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TRATTAMENTI GALVANICI
Lo scopo fondamentale di una finitura galvanica è ottenere un deposito il cui effetto persista per un periodo almeno pari alla vita media dell’oggetto su cui è applicato. Questo periodo non è di semplice definizione tuttavia esiste qualche condizione su cui ci si può basare per ottenere un risultato soddisfacente.
Innanzitutto bisogna individuare l’ambiente in cui il sistema opera. Sarà quindi utile fare delle prove potenziometriche per definire una scala delle nobiltà relativa all’ambiente dei metalli interessati al processo compreso il metallo base. In questo caso lo strato esterno, per poter mantenere intatte tutte le sue caratteristiche estetiche, dovrà fornire una protezione catodica, cioè avere il massimo di nobiltà possibile.
Stabilita tale scala si potrà definire una successione di depositi conveniente economicamente e di valore tecnico. In genere l’oggetto da rivestire richiede un rivestimento livellato e lucido per eliminare imperfezioni provenienti dalle lavorazioni meccaniche precedenti. I depositi che soddisfano a queste condizioni sono la nickelatura lucida e la ramatura lucida.
Uno o entrambi di questi depositi diventano necessari per conferire le proprietà anzidette indipendentemente dal valore del potenziale del materiale base. E’ buona norma in questo caso che la successione dei depositi segua una scala dei potenziali crescenti nel senso della nobiltà dall’interno verso l’esterno in modo che la differenza fra uno strato ed il successivo non superi i 200 mV.
In queste condizioni la possibilità che si verifichi una corrosione per contatto fra due strati successivi risulta notevolmente ridotta a causa dell’intervento dei fenomeni di polarizzazione dei due elettrodi che assorbono una buona parte del potenziale disponibile rendendo così trascurabile la corrente di corrosione. Affinché questo sia verificato è necessario che i depositi non siano porosi altrimenti si può avere contatto fra due strati non confinanti per intercessione di un elettrolita.
La porosità, che è insita in ogni rivestimento, può essere limitata sfruttando lo spessore del deposito almeno dove l’aspetto economico lo consenta. Oltre alle porosità anche le criccature indotte da sforzi esterni possono provocare il contatto fra strati non adiacenti. Questo succede generalmente quando il deposito è fragile e di elevato spessore.
Da quanto detto è necessario stabilire una successione degli strati che tenga conto dei seguenti parametri:
L’aspetto economico si riferisce in genere al costo del metallo nobile depositato in quanto molto superiore rispetto a tutti gli altri costi generali di deposizione.
Per quanto riguarda l’aspetto corrosivo si riportano due scale della nobiltà crescente in due ambienti diversi che possono essere rappresentativi delle condizioni d’uso per bigiotteria e montature per occhiali, cioè oggetti che vengono a contatto con la pelle e soggetti quindi a sudore o all’azione di corrosione salina.
Soluzione cupro salina acetica |
Sudore artificiale |
Rame |
Alpaca |
Alpaca |
Nickel |
Nickel |
Rame |
Argento |
Argento |
Oro |
Oro |
Palladio |
Platino |
Platino |
Palladio |
Rutenio |
Rutenio |
Composizione della soluzione cupro salina acetica:
Cloruro di Sodio |
NaCl |
50 g/l |
Acido Acetico |
CH3COOH |
10 g/l |
Cloruro Rameico biidrato |
CuCl2×2H2O |
0.26 g/l |
PH |
|
3.0 – 3.1 |
Temperatura |
|
20 °C |
Composizione soluzione sudore artificiale:
Cloruro di Sodio |
NaCl |
10 g/l |
Acido Lattico |
CH3CHOHCOOH |
1 g/l |
Urea |
H2N-CO-NH2 |
1 g/l |
PH |
|
4.7 |
Temperatura |
|
20°C |
. In qualsiasi trattamento galvanico la soluzione elettrolitica è contenuta in una vasca, normalmente rettangolare, costituita in materiale polimerico inerte rispetto alla soluzione e cioè PVC e PP. Il PP ha una miglior resistenza alla deformazione a caldo ma non resiste ad ambienti ossidanti (ad esempio cromati). Se le vasche sono di dimensioni elevate è più economico utilizzare una struttura portante in acciaio e rivestirla con un foglio da 2-3 mm di PVC o PP. Sui due fianchi più lunghi della vasca vengono fissati appesi ad una barra metallica gli anodi. Questi possono essere costituiti da anodi attivi che si ossidano durante l’elettrolisi fornendo ioni alla soluzione dello stesso tipo di quelli che si vanno depositando al catodo. Oppure possono essere di tipo inerte quali titanio o titanio platinato che non partecipano alla reazione anodica ma fanno solo da supporto alla stessa per lo scambio elettronico alla loro superficie. Se gli anodi sono di tipo solubile, come nel caso della ramatura o della nichelatura, gli stessi andranno introdotti in piastre rivestiti con sacchi filtranti di meraklon per evitare che particelle che si staccano dall’anodo possano andare a depositarsi al catodo provocando scarti. E’ diventato di uso comune l’utilizzo di anodi solubili in forma di quadretti, discoidi o sfere di piccole dimensioni che vengono introdotti in cestelli di rete di titanio. In questo modo risulta più semplice mantenere costante la superficie anodica con un rabbocco frequente di materiale. Anche in questo caso è d’obbligo l’uso del sacchetto di protezione in meraklon.
Sopra la vasca, disposta centralmente rispetto alle due barre anodiche viene posizionata la barra catodica su cui vengono disposti i pezzi da trattare. Questa potrà essere dotata di movimentazione longitudinale e parallela agli anodi. In questo modo le linee di corrente subiranno continuamente una modifica di percorso andando ad investire anche zone del catodo che rimarrebbero altrimenti meno favorite. Un secondo effetto della movimentazione è rappresentato dalla azione della soluzione sullo strato limite catodico che viene continuamente rimosso favorendo i fenomeni di diffusione all’interfaccia. La superficie anodica dovrà in genere essere almeno doppia della catodica.
Se la soluzione opera a caldo bisogna dotare la vasca di un sistema di riscaldamento che può essere a vapore oppure a energia elettrica. Nel primo caso la serpentina, all’interno della quale circola il vapore, dovrà essere in titanio per evitare fenomeni di corrosione. Nel secondo caso, valido in particolare per piccoli impianti, si utilizzano resistenze elettriche protette da una camera in ceramica oppure da un rivestimento in teflon. Per controllare la temperatura si utilizzano termostati con regolazione PID (Proporzionale , Integratore, Derivatore) o PI .
Per mantenere la omogeneità della temperatura nella soluzione questa viene agitata mediante una pompa di ricircolo esterna che ha una portata oraria di 10-20 volte il contenuto della vasca. A tale pompa è collegato un sistema filtrante con filtri in carta o in polipropilene che asportano in continuo dalla soluzione eventuali particelle solide provenienti o da pezzi che cadono sul fondo della vasca o dagli anodi per rottura del sacco di contenimento.
Per evitare che una diminuzione del livello del liquido nella vasca metta allo scoperto gli oggetti da trattare o la resistenza elettrica per il riscaldamento, con conseguenze alle volte anche molto onerose, è conveniente dotare le vasca di un sensore di livello che intercetti il comando del riscaldamento e quello della pompa e dia l’allarme.
Un altro elemento importante a corredo della vasca di trattamento è il dosatore automatico dei brillantanti. Mentre la concentrazione dei sali può variare entro intervalli sufficientemente larghi ,la concentrazione degli additivi brillantanti non può variare molto per poter mantenere sufficientemente costante la finitura. Siccome il consumo di queste sostanze è funzione preponderante della quantità di corrente che passa nella soluzione si adottano delle pompe dosatrici la cui portata è funzione degli amperora utilizzati. Con questo sistema il controllo della soluzione può essere notevolmente ridotto.
I telai di supporto dei pezzi da trattare sono costituiti in ottone con ganci generalmente in acciaio armonico. Il tutto, con l’esclusione del contatto alla barra catodica ed il contatto dei pezzi, va ricoperto con plastisol di PVC per evitare il deposito su parti non richieste.
Infine si utilizza un raddrizzatore di corrente che converte la corrente alternata in continua mediante ponti a diodi o triristori in accoppiamento con condensatori per rendere l’onda di corrente più lineare possibile. La tensione a cui si opera arriva ad un massimo di 6-8 V per cui non vi sono problemi di sicurezza anche nell’aggancio manuale dei telai portapezzi sulla barra catodica.
E’ comunque doveroso che tutti i servizi elettrici collegati alla vasca e cioè: pompa, raddrizzatore, riscalcaldatore e movimentazione catodica siano dotati di interruttore differenziale per proteggere l’operatore da eventuali perdite elettriche visto che può essere necessario intervenire manualmente durante le operazioni di elettrodeposizione.
In una produzione industriale i pezzi grezzi che provengono dalle lavorazioni meccaniche possono essere contaminati da materiali estranei raccolti durante il ciclo lavorativo. Inoltre anche le condizioni ambientali e i tempi di lavorazione o di sosta fra una lavorazione e l’altra possono modificare le condizioni superficiali del materiale andando ad influire sulle operazioni galvaniche successive. Le tipologie di sporco più comuni sono:
Dal punto di vista chimico gli sporchi possono essere suddivisi in tre categorie:
Normalmente la rimozione non è una operazione semplice perché lo sporco ha composizioni non sempre definite e costanti. In particolare ha molta influenza il periodo di invecchiamento dello sporco a contatto con il pezzo. Tempi lunghi di contatto comportano maggior difficoltà per l’intervento di reazioni fra metallo e sporco, specialmente nel caso di sostanze organiche che possono subire ossidazione. E’ quindi importante ridurre al minimo il tempo di permanenza dei pezzi allo stato non deterso.
E’ l’operazione che ha lo scopo di rimuovere dal metallo i materiali estranei raccolti nelle precedenti lavorazioni e renderlo così adatto alle successive . Il risultato di questa operazione non dipende solo dalla tipologia delle soluzioni adottate ma anche dalle modalità di lavaggio.
I componenti di un detergente sono i tensioattivi e sali coadiuvanti:
Il componente fondamentale di un sistema di lavaggio è il tensioattivo. Le proprietà dei tensioattivi derivano dalla dipolarità della sua molecola per cui una porzione è solubile in solventi polari (acqua) e un’altra è solubile in quelli apolari (oli minerali). Questo provoca una distribuzione molecolare caratteristica all’interfaccia fra i due sistemi con la modifica dell’energia interfacciale (micelle). I tensioattivi sono quindi utilizzati per modificare la bagnabilità della superficie in fase di lavaggio o per favorire l’emulsionabilità di un olio o di uno sporco per poterlo così asportare dalla superficie di un oggetto. Sono normalmente utilizzati nell’industria con soluzioni alcaline, acide o con solventi. Possono essere suddivisi nelle seguenti classi:
Il tipo cationico è poco utilizzato mentre molto usate sono le miscele di anionici e non ionici.
Il primo tipo di detergente organico ,il sapone derivato da grassi animali, è stato utilizzato per molti anni anche senza una formale conoscenza del meccanismo della detergenza.
Il grasso reagisce con la soda caustica che sposta il gruppo glicerico e salifica l’acido derivato. Questi saponi sono quindi costituiti da una lunga catena di atomi di carbonio solubile in olio e da un gruppo terminale ionizzato negativamente solubile invece in acqua. Sono dei buoni detergenti ma se salificati con metalli come calcio e magnesio diventano insolubili. Le acque dure utilizzate nella preparazione di queste soluzioni inibiscono quindi l’azione detergente.
La loro solubilità in acqua è limitata per la presenza di una lunga catena paraffinica solubile in solventi apolari contro un piccolo gruppo solubile in quelli polari. La loro azione è limitata ad un certa varietà di grassi per cui sono generalmente sostituiti da componenti sintetici. I tensioattivi sintetici sono prodotti da alcoli derivati da noci di cocco, come il laurilsolfato sodico,o da frazioni petrolifere combinate con benzene e solforati con acido solforico.La lunghezza della catena ne determina le proprietà. Se la catena paraffinica contiene da 8 a 10 atomi di carbonio si ottiene un tensioattivo; se gli atomi di carbonio della parte paraffinica sono 12 si ha un detergente mentre con 16 si ha un emulsionante.
Si ottengono condensando fra loro molecole di ossido di etilene con polimeri insolubili in acqua. La struttura ottenuta è costituita da una parte apolare (catena polimerica ) e da un’altra polare ma non dissociata. I gruppi che compongono la parte polimerica sono generalmente:
Se ci sono almeno 20 gruppi di ossido di etilene il prodotto è un tensioattivo, se questo numero è circa 10 allora abbiamo un detergente mentre se sono solo 5 avremo un emulsionante.
In questo caso il gruppo terminale è caricato positivamente invece che negativamente come nel caso degli anionici. I detergenti cationici hanno basse caratteristiche. Il loro uso è dovuto al loro potere germicida, emolliente e antistatico. I più usati sono formati da sali d’ammonio quaternari.
I tensioattivi anfoteri hanno un gruppo anionico ed uno cationico sufficientemente grande e si caricano positivamente o negativamente in base all’alcalinità o basicità della soluzione in cui sono immessi. Essi sono in genere compatibili con soluzioni di natura diversa.
I detergenti possono essere suddivisi nelle seguenti categorie in base alla natura dei sali coadiuvanti che contengono e cioè:
Dal punto di vista fisico possono essere in polvere o liquidi.
Nella scelta di uno sgrassante è necessario tenere in considerazione sia lo sporco che deve essere eliminato, sia il materiale base che deve essere preservato da attacchi che ne alterano le caratteristiche estetiche e meccaniche in generale.
Ad esempio sistemi basici ad elevato contenuto in soda caustica sono molto validi per la detergenza dei materiali ferrosi ma sono sconsigliati per leghe di rame ed estremamente dannosi per l’alluminio. Il grosso dei consumi nell’industria riguarda i detergenti alcalini mentre gli acidi sono più dedicati ad alluminio e sue leghe, rame e ottone.
I solventi organici il cui utilizzo ha avuto un notevole sviluppo nell’ultimo ventennio hanno subito recentemente una notevole contrazione nell’utilizzo per motivi ecologici. Anche per i detergenti a base acquosa gli effetti ecologici hanno imposto comunque restrizioni riguardevoli.
L’azione di uno sgrassante si concentra in uno o più dei seguenti effetti:
3. TIPI di SGRASSANTI
Questa classe di sgrassanti è la più utilizzata ed è costituita da una miscela di sali alcalini con tensioattivi. Lo scopo di queste miscele è di soddisfare ad un certo numero di esigenze che possono essere così elencate:
Per ottenere queste proprietà è spesso necessario mescolare più sali alcalini e più tensioattivi. Il contenuto di tensioattivi è di circa il 5-15% e la sua scelta è molto legata allo sporco da eliminare. Industrialmente vi sono sgrassanti specifici oppure ad ampio specchio. Gli alcali utilizzati nei detergenti industriali sono:
1-Sodio idrato. Fornisce un’alcalinità iniziale.
2-Sodio carbonato. Mantiene il pH basico per idrolisi e liberazione di CO2.
3-Sodio metasilicato e sodio ortosilicato. Forniscono l’acido silicico che essendo insolubile in acqua rimane sospeso nella soluzione per lunghi periodi ed impedisce la rideposizione dello sporco sui pezzi. Inibisce la corrosione dei metalli in particolare di alluminio e zinco. Se la soluzione è acida l’acido silicico precipita sui pezzi formando un velo protettivo di difficile rimozione se non ricorrendo ad alcali molto forti o ad acido fluoridrico. Prima di introdurre i pezzi lavati con una soluzione che contiene silicati in una soluzione acida è bene operare un attento risciacquo.
4-Trisodio fosfato, TSP; Tetrasodio pirofosfato ,TSPP; polifosfati. Hanno elevato valore peptizzante ma scarso valore detergente. Sostituiscono i silicati dove questi sono indesiderati ed hanno un certo effetto nella rimozione degli oli minerali. I polifosfati si combinano con calcio e magnesio presenti nell’acqua per effetto del loro potere sequestrante evitando che questi sali possano reagire con i saponi. L’aspetto negativo è che i fosfati complessi per effetto della temperatura, del tempo o dell’abbassamento del pH idrolizzano a fosfati semplici perdendo il loro potere complessante.
5-Chelanti. Sono sostanze organiche che hanno la funzione dei sequestranti ma la loro forza complessante è maggiore e risente meno delle variazioni di pH. I più comuni sono l’EDTA e la NTA ed il sodio gluconato che ha un buon effetto sul ferro e rame dove l’EDTA è più carente. Anche i cianuri ed i citrati hanno un buon effetto complessate su rame e ferro.
Sono meno utilizzati di quelli alcalini. Sono costituiti da tensioattivi e da sali acidi o neutri come i pirofosfati, tartrati e citrati. Si utilizzano solamente nei casi in cui un metallo sia molto sensibile all’attacco di una base forte. Metalli di questo tipo sono ad esempio lo zinco o le leghe di zinco (Zama) e l’alluminio. L’utilizzo non è elevato in quanto questi sgrassanti sono mediamente molto costosi. Infatti sono costituiti da quantità di tensioattivo più elevate e da sali più pregiati rispetto ai detersivi basici. Quindi si utilizzano solo se è strettamente necessario.
4. PROCESSI DI SGRASSAGGIO
Gli oggetti vengono sottoposti all’azione chimica del detergente più conveniente coadiuvato dall’intervento di azioni meccaniche semplici o combinate quali:
Migliora il ricambio del liquido detergente nell’intorno del pezzo. Non può essere utilizzata con soluzioni di tensioattivi per evitare formazioni di schiume.
Si tratta di una azione meccanica ad elevata frequenza (20000-40000 Hz) che prodotta mediante generatori magnetostrittivi o piezoelettrici viene trasmessa alla parete della vasca che contiene la soluzione detergente. La parete trasmette a sua volta alla soluzione queste vibrazioni ad elevata frequenza che, incontrando i pezzi, provocano sulla superficie degli stessi fenomeni di vibrazione, cavitazione ed implosioni delle bolle di vapore che si formano per effetto della compressione e successiva espansione che il liquido subisce. Queste azioni staccano le particelle di sporco e favoriscono la bagnabilità del pezzo e la conseguente solubilità delle contaminazioni. La concentrazione del detergente varia da 1 a 2% e non deve comunque conferire elevata densità alla soluzione per non opporre resistenza alla trasmissione delle onde d’urto. La temperatura, che coadiuva la solubilità dello sporco, non deve essere prossima all’ebollizione (sono sufficienti 70-80 °C) per evitare formazione di bolle gassose che andrebbero ad assorbire l’azione meccanica degli ultrasuoni prima che questa possa esercitarsi sulla superficie dell’oggetto. E’ buona norma attivare l’ultrasuono alcuni minuti prima di iniziare il lavoro per espellere l’aria assorbita dalla soluzione durante le pause. Questo è molto importante con la soluzione preparata di fresco.
Questa azione di tipo meccanico favorisce il distacco delle particelle ed il rinnovo della soluzione a contatto con la superficie dei pezzi. Può essere accoppiata a quella degli ultrasuoni tenendo presente che in questo caso non deve essere troppo intensa per evitare la formazioni di bolle d’aria all’interno della soluzione.
In questo caso il pezzo costituisce uno dei due elettrodi di un trattamento elettrochimico. Per effetto del passaggio della corrente attraverso la soluzione l’acqua si dissocia in idrogeno al catodo e ossigeno all’anodo. La produzione di elevate quantità di gas produce un elevato livello di agitazione della soluzione facilitando il ricambio della soluzione a contatto con il metallo e quindi l’azione detergente. Il trattamento elettrolitico in oggetto non ha comunque un elevato effetto sgrassante ma serve per togliere il film sottilissimo che gli oggetti potrebbero aver conservato durante il lavaggio chimico o ricevuto durante qualche fase successiva ad esso. Se l’oggetto funziona da catodo si sviluppa idrogeno in quantità doppia rispetto all’ossigeno che si sviluppa all’anodo e quindi è maggiore l’azione meccanica. L’azione dell’idrogeno è molto importante perché produce una riduzione a metallo dei film di ossido presenti sulla superficie. L’azione dell’ossigeno è più importante come sgrassante per effetto dell’azione ossidante verso i grassi e l’aumento della loro solubilità nella soluzione acquosa.
Un problema importante è la possibilità che si formi la miscela tonante idrogeno-ossigeno in concentrazioni tali da provocare l’esplosione . Per evitare questo e necessario che la quantità di tensioattivo presente nella soluzione sia bassa e che la vasca sia dotata di collare di aspirazione.Lo stesso tensioattivo presente nella soluzione forma durante il funzionamento uno strato di schiuma che evita spruzzi e formazioni di nebbie.
In base al modo in cui il pezzo è polarizzato esso potrà funzionare da anodo o da catodo. I metalli che possono subire passivazione per ossidazione come nichel, acciaio inossidabile ,alluminio o titanio sono trattati catodicamente. L’ottone viene trattato catodicamente per evitare la dissoluzione dello zinco contenuto in lega. Contrariamente per il trattamento delle leghe di zinco da fusione si utilizza la polarizzazione anodica . A causa della sensibilità del metallo all’attacco degli sgrassanti alcalini è necessario utilizzare sistemi inibiti. Se questo è costituito da silicato si forma un film insolubile se si opera in catodica. Si opera allora in anodica con formulazioni speciali a bassi valori di tensione e per brevi tempi. L’acciaio, che è scarsamente sensibile all’ossidazione o alla riduzione può essere trattato anodicamente o catodicamente; ad alte densità di corrente l’acciaio tende ad annerire se non sono presenti inibitori. Anche l’acciaio inossidabile può essere trattato catodicamente o anodicamente ma quando viene utilizzata quest’ultima tecnica bisogna ricorrere ad un forte attacco acido per distruggere l’ossidazione superficiale e favorire una buona adesione del deposito galvanico successivo. Per il nickel e sue leghe è consigliato l’uso del trattamento catodico per evitare la formazione di ossidi molto stabili. Rame e zinco possono essere trattati in entrambi i modi ma l’effetto anodico è preferito per evitare deposizione di metallo disciolto nel bagno.
L’ottone di solito è trattato catodicamente e successivamente in modo anodico.
Gli effetti elettrodici dipendono dalla densità di corrente che viene espressa in Ampere per decimetro quadro di superficie. Tuttavia la distribuzione della corrente e quindi la densità non è costante. Essa sarà più alta sulle punte e nelle zone più vicine al controelettrodo, più bassa nei recessi e nelle zone più distanti.
Più alta è la densità di corrente maggiore è la produzione di gas e quindi l’effetto sgrassante ma se il trattamento è anodico può aumentare la dissoluzione del metallo o gli effetti ossidativi. L’utilizzo di alte densità di corrente in anodica può essere ammessa se l’ossido che si forma è facilmente asportabile in ambiente acido: questo viene spesso fatto deliberatamente col rame per evitare la formazione di un ossido rameoso difficilmente solubile mentre è facilmente solubile l’ossido rameico nero.
Conduttività
La conducibilità della soluzione elettrolitica è dovuta alla presenza di ioni la cui mobilità determina l’efficienza di corrente. Ioni monovalenti come l’idrogenione, il sodio, il potassio e lo ione idrossido sono molto più mobili degli ioni complessi. In particolare lo ione ossidrile ha valori di conducibilità molto elevati. Anche la temperatura influenza positivamente la mobilità ionica. Tensioattivi o acidi grassi possono migrare all’elettrodo e formare uno strato impermeabile al passaggio della corrente e di difficile asportazione. Questi inquinanti possono far parte della formulazione del detersivo ma possono derivare anche dallo sporco asportato dai pezzi; per questo è necessario che il trattamento di sgrassatura elettrolitica sia preceduto da un buon lavaggio. Questi bagni vengono sostituiti con una certa cadenza che dipende dall’esperienza degli operatori in funzione delle condizioni operative. La tentazione di voler prolungare la vita di questi sistemi porta spesso a risultati scadenti nei depositi elettrochimici successivi.
