero di cicli compreso fra 104 e 105 è valida la relazione di Coffin:
Nn Dep = cost con n » 0.5
Figura 12
Figura 13
estende all’incirca da 105 a 107 cicli. Questo è il dominio classico della fatica. L’espressione più semplice che può essere considerata come valida in questo intervallo è quella di Weibull:
N (s - sD )n = cost
ove n è compreso fra 1 e 2 e sD è il limite di fatica.
dalla modalità di sollecitazione, e di ha che il limite di fatica in flessione rotante è
superiore a quello della tensione-compressione, che è superiore a quello della torsione. Questi oscillano fra il 20 ed il 60% del valore del carico massimo unitario.
La propagazione di una cricca di fatica procede secondo tre stadi successivi:
La meccanica della frattura classica può essere applicata solo per lo stadio II e III, cioè nel caso in cui il difetto suscettibile di propagarsi è già presente. L’applicazione dei principi della meccanica della frattura permette di valutare correttamente la vita residua del pezzo, sotto determinate condizioni di sollecitazione.
L’idea di base (normativa ASTM E647) è quella di calcolare il numero di cicli
necessario affinché la cricca iniziale, di dimensioni ai, si propaghi fino ad una dimensione critica ac (figura 14). Per applicare questo metodo devono essere noti i valori sia il valore di KIC che la legge di propagazione della cricca.
I risultati sperimentali mostrano che la velocità di propagazione della cricca , che per una frequenza di applicazione del carico f costante è data da da/dN, è funzione della variazione del fattore di intensità degli sforzi DK = Kmax - Kmin. Questa relazione è indipendente dalla geometria del provino adottato. La legge di propagazione è una proprietà intrinseca del materiale.
Se si considera un diagramma bilogaritmico
log(da/dN) - log(DK) si possono identificare tre diverse zone di propagazione (figura 15):
Figura 14
Figura 15
log(da/dN) = log C + m log (DK) ovvero
ove C ed m sono dei parametri ottenuti mediante interpolazione dei risultati ottenuti in questo stadio di propagazione e dipendono, in modo non evidente, dal materiale.
- Zona III (rottura di schianto),: in questa zona la velocità di avanzamento aumenta secondo un rateo più elevato di quello prevedibile estrapolando la relazione di Paris, e la cricca avanza molto velocemente, evolvendo a rottura di schianto in pochi cicli.
Oltre alla legge di Paris-Erdogan, valida solo per lo stadio II di propagazione della cricca di fatica, esistono numerose altre relazioni che permettono di interpolare i risultati in due oppure anche in tutti e tre gli stadi di propagazione.
I fattori che influenzano la resistenza alla propagazione della cricca di fatica sono diversi, in funzione dello stadio che si considera.
Per ciò che riguarda l’innesco della cricca, sono parametri fondamentali la natura della lega e lo stato microstrutturale, gli errori di progettazione (ad esempio, nel caso in cui il pezzo abbia improvvise diminuzioni di sezione), lo stato della superficie (una superficie non a specchio presenta un limite di fatica inferiore; inoltre, nel caso di trattamenti superficiali, la presenza di uno stato di sollecitazioni residue superficiali di compressione aumenta il limite di fatica).Le inclusioni , in modo particolare quelle situate in prossimità della superficie del pezzo sono dei siti di innesco preferenziali.
Per ciò che riguarda lo stadio della propagazione, i fattori principali sono la natura della lega ed il suo stato microstrutturale, la temperatura, la frequenza delle sollecitazioni.
Evidentemente, per ognuno degli stadi sopra considerati, l’aggressività o meno dell’ambiente può notevolmente influenzare la resistenza alla propagazione della cricca, in ognuno degli stadi sopra ricordati.
Le prove di trazione permettono di caratterizzare solo in parte il comportamento meccanico di un acciaio, dato che in alcuni casi le rotture possono avvenire per carichi inferiori al limite elastico. Ciò avviene in condizioni particolari, in corrispondenza delle quali il metallo mostra un comportamento fragile. I fattori principali sono:
Uno dei metodi più classici per caratterizzare la fragilizzazione di un metallo sotto l’azione di una sollecitazione dinamica è la prova di resilienza effettuata su provino intagliato.
La prova consiste nel rompere con un colpo di pendolo un provino intagliato. Tale provino viene colpito al centro, dopo essere stato opportunamente posizionato su due appoggi. Dal risultato della prova si ottiene l’energia W assorbita durante il colpo del maglio. La resilienza è pari all’energia assorbita per unità di superficie (espressa in J/cm2).
La macchina di prova è costituita da un martello oscillante in un piano verticale, sul quale è montato un coltello. Una parte dell’energia cinetica che possiede il martello durante la sua caduta da una altezza predeterminata viene assorbita dal provino.
Il martello (di peso P) viene posizionato in modo da far sì che esso possieda una energia pari a 300 J. Il martello viene quindi liberato e, nel punto più basso della sua caduta, colpisce il provino. Tale provino intagliato viene posizionato in modo da far sì che il martello lo colpisca nella parte centrale, sulla faccia opposta rispetto all’intaglio.