La vasca normalmente è in acciaio inossidabile se lo sgrassante è alcalino e non contiene componenti aggressivi per tale materiale tenendo conto anche dell’azione concomitante dell’elettrolisi. In questo caso esso fa da controelettrodo per l’oggetto che invece viene appeso alla barra catodica o anodica.
La vasca dovrà essere collegata ad un raddrizzatore di corrente di opportuna potenza di circa 1-2 Ampere per litro di soluzione. La vasca sarà dotata di riscaldatore gestito da un termostato ed un indicare di livello minimo per evitare che i pezzi o il riscaldatore possano essere parzialmente non coperti dalla soluzione.
Dopo l’operazione di sgrassaggio elettrochimico i pezzi vengono risciacquati con acqua allo scopo di rimuovere i residui di detergente ed in particolare di tensioattivo rimasti aderenti alla superficie. Inoltre l’azione dell’idrogeno può aver trasformato degli ossidi superficiali in un metallo poco aderente al substrato e molto reattivo. La presenza di questa situazione potrebbe generare dei difetti nel deposito successivo. Per evitare questa evenienza i pezzi vengono sottoposti ad una blanda azione acida.
Questa avrà lo scopo di neutralizzare i componenti alcalini provenienti dallo sgrassaggio precedente, sciogliere gli ossidi residui e il metallo attivo causato dalla riduzione. Nei trattamenti puramente industriali dove l’aspetto estetico è minoritario rispetto a quello tecnico è tradizione di operare questo trattamento in una soluzione acida costituita da 2-4% di HCl o 3-5% di H2SO4 . Questo trattamento è poco oneroso ma può provocare l’attacco del substrato annullando l’effetto brillante generato dalle operazioni meccaniche di preparazione come la burattatura o pulitura con ruote di panno. Nel caso sia necessario ottenere una finitura lucida con bassi spessori di nickel o rame (2-6mm) conviene operare con una soluzione più costosa ma meno aggressiva così costituita:
NaHSO4 |
20-30 g/l |
NaHF2 |
5-10 g/l |
Tensioattivo anionico |
1 g/l |
Temperatura |
ambiente |
PH |
2-3 |
Una soluzione di questo tipo evita l’attacco del metallo base, esclusi titanio e alluminio, neutralizza la basicità trasportata sul pezzo dal bagno alcalino precedente, evita la precipitazione sulla superficie dei pezzi di calcio e magnesio presenti nelle acque di risciacquo, e per la presenza del tensioattivo, lascia una superficie bagnabile immediatamente dalla soluzione del bagno successivo.
I tensioattivi non si possono certo considerare in genere pericolosi per l’uomo ma lo sono sicuramente per l’ambiente. Queste sostanze sono nocive per la flora e la fauna ambientale perché ne alterano i meccanismi vitali. In sintesi possiamo fare un elenco dei composti che non dovrebbero essere contenuti nei tensioattivi:
Dovrebbero inoltre non essere schiumogeni ed avere basso COD e basso BOD.
Da queste condizioni si nota che i prodotti futuri si dovranno basare sulla salvaguardia dall’inquinamento, sia esterno che interno al luogo di lavoro, ed essere di facile rigenerazione o almeno biodegradabili.
Quando si ha a che fare con oggetti assemblati con materiali diversi, specialmente con parti in acciaio inossidabile, o di diversi fornitori dai quali spesso è difficile conoscerne l’esatta natura, è conveniente prima di passare alla deposizione degli strati di nickel o rame a spessore effettuare una deposizione sottile con un bagno ad ampio specchio di adesione al substrato e al successivo deposito. Questo si ottiene depositando elettroliticamente un film molto sottile (0,1mm) di nickel o rame dai seguenti bagni
Nickel Cloruro |
NiCl2*6H2O |
240 g/l |
Acido Cloridrico |
HCl 35 % |
125 cc/l |
Temperatura |
|
Ambiente |
Densità di corrente |
|
2-4 A/dm2 |
Polarità |
|
solo catodica |
Rame solfato |
CuSO4*5H2O |
0,5 g/l |
Acido cloridrico |
HCl 35% |
350 cc/l |
Temperatura |
|
ambiente |
Densità di corrente |
|
4-6 A/dm2 |
Polarità |
|
solo catodica |
L’elevata acidità di questi bagni provoca un notevole sviluppo di idrogeno attivando il catodo su cui si deposita un sottilissimo film di metallo. In genere il bagno di prenickel fornisce i risultati migliori specialmente su substrati di nickel o acciaio inossidabile.
Il bagno di prerame ha invece la caratteristica di avere un minor effetto coprente nel caso in cui sul pezzo vi fossero dei difetti di preparazione. In tal senso questo bagno funziona da agente diagnostico sui pretrattamenti.
Il rame viene depositato per diversi motivi ma in particolare:
Due sono le tipologie di soluzioni di ramatura più utilizzate: quelle basiche al cianuro e quelle acide al solfato. Limitate applicazioni hanno ottenuto i bagni al pirofosfato e quelli al fluoborato.
La ramatura al cianuro, malgrado la sua pericolosità, è comunque molto importante in operazioni galvaniche sia per depositi di aggancio che per depositi a spessore quando sia necessario limitare le tensioni interne. I bagni sono caratterizzati da un elevato potere penetrante e possono essere applicati direttamente ad acciai e leghe di zinco a differenza dei bagni acidi. Infatti, immergendo un pezzo di ferro o una lega di zinco in un bagno acido di rame, si avrebbe la deposizione di rame per cementazione.
Il sale di partenza per la formazione del bagno è il cianuro di rame (CuCN) che deve essere complessato con KCN o NaCN per ottenere un complesso solubile in acqua. La forma complessa più importante è rappresentata da K2Cu(CN)3 o Na2Cu(CN)3. La somma del cianuro richiesto per complessare in questo modo il rame più quello richiesto per il buon funzionamento del bagno (cianuro libero) rappresenta il cianuro totale.
La presenza di cianuro libero stabilizza i vari complessi cianurati del rame, però il numero di ioni rame disponibili alla scarica catodica diminuisce con l’aumento della concentrazione del cianuro libero. La polarizzazione catodica invece aumenta ed aumenta così il potere penetrante della soluzione. Il deposito che si ottiene è duro e con grana fine.
La concentrazione del cianuro libero deve essere mantenuta entro limiti ben prefissati. Un aumento eccessivo riduce il rendimento catodico fino a favorire la scarica dell’idrogeno che provoca puntinature ed esfoliazioni del deposito. Se si opera in difetto invece non si solubilizza il CuCN che si forma all’anodo. Questo si ricopre di uno strato di questo sale insolubile quindi si polarizza e non permette la dissoluzione ulteriore dell’anodo.
Gli anodi di rame devono essere di elevata purezza e possono essere in piastre o in quadrotti inseriti in cestelli di rete di titanio entrambi insacchettati in sacchi di meraklon. Se il contenuto di rame aumenta nella soluzione basta sostituire qualche anodo di rame con altrettanti di acciaio fino a trovare le condizioni di stabilità. Il rapporto ottimale fra la superficie anodica e catodica è circa 2:1
La deposizione da questo bagno si utilizza per aumentare l’adesione specie nel caso di superfici passive. Quando viene usato per leghe di zinco bisogna operare con bassa concentrazione di ione idrossido (4 g/l) per evitare l’attacco basico. Un esempio di bagno al sodio è descritto nella tabella sottostante.
Cianuro di Rame |
CuCN |
25-20 g/l |
Sodio cianuro |
NaCN |
40-60 g/l |
Sodio carbonato |
Na2CO3 |
10-15 g/l |
Sodio idrossido |
NaOH |
3-4 g/l |
Temperatura |
|
25-60 °C |
Densità di corrente |
|
0.5-4.0 A/dm2 |
Tempo di deposizione |
|
30-180 sec |
Efficienza catodica |
|
30-60 sec |
Agitazione |
|
Nessuna o meccanica |
Può essere necessario aggiungere del sodio carbonato per migliorare la conducibilità del bagno. La concentrazione di tale sale comunque aumenta con l’invecchiamento del bagno per assorbimento della CO2 dall’atmosfera o per idrolisi e ossidazione del cianuro. Se il carbonato supera certe concentrazioni si deve sostituire una parte di bagno aggiungendo di conseguenza il cianuro di rame ed il sodio cianuro fino a ripristinare le condizioni ideali. La concentrazione del carbonato può essere ridotta per precipitazione con carburo di calcio e successiva filtrazione. In questo caso le reazioni interessate sono le seguenti:
CaC2+2H2O=Ca(OH)2+C2H2
Ca(OH)2+Na2CO3=2NaOH+CaCO3
Un ultimo sistema per ridurre la quantità di carbonato di sodio consiste nel raffreddare la soluzione con una serpentina di raffreddamento in modo tale che il carbonato cristallizzi sulla serpentina stessa.
Vengono utilizzati per ottenere uno spessore notevole in un tempo limitato. Si utilizza per questo una elevata concentrazione di rame cianuro, alta temperatura per aumentare la conducibilità e gli effetti diffusivi e quindi un’alta densità di corrente. Lucentezza e grana sottile si può ottenere mediante correnti pulsate e con l’utilizzo di appropriati additivi.
Una tipica formulazione è data da:
Rame cianuro |
CuCN |
70-80 g/l |
Potassio cianuro |
KCN |
100-120 g/l |
Potassio carbonato |
K2CO3 |
15 g/l |
Potassio idrato |
KOH |
15 g/l |
Tartrato di sodio e potassio |
KNaC4H4O6*4H2O |
45 g/l |
Temperatura |
|
60-70 °C |
Densità di corrente |
|
3-10 A/dm2 |
Efficienza catodica |
|
90-100 |
Agitazione |
|
Meccanica o con aria |
Ai bagni di rame al cianuro vengono spesso aggiunte delle sostanze brillantanti quali sodio bisolfito o sodio solfito. Queste aggiunte riducono la polarizzazione catodica e quindi peggiorano il potere penetrante. Se si aggiunge anche del tartrato si riducono le dimensioni dei grani del rame depositato. Attualmente i brillantanti comprendono sostanze come il trifenilmetano, la cetil-a-betaina, selenio bisditiocarbammato ed altri composti del selenio e potassio tiocianato specialmente in bagni ad alto contenuto in cianuro.
Vantaggi:
Svantaggi:
Un bagno di ramatura al solfato è costituito essenzialmente da rame solfato ed acido solforico. La deposizione di rame può essere effettuata ad alta intensità di corrente per cui questo elettrolita è adatto a depositare alti spessori. Il peggior svantaggio è rappresentato dal basso potere penetrante e dalla impossibilità di deporre direttamente su acciaio e ferro. Un oggetto in acciaio o ferro sposta il rame dalla soluzione secondo la reazione:
CuSO4+Fe-->FeSO4+Cu
Il rame così precipitato non aderisce al ferro. Per questo motivo deve essere applicato prima un film di rame da un bagno al cianuro dopodiché il pezzo viene trasferito nel bagno acido dove si potrà ottenere lo spessore desiderato. Esiste la possibilità di depositare un flash di rame chimico direttamente su ferro utilizzando una soluzione acida di solfato rameico in presenza di un inibitore come la acetiltiurea. Si ottiene un film aderente senza l’intervento di bagni al cianuro. In questo caso speciale notevole importanza ha la preparazione dei pezzi perché viene a mancare l’effetto detergente del cianuro.
Una formulazione tradizionale utilizzata con i bagni acidi al solfato è la seguente:
Rame solfato |
CuSO4 |
170-220 g/l |
Acido solforico |
H2SO4 |
50-70 g/l |
Cloruri |
Cl- |
100 ppm |
Tiurea |
|
10 ppm |
Destrina |
|
10 ppm |
PH |
|
Acido da acido solforico |
Temperatura |
|
Ambiente |
Densità di corrente |
|
2-6 g/L |
|
|
|
E’ consigliabile operare con alte concentrazioni di rame. La presenza dell’acido solforico diminuisce la solubilità del solfato di rame (fig. 8.5)
L’acido solforico ha le seguenti funzioni:
Al catodo avviene la reazione di riduzione del rame secondo la :
Cu2+ + 2e-->Cu
Ma studi cinetici hanno dimostrato che lo ione rameico dapprima si riduce a ione rameoso:
Cu2+ + e --> Cu+ stadio lento
Il quale a sua volta passa a rame metallico
Cu+ + e --> Cu stadio veloce
All’anodo invece avviene l’ossidazione del rame col processo inverso:
Cu --> Cu2+ +2e
L’efficienza catodica ed anodica è di circa il 100% sotto normali condizioni operative.
Poiché la polarizzazione catodica per l’incremento della densità di corrente è bassa il potere penetrante del bagno al solfato è inferiore a quello al cianuro. Il potere penetrante del bagno acido può essere migliorato aumentando la concentrazione dell’acido solforico e diminuendo quella del rame solfato o diminuendo la temperatura. I bagni acidi hanno di solito una buona tolleranza nei riguardi delle impurezze ma se sono presenti arsenico antimonio e ferro si ottengono depositi rugosi. Importante è anche l’uso di anodi di rame fosforoso e l’agitazione con insufflazione d’aria.
Per ottenere dei depositi lucidi è necessario evitare la contaminazione del bagno da sostanze organiche e metalli dannosi. Per quanto riguarda le sostanze organiche queste possono provenire dai brillantanti o trascinate dai pezzi dai bagni precedenti. Si possono comunque eliminare mediante un trattamento con carbone attivo il quale eliminerà anche parte dei brillantanti che andranno reintegrati nelle opportune concentrazioni. Per quanto riguarda i metalli possiamo sinteticamente rappresentarne gli effetti:
Antimonio |
>50 ppm |
Ruvido, polverulento |
Arsenico |
>50 ppm |
Ruvido, polverulento |
Bismuto |
>50 ppm |
Ruvido, polverulento |
Cadmio |
>500 ppm |
Polarizza l’anodo, sottrae cloruri alla soluzione |
Ferro |
>1000 ppm |
Riduce la conducibilità ed il potere penetrante del bagno |
Nickel |
>1000ppm |
Riduce la conducibilità ed il potere penetrante del bagno |
Selenio |
>10 ppm |
Polarizza l’anodo,provoca ruvidità |
Tellurio |
>10 ppm |
Polarizza l’anodo,provoca ruvidità |
Stagno |
>500 ppm |
Si deposita chimicamente,polarizza gli anodi |
Zinco |
>500 ppm |
Polarizza l’anodo, sottrae cloruri alla soluzione |
Vantaggi e svantaggi della ramatura acida
I vantaggi della ramatura acida possono essere così sintetizzati:
Gli svantaggi sono:
Le soluzioni dei bagni al pirofosfato contengono rame pirofosfato Cu2P2O7 e K4P2O7. In soluzione il rame è presente prevalentemente come anione Cu(P2O7)26-. Come nel caso dei bagni al cianuro il complessante pirofosfato deve essere presente in eccesso. Esso promuove una efficiente dissoluzione degli anodi, previene la formazione di sali insolubili e assicura una complessazione completa. Il sale potassico è preferito per la sua solubilità e maggior conducibilità rispetto al sale sodico. Il rapporto minimo in peso fra pirofosfato e rame deve essere 7:1. Valori inferiori di questo rapporto rendono difficoltosa la solubilità degli anodi per cui il bagno si impoverisce in ioni rame mentre valori più elevati del rapporto non generano alcun effetto negativo. Assieme ai due sali base vengono aggiunti altri componenti per migliorare le proprietà del deposito ed aumentare la velocità di deposizione. Questi includono l’ammoniaca, nitrati, acidi alifatici ed altri agenti organici. La presenza di ammoniaca e composti organici quali ossalati e citrati aumenta la lucentezza del deposito. Citrati e ossalati funzionato anche da agenti tamponanti del pH.
Una composizione tipica è la seguente:
Rame pirofosfato |
Cu2P2O7*3H2O |
25-120 g/l |
Potassio pirofosfato |
K4P2O7 |
100-400 g/l |
Ammoniaca conc |
NH4OH |
1-2 cc/l |
Temperatura |
|
20-50 °C |
PH |
|
8.2-8.8 |
Densità di corrente |
|
0.5-10 A/dm2 |
Agitazione |
|
Meccanica o aria |
Le concentrazioni più basse servono per depositi flash, quelle più elevate per forti spessori.
Le soluzioni al pirofosfato necessitano di una vigorosa agitazione altrimenti si forma un film scuro non aderente che diminuisce la densità di corrente operativa. Può essere utilizzata l’agitazione meccanica anche se è preferibile quella con aria . I pirofosfati a differenza dei cianuri non subiscono decomposizione e non si formano carbonati. L’efficienza catodica è circa del 100%.
Si ottengono depositi a grana fine, duri ma ragionevolmente duttili La duttilità diminuisce con l’aumento eccessivo della concentrazione dell’ammoniaca e del pH. L’effetto delle condizioni operative sulla duttilità sono illustrate in figura
Le soluzioni di pirofosfato posseggono proprietà livellanti e hanno un potere penetrante simile a quello dei bagni al cianuro. L’effetto delle variabili del bagno sul potere penetrante e sull’efficienza catodica è sommariamente indicata nella tabella seguente:
Variabile |
Potere penetrante |
Efficienza |
Pirofosfato/rame |
Aumenta |
Leggera crescita |
Rame |
Aumenta |
Non Cambia |
Ammoniaca |
Diminuisce |
Non Cambia |
PH |
Diminuisce |
Leggera crescita |
Densità di corrente |
Diminuisce |
Diminuisce |
Temperatura |
Diminuisce |
Leggera crescita |
Agitazione |
Aumenta |
Non Cambia |
|
|
|
Soluzioni basate su una soluzione al pirofosfato sono utilizzate prima della nickelatura su basi costituite da leghe di zinco. Nel caso dei bagni acidi è infatti necessario depositare prima un sottile strato di rame da un bagno al cianuro. Il bagno al pirofosfato è utilizzato nell’ elettroformatura e nella ramatura dei circuiti stampati. L’elevato potere penetrante lo consiglia nella ramatura di componenti con superfici complicate e forate.
Il rame fluoborato ha una elevata solubilità;le soluzioni basate su questo sale possono contenere una concentrazione doppia di rame rispetto a quelle al solfato. A causa delle elevate densità di corrente utilizzabili e della elevata efficienza catodica, normalmente il 100%, il bagno è utilizzato per l’elettroformatura dove è richiesta una rapida deposizione di grossi spessori. Una tipica formulazione può essere la seguente:
Rame fluoborato |
Cu(BF4)2 |
400-500 g/l |
Acido fluoborico libero |
HBF4 |
30-40 g/l |
Acido borico |
H3BO3 |
30 g/l |
PH |
|
0,3-0,6 |
Densità di corrente |
|
10-40 A/dm2 |
Temperatura |
|
35-45°C |
La densità di corrente catodica permessa è determinata dalla temperatura del bagno e dal grado di agitazione. Con temperature nell’intervallo 35-45°C e vigorosa agitazione si possono utilizzare correnti fino a 50 A/dm2.
I bagni al fluoborato producono una grana fine, un deposito livellato, ma la presenza di piombo in soluzione anche in piccole concentrazioni può causare opacità. Questo può essere eliminato con l’aggiunta di acido solforico che precipita il piombo come solfato.
Determinazione volumetrica del rame in un bagno al solfato
Reagenti:
PROCEDURA:
Prelevare 2cc di bagno mediante una pipetta graduata e scaricare in una beuta da 300 cc.
Aggiungere 100 cc di acqua deionizzata e ammoniaca conc fino a comparsa di una intensa colorazione blu e aggiungere qualche goccia di acido acetico per rendere la soluzione più limpida.
Titolare con la soluzione di tiosolfato fino ad ottenere una colorazione giallo-paglierina.
Aggiungere 5 cc di soluzione di salda d’amido e continuare la titolazione fino ad ottenere una soluzione incolore.
Siano A i cc di sodio tiosolfato 0,1 n utilizzati.
Calcolo: g/l di Cu = A*3,177
g/l CuSO4*5H2O = A*11,977
Determinazione dell’acido solforico in un bagno di ramatura acida
Reagenti:
PROCEDURA:
Prelevare 2 cc di bagno mediate una pipetta graduata e scaricare in una beuta da 300 cc.
Aggiungere 5 gocce di metilarancio e titolare con la soda 0,1 N fino a viraggio dell’indicatore.
Siano A i cc di soda 0,1 N utilizzati.
Calcolo: g/l di H2SO4= A*2,45
Determinazione complessometrica dei cloruri in un bagno di ramatura acida
Reagenti:
PROCEDURA
Prelevare 100 cc di soluzione di bagno in una beuta da da 300 cc e aggiungere 2 cc di acido nitrico,10 cc di potassio permanganato, 10 cc di argento nitrato e riscaldare finché tutto il precipitato è coagulato. Permettere la sedimentazione per 10 minuti,filtrare su filtro fascia nera ,lavare il precipitato con demonizzata acidulata con acido nitrico per eliminare il rame. Quando il lavaggio è completo sciogliere il precipitato di argento cloruro con 10 cc di ammoniaca, aggiungere 100 cc d’acqua ,una punta di spatola di potassio tetraciano nicolato e riscaldare a 50 °C. Aggiungere una punta di spatola di muresside e titolare con EDTA 0,01 M fino al viraggio da arancio a Magenta.
Siano A i cc di EDTA 0,01 M utilizzati:
Calcolo: g/l Cl-= A*0,709
g/l NaCl= A*1,169
Determinazione del rame in un bagno di ramatura alcalino
Reagenti:
POCEDURA:
Prelevare 10 cc di bagno in un pallone tarato da 100 cc e portare a volume con acqua distillata. Trasferire 5 cc di questa soluzione in una beuta da 300 cc ,diluire con 50 cc di acqua distillata e aggiungere nell’ordine 5cc di ammoniaca, 2-3 cc di perossido di idrogeno e 2-3 cc di argento nitrato. Aggiungere una punta di spatola di muresside e titolare con EDTA 0,05 M fino a comparsa di una colorazione porpora.
Siano A i cc di EDTA.
Calcolo: g/l Cu= A*6,35
Determinazione del cianuro libero in un bagno di ramatura alcalino
Reagenti:
PROCEDURA:
Prelevare 10 cc di bagno in una beuta da 300 cc, diluire con 150 cc di acqua, aggiungere 3 gocce di ammoniaca e 1 cc di soluzione di potassio ioduro. Titolare con argento nitrato 0’1 N finché la soluzione assume una colorazione lattescente.
Siano A i cc di soluzione di argento nitrato utilizzato.
Calcolo: g/l di NaCN = A*0,98
g/l di KCN = A*1,3
Determinazione del carbonato libero in un bagno di ramatura alcalino
Reagenti:
PROCEDURA
Prelevare 10 cc di soluzione di bagno in un beker da 400 cc, diluire con 200 cc di acqua distillata e aggiungere 30 cc di soluzione di bario cloruro.Quando il precipitato si è depositato filtrare con filtro a fascia bianca e lavare il precipitato sul filtro con acqua calda. Porre il filtro con il precipitato in una beuta da 300 cc, aggiungere 100 cc di acqua distillata, 25 cc di acido cloridrico 1 N e alcune gocce di sol.di metilarancio.Titolare con NaOH 1 N fino a viraggio.
Siano A i cc di NaOH 1 N utilizzati.
Calcolo: g/l Na2CO3 = (25-A)*5,3
g/l K2CO3 = (25-A)*6,91
NICKELATURA
La deposizione elettrolitica di nickel è uno dei processi di finitura utilizzati in modo generalizzato sia nel campo ingegneristico che decorativo. I rivestimenti decorativi si ottengono aggiungendo ai bagni tecnici tradizionali degli additivi organici appropriati. Il processo comprende la dissoluzione di un elettrodo (anodo) e la deposizione del nickel metallo sull’altro elettrodo (catodo). Ciò si fa applicando una tensione fra l’anodo (positivo) ed il catodo (negativo). La conducibilità elettrica fra i due elettrodi è supportata da una soluzione acquosa di sali di nickel. Quando i sali di nickel sono disciolti in acqua il nickel è presente come ione Ni2+(acq) con varie moli d’acqua di coordinazione assieme ad altri gruppi che determina il colore della soluzione che risulta verde. Quando il pezzo da nickelare viene polarizzato catodicamente (-) rispetto all’anodo (+) gli ioni nikel Ni2+ migrano sul catodo,assorbono da questi due elettroni e si depositano come atomi metallici sullo stesso secondo la reazione semplificata
Ni2+ + 2e- --> Ni
Poichè la reazione che avviene all’anodo è il contrario di questa il processo può avvenire per lungo tempo senza interruzione.
La tipica formulazione di un bagno di nickelatura lucida si basa sulla formulazione di un bagno di Watts cioè una ricetta nata per depositare un nickel opaco che ha avuto una notevole importanza nella storia della nickelatura. Le caratteristiche fondamentali di tale ricetta sono le seguenti:
Componente |
Intervallo di conc. |
Valore ottimale |
Nickel solfato NiSO4*6H2O (g/l) |
250-320 |
300 |
Nickel cloruroNiCl2*6H2O (g/l) |
50-70 |
60 |
Nickel totale come metallo (g/l) |
65-75 |
70 |
Acido borico (g/l) |
30-45 |
40 |
Temperatura (°C) |
45-65 |
60 |
PH |
3.5-5.5 |
4.5 |
Agitazione |
Aria o meccanica |
|
Densità di corrente catodica (A/dm2) |
3-6 |
4 |
Densità di corrente anodica (A/dm2) |
2-4 |
3 |
Anodi |
Nickel |
Nickel |
Il nickel solfato fornisce la maggioranza del contenuto in ioni nickel nel bagno. E’ un sale poco costoso con uno anione che non subisce riduzione al catodo o ossidazione all’anodo e non è volatile.
Il nickel cloruro fornisce gli ioni cloro che prevengono la ossidazione degli anodi che si traduce in una passivazione. Infatti all’anodo le tre reazioni concorrenti sono:
Ni --> Ni2+ + 2e- (1)
2Cl- -->Cl2 + 2e- (2)
2OH- -->H2O+1/2O2 +2e- (3)
La reazione desiderata è la (1) che ripristina all’anodo quello che si è depositato al catodo. La reazione (3) provoca la formazione di ossigeno all’anodo con conseguente deposizione di ossido di nickel e di ossigeno adsorbito che riduce la conducibilità elettronica aumentando così la tensione di lavoro (polarizzazione ). La reazione (2) provoca la ossidazione dell’anodo con formazione di NiCl2 sale solubile che passa subito in soluzione mantenendo quindi l’anodo allo stato di nikel attivo.
L’acido borico serve come tampone per il film catodico. Qui infatti la scarica continua di cationi (Ni2+ e in misura molto minore anche se indesiderato H+) provoca un aumento del pH che se non viene tamponato porta alla formazione di idrossidi di Nickel, sali poco solubili, che vanno a depositarsi sul pezzo originando delle puntinature e quindi degli scarti.
L’antipuntinante è necessario poiché l’efficienza catodica di scarica del nickel è circa del 97% mentre il resto è dovuto alla scarica dei portatori minoritari H+ con formazione di bollicine di H2 che rimangono attaccate al catodo. Per favorire il distacco di queste vengono aggiunti dei tensioattivi anionici che riducono la tensione interfacciale soluzione - superficie nickelata per cui la soluzione bagna la superficie scalzando la bollicina ed evitando così che questa crei un impedimento alla crescita del deposito con formazione di una cavità. Il lauril solfato sodico è uno dei più comuni tensioattivi adottati nei bagni lucidi.
I brillantanti sono sostanze che migliorano la lucentezza del deposito ma non forniscono da soli l’aspetto lucido richiesto. Si possono suddividere in due classi:
I brillantanti della classe 1 sono acidi benzendisolfonici, benzentrisulfonici, benzensolfonammidi e benzensulfonimidi (saccarina). Gli anelli aromatici sono di solito benzenici o naftalenici ma attualmente vengono utilizzati gruppi insaturi alifatici quali il vinile e l’allile Queste sostanze migliorano la lucentezza del deposito ma non forniscono da soli l’aspetto lucido richiesto. Le concentrazioni di questi additivi possono arrivare anche a valori di qualche grammo (1-10 g/l) senza interferire sull’adesione e sulla corrente limite. Essi comunque tendono a diminuire le tensioni interne del deposito e per i valori più alti dell’intervallo tendono a farle divenire di compressione. Questi composti tendono ad introdurre dello zolfo nel deposito.
I brillantanti della classe 2 sono utilizzati in combinazione con quelli della prima classe per produrre livellamento e brillantezza che aumenta con l’aumento dello spessore. Questi sono costituiti da composti organici insaturi. Hanno la caratteristica di introdurre carbonio nel deposito. Molti di questi brillantanti devono essere utilizzati assieme a quelli della prima classe perché se utilizzati da soli producono tensioni interne riducendo l’adesione al substrato. I principali brillantanti della seconda classe contengono il gruppo olefinico –C=C- come la cumarina o il gruppo acetilenico come il 2-butin-1-4-diolo.
La temperatura deve essere mantenuta sufficientemente elevata nell’intervallo definito. Questo permette di operare con una velocità di deposizione elevata. Infatti la velocità con cui il deposito si forma dipende dalla velocità con cui i portatori ionici utili (Ni2+) possono giungere sul catodo, velocità che è funzione della tensione applicata agli elettrodi. Se però la tensione applicata è troppo alta per cui la scarica ionica è elevata possono intervenire i due seguenti fenomeni:
Determinazione della quantità di nickel
REAGENTI:
1)Ammonio cloruro
2)Ammoniaca 1:1
3)Muresside - NaCl 1:100
4)EDTA 0,1 mol
PROCEDURA:
Pipettare 10 cc di soluzione di nikelatura e portarla a 100 cc in un pallone tarato con acqua distillata.
Prelevare da questa nuova soluzione 10 cc e portarli in una beuta da 300 cc diluendo con 50 cc di acqua distillata.
Aggiungere una spatolina di cloruro d’ammonio e 30 cc di ammoniaca 1:1 e una punta di spatola di muresside.
Titolare quindi con EDTA 0,1 M fino a comparsa di una colorazione porpora della soluzione
Siano a i cc di EDTA utilizzati.
Calcolo : g/l di Ni = a x 5,87
Determinazione del contenuto in cloruro
REAGENTI:
1) Potassio cromato sol.10%
2) Argento nitrato sol. 0,1 N
PROCEDURA
Pipettare 10 cc di di soluzione di nickelatura in una beuta da 300 cc e diluire con 50 cc di acqua distillata.
Aggiungere 3 cc di soluzione di potassio cromato al 10%
Titolare con argento nitrato 0,1 N fino a comparsa di una colorazione rosso bruno.
Siano b i cc di argento nitrato 0,1 N utilizzati
Calcolo: g/l di Cl- = b x 0,354
g/l di NiCl2 = b x 1,17
Determinazione del contenuto in acido borico
REAGENTI:
1) Potassio cromato sol.10%
2) Argento nitrato sol. 0,1 N
PROCEDURA
Pipettare 10 cc di di soluzione di nikelatura in una beuta da 300 cc e diluire con 50 cc di acqua distillata.
Aggiungere 3 cc di soluzione di potassio cromato al 10%
Titolare con argento nitrato 0,1 N fino a comparsa di una colorazione rosso bruno.
Siano b i cc di argento nitrato 0,1 N utilizzati
Calcolo: g/l di Cl- = b x 0,354
g/l di NiCl2 =b x 1,17
Determinazione della saccarina
REAGENTI:
1) HCl 1:1
2)Gravetolo (Sciogliere 0,2 gr di rosso metile in 50 cc di alcool isopropilico,aggiungere 1,75 cc di acido solforico concentrato e portare ad un litro con etilacetato. Filtrare la soluzione dopo 2 giorni)
3) Alcool etilico
4) NaOH 0,1 N
PROCEDURA
Pipettare 50 cc di soluzione di nikelatura in un imbuto separatore, aggiungere 2 cc di HCl 1:1, 10 cc di Gravetolo e 25 cc di alcool etilico.
Agitare vigorosamente per 1 minuto. Permettere la separazione e drenare lo strato inferiore verde.
Trasferire la soluzione gialla in una beuta , aggiungere 25 cc di alcool etilico e titolare con NaOH 0,1 N da giallo a rosso.
Siano b i cc di NaOH 0,1 N utilizzati
Calcolo: g/l di saccarina = b x 1,4
TEORIA DELLA CROMATURA
La deposizione elettrolitica del cromo ha avuto inizio nel terzo decennio del ventesimo secolo e dalla sua introduzione ha avuto molte applicazioni viste le sue proprietà anche a spessori molto limitati.
Il cromo forma con il nickel la coppia di metalli più importanti nella deposizione galvanica. Come per il nickel anche per il cromo si possono avere essenzialmente due tipologie di deposito:
Le caratteristiche positive del cromo hanno dovuto scontrarsi con alcuni fattori negativi che non vanno trascurati e in particolar modo gli aspetti ecologici lo stanno, in questi tempi, mettendo a dura prova.
Gli svantaggi più importanti del processo di cromatura sono:
La ragione per la quale il processo di cromatura è tuttora così utilizzato è da attribuire alle eccellenti proprietà dimostrate dal deposito specie su substrati di nickel o rame-nickel.
Possiamo considerare che alle concentrazioni usuali del bagno di cromatura il cromo sia presente come Cr2O7=. Le reazioni più importanti che si ipotizzano al catodo sono:
Deposizione di cromo : Cr2O7= + 14 H+ + 12 e- --> 2 Cr + 7 H2O
Evoluzione di idrogeno : 2 H+ + 2 e- --> H2
Formazione di Cr3+ : Cr2O7= + 14 H+ + 6 e- --> 2Cr3+ + 7H2O
In effetti molte sono le ipotesi sulla reazione di deposizione di cromo ma poche le conferme. E’ difficile credere che un gruppo Cr2O7= possa reagire contemporaneamente con 12 elettroni e quattordici idrogenioni. Questa reazione deve avvenire per stadi successivi. La reazione di sviluppo di idrogeno è per la deposizione una reazione passiva, ma potrebbe anche partecipare alla riduzione chimica del cromo (VI) a cromo (III) mediante reazione puramente chimica in combinazione con quella elettrolitica. Sembra, infatti, che la presenza di cromo trivalente sia necessaria per la riduzione elettrochimica a cromo metallo. L’importanza del cromo trivalente si esplica probabilmente all’interfaccia catodica. Comunque un elevato valore della concentrazione in cromo trivalente produce effetti negativi sulla deposizione e diminuisce la conducibilità del bagno.
Non si utilizzano anodi di cromo perché non sono solubili. Conviene utilizzare anodi insolubili meno costosi e più adatti. Questi sono costituiti da piombo o sue leghe con contenuti del 10% in Sn o Sb che hanno la caratteristica di avere una sufficiente resistenza alla corrosione in quest’ambiente. Ma il maggior pregio di questi anodi è di concorrere alla riossidazione del cromo trivalente compensando quello prodotto nelle reazioni viste al catodo.
Le reazioni più importanti che avvengono all’anodo sono:
Evoluzione di ossigeno 2H2O --> O2 + 4H+ + 4e
Ossidazione dello ione cromico 2Cr3+ +6H2 --> 2CrO3 + 12H+ + 6e-
Produzione di PbO2 sull’anodo Pb + 2H2O --> PbO2 + 4H+ + 4e-
Molta energia è consumata per la produzione di ossigeno. Le altre due reazioni sono molto importanti. La riossidazione del cromo (III) a cromo (VI) compensa la sua produzione al catodo permettendo di mantenere il livello di Cr3+ entro valori dell’intervallo di deposizione ottimale. Perché ciò accada è necessario che l’anodo si ricopra di uno strato di biossido di piombo. Se questo film scompare o non si forma, compare al suo posto uno strato di cromato di piombo che ha la caratteristica di non permettere la riossidazione del cromo trivalente. Tale evenienza può succedere quando il bagno non viene utilizzato per lungo tempo. In tal caso si nota la formazione sugli anodi di uno strato giallo di piombo cromato. Quando il bagno viene riutilizzato lo strato di biossido in genere si riforma e si nota sull’anodo un caratteristico colore scuro quasi nero.
Una mancanza di questo film può anche indicare uno scarso contatto elettrico dell’anodo con la barra anodica per cui l’anodo non riceve la quantità di corrente che gli spetta. Può anche succedere che ciò sia dovuto alla presenza di un cortocircuito interno alla soluzione fra anodo e catodo. Se l’anodo non si riattiva spontaneamente durante l’esercizio normale della elettrolisi è necessario scollegarlo dalla barra anodica, liberarlo dello strato di piombo cromato mediante spazzolatura e immergerlo di nuovo nella soluzione avendo l’accortezza che ciò avvenga mentre il bagno è in funzione, cioè quando alla barra catodica sono appesi degli oggetti in fase di lavorazione. In questo modo l’elettrodo rigenerato entrerà in funzione istantaneamente e l’ossigeno che si sviluppa porterà immediatamente alla formazione del biossido di piombo.
Il cromo rappresenta lo strato finale dei trattamenti lucidi di nickelatura o di ramatura e nickelatura . Questo metallo è dotato di un colore bianco-bluastro ed ha una elevata riflettività che mantiene in diversi ambienti di esposizione. Esso resiste molto bene all’opacizzazione in ambienti domestici normali e questa è la ragione del suo utilizzo come rivestimento del nickel. Resiste molto bene all’usura e al graffio. Raramente è applicato direttamente al metallo base ma rappresenta di solito la finitura di un substrato di nickel o rame-nickel. L’eccezione può essere rappresentata dalla cromatura dell’acciaio inossidabile dove viene applicato direttamente alla base per fornire all’acciaio una colorazione più gradevole. Lo spessore di cromo che viene applicato su nickel dipende dalle condizioni di esposizione e d’uso e dal livello di qualità dell’oggetto.
Per applicazioni domestiche in ambiente secco sono sufficienti spessori di circa 0,1 µm. Per applicazioni all’interno di autoveicoli e in particolare all’esterno degli stessi sono consigliati spessori di circa 1,25 micron. Applicazioni marine richiedono gli stessi spessori utilizzati per gli esterni delle automobili. In verità non tutte le attrezzature marine che devono resistere all’acqua di mare vengono cromate ma molte sono fatte direttamente in materiali resistenti a queste condizioni come i bronzi. In effetti sono pochi i sistemi di placcatura economici che resistono all’acqua di mare .
Esistono due tipologie di bagni di cromatura da acido cromico: I “convenzionali” in cui il catalizzatore è l’acido solforico e i bagni “catalizzati” in cui oltre al solfato è presente il fluoruro sotto forma di fluosilicato.
L’elettrodeposizione di metalli da soluzioni nelle quali sono presenti in un sistema anionico è comunemente praticata. I più importanti sono i bagni alcalini al cianuro da cui, per esempio, vengono depositati rame, zinco e metalli preziosi. Anche il cromo è presente nei bagni di cromatura in forma anionica, tuttavia esiste una differenza sostanziale fra le due forme. Nel caso del cianuro e complessanti simili, si può assumere che l’equilibrio del complesso fornisca in modo continuo, anche se limitato dalla costante di stabilità e dalla cinetica di scomplessazione, la quantità di metallo in forma ionica necessaria alla deposizione (per esempio il cianuro di argento scomplessato in ione argento libero e ioni cianuro):
Ag(CN)2- --> Ag+ +2 CN-
Nel caso dell’acido cromico non è termodinamicamente possibile la liberazione di uno ione cromo esavalente poiché l’atomo corrispondente è contenuto nello ione CrO42- che è molto stabile in ambiente acquoso. La decomposizione semplice in ioni CrIII e ossigeno è altrettanto impossibile se non interviene una reazione di riduzione. La deposizione di cromo può solamente essere effettuata come risultato della riduzione dell’acido cromico, che può procedere in molti stadi.
La deposizione da cromo esavalente consiste essenzialmente di una soluzione relativamente concentrata di acido cromico, che deve , comunque, sempre contenere in aggiunta una piccola quantità di anioni estranei, normalmente fluoruri o solfati. Una piccola quantità di cromo trivalente è anch’essa sempre presente, anche se studi hanno evidenziato che la deposizione del metallo non avviene da questo, ma direttamente dall’acido cromico. La riduzione dell’acido cromico avviene per stadi, in un singola serie di reazioni nel film catodico. Il cromo trivalente che viene prodotto in questo modo diffonde dalla zona del catodo e si distribuisce in ogni parte dell’elettrolita per cui non resta disponibile per lungo tempo per un’ulteriore riduzione diretta a metallo. Egli può, comunque, raggiungere l’anodo, dove esso viene riossidato ad acido cromico e così entra nuovamente nel ciclo di reazione.
Gli studi sulla teoria del processo di cromatura elettrolitica procedettero in modo simultaneo con lo sviluppo della tecnologia del processo. Vari studiosi hanno sviluppato studi teorici dettagliati applicandoli ad esperimenti. La più significativa proposta, ancora valida oggigiorno, è che durante l’elettrolisi, un film di cromato di cromo, insolubile negli acidi, si formi al catodo in modo da avere un maggiore effetto sulla reazione. Dal momento che questo film è normalmente di spessore sub-microscopico, è stato per lungo tempo impossibile osservarlo o dimostrare la sua esistenza direttamente; la sua presenza può essere rilevata soltanto mediante misure di densità di corrente / potenziale. Questo naturalmente porta a vedute conflittuali sulla natura del film. Comunque si è riusciti a preparare e osservare direttamente questo film al microscopio elettronico. La formazione di questo film è influenzata enormemente dalla presenza di ioni estranei nella soluzione. In accordo con questi studi l’influenza degli ioni estranei consiste di un effetto catalitico sulla reattività dell’acido cromico. Weiner è stato capace di far vedere, con analisi dettagliata di curve densità di corrente / potenziale catodico su un gran numero di metalli, che il metallo del catodo ha una profonda influenza sui processi elettrochimici nella zona catodica. Studi completi sul ruolo che gioca il metallo al catodo sul meccanismo di reazione sono stati forniti da misure con fasci elettronici nel film catodico con i quali è possibile dimostrare la presenza di metallo nel film catodico.
J. Matulis assunse che la reazione dell’acido cromico con il catodo di metallo avvenga per deposizione chimica attraverso la formazione di un film primario senza l’intervento di processi elettrolitici. Processi elettrolitici si hanno solo quando la polarizzazione del catodo rimuove la passività del metallo catodico e rende possibile la sua dissoluzione nell’ acido cromico. Un film secondario si può anche sviluppare durante l’elettrolisi per riduzione diretta dell’acido cromico a cromo trivalente con la formazione di cromato di cromo insolubile sulla superficie catodica.
Dal momento che l’acido cromico è molto aggressivo e il suo potenziale Redox è anche più nobile dei potenziali degli altri metalli (incluso l’oro), è ovvio che tutti gli altri metalli che possono essere usati come catodo si possono sciogliere, così che i loro ioni possono essere disponibili per reazioni nella zona catodica.
Altri studi hanno preso in considerazione misure potenziometriche, per esempio misure galvanometriche su un catodo a potenziale costante invece di catodo a densità di corrente costante. Va tenuto conto in questo contesto che tenendo costante il potenziale esterno del catodo non significa che il processo al catodo rimanga costante. Il potenziale misurato è dato dalla somma di processi parziali che sono individualmente accessibili cosicché l’assunzione di uno stato stazionario assoluto in uno studio condotto secondo misure potenziometriche può dare risultati errati.
Attualmente, gli studi potenziometrici portano alle stesse difficoltà, che sono quindi solamente spostate dal potenziale alla densità di corrente ma rimangono invariate.
Il corrente punto di vista è basato su esperimenti molto specifici da parte di studiosi che hanno dato a questo problema un notevole contributo. Se le teorie originali si sono rivelate obsolete, bisogna sempre tenere conto però che è stato grazie a queste teorie che lo sviluppo di questi processi è stato studiato in modo specifico. Inoltre le teorie moderne si sono servite del vecchio materiale acquisito durante gli anni.
E’ noto che nel caso di acido cromico puro, libero da ioni estranei, non si ha nessuna riduzione al catodo. Sembra probabile la formazione di un sottile film di cromato di cromo che impedisce l’ulteriore accesso di soluzione di acido cromico e previene anche l’ulteriore riduzione. Questi film che si formano sembra abbiano caratteristiche semiconduttive, cosicché la riduzione dell’acido cromico può avvenire sulla superficie del film che ricopre il catodo. Gli ulteriori studi al microscopio elettronico hanno però portato a supporre che questo film non abbia proprietà di semiconduttore ma che possieda proprietà di scambio ionico.
L’acido cromico ha una particolare abilità nel dissolvere il film catodico in presenza di ioni estranei. R.Weiner stabilì che l’idrossido di cromo non può sciogliersi in acido cromico senza ioni estranei. Se però una piccola quantità di ioni (es. solfati , cloruri o fluoruri) viene aggiunta alla soluzione si ha una rapida dissoluzione del precipitato purchè non si formi un nuovo composto di cromo insolubile. Il carbonato dei metalli pesanti ( es. cromo, rame, nichel ecc.) non si scioglie in acido cromico puro, ma lo fa molto rapidamente quando si è in presenza di ioni estranei di tipo acido.
L’effetto di un incremento del contenuto di ioni solfato nel processo elettrochimico fu studiato sempre da R. Weiner. Egli investigò sulla azione dell’acido cromico e fece vedere che l’effetto dell’aggiunta di ioni estranei dipende dall’influenza catalitica del solvente e dalle proprietà reattive dell’acido cromico.
L’incremento dell’ azione di dissoluzione del cromato da parte dell’acido cromico contenente ioni estranei, porta ad avere un film catodico sempre più sottile e non completamente isolante, o anche poroso che non previene l’ulteriore riduzione dell’acido cromico.
Come l’effetto catalitico degli ioni estranei influenzi le proprietà dell’acido cromico non è ancora ben noto. Appare certo che agenti complessanti sono presenti nella soluzione che contiene cromato così come i solfati e il cromo trivalente. Queste specie probabilmente giocano un ruolo importante nella formazione del film catodico.
Ogni metallo presente nell’acido cromico, esiste in una forma complessata. Nelle soluzioni di acido cromico che sono state neutralizzate con un composto di rame a carattere basico e che contengono acido cromico e rame approssimativamente in rapporto 2:1, non passa nessuna corrente, a parte una debole corrente residua persino a potenziali molto negativi. Quindi, gli ioni rame così come quelli di cromato sono legati tra loro come un complesso molto stabile.
Solo ad un potenziale oltre il potenziale normale di deposizione del cromo, si ha riduzione dell’acido cromico, sebbene il rame non venga depositato. Un film non poroso con proprietà semiconduttive può essere presente, ma non è rilevante per spiegare il fenomeno, dato che la deposizione del rame così come la riduzione dell’ acido cromico può avvenire sulla sua superficie. La presenza di complessi nei quali tutti e tre i costituenti del bagno (acido cromico, cromo trivalente e solfato) sono presenti è stato confermato da una serie di recenti studi.
Venne scoperto un complesso che contiene uno ione SO4 con due ioni CrIII. Questo complesso apparentemente non sembra aver effetto catalitico sulla riduzione dell’acido cromico. All’anodo invece, dove il cromo trivalente viene decomposto per ossidazione, si libera l’ SO4. Se l’anodo è rinchiuso in un diaframma tutto l’SO4 presente nel complesso è gradualmente convertito e la deposizione catodica di cromo si ferma. L’ SO4 in questo complesso non può più ad esempio essere precipitato con bario.