Si misura l’energia assorbita nell’urto misurando la differenza fra l’altezza da cui è caduto (h0) il martello e quella a cui è rimontato dopo l’urto (h1). L’energia assorbita è pari a
W = P( h0 - h1 )
Sono utilizzati diversi tipi di provini con intaglio a U oppure a V. I simboli che vengono utilizzati sono KU (oppure KV) per l’energia assorbita per la rottura (J) e KCU (oppure KCV) per la resilienza (J/cm2). L’ultima lettera è U oppure V in funzione del tipo di intaglio utilizzato. Evidentemente l’intaglio a V è certamente più critico.
La misura della resilienza in funzione della temperatura del provino permette di tracciare una curva che permette di evidenziare l’eventuale esistenza di una zona di transizione duttile - fragile e di determinarne la posizione. Questa transizione è raramente brusca è si debbono scegliere delle temperature di transizione arbitrarie (la temperatura di transizione ad una determinata energia, ad esempio 35 J/cm2; la temperatura di transizione al 50% di frattura cristallina, ovvero fragile).
L’influenza della triassialità viene evidenziata utilizzando differenti tipi di intaglio. Nel caso in cui la triassialità sia molto elevata, (Charpy V) la temperatura di transizione è più elevata, ovvero la prova viene svolta in condizioni più critiche.
L’esistenza di una zona di transizione dipende da diversi parametri:
Anche l’affinamento del grano ha una sua influenza. Più la grana è piccola, più la temperatura di transizione è bassa. L’affinamento del grano comporta quindi un aumento del limite elastico e della resilienza del metallo.
Lo scopo della frattografia è quello di determinare su scala macroscopica (macrofrattografia) e microscopica (microfrattografia) le cause ed i meccanismi di una rottura. Infatti ogni tipo di rottura è caratterizzata da una particolare morfologia e questo permette l’analisi, anche quantitativa, dedlla superficie di frattura.
Si possono classificare diversi tipi di frattura:
Morfologicamente le fratture possono essere transgranulari (ovvero propagarsi preferenzialmente all’interno dei grani) oppure intergranulari (cioé propagarsi lungo il bordo dei grani).
Si deve ricordare che un metallo tende ad avere un comportamento duttile oppure fragile in funzione delle condizioni imposte.
La frattura fragile è caratterizzata dalla assenza di una deformazione plastica macroscopica e, quindi, la sua propagazione è molto rapida, con un assorbimento di energia molto basso.
Si può avere:
fiumi. Tali microrilievi convergono nella direzione di propagazione della frattura. Qualora oltrepassino un bordo grano, si ha la loro moltiplicazione, nel caso la disorientazione fra i due grani è bassa, oppure un nuovo innesco nel grano vicino se la disorientazione è più elevata. Per tale motivo la propagazione è più difficile in un materiale con una grana cristallina piccola.
La frattura duttile sembra essere legata essenzialmente alla presenza di inclusioni oppure di precipitati. In questo tipo di rottura si ha generalmente una deformazione plastica macroscopica notevole, con un assorbimento elevato di energia.
Si ha la deformazione plastica intorno alle inclusioni, la formazione di microcavità, l’allungamento di queste microcavità nella direzione di sollecitazione e la coalescenza di queste microcavità. Tale sequenza evolve fino alla rottura finale del pezzo.
I microrilievi che vengono il tale modo generati sono denominati cupole.
La presenza di precipitati ai bordi grano può ugualmente comportare un meccanismo di frattura implicante una morfologia intergranulare duttile con micro-cupole.
Fra le fratture di tipo progressivo considereremo il caso forse più frequente, ovvero quello della frattura per fatica. I tipi di frattura che possono essere osservati corrispondono ai tre stadi di innesco, propagazione lenta e propagazione finale con rottura di schianto.
Macroscopicamente ai tre stadi sopra ricordati corrispondono tre zone sulla superficie di frattura, di cui due sono chiaramente identificabili:
Avolte è anche identificabile la zona di innesco (ad esempio, se ciò è avvenuto in corrispondenza di una inclusone non metallica macroscopica, questa zona apparirà all’interno della zona più lucente come una zona più opaca.
Molte rotture in esercizio presentano delle linee di arresto che evidenziano gli arresti o le variazioni di regime durante l’esercizio del pezzo.
Microscopicamente le rotture per fatica sono transcristalline e le superfici sono spesso marcate da microrilievi denominate linee di fatica (o striature), che non vanno confuse con le linee di arresto.
Le striature sono una conferma di una rottura per fatica, ma la loro assenza non significa che la rottura non è avvenuta per fatica. Esse sono più evidenti nelle leghe CFC (leghe di alluminio, acciai austenitici), e molto meno evidenti nelle leghe CCC (ovvero moltissimi acciai).
Una lega può quindi essere caratterizzata da una curva di scorrimento che lega la sollecitazione a rottura al parametro di equivalenza.
Tutti gli ostacoli alla restaurazione favoriscono la tenuta allo scorrimento viscoso:
Fonte: http://www.matteopro.com/images/Ingegneria/Metallurgia/Compendio-di-metallurgia-1.pdf
Sito web da visitare: http://www.matteopro.com/
Autore del testo: Francesco Iacoviello
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