Ulteriori esperimenti sono stati effettuati sulla preparazione e analisi della curva densità di corrente / potenziale catodico. Mentre i primi studiosi lavorarono esclusivamente con catodi che consideravano inerti rispetto all’acido cromico (platino, oro e carbonio), R.Weiner studiò i catodi formati per la prima volta da vari metalli e stabilì dalla forma delle curve e con la purezza analitica delle procedure, che quasi tutti i metalli (incluso oro e anche platino) possono sciogliersi nell’acido cromico, come era prevedibile in base ai potenziali. Se la dissoluzione normalmente non sembre che avvenga, questo è dovuto all’effetto simultaneo di passivazione dell’acido cromico. L’azione passivante è, comunque, opposta alla scarica catodica, così che tanti metalli che sono totalmente passivi e non attaccabili nell’acido cromico (come rame, argento, ferro, nickel, oro e platino) sono attaccati dall’acido cromico solo durante la carica catodica. E’ molto facile osservare sui catodi di argento e rame, che una piccola dissoluzione avviene al catodo sopra certi valori di potenziale catodico, e spessi depositi di argento e cromato di rame si sciolgono.
La curva densità di corrente / potenziale catodico nell’acido cromico ha una forma molto ripida come si vede nel diagramma di fig1.
La riproducibilità di queste curve è in alcuni casi peggiore che nella maggior parte degli altri processi elettrochimici. Ciò è dovuto all’effetto passivante incontrollabile che si ha al catodo. Anche il pretrattamento del catodo, sia di attivazione che passivazione, ha un notevole effetto sulla forma delle curve. Nonostante tutte le incertezze che ci sono, è stato stabilito che la forma simile dei rami delle curve per diversi metalli catodici è correlata al loro potenziale.
Ogni operatore sa che il nickel passivato (cioè nickel che è stato esposto all’aria per lungo tempo, o che ha subito un trattamento di passivazione) non può essere ricoperto con cromo senza che venga effettuata qualche forma di attivazione come immersione in acido oppure trattamento catodico. E’ precisamente l’analisi di questi fattori tecnici, che può essere considerata nella ricerca, che spesso fornisce una pietra di paragone per la teoria. Nel caso del rame e ottone, che non hanno tendenze passivanti come il nickel, il fenomeno della non rivestibilità con cromo non è osservato.
Nell’ acido cromico con un basso contenuto di ioni estranei, è ostacolata la formazione di un film che inibisce la riduzione dell’acido cromico come risultato dell’azione catalitica di questi ioni. Malgrado ciò, un film è presente in alcuni range di potenziale. Questo può essere definitivamente notato dalla curva densità di corrente/potenziale e da altre osservazioni, come l’impossibilità di produrre cromo aderente su superfici che sono state catodicamente pretrattate in acido cromico. La presenza di questi film è stata provata con il microscopio elettronico; le fotografie di diffrazione elettronica in particolare evidenziano la notevole partecipazione del metallo catodico nella formazione di questo film. Gli ioni del metallo catodico che vanno in soluzione accelerano la riduzione dell’acido cromico a cromo trivalente a causa del loro alto tasso di scarica.
Il potenziale di scarica del metallo catodico gioca un ruolo importante. Le curve di densità di corrente-potenziale dei metalli che presentano due stadi di valenza differenti evidenziano addizionali ramificazioni rispetto a quelli che presentano un unico stadio.
Gli ioni cromo trivalenti che sono rimossi dalle immediate vicinanze del catodo per convezione o per diffusione non sono disponibili per ulteriore riduzione, probabilmente come risultato della formazione di un complesso con la grande quantità di acido cromico presente. D’altra parte, gli ioni Cr3+ rimanenti nel film diffusivo sul catodo possono essere ridotti a cromo metallico. Che questa riduzione avvenga dal film formatosi al catodo, o dagli ioni Cr3+ disciolti, o direttamente dall’acido cromico non può essere ancora provato.
Il meccanismo della riduzione catodica dell’acido cromico si può immaginare che avvenga come segue:
Immergendo un catodo solubile, come rame o oro, in acido cromico, esso è disciolto essenzialmente nel suo stato di valenza più elevato dovuto all’alto potenziale di ossidazione dell’acido cromico. La dissoluzione cessa se il catodo diventa rivestito da un denso, compatto film (assenza di ioni estranei). Se il catodo è ora polarizzato, il primo processo che avviene è quello della riduzione degli ioni dei metalli ad alta valenza ad uno stato a bassa valenza. Il potenziale dell’acido cromico è attualmente più nobile del potenziale Redox dei metalli, e da un punto di vista termodinamico la riduzione dell’acido cromico deve essere il primo stadio. La riduzione è, comunque, un processo molto complicato che avviene in un numero di stadi ed è soggetto ad effetti di ritardo, così che la riduzione del metallo avviene prima per effetto della cinetica di reazione.
La concentrazione degli ioni a bassa valenza aumenta nella zona del catodo e inizia quindi la riduzione dell’acido cromico.
E’ certo anche che, come nel caso della deposizione catodica, la forma del metallo depositato è notevolmente influenzata dalla struttura del film diffusivo che ricopre il catodo, nel quale la presenza di una fase solida gioca un ruolo molto importante. L’esistenza di quest’ultimo è confermata dal fatto che particelle finemente suddivise di inclusioni di ossido presenti nel cromo elettrodepositato, si combinano per formare grandi particelle visibili al microscopio per effetto di un adatto riscaldamento.
In ogni caso la deposizione di cromo avviene in un intervallo di potenziale nel quale può avvenire evoluzione di idrogeno al catodo, cosicchè entrambi i processi non sono inseparabili, ma l’ultimo prende il sopravvento, e l’efficienza di corrente al catodo è generalmente nel range del 10-20% e può raggiungere il 35% in circostanze eccezionali. Il processo principale è in accordo con la formazione di idrogeno gassoso, seguita dalla riduzione dell’acido cromico a cromo metallico sia direttamente sia attraverso uno stadio intermedio costituito da un composto di cromo a bassa valenza.
La deposizione può alternativamente avvenire dal film di cromato presente allo stato solido che costantemente si consuma dalla parte del catodo, e simultaneamente si riforma dalla parte dell’elettrolita.
Il piombo, o le sue leghe, è usato come materiale anodico che si ossida anodicamente a biossido di piombo. Il principale processo anodico consiste nell’evoluzione di gas ossigeno. Gli ioni Cr3+ presenti nell’elettrolita sono ossidati ad acido cromico. Se la quantità di cromo trivalente ossidato all’anodo è equivalente a quella che si forma nell’elettrolita al catodo, il contenuto di questo rimane costante ad un valore di meno del 10% del contenuto di acido cromico. Se l’area dell’anodo è piccola, la densità di corrente anodica diventa grande e la riossidazione del cromo trivalente avviene a bassa efficienza di corrente, cosicchè incrementa gradualmente la sua quantità nell’elettrolita e può essere dannoso per le operazioni. Al contrario una grande area anodica può portare ad una riduzione del contenuto di Cr3+ .
Su anodi di Platino l’ossidazione di Cr3+ non avviene. Se una piccola quantità di piombo è aggiunta all’elettrolita essa viene depositata sull’anodo di platino come perossido di piombo e quest’ultimo catalizza l’ossidazione del Cr3+ ad acido cromico. L’uso dell’anodo di Platino non è praticato perché costoso.
Gli anodi di ferro oltre a non riossidare il Cr3+ si sciolgono nella soluzione e quando il contenuto di ferro in soluzione cresce sopra i limiti permessi provoca problemi alla deposizione per cui questo materiale non è adatto per operazioni continue.
Struttura e proprietà del deposito di cromo
L’elettrodeposizione del cromo differisce dagli altri processi di placcatura non solo per il tipo di bagno ma anche per la natura del metallo depositato. Con depositi molto sottili (sotto i 0,5 µm) si ottiene un deposito fortemente poroso. Con l’aumento dello spessore non si ha un aumento della porosità ma il deposito di cromo si rompe irregolarmente e perpendicolarmente alla superficie del substrato per cui il metallo risulta permeato da una sottile rete di crepe che giungono ad angolo retto sulla superficie. Questo deposito criccato viene gradualmente ricoperto da altro cromo, che a sua volta si crepa, per cui alla fine si otterrà un sandwich di depositi criccati uno sull’altro. Le criccature che si sovrappongono producono delle porosità che possono raggiungere il metallo base. Ciò succede finché il deposito non supera i 20µm. La formazione di una struttura criccata dipende dalla natura degli ioni estranei presenti nel bagno. Bagni che contengono fluoruri forniscono in genere una criccatura molto sottile; bagni al solfato forniscono un sistema a grana grossa mentre i bagni al solfato–fluoruro danno un deposito di struttura intermedia. La causa per cui si forma una struttura criccata sembra sia dovuta alla iniziale formazione di un idruro di cromo CrH stabile di struttura esagonale. Sembra che la struttura stabile dell’idruro sia la fcc. Il tipo di idruro che si forma dipende dalle condizioni di lavoro. La formazione di un idruro esagonale è favorita dalle basse temperature del bagno, dalle alte densità di corrente e dalla alta concentrazione di anidride cromica del bagno. La struttura cubica del cromo è altamente distorta principalmente per l’incorporamento di sostanze estranee nel film catodico e per l’assorbimento di idrogeno nel deposito. Con l’aumento della quantità di idrogeno assorbito la struttura cubica diventa instabile e passa alla forma esagonale, che ha una più elevata capacità assorbente. La liberazione dell’idrogeno legato chimicamente o assorbito fisicamente permette la ritrasformazione dell’idruro in cromo metallico (bcc). Il CrH è un idruro molto stabile e poiché la superficie del deposito tende ad assorbire ossigeno questo blocca la liberazione dell’idrogeno L’idrogeno è presente nel metallo parzialmente allo stato assorbito e parzialmente allo stato combinato. La completa decomposizione dell’idruro per riscaldamento porta alla formazione di cromo metallico (bcc) simile a quello prodotto termicamente. Questa trasformazione comporta una riduzione di volume del 15% per cui si sviluppano nel deposito delle tensioni interne. Ma poiché l’adesione del cromo al supporto è molto elevata la contrazione avviene in senso parallelo al substrato e produce la rottura degli strati di cromo. Queste crepe sono riempite con un film invisibile che è convertito a CrO3 per riscaldamento. A causa delle cricche presenti il peso specifico del cromo elettrodepositato è compreso fra 6,9 e 7,1 in funzione delle condizioni di elettrolisi mentre quello ottenuto per fusione è 7,138. Riscaldando l’idruro di cromo si accelera la sua decomposizione e a 600 °C comincia la ricristallizzazione che provoca l’aumento delle criccature e la diminuizione delle tensioni interne. Nel deposito si possono trovare degli ossidi che non sono visibili al microscopio ottico. Col trattamento termico questi si possono agglomerare in particelle visibili preferenzialmente al contorno dei nuovi grossi grani di cromo formatisi. La ricristallizzazione produce una netta riduzione della durezza sopra i 500 °C. Sopra i 600 °C la riduzione diventa trascurabile e può essere imputata alla perdita dell’idrogeno assorbito.
La formazione di depositi di cromo criccato è molto spesso richiesta. Il numero di cricche può essere aumentato mediante attacco chimico per sviluppare una superficie notevolmente porosa che ha la capacità di trattenere gli oli lubrificanti.
Al contrario è possibile produrre dei depositi non criccati ad elevati spessori partendo da elettroliti misti e operando in condizioni costanti dei parametri. La presenza del 15% di indio rapportato al contenuto di acido cromico a densità di corrente fra 15 e 45 A/dm2 fornisce questa condizione. Se la produzione di depositi esenti da criccature non è molto complicata, esistono comunque problemi per mantenere tale proprietà dopo la loro produzione. Quando il prodotto viene sottoposto a tensioni esterne possono ricomparire le criccature annullando il successo precedente.
La dimensione del grano del cromo è generalmente molto piccola (0,008-0,14mm) mentre le dimensioni dei cristalli ottenuti termicamente sono circa 1 mm. Le dimensioni limitate dei cristalli si possono attribuire alla decomposizione degli idruri prodotti inizialmente. Nella deposizione ad alte temperature gli idruri si formano in piccole quantità oppure si sviluppano solo idruri con vita molto breve. In questo caso i depositi hanno tensioni interne molto basse e limitate criccature. I depositi di cromo lucidi hanno in genere una grana più fine e presentano dei cristalli orientati parallelamente alla superficie. Presentano una fitta rete di criccature e contengono inclusioni. Questi hanno una resistenza alla corrosione minore rispetto ai depositi opachi che hanno invece cristalli senza orientamento preferenziale, sono meno criccati e hanno meno inclusioni. Molte criccature del cromo sono originate da difetti del substrato che vengono poi trasferiti al cromo sovrastante.
Come è già stato detto ,l’idruro di cromo che inizialmente si forma nella deposizione prima o poi si decompone in cromo metallico ed idrogeno. Il metallo base rimane così parzialmente non protetto dal cromo e vi è la possibilità che questo assorba idrogeno specialmente quando questo metallo è ferro o nickel. Le tensioni interne del metallo base prodotte dall’assorbimento di idrogeno possono indurre difetti sul deposito di cromo. I cambiamenti di volume nel deposito dovuti alla decomposizione degli idruri portano alla formazione di tensioni interne. In accordo con diversi studi si nota che le tensioni di compressione si sviluppano prima nel nickel che nel cromo per effetto dell’assorbimento di idrogeno. Queste vengono trasferite al cromo dove compensano parzialmente le tensioni di trazione dello stesso. All’aumentare dello spessore l’effetto del substrato diminuisce fino a sparire. Questo risultato è stato ottenuto con uno spessore di cromo di 0,02 a 0,6mm. Inizialmente le tensioni sono di compressione e sono da attribuire al metallo base poi gradualmente diminuiscono fino ad annullarsi a 0,5mm per poi diventare di trazione. Quindi la decomposizione dell’idruro di cromo inizialmente non gioca ruoli significativi nello sviluppo delle tensioni nel cromo ma molto di più nella crescita dei singoli cristalli. Sono stati misurati in uno spessore di 2 mm i valori delle tensioni interne che sono variati da un valore di compressione di 2200 kgp/mm2 ad uno di trazione di 1350 kgp/mm2; in genere però i valori delle tensioni di trazione variano da 0 a 240 kgp/mm2. I più alti valori delle tensioni interne sono stati trovati nei depositi di cromo ottenuti da bagni al fluoruro o al tetracromato. Con temperature e intensità di corrente elevate si ottengono depositi poco tensionati o addirittura con tensioni di compressione. La condizione di formazione di un deposito non stressato non corrisponde ad una regola come può essere quella che porta alla formazione di un deposito di cromo lucido. Aumentando la temperatura dell’ elettrolita sotto condizioni costanti degli altri parametri le tensioni interne prima aumentano per poi diminuire. Particolari aggiunte all’ elettrolita come ad esempio acido selenico agiscono sulle tensioni interne. Se le tensioni interne superano il limite di rottura del cromo allora il deposito si cricca, condizione che si verifica normalmente quando si supera lo spessore di 2 mm. Una parziale criccatura riduce il valore delle tensioni interne sebbene la loro presenza debba essere sempre considerata. In particolare con depositi di cromo di elevato spessore queste tensioni possono essere latenti ma possono condurre alla formazione di ulteriori criccature come conseguenza di azioni meccaniche esterne. Una riduzione sostanziale delle tensioni interne può essere ottenuta con il riscaldamento. Questo non è necessario nel caso di depositi lucidi sottili che sono permeati di fessurazioni. Al contrario il trattamento termico diventa necessario per ridurre le tensioni a valori accettabili per l’uso pratico.
PROPRIETA’ MECCANICHE
La struttura del cromo elettrodepositato e’ responsabile della elevata durezza dei depositi. I depositi di cromo più duri sono due volte più duri di metalli quali ferro, cobalto e nickel . Sono anche molto più duri degli acciai temprati. La durezza Vickers, che è determinata mediante l’uso di una punta di diamante piramidale caricata con un peso prefissato, è compresa fra 1000 kg/mm2 e 1200 kg/mm2.
Sempre in riferimento alla durezza del cromo si trovano frequentemente valori variabili. Questo è principalmente dovuto al fatto che le durezze dipendono dalle condizioni di deposizione. Questo fatto è stato studiato e viene sempre tenuto presente nelle misure di durezza. Un’altra causa di discordanza dei dati e dovuta ai limitati spessori dei depositi che sono anche caratterizzati da una fitta rete di criccature, perciò depositi identici possono presentare differenti valori quando vengono determinati con diversi metodi. Ovviamente si possono fare solo misure di microdurezza con pesi inferiori ad 1 Kg (generalmente 200 gr). E’ usuale misurare la profondità dell’ impronta, o la diagonale dell’ impronta fatta dalla piramide di diamante. Nel caso di una durezza Vickers si ottiene una impronta quadrata. Col metodo Knoop si ottiene un’impronta rombica. Nella determinazione della durezza di questi depositi bisogna che il metallo base non influenzi i risultati. Perché ciò non accada la profondità dell’impronta deve essere una frazione dello spessore del deposito. E’ spesso conveniente condurre la prova su una sezione di spessore molto elevato. Poiché’ le impronte sono funzioni del peso , questo va specificato per ogni prova. Le misure di durezza vengono fatte con il metodo Vickers utilizzando un diamante piramidale con un angolo di 136° fra le facce o con il metodo di Knoop utilizzando una piramide rombica con angoli di 72°30’ e 130° fra due facce. La profondità della impronta è 1/7 della diagonale del quadrato dell’ impronta nel metodo Vickers. Nel caso del metodo di Knoop l’ impronta è profonda 1/30 della lunghezza della diagonale del rombo. Sembra quindi vantaggioso l’uso del metodo Knoop, specialmente per depositi sottili poiché questo metodo ha una penetrazione inferiore. La durezza Knoop può essere trasformata in durezza Vickers con opportune tabelle.
Un errore comune che viene compiuto nell’uso dei valori di durezza di un deposito è quello di legarlo direttamente alla resistenza all’abrasione o alla resistenza in generale. Tuttavia non solo la durezza ma anche la duttilità e l’elasticità sono fattori che influenzano la resistenza all’usura. Quindi nessuna conclusione può essere tratta riguardo la resistenza all’abrasione da misure di durezza ne inversamente. Tenendo presente l’importanza della cromatura dura nelle applicazioni industriali la questione delle misure di durezza e di resistenza all’usura è di primaria importanza. Mentre vi sono molti metodi standardizzati per le misure di durezza, nel caso delle misure di resistenza all’abrasione prevale un sistema di prove più personalizzate. Vari sono i metodi usati per la misura della resistenza all’abrasione come ad esempio la riduzione dello spessore, la perdita di peso, il volume abraso, il consumo di abrasivo, il tempo per ridurre lo spessore di un certo valore in seguito a continuo sfregamento. In ogni caso metodi diversi producono risultati diversi. Sono stati riportati i risultati di molte prove mettendo in relazione la durezza con la resistenza all’abrasione come si vede in fig 8.
Volumi elevati indicano maggior usura e bassa resistenza all’abrasione. Sono stati testati più di 100 depositi di cromo da differenti bagni e differenti condizioni di deposizione; i relativi valori della durezza Vickers e dei volumi abrasi sono stati racchiusi all’interno delle due curve. Si è visto che i depositi di cromo duro con HV=750-800 kg/mm2 hanno una elevata resistenza ad usura poiché con questi valori esiste un rapporto più favorevole fra durezza e duttilità (fig.9).
Il fenomeno per cui si osserva il valore ottimale delle caratteristiche abrasive a valori intermedi di durezza può essere notato anche con i depositi di oro. Questi depositi sono spesso utilizzati nei contatti elettrici dove sono imposti stress di sfregamento. Vengono utilizzati depositi di oro con durezza di 400 kg/mm2 ma questi hanno una scarsa resistenza ad usura mentre sono più adatti depositi con durezza di 250 kg/mm2. Che le condizioni del substrato influenzino la resistenza ad abrasione del cromo è accertato. Cilindri per alta pressione che sono rivestiti di rame come substrato del cromo hanno durata completamente diversa a seconda del tipo di deposito di rame. Su un deposito orientato il cromo ha una scarsa aderenza e la vita di questo deposito è un decimo di quella di un cromo deposto su un rame a orientamento irregolare. Lo spessore del cromo ha un’influenza sulla vita dello stesso e questa non è interamente proporzionale allo spessore ma decresce rapidamente a bassi spessori. Se la resistenza all’abrasione deve essere la caratteristica fondamentale del deposito questo deve avere almeno uno spessore di 7,5mm.
Il colore del cromo è bianco con riflessi azzurrini. Il coefficiente di riflessione di una superficie pulita di cromo è del 55% rispetto ad una argentata e lucidata nel campo del visibile. Tuttavia queste proprietà riflettive vengono mantenute per lunghe esposizioni all’atmosfera mentre tutti sanno che l’argento si opacizza in breve tempo. L’argento perde le sue proprietà riflessive specialmente in ambienti solforati mentre il cromo rimane inalterato.
Attualmente nel campo della moda si tende ad incoraggiare il deposito opaco o semiopaco piuttosto che il deposito lucido. Questo accade ad esempio nel campo ottico o automobilistico ove l’effetto lucido deve essere evitato, oppure nel campo decorativo dove magari viene preferito l’effetto opaco. E’ risaputo che la produzione di un deposito opaco è molto più difficoltosa di quello lucido specialmente su superfici molto larghe. Queste difficoltà possono essere evitate depositando un substrato opaco di nickel o rame oppure utilizzando un trattamento meccanico di opacizzazione come la sabbiatura. Su questa superficie viene poi depositato un film di cromo lucido che non comporta variazioni apprezzabili dell’originaria opacità.
Una proprietà del cromo elettrodeposto è il suo basso coefficiente di frizione. In particolare il suo coefficiente d’attrito a secco è il più basso di tutti i metalli.
Tab. 1: Coefficiente di attrito di vari metalli
Combinazione |
Coefficiente d’attrito |
|
|
Statico |
Dinamico |
Cromo su cromo |
0.14 |
0.12 |
Cromo su metalli bianchi |
0.15 |
0.13 |
Cromo su acciaio |
0.17 |
0.16 |
Acciaio su metalli bianchi |
0.25 |
0.20 |
Metalli bianchi su metalli bianchi |
0.54 |
0.19 |
Acciaio su acciaio |
0.30 |
0.20 |
Il coefficiente di frizione del cromo su ferro aumenta all’aumentare della temperatura mentre nel caso dell’acciaio su ferro non cambia. L’attrito diminuisce con la lubrificazione. Si è visto che l’aggiunta di un acido grasso ad un olio neutro ha un favorevole effetto sulla lubrificazione dell’acciaio mentre è inefficace nel caso di superfici cromate. La scarsa bagnabilità delle superfici cromate ha spesso un effetto indesiderato sulle condizioni di scorrevolezza. Da queste considerazioni il cromo non rappresenta mai una soluzione ottimale. Data la sua scarsa bagnabilità viene utilizzato dove non è possibile lubrificare come nello stampaggio della plastica dei vetri e dei metalli nell’industria tessile e nei vari campi dell’industria alimentare.
I depositi di cromo contengono spesso apprezzabili quantità di idrogeno ed ossigeno. Le quantità di questi dipendono dalla concentrazione del bagno, dalla densità di corrente e dalla temperatura. Il contenuto di idrogeno diminuisce considerevolmente con l’aumento della temperatura di elettrolisi, ma solo leggermente con l’aumento della densità di corrente. Per esempio con una densità di corrente di 50 A/dm2 ed una soluzione alla temperatura di 35 °C si ottiene un contenuto di idrogeno nel deposito di 0,07%. A 55°C diventa lo 0,05% e a 80°C lo 0,03%. L’idrogeno può essere gradualmente eliminato dal cromo per riscaldamento del pezzo. Di regola circa il 50% di idrogeno può essere eliminato per prolungato riscaldamento a 200°C. L’idrogeno residuo può essere eliminato per fusione sotto vuoto. Esso fuoriesce dal deposito sotto forma di gas molecolare e non sotto forma di acqua benché nel cromo sia presente anche dell’ossigeno.
Contrariamente a quanto si può pensare l’idrogeno non ha una particolare influenza sulla durezza del cromo ma ne causa solo un piccolo aumento per effetto della distorsione del reticolo. Contrariamente ha un maggior effetto sulla fragilità.
Il contenuto di ossigeno nel cromo elettrodepositato dipende prevalentemente dalla temperatura dell’elettrolita. Da un elettrolita comune a 20°C il metallo contiene circa l’ 1% di ossigeno; a 50°C ne contiene lo 0,4% e a 85 °C lo 0,1 %. In generale i depositi con contenuto di ossigeno sono più duri di quelli che non ne contengono.
L’elevata resistenza alla corrosione atmosferica da parte del cromo dipende, come nel caso dell’alluminio, dalla formazione di un sottile strato di ossido che lo protegge da un’ulteriore ossidazione. Fino a circa 300°C il cromo non subisce opacizzazioni palesi e solo per esposizioni prolungate sopra questa temperatura si manifesta un imbrunimento della superficie dovuto all’aumento dello spessore dell’ossido. Se la temperatura supera i 500°C l’ossido assume un colore bluastro.
L’ossido che si forma agisce da protezione contro diversi aggressivi chimici, cosicché il cromo pur non essendo un metallo nobile dal punto di vista del potenziale normale mostra un alto grado di resistenza all’attacco chimico per effetto dello strato passivo. Agenti ossidanti o riducenti hanno scarso effetto sul cromo, tuttavia è rapidamente attaccato dall’acido cloridrico e moderatamente dall’acido solforico e nitrico diluiti. L’attacco acido ha inizio dalle criccature. Bisogna notare che la scarsa bagnabilità del cromo ha un effetto favorevole sulla resistenza a corrosione. Questo significa che la superficie microcriccata ha una resistenza alla corrosione più alta di quella che ci si potrebbe aspettare sulla base della porosità. La resistenza alla corrosione per effetto della passivazione è solo di limitato valore nel caso di rivestimenti elettrodeposti. In tutti i depositi decorativi e spesso in molti rivestimenti di cromo duro non esiste un deposito che sigilli completamente il substrato. Esso è sempre comunque costituito da un certo numero di criccature e porosità che lo attraversano. Il sistema protettivo alla corrosione non può essere attribuito solo al cromo bensì alla combinazione del cromo con altri metalli che sono molto meno nobili rispetto ad esso.
Il risultato è che il rivestimento di cromo forma degli elementi elettrochimici locali con il materiale base in cui quest’ultimo rappresenta l’anodo solubile ed è quindi corroso rapidamente; ciò porta alla dissoluzione dell’intero substrato o anche alla formazione di pitting che penetrano fino al metallo base causandone il suo attacco. Questo fatto si nota ancora spesso nella pratica industriale. Si utilizzano ancora depositi di cromo con spessori di circa 0,25 mm sopra un substrato metallico. Si nota che il cromo microfessurato accelera notevolmente l’azione corrosiva sul nickel sottostante.
La ragione per cui si trovano spesso difetti nel nickel è dovuta all’applicazione di un cromo poroso su di esso. Prove fatte su nickel rivestito in cromo e non, dimostrano la elevata tendenza alla corrosione del nickel rivestito con un basso spessore. Il cromo non poroso con uno spessore almeno di 18-20 mm dimostra invece una eccellente protezione alla corrosione che dura nel tempo anche per l’elevata resistenza all’abrasione. Per assicurarsi contro la corrosione da gas è necessario avere un deposito di cromo di almeno 30 mm. Lo straordinario campo di applicazione dei depositi decorativi, specialmente quelli esposti all’atmosfera esterna (industria automobilistica), è la conseguenza degli studi condotti in vari paesi.
Costituenti di un bagno di cromo e loro azione
Nella produzione di elettrodepositi di cromo vengono usate soluzioni di cromo esavalente (anidride cromica o acido cromico). Inizialmente i primi tentativi di deposito del cromo sono stati condotti con cromo trivalente ma ancora adesso i risultati non sono soddisfacenti se paragonati con il deposito da anidride cromica.
I bagni di cromo operano senza eccezione con anodi insolubili cosicché tutto il metallo depositato è prelevato dalla soluzione e quindi deve essere continuamente rimpiazzato. Questo viene fatto aggiungendo anidride cromica.
Si deve tener presente che non è possibile depositare cromo da soluzioni pure di acido cromico ma che invece è necessaria la presenza di piccole quantità di anioni estranei chiamati catalizzatori costituiti generalmente da solfati, fluoruri, fluosilicati o fluoborati. Poiché la quantità di anioni estranei è dell’ordine dell’1% del contenuto di acido cromico e la loro concentrazione agisce in maniera determinante sul risultato della deposizione, è conveniente utilizzare dell’acido cromico molto puro sia per la formazione del bagno che per la sua manutenzione. Se questo non è possibile è conveniente conoscere la concentrazione in acido solforico dell’anidride cromica utilizzata per poter eseguire in modo appropriato l’aggiunta di catalizzatore mancante.
La concentrazione di acido cromico generalmente varia da 150 a 400 g/l. Basse concentrazioni permettono rendimenti di corrente maggiori e riducono i problemi delle emissioni sia aeriformi che liquide. Soluzioni concentrate hanno maggior conducibilità e quindi richiedono minor tensione ovvero minor potenza impegnata; inoltre sono meno sensibili alle impurezze e alla variazione di concentrazione. Le soluzioni diluite forniscono depositi più tensionati mentre quelle concentrate hanno miglior potere penetrante. Queste differenze non sono però molto determinanti nella scelta di un elettrolita. Le proprietà di un cromo elettrolitico dipendono non solo dal contenuto di acido cromico ma anche dalla natura e dalla quantità di catalizzatore utilizzato, dalle condizioni operative, dalle impurezze (come ferro e cromo trivalente) presenti in soluzione. La variazione di un parametro influenza l’effetto degli altri.
Solfati, fluoruri, fluosilicati, fluoborati o miscele di questi sono esempi classici di catalizzatori utilizzati. Se non è presente un catalizzatore il cromo non si deposita al catodo nelle condizioni usuali di corrente. A bassi potenziali catodici è possibile che non si abbia nessun apprezzabile passaggio di corrente. Con polarizzazione catodica più elevata si ha sviluppo di idrogeno senza deposizione di cromo. A densità di corrente più alte, il cui valore dipende dal tipo di elettrolita, invece si deposita cromo.
Se è presente una quantità troppo piccola di catalizzatore inizialmente non passa nessuna corrente oppure la corrente passa senza generare deposito di cromo ma solo con la formazione di un deposito di ossido bruno.
Un eccesso di catalizzatore si evidenzia con effetti diversi. Innanzitutto influenza il potere penetrante del bagno. Con valori molto alti di concentrazione di catalizzatore il rendimento di corrente diminuisce rapidamente e la deposizione del metallo viene completamente inibita.
Gli anioni estranei possono essere aggiunti come acidi liberi o come sali alcalini o alcalino terrosi. Il più utilizzato è il solfato che viene aggiunto nel rapporto CrO3:SO4 compreso fra 80 e 120 con un valore ottimale di 100. E’ importante notare che la quantità di catalizzatore non rappresenta una quantità assoluta ma è sempre relativa alla concentrazione di anidride cromica.
Al posto del solfato può essere aggiunto del fluoruro nella concentrazione da 1,5 a 4%. I fluoruri permettono di operare a rendimenti di corrente maggiori e quindi con una velocità di deposizione più elevata. Da soluzioni che contengono solo acido fluosilicico si deposita cromo più duro. Questi bagni presentano lo svantaggio di essere più sensibili alle impurezze quali il ferro per cui è necessario avere un maggior controllo nella conduzione del bagno. Inoltre il controllo analitico dei fluoruri è complicato e inoltre questi sono molto aggressivi nei confronti dei materiali ceramici di cui possono essere costituiti i riscaldatori e nei riguardi degli anodi di piombo. Particolarmente svantaggiosa è l’aggressività nei riguardi delle zone catodiche dove la densità di corrente è molto bassa, o delle zone non ben protette dalle vernici utilizzate per ottenere cromature selettive. L’uso di questi bagni non è quindi molto consigliato e si ricorre piuttosto all’utilizzo di fluoruri complessi quali la criolite (fluoruro sodico di alluminio) o i fluoborati che presentano questi inconvenienti in misura molto più limitata. Sono invece consigliate aggiunte di fluoruri dei metalli delle terre rare che aumentano il potere coprente, il potere penetrante, e danno una grana più fine con una maggior velocità di deposizione.
In questi ultimi anni sono stati introdotti bagni contenenti piccole quantità di sali quali il solfato di stronzio (SrSO4) ed il fluosilicato di potassio . Questi sali hanno una solubilità in acido cromico tale da fornire una concentrazione di ioni solforici e fluoridrici corrispondente a quella ideale per la deposizione del cromo. Bisogna tener presente che la solubilità di questi sali è funzione della temperatura e della concentrazione dell’acido cromico, Questi due parametri possono variare in un intervallo definito ma sufficientemente largo per una buona riuscita dell’elettrodeposizione. Per queste caratteristiche tali bagni autoregolanti vengono chiamati SRHR (self regulating high speed). La presenza di un eccesso di sale insolubile sul fondo del bagno permette di evitare un controllo continuo del catalizzatore la cui quantità nella soluzione va via via diminuendo per effetto dello scodellamento ma viene ripristinata dall’equilibrio di solubilità del solido. L’unica avvertenza da tenere presente è che il riequilibrio della solubilità di questi sali per una variazione di temperatura o di concentrazione dell’acido cromico non è istantanea ma richiede un certo intervallo di tempo funzione delle variazioni.
Oltre all’acido cromico e al catalizzatore il bagno di cromo contiene anche del cromo trivalente. Questo viene aggiunto al bagno sotto forma di sale di cromo(III) o viene fatto generare dall’acido cromico per aggiunta di un riducente organico come alcool, acido citrico, tartarico, ossalico o zucchero. Durante l’operazione di elettrodeposizione il cromo trivalente si forma spontaneamente al catodo mentre si riossida all’anodo. Questo cromo che si trova distribuito nella soluzione per effetto della diffusione e convezione si pensa non prenda parte direttamente alla riduzione a cromo metallico ma che abbia comunque una qualche influenza sulla stessa. Probabilmente non esiste come ione libero Cr3+ ma è complessato con il catalizzatore o con il gruppo cromato.
Si è verificato che piccole quantità di cromo trivalente aumentano il potere penetrante e nello stesso tempo diminuiscono il rendimento di corrente. Sulla quantità di cromo trivalente necessaria le opinioni divergono. Le ipotesi vanno da 2 a 20 g/l. Esperienze personali su cromatura lucida a 40 °C e 300 g/l di CrO4 in un bagno autoregolato limitano il valore a 7g/l. Questi valori così discordanti dipendono dalle impurezze presenti nel bagno e maggiori sono queste minore è la necessità di cromo trivalente. Quando un bagno lavora, se il cromo(III) non si mantiene costante, è necessario intervenire sulla superficie anodica. Quando, per la configurazione dei pezzi non è possibile ottenere questo giusto rapporto si utilizza una vasca di servizio collegata alla principale mediante una pompa. Essa ribilancia il rapporto superficie catodica / superficie anodica. che deve essere basso per la riossidazione e alto nel caso contrario. Anche se il valore della concentrazione del cromo trivalente non è importante come quella del catalizzatore un suo controllo saltuario è comunque conveniente in quanto serve per conoscere la stabilità dello stesso specialmente nei riguardi degli anodi.
Se ad un bagno di acido cromico con circa 400 g/l di anidride cromica vengono aggiunti 60 g/l di NaOH si ottiene una soluzione di cromatura in cui l’acido cromico è parzialmente neutralizzato a tetracromato. Questi bagni sono caratterizzati da una elevata conducibilità e da un rendimento di circa il 30% quindi il doppio di un bagno standard. Poiché il tetracromato si decompone ad alte temperature e in genere si lavora con alte densità di corrente, è necessario raffreddare la soluzione a temperatura ambiente. L’aggiunta di acido borico ( 5-10g/l ) evita la formazione di macchie e produce depositi più lucidi e duri. Anche l’aggiunta di piccole quantità di composti del magnesio o del tungsteno migliorano le proprietà del deposito. L’aggiunta di selenio, titanio o zirconio da la possibilità di ottenere depositi lucidi direttamente dai bagni al tetracromato, altrimenti da questi bagni si ottengono depositi opachi che sono però lucidabili.
L’aggiunta di magnesio fluoruro aumenta il potere coprente di un bagno standard. Additivi organici molto utilizzati nei bagni convenzionali di ogni tipo non hanno trovato grosse applicazioni nei bagni di cromo a causa dell’eccessivo potere ossidante. Sembra comunque accertato che aggiunte di acido glicolico o di acido diclorosuccinico e di altri acidi organici aumentino il potere penetrante, il potere coprente ed il campo di variabilità della densità di corrente. Non è ben definito se ciò coincida con l’aumento entro dati limiti della quantità di cromo trivalente generato per riduzione.
Una tipologia di additivi molto importanti è rappresentata dalle sostanze organiche che vengono aggiunte per ridurre la formazione di nebbie cromiche. Infatti a causa dell’elevata produzione di gas agli elettrodi questi asportano delle nebbie contenenti la soluzione cromica. Questa nebbia è accentuata dalla viscosità della soluzione. L’aggiunta di tensioattivi diminuisce la viscosità e riduce la possibilità di formazione di nebbie. Naturalmente questi tensioattivi devono resistere all’ossidazione della soluzione e appartengono alle famiglie dei fluorurati.
Durante la lavorazione queste sostanze generano una schiuma che evita la fuga dei gas rallentando la loro emissione e favoriscono la loro espulsione mediante i collettori di aspirazione che si trovano sul bordo vasca.
Le soluzioni di cromo esavalente hanno notevoli svantaggi che possiamo così elencare:
Per questi motivi si è pensato di sostituire il cromo esavalente con quello trivalente e sono stati depositati diversi brevetti. Sono state proposte soluzioni al solfato, al cloruro, al perclorato con complessi organici ed inorganici. Varie sostanze sono state indicate come additivi quali urea e formaldeide. La densità di corrente è paragonabile a quella dei bagni all’acido cromico. Sono stati proposti anche bagni in sali fusi come quello costituito da cloruro di cromo (CrCl3) in miscela con cloruri di sodio e di potassio (NaCl e KCl) a 800°C, e soluzioni di sali di cromo in solventi organici quali formammide ed acetammide. Di tutte queste proposte non si sono avute applicazioni pratiche di rilevanza industriale esclusa una soluzione che ha avuto qualche applicazione in Inghilterra. Questa contiene cloruro di cromo, sodio e ammonio cloruro e acido borico in soluzione al 40% di dimetilformammide (DMF) in acqua. Il cromo è depositato a 25°C e a pH 1.0 con una densità di corrente media pari a 12 A/dm2 . L’efficienza catodica è sufficientemente alta con un minimo di 0,25 mm al minuto. Con questo spessore il deposito è microporoso mentre a 1,25mm è totalmente microfessurato. Il colore del deposito ottenuto da questo bagno è diverso da quello ottenuto dai bagni convenzionali decorativi che presentano un aspetto bluastro. Test di esposizione ad ambienti esterni sia mobili che fissi hanno dimostrato che questi depositi hanno caratteristiche simili a quello dei sistemi microcriccati e superiori rispetto ai sistemi tradizionali.
Un altro sistema che ha il vantaggio di non necessitare dei diaframmi di separazione fra la zona anodica e quella catodica è costituito da un complesso alogenocarbossilato che ha però lo svantaggio di produrre cloro all’anodo di carbone oltre che fornire un deposito decisamente grigio opaco. Il potere coprente è tuttavia eccezionale come del resto la distribuzione del metallo per densità di corrente di 10-100 A/dm2. Dopo lungo tempo è stato presentato un processo con applicazioni commerciali e brevettato in diversi stati. Questo sistema è ragionevolmente semplice da condurre e richiede vasche in plastica, anodi di carbone con ganci in titanio. L’alimentazione elettrica richiede una densità di corrente di 10 A/dm2 e una tensione di 6-10 V. L’ agitazione della soluzione con aria è necessaria per una miglior distribuzione del deposito. Si opera a freddo, preferibilmente a 20-25 °C per cui diventa necessario un sistema di raffreddamento. I problemi di inquinamento sono minimizzati data la presenza di cromo trivalente che può essere precipitato dalla soluzione con idrato sodico e non presenta emissioni di nebbie durante il processo di elettrolisi. Il colore del deposito si avvicina a quello dell’ acciaio inox ed i costi di manutenzione sono ridotti. La composizione della soluzione non è nota ma si sa che contiene del cromo complesso, sali conduttori ed un tensioattivo speciale. Il contenuto di cromo è circa 20 g/l che va reintegrato in base al consumo. Il pH è mantenuto fra 2,5 e 3 con ammoniaca o acido cloridrico e la velocità di deposizione è di 0,8-1,5 mm con una densità di corrente di 10 A/dm2.
In questi ultimi tempi la ricerca si è spinta verso la possibilità di deporre leghe di cromo con altri metalli basati sull’utilizzo di soluzioni contenenti cromo trivalente ed in particolar modo leghe con ferro, cobalto e nickel e altri metalli pesanti. In particolare lo scopo è prevalentemente quello di ottenere una composizione simile all’acciaio inossidabile. Generalmente è possibile depositare solo spessori molto sottili mentre, mantenere una costanza di concentrazione e di parametri del bagno per produrre un deposito di composizione costante, è quasi impossibile. Si deve notare che queste leghe, anche se hanno una composizione analoga ad un acciaio, hanno comunque una struttura completamente diversa e quindi anche il comportamento alla corrosione non è in genere quello che ci si aspetterebbe.
INFLUENZA DELLE CONDIZIONI OPERATIVE SULLE PROPRIETA’ DEI DEPOSITI DI CROMO
Per placcature di tipo decorativo, la più importante proprietà è la perfetta lucentezza del deposito. Agli inizi della cromatura, quando non era semplice lucidare i depositi di cromo dopo la deposizione, per la mancanza di mezzi lucidanti, la produzione diretta di depositi lucidi dal bagno era essenzialmente un pre-requisito per le applicazioni pratiche del processo. La conoscenza che era possibile produrre depositi lucidi che resistevano all’opacizzazione per lungo tempo, contribuì in grande misura alla ricerca di altri elettrodepositi metallici. Lo sviluppo dei moderni bagni lucidi dei vari metalli è perciò una diretta conseguenza della produzione di cromo lucido.
Ora è infatti possibile lucidare un deposito di cromo opaco con un’ alta finitura, sebbene questo post-trattamento comprenda spese addizionali e produca anche un minor effetto attrattivo rispetto al deposito diretto di cromo,così che ci si è ancora più orientati sulla produzione diretta di cromo lucido. Per le soluzioni di cromo normalmente utilizzate che contengono acido cromico in concentrazione da 150 a 500 g/l e 1% di catalizzatore, esistono definite densità di corrente e un definito intervallo di temperatura nei quali il cromo è depositato come cromo lucido. La relazione fra temperatura del bagno e densità di corrente è visualizzata in Fig.10.
Il cromo lucido è depositato all’interno della sezione tratteggiata; fuori di quest’area si ottiene un deposito opaco. La transizione tra deposito brillante e deposito non lucido non è netta. La forma della zona può essere alterata variando la composizione della soluzione ma il modello rimane valido come principio.
La dimensione del grano di cromo depositato nella forma lucida è straordinariamente piccola (per esempio 0,008 mm). La determinazione della dimensione del grano è possibile solo al microscopio elettronico o mediante metodi che sfruttano i raggi X.
Il cromo che è stato depositato in forma non lucida ha un grano con dimensione molto più elevata (circa 100 mm). Questo deposito non possiede la stessa struttura del cromo lucido.
Si può osservare dalla figura 10 che a basse temperature l’intervallo di densità di corrente del deposito lucido è più piccolo che alle alte temperature. Questo è di notevole importanza nella deposizione del cromo lucido. Se una densità di corrente media che sta entro l’intervallo di temperatura è applicata su un telaio di montaggio pieno di componenti, è possibile che per effetto dello scarso potere ricoprente del bagno di cromo, ci sia una diversa densità di corrente nelle diverse parti della superficie. Questo può essere il caso di un articolo completamente piatto, ma ciò succede anche su un campione sagomato. Nel caso di un intervallo di densità di corrente stretto il valore locale per la deposizione lucida può molto facilmente andare fuori del range ottimale e produrre una superficie opaca.
Nel caso in cui si operi con valori di densità di corrente medi, la tolleranza è più elevata che nel caso di corrente agli estremi del range di deposizione a causa della temperatura permessa del bagno. Temperature del bagno troppo elevata o densità di corrente troppo bassa portano ad un aspetto lattiginoso. Se la temperatura sale ancora il deposito risulta completamente opaco e successivamente scuro. Una eccessiva densità di corrente o una bassa temperatura portano ad un deposito anche in questo caso opaco e irregolare.
Tutto questo vale per depositi di cromo al di sotto di 1 mm e di regola compresi tra 0.25mm e 0.5mm. Con depositi più spessi si perde la lucidità. In alcuni casi eccezionali si può arrivare anche a 10 mm.
I bagni al tetracromato generalmente portano a depositi opachi che sono però facilmente lucidabili. Recentemente è diventata praticabile la deposizione diretta di cromo lucido da soluzioni di tetracromato modificate.
Dal momento che il cromo lucido è depositato solamente in film sottili, la qualità del substrato gioca un ruolo importante; la presenza di un substrato lucido è essenziale. Inoltre la natura chimica della base è anch’essa importante; per esempio il range lucido è più importante nella cromatura di rame e sue leghe che nel caso di nickel, ferro o acciaio.
In bagni di composizione media compresa tra i 200 e i 500 g/l di CrO3 con ioni solfato come catalizzatori nel rapporto 1:95 o 1:115 si ottiene un deposito lucido con una corrente compresa tra 7 e 20 A/dm2 a temperature comprese tra 30 e 55°C. Al di fuori di quel range il deposito diventa sempre più opaco.
L’aumento della concentrazione di acido cromico induce una restrizione del range di deposizione lucida. Aumentando la quantità di ioni solfato con contenuto di acido costante si porta il range a valori di densità di corrente più elevati. Nei bagni contenenti fluoruri la zona di deposizione lucida è normalmente diversa che nel caso del solfato, dovuta al fatto che un alto grado di lucidità può essere ottenuto da soluzioni più fredde. In elettroliti acidi contenenti sia solfato che silico-fluoruri, un eccesso di silico-fluoruri riduce la lucidità. Contaminanti, specialmente quelli che portano a elevate concentrazioni di cromo trivalente e di ferro, riducono la lucidità del deposito.
Un bagno non è però caratterizzato da singoli parametri, ma tutte le condizioni separate devono essere lasciate costanti se vogliamo ottenere risultati riproducibili. Bisogna prendere in considerazione lo scarso potere coprente e penetrante delle soluzioni di cromo convenzionali che possono fornire risultati differenti in punti a densità di corrente diversa. Densità di corrente più alte sono convenienti per soluzioni con potere penetrante basso. La distribuzione di corrente sopra l’intera area catodica deve essere sempre tenuta in conto nella scelta della densità di corrente ottimale.
Il colore del deposito di cromo è bianco con riflessi azzurrini e si distingue dal colore giallo-bianco del nickel. La tonalità può tuttavia variare essendo in molti casi lucido e brillante e in altri opaco. Per ottenere un colore brillante il punto più importante è di galvanizzare una base estremamente lucida. Particolarmente buono è il metallo base che ha subito brillantatura anodica o un substrato prodotto da un bagno di placcatura lucida. Il cromo opaco che è stato lucidato meccanicamente con finitura lucida spesso non ha lo stesso buon aspetto di un cromo depositato direttamente lucido. Ha un aspetto smorto probabilmente causato da tracce di residui di pulitura trattenuti dalla superficie. Una pulitura successiva deve essere vista come una operazione di emergenza ed è buona regola strippare e riplaccare i depositi opachi e parzialmente opachi.
Durezza e resistenza all’abrasione
A parte la lucentezza che il cromo mantiene per lungo tempo dovuta alla sua alta resistenza alla corrosione, la sua elevata durezza è la seconda proprietà importante del cromo elettrodepositato, e quello che è chiamato cromo duro ha una importanza uguale a quello decorativo. La durezza di un deposito di cromo varia tra ampi limiti, e queste variazioni sono causate dal cambiamento della composizione del bagno e dai parametri operativi.
E’ inoltre noto che le proprietà di durezza e resistenza all’abrasione di un deposito di cromo duro viaggiano parallelamente le une alle altre ciò che non avviene per gli altri metalli.
I più importanti fattori che influenzano la deposizione di cromo sono la concentrazione di cromo del bagno, il tipo e la quantità di catalizzatori, il tipo e la quantità di cationi, le impurezze della soluzione, la temperatura del bagno e la densità di corrente alla quale avviene la deposizione.
La più semplice è la relazione tra la durezza e la concentrazione di acido cromico. Se la concentrazione di CrO3 aumenta, tenendo costante il rapporto CrO3 su SO4, la durezza del cromo è ridotta di qualche ordine di grandezza. L’effetto dei cambiamenti di concentrazione sulla resistenza all’abrasione sembra avere lo stesso comportamento, ma in modo maggiore. Una soluzione più diluita porta ad un deposito più duro e resistente all’usura, ma durante il processo la concentrazione cambia e quindi le caratteristiche del deposito non saranno uniformi. Ci saranno allora stress residui che rendono il campione più fragile. E’ necessario quindi mantenere la concentrazione del bagno più costante possibile durante il processo. Questo è più facile farlo in bagni concentrati, dato che la variazione di concentrazione è minore. La concentrazione preferita è 200-300 g/l. I bagni galvanici più diluiti sono utilizzati nella produzione di cromo duro. Nel caso del cromo lucido il verificarsi di stress interni non gioca un ruolo importante dato il basso spessore.
Un incremento del contenuto di solfato produce un decremento della durezza. Questo fatto si vede variando la concentrazione di solfato entro ampi limiti, da circa 1% al 20% della concentrazione di acido cromico. Però aumentando la temperatura del bagno e allo stesso tempo la densità di corrente aumenta la durezza. Nei processi reali, non si verificano grosse variazioni di concentrazione di solfato.
Altri studi hanno fatto vedere che aumentando la concentrazione di solfato è necessario lavorare a temperature del bagno più elevate e a correnti più elevate. L’influenza della densità di corrente è comunque, più grande di quello della temperatura della soluzione. Mentre, per esempio, a bassi contenuti di solfato è possibile operare a 45°C circa e a 10-20 A/dm2, con concentrazione di solfato più elevata il punto ottimale di lavoro si sposta a 55°C e a 80 A/dm2. La durezza massima ottenibile è la stessa in tutti e due i casi.
In generale il range di deposizione lucida e quello di durezza maggiore variano circa nella stessa maniera, così che è spesso possibile trarre conclusioni sulla durezza dall’aspetto esteriore. Una concentrazione di solfato troppo bassa produce un materiale opaco, grigio e che non ha durezza elevata.
Densità di corrente A/dm2 |
Composizione della soluzione |
|
|
300 g CrO3+3 g H2SO4 |
300 g CrO3+ 7.5 g KF |
|
|
|
20 |
325 |
470 |
40 |
425 |
836 |
60 |
475 |
885 |
80 |
550 |
880 |
Depositi di cromo ad elevata durezza sono ottenuti da soluzioni contenenti fluoruri invece di solfati.
La differenza di durezza tra due elettroliti composti il primo da 250 gr di acido cromico e 1% di acido solforico e il secondo da 0.6% di acido solforico e 1% di acido fluorosilicico non è molto elevata. Lo stesso vale per quanto riguarda la resistenza all’abrasione.
Densità di corrente A/dm2 |
Composizione della soluzione |
|
|
250 g CrO3+ 2.5 g H2SO4 |
250 g CrO3+1.5 g H2SO4 +2.5g H2SiF6 |
|
|
|
20 |
1000 |
1120 |
40 |
1065 |
1150 |
60 |
1110 |
1150 |
80 |
1190 |
1180 |
Il contenuto di cromo trivalente nella soluzione è spesso difficile da controllare, dal momento che è influenzato dalle condizioni operative e in particolare dal rapporto tra le due correnti catodica e anodica. Nel caso di soluzione completamente priva di Cr3+ si ha un deposito tenero. Una piccola quantità di ioni Cr3+ migliora l’aspetto e la durezza del deposito. Una quantità di 5-10 g/l di cromo trivalente rappresenta il valore ottimale. Se si aumenta però di molto questa quantità la durezza cala bruscamente. Questo comportamento viene notato anche con la presenza di metalli quali ad esempio il ferro o i metalli pesanti. Soluzioni con elevate percentuali di ferro o di cromo trivalente producono un deposito opaco con granulometria elevata. E’ importante dire che l’aggiunta di 5-10 g/l di acido borico produce un aumento di durezza e aumenta il range operativo.
La durezza dei depositi di cromo elettrolitico è influenzata notevolmente dalla densità di corrente e dalla temperatura a cui si opera. Esiste una densità di corrente per ogni temperatura; sopra e sotto questo valore la durezza del cromo cala bruscamente.
Per ogni densità di corrente c’è una temperatura ottimale per la deposizione del cromo. Dal momento che vari studiosi hanno determinato la durezza e la resistenza all’abrasione con diversi metodi, è difficile aspettarsi che i risultati siano completamente in accordo.
La figura 11 fa vedere la curva di uguale resistenza all’abrasione in relazione ai parametri densità di corrente e temperatura del bagno. Essa unisce tutti i punti ad uguale perdita di volume che palline di cromo danno in seguito all’abrasione sotto condizioni costanti per un tempo specifico. Nelle linee tratteggiate il tempo di asportazione di uno spessore costante di cromo è preso come misura della resistenza all’abrasione. La più piccola perdita di volume e il maggior tempo di asportazione indicano la maggior resistenza all’abrasione.
Altri test sono stati effettuati per conoscere la resistenza all’usura. Un deposito di cromo è stato ad esempio abraso con una successione di brevi periodi di tempo. Il numero di periodi necessari per consumare un definito spessore è un indice della resistenza all’abrasione del campione. In figura 12 sono mostrate le curve della resistenza all’usura contro la densità di corrente e la temperatura del bagno.
Differenze sono state riscontrate dai vari studiosi. La massima durezza che può essere ottenuta per tutti valori di corrente in una soluzione contenente 300 g/l di CrO3 e 6 g/l di SO4 si ha per T=50°C. Alla temperatura di 55°C, la durezza è ugualmente alta a tutti i valori di densità di corrente. Alle alte temperature, aumentando la densità di corrente si produce un aumento della durezza, mentre alle basse temperature aumentando la densità di corrente la si diminuisce notevolmente.
Recenti sviluppi hanno stabilito che ad ogni valore di densità di corrente esiste una temperatura ottimale alla quale si ottiene una durezza elevata. Sotto e sopra questo valore la durezza decresce.
La determinazione del modulo elastico e del limite di snervamento di un deposito è difficile, dal momento che i depositi sottili non possono essere testati con metodi standard, e perché l’effetto del substrato può influenzare i risultati.
Molteplici esperienze effettuate hanno dimostrato che il cromo depositato alle alte temperature ha un modulo elastico più elevato che quello depositato a basse temperature. Una sequenza di trattamenti termici sul cromo diminuisce il modulo elastico; per esempio da 16000 Kg/mm2 si passava a 14400 Kg/mm2 dopo riscaldamento a 150°C e a 13600 Kg/mm2 dopo riscaldamento a 300°C.
La densità del cromo elettrodepositato varia tra 6.9 e 7.1. Il cromo per getti ha un densità di 7.138. Con l’incremento della densità di corrente, la densità del deposito di cromo cala. Trattamenti termici successivi aumentano la densità stessa. Evidentemente questo è associato con il contenuto di idrogeno.
La densità inoltre diminuisce con l’aumento del contenuto di ossigeno. Esiste una relazione tra la densità e la conducibilità del deposito di cromo tanto che la conducibilità aumenta con l’aumentare della densità.
Il cromo elettrodepositato assorbe sia ossigeno che idrogeno durante l’elettrolisi; e questo può essere identificato analiticamente. L’assorbimento di idrogeno può essere spiegato senza difficoltà, dal momento che l’idrogeno si sviluppa al catodo, ed è in parte assorbito dal cromo come idruro. L’assorbimento di ossigeno è dovuto al fatto che il catodo è ricoperto da un film di cromato di cromo durante la deposizione, e la deposizione probabilmente avviene partendo da questo film. Riguardo all’assorbimento di idrogeno, si può dire che dipende dalle condizioni di deposizione. Così, con una densità di corrente di 5 A/dm2 il cromo assorbe 200-250 parti in volume di idrogeno, mentre con una densità di corrente di 20 A/dm2 ne assorbe 5000 parti in volume. Studi successivi hanno rilevato che aumentando la temperatura del bagno l’assorbimento di idrogeno cala mentre aumentando la densità di corrente esso aumenta come già detto. La figura 13 mostra l’assorbimento di idrogeno per un bagno contenente 200 g/l di CrO3 e 2 g/l di H2SO4.
L’assorbimento di ossigeno dei depositi di cromo è meno studiato. Lo stesso procedimento può essere applicato sia all’assorbimento di ossigeno che di idrogeno. Con la diminuzione della temperatura e con l’aumento della densità di corrente aumenta l’assorbimento come si vede in fig 14.
La tabella 4 mostra come l’assorbimento di ossigeno in differenti condizioni operative sia 6-7 volte superiore a quello dell’idrogeno.
Densità di corrente |
Temperatura del bagno |
H2% |
O2% |
O2/H2 |
O2+H2 |
20 |
50 |
0,04 |
0,23 |
5,75 |
0,27 |
20 |
38 |
0,05 |
0,38 |
7,60 |
0,43 |
20 |
32 |
0,06 |
0,43 |
7,16 |
0,49 |
30 |
56 |
0,04 |
0,23 |
5,75 |
0,27 |
30 |
44 |
0,05 |
0,34 |
6,80 |
0,39 |
30 |
37 |
0,06 |
0,41 |
6,83 |
0,47 |
60 |
63 |
0,04 |
0,23 |
5,75 |
0,27 |
60 |
53 |
0,05 |
0,30 |
6,00 |
0,35 |
60 |
46 |
0,06 |
0,39 |
6,50 |
0,45 |
60 |
39 |
0,07 |
0,43 |
6,14 |
0,50 |
80 |
67 |
0,04 |
0,23 |
5,75 |
0,27 |
80 |
57 |
0,05 |
0,30 |
6,00 |
0,35 |
80 |
49 |
0,06 |
0,28 |
6,34 |
0,34 |
80 |
43 |
0,07 |
0,43 |
6,14 |
0,50 |
Il cromo metallico è facilmente passivabile in aria, e in queste condizioni è più nobile degli altri metalli. Per questa ragione bassi spessori di cromo che sono molto porosi e criccati non danno protezione al metallo costituente il substrato che è meno nobile, ma accelerano la corrosione.
Nel caso della corrosione del solo cromo, l’attacco da parte di acidi o di basi parte dalle cricche del deposito. La corrosione del metallo base dipende principalmente dalla porosità del deposito di cromo e da tutte le condizioni che sopprimono la porosità o riducono la formazione di cricche. In questo modo il metallo diventa più resistente alla corrosione. Inizialmente si pensava che un deposito senza cricche potesse avere eccezionale resistenza alla corrosione. Comunque, la condizione necessaria per produrre depositi senza cricche (alta temperatura e bassa densità di corrente) produce un deposito opaco normalmente inaccettabile per tante applicazioni. Un deposito più duro senza cricche, comunque, sviluppa macro cricche durante l’esercizio. E’ ora riconosciuto che il cromo microcriccato di adeguato spessore presenta la migliore resistenza a corrosione. L’azione vantaggiosa del cromo microcriccato è spiegata dal fatto che, mentre la corrente totale agente tra la superficie catodica del cromo e quella anodica del substrato rimane costante, la densità di corrente diminuisce per effetto del grande numero di siti anodici ora presenti dovuti alle numerose discontinuità della superficie. Le soluzioni sono state modificate con un certo numero di additivi per avere un deposito microcriccato, che ha un fine reticolo di cricche di circa 300-800 cricche per cm. Un simile miglioramento nella resistenza a corrosione può essere dovuto a depositi microporosi. Per incorporamento di una piccola quantità di particelle non conduttive di circa 0.02-0.5 mm di diametro nel nickel elettrodepositato che agiscono da substrato per il successiva cromatura, non si ha deposizione di cromo in questo punto, così da avere un cromo microporoso. Data la bassa velocità di placcatura degli elettroliti di cromo e la alta azione intaccante del grande volume di idrogeno prodotto al catodo, l’incorporazione di queste particelle insolubili nella soluzione di cromo non è facile. I depositi ottenuti contengono circa 200000-400000 pori per cm2.
Non sembra esserci una stretta relazione tra la resistenza a corrosione e la durezza del cromo, anche se il deposito di cromo duro è meno attaccato da acido cloridrico e da trattamento anodico in soluzione di acido solforico o acido cromico che quello tenero. I trattamenti termici che causano il rilascio delle inclusioni di idrogeno,generalmente aumentano la tendenza alla corrosione, che è probabilmente dovuta al cambiamento del reticolo di cricche risultato dalla liberazione dell’idrogeno.
Lo spessore di un deposito di cromo è ovviamente una misura importante della sua resistenza alla corrosione, dal momento che la porosità del cromo è strettamente a lui legata. Comunque, le proprietà del deposito possono differire notevolmente secondo le condizioni di deposizione, mentre la porosità può cambiare da un caso all’ altro. Nessuna conclusione generale può essere tratta su come lo spessore del deposito possa influenzare la resistenza alla corrosione.
Generalmente il deposito di cromo di circa 30mm (senza substrato di nickel) da adeguata protezione all’ossidazione atmosferica, mentre 50mm sono necessari per avere protezione da agenti chimici. Con un buon substrato di nickel il deposito può essere più sottile. Quando il deposito è molto sottile, bisogna avere cura che il primo cromo depositato sia non criccato e che sia criccato dopo aver raggiunto un certo spessore. Se la deposizione è interrotta prima di questo momento il deposito può avere una migliore protezione che quello più sottile che è ancora permeabile agli agenti esterni attraverso le porosità.
Bisogna anche dire che il modello di cricca presente nel cromo probabilmente non gioca un ruolo importante nella corrosione da parte di basi come ci si aspetterebbe. La bassa bagnabilità può avere una significativa influenza. Infatti i liquidi corrosivi possono penetrare nel deposito solo fino ad una certa profondità così che il substrato non viene intaccato così come ci si aspetterebbe in un deposito poroso. La possibilità di corrosione deve essere sempre tenuta presente.
La teoria che il cromo sottile, senza cricche e pori, abbia una protezione sicura agli agenti atmosferici deve essere corretta.
Recenti esperienze hanno dimostrato che anche depositi di cromo spessi (circa 1mm) danno fenomeni di corrosione con esposizione all’ambiente esterno durante l’azione di stress meccanici sebbene il cromo non subisca danni. E’ probabile che gli sforzi interni portino alla formazione di cricche penetranti nel tempo, specialmente se sono presenti stress meccanici. Gli agenti corrosivi possono attraversare il deposito e corroderlo.
Metodi operativi su soluzioni di cromatura
La conducibilità elettrica di una soluzione di cromatura non ha una grossa importanza come lo ha invece l’efficienza di corrente ed il potere penetrante. La tensione di deposizione è determinata dalla conducibilità, quindi da questa dipende il consumo totale di energia che influisce sul costo totale del deposito. In ogni caso la scelta dell’ elettrolita o delle condizioni operative (temperatura e densità di corrente) non saranno mai condizionate dalla conducibilità. Non bisogna trascurare che la conducibilità ha un’importanza sulla corrente disponibile, per il potere penetrante e coprente.
In generale con soluzioni acquose la conducibilità aumenta al crescere della temperatura. In fig.15 si nota la relazione fra la temperatura e la conducibilità per un elettrolita con 300 g/l di CrO3 e 3 g/l di H2SO4 .La conducibilità di un elettrolita è innanzitutto funzione della concentrazione di acido cromico e dipende pochissimo dalla natura e quantità del catalizzatore. Per ogni temperatura esiste un massimo di conducibilità ad una certa concentrazione come si vede dal diagramma fig 16.
Da questo diagramma si nota che il massimo della conducibilità aumenta con la temperatura e con la concentrazione. Un effetto opposto hanno certi inquinanti come il cromo trivalente. Questo provoca un aumento della resistenza del bagno con una conseguente diminuzione della conducibilità. Per basse concentrazioni il suo effetto è poco rilevante ma contenuti attorno ai 25 g/l di ferro o cromo trivalente sono da evitare poiché la conducibilità decade velocemente. Nei bagni al tetracromato un eccesso di alcali abbassa la conducibilità per effetto della neutralizzazione dell’acido cromico che avrebbe elevata conducibilità.
Un aspetto importante nella deposizione del cromo è rappresentato dal rendimento di corrente. Questo dipende dalla composizione del bagno (contenuto in acido cromico, tipo e quantità di catalizzatore e anioni o cationi estranei), temperatura operativa e densità di corrente.
Tutti i bagni di cromatura hanno un rendimento di corrente estremamente basso se paragonato con la deposizione di altri metalli. Infatti in generale il rendimento per questi ultimi si avvicina al 100% e solo raramente scende al 70% mentre per il cromo difficilmente supera il 20% per arrivare al 35%.
Metallo |
Equiv. in peso |
g/Ah |
Metallo |
Equiv. in peso |
g/Ah |
Cromo (VI) |
8.67 |
0.3234 |
Nickel (II) |
29.35 |
1.0948 |
Oro (III) |
65.73 |
2.4522 |
Argento (I) |
107.88 |
4.0245 |
Oro (I) |
197.20 |
7.3567 |
Zinco (II) |
32.69 |
1.2195 |
Rame (II) |
31.79 |
1.1858 |
Stagno (IV) |
29.67 |
1.1071 |
Rame (I) |
63.57 |
2.3715 |
Stagno (II) |
59.35 |
2.2141 |
Siccome l’equivalente elettrochimico del cromo è particolarmente basso a causa della sua valenza, il consumo di corrente durante la deposizione del cromo è circa 10 volte maggiore rispetto a quella degli altri metalli. Mentre in genere nell’elettrodeposizione il costo della corrente non rappresenta la voce più pesante, nel caso specifico della cromatura la sua incidenza è da non trascurare. Nella fig. 17 si vede la relazione fra la concentrazione dell’acido cromico e il rendimento di corrente per un bagno con 250 g/l di CrO3 a 45 °C e con 20 A/dm2 di densità di corrente.
In queste condizioni il massimo di corrente è del 19%. A valori diversi di concentrazione il rendimento diminuisce. In fig.18 cambiando le altre condizioni operative tutti i rapporti sono variati. Qui si nota l’andamento del rendimento di corrente con la densità di corrente con tre concentrazioni diverse a due temperature diverse. A 55°C nell’intervallo considerato l’incremento di concentrazione dell’acido cromico comporta una riduzione del rendimento di corrente. A 25 °C, fino a valori di densità di corrente di 9 A/dm2 il comportamento è simile a quello a 55°C; successivamente invece si inverte. Il contenuto in catalizzatore ha un profondo effetto sul rendimento di corrente e il valore del rapporto CrO3:SO4 =100 è la condizione ideale anche variando temperatura e la densità di corrente. A bassi contenuti di anioni estranei o in loro completa assenza generalmente non si ottiene deposizione di cromo.
La fig.20 illustra l’azione dell‘acido fluoridrico e del solforico sul rendimento di corrente in una soluzione a 300 g/l di CrO3 a 40 °C e a 7 A/dm2. In entrambi i casi si può identificare la condizione di massimo rendimento di corrente in funzione delle concentrazioni ed in particolare si nota che il fluoruro determina un aumento del rendimento. La fig.21 mostra l’andamento del rendimento in funzione delle concentrazioni dell’acido fluoridrico, solforico e fluosilicico in una soluzione a 250 g/l di CrO3 a 55°C e a 50 A/dm2 . Il primo contribuisce in modo minore del terzo all’ aumento del rendimento. Il fluoborato dà valori intermedi fra il solforico ed il fluoridrico. L’uso frequente di miscele di questi catalizzatori non fa superare il rendimento ottenuto con l’acido fluosilicico. Un eccesso di questi catalizzatori fa sempre diminuire il rendimento.
Il modo in cui la concentrazione di CrO3 influenza il rendimento con date concentrazioni di catalizzatore è rappresentato dal diagramma di fig. 22.
La contaminazione con cromo trivalente e ferro non ha effetti apprezzabili sul rendimento di corrente; tuttavia elevate concentrazioni devono essere evitate per non avere notevoli riduzioni della conducibilità e del potere penetrante. L’effetto più importante sul rendimento di corrente è dato dalla variazione di temperatura e dalla densità di corrente. Dalla fig.24 si vede che il rendimento di corrente aumenta aumentando la densità di corrente e decresce aumentando la temperatura. Se si aumenta la concentrazione di acido solforico la differenza diminuisce. Esiste una formula che mette in relazione il rendimento di corrente con la densità di corrente e cioè:
dove A è il rendimento di corrente D la densità di corrente a e b sono costanti che dipendono dalla composizione e dalla temperatura della soluzione.
Nella fig.23 vengono mostrate le rette che alle varie temperature descritte rappresentano l’andamento del rendimento in funzione della densità di corrente per un bagno con 250 g/l di CrO3 e 2,5 g/l di SO4. La costante b è fornita dall’intercetta della retta sull’asse delle ordinate mentre la costante a ne rappresenta l’inclinazione. In fig.24 la rappresentazione è fatta mediante un diagramma lineare per un elettrolita dal contenuto di 400 g/l di CrO3 e 4 g/l di SO4. La dipendenza del rendimento di corrente con la temperatura nello stesso elettrolita è mostrato in fig.25 per tre diverse densità di corrente. La fig.26 dà le curve corrispondenti per un bagno costituito da 250 g/l di CrO3 e da 2,5 g/l di SO4 .Come si è già visto l’effetto delle concentrazioni sui rendimenti è tale che un aumento di concentrazione diminuisce il rendimento mentre la dipendenza dalla temperatura è essenzialmente la stessa in entrambi i bagni.
Una speciale attenzione va riservata al potere penetrante dei bagni di cromatura. Mentre i bagni al cianuro (oro, argento, rame, cadmio e zinco) hanno un elevato potere penetrante, e quindi pezzi variamente complessi geometricamente possono ricevere spessori più o meno uniformi, nelle soluzioni acide il potere penetrante è generalmente molto inferiore. I bagni acidi sono di solito quelli di ramatura nichelatura zincatura e cromatura. Di questi il bagno di cromo rappresenta una tipologia a basso potere penetrante. In accordo con le definizioni di potere penetrante quello di cromo presenta valori negativi. Questo aumenta lentamente con l’aumento della concentrazione dell’acido cromico da 250 a 300 g/l a 50 °C e 45 A/dm2 ma diminuisce altrettanto velocemente se si aumenta la densità di corrente.
Temperatura °C |
Densità di corrente media A/dm2 |
Efficienza di corrente catodica % |
Potere penetrante % |
||
Catodo vicino |
Catodo lontano |
Media |
|||
25 |
5.0 |
21.8 |
5.9 |
13.8 |
-312 |
35 |
7.5 |
12.2 |
4.1 |
8.1 |
-177 |
35 |
10.0 |
19.5 |
7.7 |
11.1 |
-87 |
35 |
15.0 |
15.9 |
11.3 |
13.6 |
-59 |
45 |
15.0 |
12.2 |
6.7 |
9.5 |
-85 |
45 |
25.0 |
14.4 |
12.0 |
13.2 |
-28 |
45 |
35.0 |
17.9 |
14.2 |
16.0 |
-25 |
55 |
25.0 |
11.6 |
7.7 |
9.6 |
-52 |
55 |
35.0 |
14.1 |
10.8 |
12.5 |
-29 |
55 |
45.0 |
15.2 |
12.6 |
13.9 |
-18 |
Tab. 7: Potere penetrante in una soluzione di cromatura con 250 g/l di CrO3 2.5 g/l di H2SO4
Temperatura °C |
Densità di corrente media A/dm2 |
Efficienza di corrente catodica % |
Potere penetrante % |
||
Catodo vicino |
Catodo lontano |
Media |
|||
25 |
5.0 |
19.2 |
5.4 |
12.3 |
-295 |
35 |
7.5 |
14.3 |
6.5 |
10.4 |
-108 |
35 |
10.0 |
17.2 |
9.3 |
13.2 |
-87 |
35 |
15.0 |
19.3 |
12.0 |
15.6 |
-58 |
45 |
15.0 |
15.9 |
9.9 |
12.9 |
-65 |
45 |
25.0 |
19.0 |
13.6 |
16.3 |
-27 |
45 |
35.0 |
21.0 |
17.0 |
19.0 |
-23 |
55 |
25.0 |
15.7 |
10.8 |
13.3 |
-46 |
55 |
35.0 |
17.9 |
13.8 |
15.8 |
-28 |
55 |
45.0 |
19.5 |
16.7 |
18.1 |
-14 |
Nei bagni che contengono una miscela di acido fluoridrico e fluosilicico il potere penetrante è migliore di quello al solo solfato con bagni di concentrazione di CrO3 inferiore a 250 g/l ma diminuisce con l’incremento della concentrazione.
Il valore ottimale di potere penetrante si ha con una percentuale dell’ 1% di H2SO4 sulla CrO3 ma diminuisce prima lentamente e poi più velocemente al diminuire della concentrazione di H2SO4. Anche un aumento di anioni estranei produce una diminuzione del potere penetrante. E’ stata verificata l’influenza degli ultrasuoni sulla deposizione del cromo e si è notato che non hanno influenza particolare sul potere penetrante mentre influenzano positivamente il rendimento catodico e permettono l’utilizzo di densità di corrente maggiori. Il cromo trivalente ed il ferro migliorano il potere penetrante ma i loro effetti negativi sugli altri parametri rendono possibili il loro utilizzo solo in intervalli ristretti e definiti. Allo scopo di ottenere un buon potere penetrante da una soluzione di cromatura bisogna innanzitutto utilizzare alte densità di corrente ma non soluzioni concentrate in CrO3 e con una percentuale il più vicina possibile all’ 1% di H2SO4. L’aumento della distanza anodo catodo agisce favorevolmente sul potere penetrante ma comporta un aumento dei costi dovuto alla elevata tensione utilizzata. L’utilizzo di anodi ausiliari e inversamente di catodi ausiliari o schermi per mascherare le parti del catodo, che potrebbero essere soggette a intensità di corrente catodica troppo elevata, sono mezzi che permettono una distribuzione artificiale più uniforme del deposito. Esiste qualche relazione fra il potere penetrante ed i potere coprente ma bisogna star attenti a non confondere i concetti. Il potere coprente nella deposizione del cromo nelle aree a bassa densità di corrente dipende dalla composizione della soluzione e dal metallo base. La distribuzione è buona su superfici lucide di nichel, migliore su ferro e acciaio che su rame e sue leghe e dipende in generale dalla temperatura della soluzione. Dipende anche dalle condizioni del metallo base essendo migliore su superfici lucide piuttosto che su quelle opache. Se si utilizza la cella di Hall da 250 cc per la verifica del potere coprente e si fanno passare 10 Ampere per 3-5 minuti in genere à necessario termostatare il sistema per evitare il riscaldamento della soluzione e rendere il test inutilizzabile.
Il potere penetrante è la capacità di un elettrolita di depositare uno spessore soddisfacente anche sulle zone di una superficie soggette a basse densità di corrente rispetto ad altre più favorite.
La misura del potere penetrante viene eseguita mediante una cella a base rettangolare di dimensioni 200X50 mm e un’altezza di 65 mm. Ai due estremi della cella vengono disposti due catodi uguali dello spessore di 1 mm appoggiati contro le pareti. L’anodo invece ha uno spessore di 3 mm ed è disposto ad una distanza di 39 mm dal catodo più vicino e quindi a 156 mm da quello più lontano. In questo modo il rapporto fra le distanze dell’anodo dai due catodi è 4:1. Sia l’anodo che i catodi devono avere una superficie pari alla sezione della cella. Se si indicano con Kf e Kn le due distanze il rapporto K=Kf/Kn nel caso sarà uguale a 4.
Il potere penetrante,S, è dato dall’equazione
dove Mn è il peso del metallo depositato sul catodo vicino e Mf il peso depositato sull’altro.
Deposizione Tecnica di Cromo
La prima applicazione pratica del deposito di cromo è quella di produrre depositi bianchi e lucidi in modo da migliorare la apparenza della superficie metallica. La deposizione di cromo avvenne presto ma rimase confinata a produrre depositi sottili. Lo spessore di 0.25-0.30mm è la regola, quello di qualche mm l’eccezione. Alcuni depositi sono porosi e attraverso questi pori il metallo base è esposto alla corrosione. Dal momento che il cromo si passiva all’atmosfera esso ha un ruolo più nobile di altri metalli che invece hanno il ruolo di elettrodo solubile e che sono quindi facilmente attaccati.
Normalmente più o meno grandi spessori di nickel servono da substrato per la successiva cromatura. Si è osservato che il cromo depositato sopra il nickel talvolta è soggetto a corrosione pitting, mentre substrati di nickel senza il cromo sono meno soggetti a questo. E’ stato constatato che il deposito di cromo per ostacolare la corrosione e non accelerarla deve coprire il substrato senza presentare porosità.
Nel caso di oggetti decorativi si deposita uno spessore sottile per questioni di tempo e di costi. Va però riconosciuto che la natura del deposito sotto il cromo è di notevole importanza sulla resistenza a corrosione della combinazione dei depositi. In particolare è stato trovato che gli additivi usati per produrre nickel lucido (particolarmente solfuri) sono dannosi al sistema, ma miglioramenti si sono avuti con depositi successivi di nickel opaco e nickel lucido. E’ stato anche notato che le proprietà di corrosione di cromo sottile dipendono dalla natura delle cricche presenti nel cromo.
La ragione della bassa corrosione del cromo sottile lucido deve essere vista come conseguenza della scarsa bagnabilità del cromo da parte degli agenti corrosivi, così che possono penetrare nel metallo base con difficoltà, in modo che la corrosione venga soppressa. Si dimostra che in presenza di agenti bagnanti la corrosione viene accelerata.
Nel caso di depositi sottili su un substrato tenero la durezza del deposito è bassa dal momento che viene facilmente penetrata come un guscio d’uovo quando è meccanicamente sollecitata. Un indurimento notevole della superficie avviene con depositi spessi; lo spessore necessario viene determinato dalla natura del carico. Sviluppi hanno abilitato la produzione di depositi di cromo “pesante" nella forma chiamata “cromo duro” per diventare produzioni di larga scala usati in tanti campi.
La definizione “cromo duro” in opposizione con “cromo lucido” è erronea, dal momento che il cromo duro non è molto più duro di quello lucido. La sua durezza è una conseguenza solo dello spessore. Il cromo lucido può essere anche più duro ma della sua durezza non si può farne uso in pratica.
Depositi spessi, che sono liberi da pori, danno una eccezionale protezione da attacchi sia chimici che meccanici, secondo le nobili caratteristiche del cromo passivato da una parte e della sua durezza dall’altra. I depositi di cromo sono stati introdotti dove non è necessaria una notevole durezza ma bensì resistenza alla corrosione.
Dal momento che il cromo duro è generalmente impiegato nella forma di deposito a spessore che ricopre il substrato in modo efficente, il substrato di nickel non viene applicato eccetto nei casi in cui lo spessore e le condizioni economiche lo rendano necessario. Una ulteriore proprietà del cromo è la sua resistenza al calore, così che esso può venire impiegato in situazioni di grande stress meccanico e termico ad esempio in utensili per presse, in stampi per vetri, plastiche o metalli.
Un importante campo di applicazione del cromo duro è il ripristino di componenti consumati o per il miglioramento di particolari soggetti ad uso intenso. Articoli come stampi, aste, condotte, cilindri ecc, che si sono consumati al di sotto della tolleranza minima possono essere ricostruiti con la cromatura. Un vantaggio particolare sta nel fatto che questo processo può essere ripetuto anche quando il consumo è già notevole, così che la durezza della superficie rinnovata è incrementata assieme alla durata del pezzo.
Essenzialmente, sia il cromo lucido che quello duro è prodotto dallo stesso bagno cioè , soluzione di acido cromico con aggiunta di anioni estranei. Leggere differenze della composizione dei due bagni sono normali in pratica; così per il cromo lucido vi è un contenuto maggiore di acido cromico fino anche a 450 g/l comparato con i 250 g/l del bagno di cromo duro. Negli ultimi anni, comunque, nuovi catalizzatori hanno portato le concentrazioni dei due bagni a valori inferiori cioè a circa 150 g/l.
Dal momento che il cromo è duro, esso non viene abraso dai normali agenti lucidanti. L’ossido di cromo verde è il materiale più comune nella lucidatura dei pezzi, ma il processo è molto costoso e laborioso e nei casi dove è necessario avere cromo lucido si preferisce depositarlo direttamente in bagno. La lucidatura meccanica è applicata solo in alcuni casi. E’ infatti preferibile eliminare il deposito opaco e depositare più volte quello lucido. La lucidità del cromo depositato più volte è quasi come quella del cromo depositato una volta sola ma i costi sono ben differenti.
Nel caso di cromo duro la lucidità non è una proprietà interessante, ma lo è invece la durezza e l’uniformità del colore di un insieme di componenti. La finitura di depositi a spessore è invariabilmente compiuta per levigatura Dal momento che il cromo duro è depositato in spessori più elevati, il tempo di deposizione è molto importante. La tendenza è di accelerare la deposizione usando forti densità di corrente, così che è necessario operare a temperature più elevate per rimanere nel range di deposizione ottimale, cercando di non avere depositi opachi e scuri.
Mentre normalmente la porosità è considerata un difetto, in alcuni casi se ne fa largo uso. La scarsa bagnabilità del cromo è uno svantaggio considerevole nel caso di superfici scorrevoli, dal momento che non mantiene un film di lubrificante. Ciò può portare a danni se si lavora a secco. Se invece il cromo è poroso le cricche che si formano sono più grosse e in questo modo supportano il film di lubrificante generando eccellenti proprietà in condizioni operative.
Dove è necessario che il cromo resista alla corrosione dobbiamo avere un deposito senza pori. La produzione di cromo non poroso è possibile sotto condizioni operative di controllo particolari.
Deposizione di cromo lucido.
I depositi di cromo lucido hanno normalmente uno spessore di 0.5mm e il deposito è molto lucido quando lascia il bagno. Chiaramente, non avviene nessun livellamento dal momento che il deposito è molto sottile, così che il substrato deve avere una lucidità elevata. I pretrattamenti del substrato sono molto importanti per i successivi depositi di cromo lucido e i requisiti in questo modo sono perciò grandi rispetto a quelli di altri depositi. Dal momento che il ferro e l’acciaio non sono facilmente lucidabili, è conveniente depositare su essi un materiale che formi un deposito lucido che in genere è nichel . Se su un oggetto di rame viene deposto del cromo, il colore risultante può risentire del colore del substrato. Spesso è anche conveniente avere un substrato più rigido del rame e quindi prima di depositare il cromo si deposita uno strato di nickel. Oggigiorno ci sono bagni di nickel che permettono di avere depositi livellanti, così che il nickel può essere deposto anche su superfici che non sono lucide. Il deposito di nickel viene effettuato nei casi in cui bisogna avere lunga resistenza del materiale. Si sta però cercando di sostituire il nickel con altri metalli o leghe per questioni di tossicità.
Si è visto inoltre che l’utilizzo di depositi multipli ha portato ad un aumento delle caratteristiche di resistenza chimica. In questo caso il substrato è opaco mentre il deposito o i depositi sovrastanti danno il carattere lucido all’oggetto.
I depositi di nickel lucido,che normalmente contengono solfuri, hanno proprietà di resistenza chimica più scarse rispetto a quelli del nickel opaco . In particolare i depositi lucidi sono soggetti a corrosione pitting, che riesce a penetrare nel substrato. Quindi si ha esfoliazione del deposito che implica una non protezione del substrato. Con depositi di cromo molto sottili il colore è quello del metallo base. Quindi nel caso del substrato di rame il colore sarà scuro mentre per il nickel avremo un colore del deposito nickel+cromo che è bianco.
Il deposito di cromo ha al suo interno stress residui notevoli. Per questo è necessario avere una buona aderenza col substrato per evitare esfoliazioni. Il deposito intermedio deve essere inoltre anch’esso libero da stress. Nel rame esso è di poca importanza. Nel nickel possiamo avere delle esfoliazioni durante la successiva deposizione del cromo. Gli stress possono essere sia di compressione che di trazione e possono essere eliminati aggiungendo degli additivi al nickel.
Il deposito di rame intermedio può essere molto sottile se applicato ad una base ben preparata, e in alcuni casi può essere applicato da un bagno rapido a circa 40°C con una corrente di 1-1.5 A/dm2 da una soluzione contenente 20 g/l di rame. Depositi più spessi che devono essere poi lucidati o che sono applicati per proteggere il nickel sono ottenuti a temperature e densità di corrente più elevate.
Le soluzioni di rame lucido , che sono normalmente più calde ( circa 70°C) vengono utilizzate ad alte densità di corrente. Le soluzioni più usate sono quelle al cianuro, all’acido tartarico, al pirofosfato o al fluoroborato.
Se si deve ottenere un deposito di rame spesso è necessario avere un bagno di rame acido e livellante dopo un breve strato di preramatura in un bagno al cianuro, perché il rame dal bagno di cianuro assorbe una notevole quantità di idrogeno che può produrre il distacco del nickel e del cromo. Bisogna notare che il bagno al cianuro di rame alcalino è molto sensibile alla contaminazione dell’acido cromico. L’acido cromico, in questo caso, può essere eliminato mediante riscaldamento a 40°C in presenza di sodio idrosolfito (Na2S2O4) in proporzione di 5 volte il contenuto di acido cromico. Così il cromo è ridotto a cromo trivalente, precipitato come idrossido e quindi filtrato. Per questo tipo di depositi è inoltre consigliato usare una corrente inversa periodica. Il risultato è un deposito meno poroso anche se i costi sono notevoli e i tempi di deposizione sono più lunghi.
Normalmente la diretta deposizione di cromo su ferro e acciaio non è effettuata. Questo è dovuto alla bassa resistenza a corrosione del substrato e al fatto che la superficie non è perfettamente livellata. Su nickel lucido invece la superficie è livellata. Quindi normalmente si depone uno strato sottostante di nickel che livella la superficie e successivamente un ulteriore strato di cromo che da l’aspetto lucido e le caratteristiche di anticorrosione. L’adesione del cromo sul nickel lucido è inoltre più elevata. Su rame, nickel e leghe di rame-nickel il cromo viene depositato senza una deposizione intermedia.
La lucidatura prima della cromatura è effettuata con modalità convenzionale. Notevole cura si deve dare per assicurarsi che il surriscaldamento locale dovuto alla pasta lucidante non dia luogo a bruciature difficilmente visibili sulla superficie. Questo ha effetti negativi sull’ulteriore cromatura. Nella lucidatura del nickel è sconsigliato l’utilizzo di paste eccessivamente grasse e la velocità delle spazzole che la supportano non deve essere elevata.
Piccoli articoli sono normalmente lucidati mediante burattatura, che genera una superficie liscia. Recentemente è stato scoperto un notevole vantaggio della lucidatura anodica o della lucidatura chimica di alcune leghe, come ultimo trattamento prima della placcatura finale. Questi processi permettono un risparmio di tempo e producono una superficie sufficientemente lucida. Sono quindi spesso utilizzati in processi automatici.
A riguardo dei residui della pulitura e sgrassatura, non si devono prendere eccessive precauzioni per la loro completa eliminazione dal momento che l’acido cromico dissolve i contaminanti come ad esempio i film grassi sulla superficie. Nel caso della nichelatura è invece importante eliminare questi residui.
Ciò non significa che non bisogni sgrassare la superficie dell’oggetto perché grande contaminazione può avere effetti contrari. Ogni impurità sulla superficie determina un eccessivo consumo di acido cromico. Le superfici nickelate esposte all’aria per lungo tempo si passivano e non possono essere cromate in questo stato ma devono essere prima attivate in acidi diluiti o mediante sgrossatura catodica.
E’ una importante operazione per produrre perfetti depositi di cromo. Dobbiamo sempre tenere conto che in un bagno di cromo la densità di corrente è alta e che sia il potere penetrante che quello coprente è basso. La corrente elevata implica un contatto di sezione sufficiente. Dal momento che i bagni ad alta conducibilità per rame e nickel operano con vigorosa agitazione, la perdita di contatto porta ad uno scarto. Legare i pezzi richiede un lungo tempo e molto lavoro e spesso lascia l’impronta in seguito alla cromatura.
Ora è diventato normale impiegare telai rigidi nei quali il pezzo può essere direttamente inserito. Tutte le aree di non contatto sono isolate con resistenti vernici, o meglio con depositi plastici. In questo modo l’attacco del telaio è evitato, eliminando la contaminazione del bagno. L’aggancio del pezzo deve essere effettuato in modo che i gas che si sviluppano durante la placcatura non possano fermarsi in zone concave rivolte verso il basso non permettendo così la deposizione. Contrariamente zone concave verso l’alto provocano lo scodellamento del bagno al recupero. I telai sono normalmente costituiti di acciaio o rame perché hanno buona conducibilità rispetto ad altri metalli. Può essere utilizzato anche il titanio. I telai vanno rivestiti con plastisol lasciando liberi solo i contatti con i pezzi e gli agganci alla barra catodica. Si può eliminare l’eccesso di metallo depositato sui contatti dei telai mediante stripping con trattamento anodico in soluzioni appropriate.
Una superficie completamente liscia che è disposta parallelamente all’anodo mostrerà uno spessore di bordo molto più elevato che non al centro. Per evitare ciò, il catodo deve essere posizionato lontano dall’anodo. Un alternativa è di disporre un filo metallico assorbitore di corrente a distanza di pochi mm dal bordo della porzione prominente.
La protezione totale di certe zone del catodo può essere attuata con mascherature non conduttive.
Lo scarso potere penetrante e coprente deve essere tenuto in considerazione nel caso di oggetti che hanno una forma complessa, particolarmente quelli che hanno una area fortemente defilata. Con un aggiustamento della forma dell’anodo rendendolo di forma irregolare come il catodo, o mediante l’introduzione di un anodo ausiliario, la deposizione del cromo può essere assicurata anche sulle aree defilate. Con angoli acuti l’anodo ausiliario deve essere disposto all’interno vicino all’apice dell’angolo in modo da assicurare la deposizione anche in quei punti.
La composizione dell’elettrolita per la cromatura lucida può variare secondo la concentrazione di acido cromico fra i 150 e i 500 g/l. Generalmente la più elevata concentrazione non viene utilizzata perché il range di temperatura e di densità di corrente è stretto. La soluzione più diluita presenta meno problemi di trascinamento di soluzione e di deposizione. Per alcuni anni la concentrazione usuale di acido cromico era di 300-400 g/l CrO3, con un contenuto di solfato pari all’ 1% del contenuto di acido cromico. La densità di corrente variava tra i 7 e i 20 A/dm2, mentre la temperatura della soluzione tra i 30 e i 55°C. La più alta temperatura viene usata con la più alta densità di corrente. Per quanto riguarda la densità di corrente, il range di deposizione lucida è ampio, sebbene non sia sufficiente in pratica dato il basso potere penetrante degli elettroliti di cromo.
Su parti completamente piatte vi è una sensibile differenza di corrente tra il centro e la periferia del pezzo, mentre la differenza è molto maggiore in profili con cavità profonde. Se la densità media sta all’interno del range lucido, ci saranno delle zone del pezzo in cui la densità di corrente è più elevata di quella necessaria e zone in cui non si riesce a raggiungere la soglia della densità di corrente minima. In queste zone non ho deposizione.
Vi sono soluzioni di elettroliti, che vengono chiamate HTHR ( High Temperature High Ratio) che contengono una quantità maggiore di acido cromico rispetto a quella di solfato, e inoltre lavorano a temperature più elevate. Ad esempio una soluzione di 350 g/l di CrO3 con 2.5 g/l di SO4 lavora a temperature di 55-60°C con densità di corrente di 30-45 A/dm2.
Il pezzo può entrare nel bagno sia asciutto che bagnato. Per prevenire l’attacco di articoli altamente lucidati, è necessario farli entrare nell’elettrolita sotto tensione, in modo che l’elettrolisi cominci appena dopo l’immersione. Bisogna fare molta attenzione che la superficie immersa non presenti bruciature come risultato di una eccessiva densità di corrente.
All’inizio della cromatura è conveniente applicare una densità di corrente più elevata per ottenere una rapida copertura di tutte le parti del catodo, anche di quelle che riceverebbero correnti basse. Si osserva che si può avere dissoluzione nelle zone a bassa densità di corrente mentre il cromo viene depositato sulle aree dove la densità di corrente è più elevata. Ciò deve essere evitato tenendo conto della possibile contaminazione della soluzione. Durante la copertura, che dura circa 10-30 secondi, viene usato un potenziale più elevato di 1-2 volt. La bassa conducibilità delle soluzioni diluite portano a far si che siano richieste tensioni più elevate del normale per ottenere la densità di corrente desiderata.
Le condizioni operative sono di seguito riassunte nella tabella seguente:
Metallo base |
Temp. °C |
Densità di corrente A/dm2 |
Durata (minuti) |
Rame |
35-40 |
5-10 |
30-45 |
Bronzo |
35-40 |
5-10 |
20-45 |
Alpacca |
35-40 |
5-10 |
30-60 |
Ferro, acciaio |
40-45 |
10-30 |
60-120 |
Nickel |
40-45 |
5-20 |
3-5 |
Argento |
40-45 |
5-10 |
30-60 |
E’ anche importante che il pezzo sia alla stessa temperatura del bagno o che la raggiunga in tempi brevi in modo da non avere una deposizione opaca. I pezzi piccoli che entrano nel bagno si riscaldano molto velocemente mentre quelli più grossi richiedono tempi di riscaldamento superiori e possono raffreddare eccessivamente l’elettrolita.
E’ inoltre normale applicare una piccola tensione di 2 volts per 2 minuti nel bagno prima dell’elettrolisi. Non si ha deposizione di cromo, ma il sistema aumenta la sua temperatura, l’attacco è prevenuto, e ogni sostanza contaminante è distrutta dall’acido cromico.
Il primo trattamento successivo del deposito di cromo è il risciacquo. Il pezzo che esce dalla vasca di deposizione viene prima risciacquato in una vasca statica. L’agitazione di questa vasca è preferibile. Il recupero si fa per non perdere soluzione del bagno che è costosa e tossica per l’ambiente. Spesso il sistema di risciacquo è a cascata in modo che la perdita di soluzione di acido cromico possa essere ridotta.
Dal momento che la soluzione di cromo utilizzata è calda, e se ne ha una notevole perdita all’uscita, il contenuto deve essere sempre rabboccato. Questo rabboccamento viene effettuato con soluzione del primo risciacquo. Se le vasche di risciacquo sono molteplici la soluzione della seconda viene messa nella prima e così via per le altre. La continua perdita di soluzione non è l’unico problema, ma si ha anche una contaminazione sempre maggiore della soluzione del bagno. Questa contaminazione dipende dal tipo di articoli trattati e dalle condizioni operative.
Dopo le vasche di risciacquo viene utilizzata una vasca di neutralizzazione. Questa è una vasca statica di agente riducente normalmente costituito da 10-20 g/l di sodio idrosolfito, che converte ogni residuo di acido cromico in cromo trivalente. I telai vengono risciacquati in acqua deionizzata prima dell’asciugatura.
L’ascuigatura è effettuata in vari modi . Un vecchio e buon metodo è quello di asciugare i pezzi in segatura calda. Per questo motivo un box di farina di legno non resinoso viene riscaldato fino a temperature tali da avere asciugatura del pezzo. Altro tipo di asciugatura è quella in forno a 105-115°C. Questa tecnica presuppone che si sia utilizzata un’acqua deioizzata come ultimo risciacquo perché le macchie di calcare sono difficili da rimuovere. Ci sono altri modi come ad esempio l’asciugatura in corrente di aria calda, mediante radiazioni infrarosse, ecc.
La lucidatura di un pezzo cromato non è necessaria. Se vi sono delle zone opache esse vengono lucidate con panni particolari, ma se il pezzo alla fine della lucidatura non è sufficientemente lucido viene scartato e ricromato.
Uno dei primari campi di applicazione è quello della posateria. Le posate di ferro o di acciaio vengono cromate direttamente o mediante deposizioni multiple. Nel caso di cromatura diretta è necessario un tempo di 1-2 ore per avere uno spessore sufficiente. Le leghe di alpacca sono molto buone per la cromatura diretta e facilmente lucidabili.
Nel caso di posateria assemblata, tutte le parti che non necessitano di cromatura devono essere protette mediante vernici particolari. Una di queste potrebbe essere una mistura di paraffina e cera carnauba. Dopo la cromatura viene facilmente rimossa.
Il maggior campo di applicazione della cromatura è l’industria automobilistica. In questo caso sono utilizzati nickel e rame come substrati. Il deposito di rame è qualche volta estremamente sottile (meno di 1 mm ) ma normalmente spesso, mentre lo spessore del nickel varia tra i 2 e i 40 mm. Per quel che riguarda il cromo lo spessore è di 0.4-0.5 mm.
La resistenza a corrosione di un articolo placcato con nickel e cromo non è molto elevata. Perciò si preferisce impiegare altri rivestimenti multistrato. Per esempio si possono fare doppi depositi di nickel. I 2/3 dello spessore è costituito da nickel opaco mentre la rimanente parte da nickel lucido. Dal momento che il nickel lucido contenente solfuri è meno nobile del nickel opaco sottostante, esso costituisce l’elettrodo solubile quando avviene la corrosione, così che l’attacco corrosivo non penetra nel substrato.
La maggior parte dei componenti per automobile è ormai costituita di leghe di zinco. Questo materiale può essere facilmente placcato prima con rame, poi con nickel e successivamente con cromo.
La cromatura lucida è impiegata anche in alcuni oggetti domestici tipo lavandini, lavatrici, rubinetteria ecc. Inoltre pezzi cromati sono utilizzati anche per produrre strumenti dentali od ospedalieri dove è necessario avere alta resistenza chimica.
Determinazione dell’anidride cromica nel bagno di cromatura
Reagenti:
Procedura:
Prelevare 10 cc di bagno di cromo e porlo in un pallone tarato da 500 cc portando a volume con acqua distillata. Trasferire 10 cc di questa soluzione in una beuta da 300 cc, diluire con 100 cc di acqua distillata ed aggiungere 2 g di ammonio bifluoruro,10 cc di HCl conc. e 5 cc di soluzione di potassio ioduro. Quindi titolare con sodio tiosolfato 0,1 N usando 0,5 cc di soluzione di salda d’amido come indicatore finché scompare la colorazione blu.
Siano A i cc di tiosolfato utilizzati:
Calcolo: g/l CrO3 = A*16,67
Determinazione del cromo trivalente nel bagno di cromatura
Reagenti:
Procedura:
Prelevare 10 cc di bagno di cromo e porlo in un pallone tarato da 500 cc portando a volume con acqua distillata. Trasferire 10 cc di questa soluzione in una beuta da 300 cc, diluire con 100 cc di acqua distillata ed aggiungere 2 g di ammonio bifluoruro,10 cc di HCl conc. E 5 cc di soluzione di potassio ioduro. Quindi titolare con sodio tiosolfato 0,1 N usando 0,5 cc di soluzione di salda d’amido come indicatore finché scompare la colorazione blu.
Siano B i cc di tiosolfato utilizzati:
Calcolo: g/l CrIII = (B-A)*8,7 dove A sono i cc utilizzati nella determinazione del cromo esavalente dell’analisi precedente
Determinazione del solfato nel bagno di cromatura
Reagenti:
PROCEDURA:
Prelevare 10 cc di bagno di cromatura in un becker da 250 cc, aggiungere 75 cc di soluzione riducente e portare all’ebollizione per 15-20 minuti. Diluire con acqua distillata, aggiungere 5 cc di acido picrico e 10 cc di soluzione di bario cloruro. Aspettare 1-2 ore e filtrare il precipitato di solfato di bario su filtro di carta. Bruciare il filtro in un crogiolo di porcellana preventivamente pesato. Mettere in muffola a 800 °C per due ore quindi pesare.
Siano A i grammi pesati:
Calcolo: g/l SO42- = A*41,5
Questa lega si deposita con una composizione del 65% in stagno ed del 35% in nichel corrispondente al composto intermetallico SnNi. Ha un aspetto metallico lucido con un riflesso rosa ed è resistente all’imbrunimento. Può essere alternativa al cromo per certe applicazioni decorative per interni o esterni, o per applicazioni su contatti elettrici. Ha una buona resistenza all’usura e trattiene un film d’olio che ne esalta questa proprietà. Trova applicazione nella metallizzazione dei fori dei circuiti stampati, come parziale sostituto dell’oro, a causa del notevole potere penetrante dei bagni e la buona conducibilità del deposito.
La durezza del deposito è compresa fra quella del nickel e quella del cromo. Essa è duttile e saldabile.
La tipologia di bagno più utilizzata risponde alla seguente composizione:
SnCl2 2H2O |
50 g/l |
NiCl2 6H2O |
250 g/l |
NH4HF2 |
55 g/l |
NH4Cl |
50 g/l |
NH4OH o HCl |
fino a pH 2.5-3.5 |
Temperatura |
65 °C |
Densità di corrente |
1.0-3.0 A/dm2 |
Agitazione |
Movimentazione catodica |
L’agitazione non è necessaria per piccoli spessori mentre diventa obbligatoria nel caso contrario.
Anche la filtrazione continua si rende necessaria per eliminare particelle sospese.
Si utilizzano anodi di nickel oppure anodi di nickel con anodi di stagno nel rapporto 2:1.
Nel primo caso lo stagno consumato va reintegrato con aggiunte regolari di cloruro stannoso.
Il contenuto in fluoruro è molto importante per il suo effetto complessante sullo stagno. Un aumento della sua concentrazione diminuisce il contenuto di stagno nel deposito.
Molto dannosa è la presenza di contaminanti organici. Piombo oltre i 25 ppm, rame,zinco e cadmio oltre i 200 ppm, hanno effetti negativi sul deposito ma questi possono essere rimossi mediante elettrolisi a bassa densità di corrente.
Determinazione iodometrica dello stagno(II) in un bagno di nickel-stagno
Reagenti:
PROCEDURA:
Prelevare 5 cc di bagno e porli in una beuta da 300 cc, diluire con 200 cc di acqua distillata e aggiungere 30 cc di acido cloridrico concentrato. Aggiungere 5cc di salda d’amido e titolare con iodio 0,1N finché la soluzione passa dal nero al blu.
Siano A i cc di iodio 0,1 N utilizzati.
Calcolo: g/l Sn(II) = A*1,187
ArgentATURA
I bagni cianurati di argento sono quelli che forniscono i migliori risultati tecnici ed economici anche tenendo conto delle spese per il trattamento delle emissioni. Gli anodi d’argento si sciolgono bene nei bagni al cianuro ed il consumo di brillantanti è basso.
Un bagno classico utilizzabile a telaio è il seguente:
Argento come KAg(CN)2 |
15-40 g/l |
Potassio cianuro KCN |
20-150 g/l |
Potassio carbonato K2CO3 |
20 g/l |
Temperatura |
20-30 °C |
Densità di corrente |
0.5-4 A/dm2 |
Per un’ argentatura a buratto si tiene conto che si ha un maggior trascinamento e una minore densità di corrente per cui si utilizzano bagni a minor concentrazione. Una formula tipica è la seguente:
Argento come KAg(CN)2 |
5-20 g/l |
Potassio cianuro KCN |
25-75 g/l |
Potassio carbonato K2CO3 |
20 g/l |
Temperatura |
20-30 °C |
Densità di corrente |
0.1-0.8 A/dm2 |
Entrambe le formulazioni producono un deposito opaco ma comunque tenero. Per produrre un deposito molto lucido vengono aggiunti affinatori del grano e brillantanti.
Esempi di questi brillantanti sono molecole organiche che contengono gruppi ammidici quali la nicotinammide o gruppi amminici come l’etilendiammina e complessi dei metalli del gruppo VA e VIA come selenio, bismuto o antimonio.
Aumentando la quantità di brillantanti aumenta la durezza del deposito. Questa è compresa di solito fra i 100 e 200 Knoop. Antimonio e selenio aumentano la durezza più delle sostanze organiche ma queste ultime impartiscono miglior conduttività elettrica.
I carbonati derivano dalla ossidazione del cianuro cosicchè l’aggiunta iniziale non deve essere ripetuta. Questa ossidazione è lenta quando il bagno non lavora ma quando la concentrazione arriva verso i 120 g/l allora il deposito diventa opaco. La rimozione di questo sale può essere fatta per raffreddamento della soluzione ed asportazione dei cristalli di carbonato precipitato o precipitazione dello stesso con idrato di bario.
L’argento è un metallo relativamente nobile per cui l’immersione in una sua soluzione di un metallo meno nobile può provocare fenomeni di cementazione che di solito sono deleteri per l’adesione dello strato successivo. Per minimizzare questo effetto è necessario impiegare un predeposito di argento. Una composizione tipica di questo bagno è la seguente:
Argento come KAg(CN)2 |
3.5-5 g/l |
Potassio cianuro KCN |
80-100 g/l |
Potassio carbonato K2CO3 |
20 g/l |
Temperatura |
15-25 °C |
Densità di corrente |
0.5-1.0 A/dm2 |
Lo spessore ottenuto da questo deposito è molto limitato ( 0,05-0,25mm). Dopo il bagno di preargentatura si entra in quello di argentatura senza risciacquare. La purezza degli anodi è molto importante poiché impurità come il rame, ferro, piombo, solfuro, tellurio, e metalli del gruppo del platino possono causare contaminazione della soluzione con formazione di un film sull’anodo che inibisce la solubilità dello stesso. Gli anodi devono essere ottenuti per trafilatura, fusione o estrusione e devono subire un trattamento di ricottura per ottenere una grana che non si sfogli durante la dissoluzione. Una insufficiente concentrazione di cianuro libero e un’area anodica limitata causa consumi e dissoluzione anomali.
L’analisi della concentrazione del cianuro libero deve essere eseguita frequentemente e regolarmente e ripristinata con potassio cianuro. Il rapporto anodo catodo consigliato e 2-1e la densità di corrente catodica massima di 1,25 A/dm2
L’argentatura di piccoli pezzi può essere fatta anche utilizzando anodi inerti. In questo caso i tradizionali bagni al cianuro subiscono degradazione per effetto della polimerizzazione del radicale cianuro e della sua ossidazione. Sono state sviluppate delle soluzioni per sopperire a questi casi particolari utilizzando bagni privi di cianuro libero di cui la seguente è una formulazione classica:
Argento come KAg(CN)2 |
40-75 g/l |
Sali conduttori e tamponanti |
60-120 g/l |
PH |
8.0-9.5 |
Temperatura |
60-70 °C |
Densità di corrente |
30-400 mA/dm2 |
Agitazione |
a flusso di soluzione |
Anodi |
Platino o titanio platinato |
I sali conduttori sono di solito pirofosfati che funzionano anche da tamponi, oppure nitrati in cui i tamponanti sono costituiti da borati. In queste soluzioni sono molto importanti i sali tamponanti poiché sull’anodo inerte vengono consumati gli ossidrili con conseguente aumento dell’acidità. Si forma allora all’anodo del cianuro d’argento insolubile per effetto della perdita del acido cianidrico che si sviluppa. Per questa causa aumenta l’effetto di polarizzazione anodica con diminuzione della corrente. Le seguenti reazioni illustrano il fenomeno:
4OH---> 2H2O + O2 +4e-
Ag(CN)2- -->AgCN¯ + CN-
La doratura è un tipo di placcatura con metalli preziosi che ha numerose applicazioni specialmente per oggetti ornamentali.
I sistemi di doratura odierni sono suddivisi in 8 classi:
Classe |
Tipo |
A |
Flash di oro decorativo 24K (0.05-0.1 mm), su telaio e in buratto |
B |
Flash di leghe di oro decorativo (0.05-0.1mm), su telaio e in buratto |
C |
Leghe di oro decorativo, pesante(0.5-1mm), su telaio . Questi depositi possono essere sia classe C – 1 carato o C – 2 carati |
D |
Oro tenero ad alta purezza per industria elettronica (0.05-0.5mm) su telai, in buratto e selettivo |
E |
Oro pesante (95%) duro,opaco per industria elettronica (0.05-0.5mm) su telaio, in buratto e selettivo |
F |
Leghe di oro spessore (0.05-1mm) su telaio e selettivo |
G |
Leghe opache e pure, raffinato (0.01-0.1mm), su telaio e selettivo |
H |
Miscele, comprendenti oro elettroformato e leghe di oro, per scopi architettonici |
Per semplificare ulteriormente l’oro e le leghe di oro possono essere considerate appartenenti a 5 gruppi generali:
Gruppo |
Miscele |
Classi |
1 |
Oro cianuro alcalino, per doratura e placcatura di leghe di oro |
A - D ; F - H |
2 |
Oro cianuro neutro, per doratura ad alta purezza |
D , G |
3 |
Oro cianuro acido, per doratura opaca e dura |
B , C , E – G |
4 |
Oro solfito, per doratura generica |
A – D ; F – H |
5 |
Miscele |
|
Ci sono centinaia di formulazioni tra queste cinque classi di soluzioni di oro per doratura.
Fisicamente, considerazioni di tipo estetico e ingegneristico determinano in quale di questi gruppi è il bagno desiderato. Il fattore normalmente altrettanto importante è quello economico. Il prezzo dell’oro è solo un aspetto che deve essere considerato nella decisione del tipo di tecnica di deposizione (telaio, buratto, continua o selettiva).
Per ogni applicazione è necessario bilanciare e ottimizzare le seguenti variabili:
Gran parte della placcatura decorativa è applicata alla gioielleria, in generale per oggetti che servono da ornamento. Lo spessore di oro o di leghe di oro è di circa 0.05-0.1mm e il tempo di placcatura è di circa 5-30 sec. Indrustialmente si distingue tra questo tipo di placcatura che viene chiama flash rispetto a quella a spessore in cui lo spessore del deposito è maggiore di 0.5mm.
Questi depositi sono usualmente applicati su un substrato di nickel lucido e l’aspetto risultante è ancora lucido. Non richiedono quindi successivo trattamento di lucidatura.
Gli anodi utilizzati sono di acciaio puro. Il miglior rapporto fra l’area del anodo e quella del catodo è 1:1 oppure 3:1. Alti rapporti, quando la vasca è usata come anodo, tendono a dare un colore e uno spessore del deposito disomogenei, e il pezzo finale frequentemente si brucia. Non è necessario nessun tipo di agitazione per assicurare colore uniforme.
L’oro e gli elementi in lega si consumano durante il processo e quindi devono essere aggiunti periodicamente per non sbilanciare il bagno. Normalmente ci si basa sulla lettura di un amperometro. Il bagno opera con un efficienza catodica di circa il 6%. Quindi ogni 11 Ah consumate devono essere aggiunti 5 g di oro, assieme alla giusta quantità di elementi in lega.
Tutte le condizioni operative devono essere controllate attentamente. Ogni variazione di queste condizioni influenza l’efficienza della corrente catodica dell’oro o delle leghe o di entrambi.
I fattori che alterano il colore del deposito sono:
Tabella di Oro e leghe di Oro in bagni Flash (Classi A,B)
Bagni alcalini di oro al cianuro (Gruppo 1, Classe D)
Tabella dei Bagni di Oro alcalini al cianuro
La tabella sovrastante elenca i bagni alcalini di oro cianuro che sono ancora usati. Per depositi opachi, aumentando la temperatura, si ha il miglior deposito e la più alta velocità di deposizione. Bisogna però cercare di non superare il limite di temperatura consentito.
I bagni alcalini al cianuro sono molto sensibili alle impurezze organiche , sia quelle introdotte dal trascinamento, sia quelle dovute all’assenza di pulizia, così come quelle dovute al crollo del cianuro libero. Per fare in modo che un deposito sia di buon aspetto e strutturalmente sano, è necessario trattare la soluzione con carbone e filtrarla periodicamente. Il grado di purezza del carbone deve essere elevato in modo da non introdurre più impurezze di quelle rimosse. La filtrazione continua attraverso un filtro impaccato di carbone è praticamente accettata ma non è efficiente nella rimozione delle impurità come un trattamento discontinuo con carbone. Se la soluzione è abbastanza contaminata prima del trattamento, è importante conservare il carbone utilizzato e i filtri per recuperare la quantità di oro persa durante il processo.
Il miglior metodo per trattare una soluzione con carbone è di:
Nessuna regola viene data alla frequenza di trattamenti con carbone. Ciò dipende dalla pulizia generale e dalla disponibilità economica, come dal pezzo che si deve processare; mediamente varierà da una volta ogni due settimane a una volta ogni due mesi. Per esempio i bagni a temperatura ambiente necessitano di trattamenti con carbone meno frequenti rispetto a quelli caldi al cianuro.
Bagni neutri di oro al cianuro. (Gruppo 2 , Classe D)
I bagni neutri al cianuro sono principalmente usati dalla industria dei semiconduttori. Molta cura va data per prevenire la contaminazione della soluzione perché anche una piccola quantità (ppm) di sostanze inorganiche indesiderabili può causare problemi al deposito come rotture o fragilità.
Bagni acidi di oro al cianuro. (Gruppo 3 , Classe E)
Il platino può trovarsi in soluzione allo stato bivalente o tetravalente. Lo ione bivalente può subire l’ossidazione a tetravalente all’anodo specialmente in soluzione alcalina. Questo effetto diminuisce il rendimento di corrente e perciò può essere utile separare con membrane la zona catodica da quella anodica.
Tipologie di bagni:
Bagni al dinitroplatinato solfato
Platino come H2Pt(NO2)2SO4 |
5 g/l |
Acido solforico |
fino a pH 2 |
Temperatura |
40 °C |
Densità di corrente |
0,1-1 A/dm2 |
Anodi |
Platino, Titanio platinato |
Bagni acidi all’acido cloroplatinico
Platino comeH2PtCl6 |
20 g/l |
Acido cloridrico (al 35%) |
300 g/l |
Temperatura |
65 °C |
Densità di corrente |
0,1-2 A/dm2 |
Anodi |
Platino,titanio platinato |
Bagni ammoniacali all’acido cloroplatinico
Platino comeH2PtCl6 |
10 g/l |
Ammonio fosfato |
60 g/l |
Ammonio idrato |
fino a pH 7.5-9.0 |
Temperatura |
65-75 °C |
Densità di corrente |
0,1-1 A/dm2 |
Anodi |
Platino, Titanio platinato |
La formulazione alcalina può essere applicata direttamente su basi nickelate. Le formulazioni acide richiedono in genere una predoratura sul materiale base.
Tre sono le tipologie di bagni che sono stati finora proposti per la rodiatura e cioè:
La prima tipologia fornisce un deposito prevalentemente tecnico, la seconda un deposito a caratteristiche prevalentemente estetiche (lucido e riflettente) e la terza produce un deposito con proprietà intermedie fra i due precedenti.
La gioielleria e la produzione di oggettistica in argento sono le industrie che maggiormente utilizzano questo deposito per il suo aspetto molto bianco. Benché entrambi i bagni forniscano depositi bianchi, i bagni al fosfato sono stati preferiti perché intaccano meno le saldature quando la rodiatura viene eseguita direttamente sul metallo base.
Il trattamento di rodiatura ha uno scopo puramente estetico. I suoi depositi sono molto bianchi, lucidi e duri ma altrettanto porosi e costosi per cui vengono utilizzati spessori molto bassi (0.1 mm).
Bagni al fosfato di rodio
Rodio fosfato |
2 g/l |
Acido fosforico all’ 85% |
60-150 g/l |
Temperatura |
40-50 °C |
Densità di corrente |
2-10 A/dm2 |
pH |
< 1 |
Anodi |
Platino, Titanio platinato |
Agitazione |
moderata |
Bagni al solfato di rodio
Rodio solfato |
1-2 g/l |
Acido solforico al 96% |
50-150 g/l |
Temperatura |
40-50 °C |
Densità di corrente |
2-10 A/dm2 |
PH |
<1 |
Anodi |
Platino, Titanio platinato |
Agitazione |
moderata |
Bagni al solfato-fosfato di rodio
Rodio fosfato |
1-2 g/l |
Acido solforico al 96% |
50-150 g/l |
Temperatura |
40-50 °C |
Densità di corrente |
2-10 A/dm2 |
PH |
<1 |
Anodi |
platino,titanio platinato |
Agitazione |
moderata |
Il palladio può essere depositato da sistemi caratterizzati da ambienti ammoniacali o acidi. Fra questi i più numerosi sono quelli ammoniacali in cui il palladio è presente in forma coordinata con molecole di ammoniaca Pd(NH3)42+ mentre l’anione che fa da controione può essere il Cl- ,NO2- e SO42-.
Gli elettrodepositi di palladio sono suscettibili alla formazione di microcricche per effetto della codeposizione di idrogeno per cui conviene sempre depositare in condizioni di alto rendimento. Per rendere lucido il deposito esistono dei brillantanti che fanno parte della famiglia dei solforati, che funzionano da duttilizzanti, mentre i legami olefinici impartiscono lucentezza . I sottostrati di rame vanno protetti con nickel o con un flash di palladio o di oro prima di entrare in un bagno di palladiatura per evitare opacizzazioni per effetto del contenuto ammoniacale.
Le soluzioni di placcatura acide vengono utilizzate per ottenere alti spessori con basse tensioni interne. Sono basati sull’impiego di palladio cloruro o solfato. Questi depositi sono opachi o semilucidi e l’efficienza di corrente è del 97-100% . La presenza di rame nella soluzione provoca dei depositi lattescenti.
Bagni convenzionali
Al solfammato
Palladio come Pd(NH3)2(NO2)2 |
10-20 g/l |
Ammonio solfammato |
100 g/l |
Ammonio idrato |
fino a pH 7,5-8,5 |
Temperatura |
25-35 °C |
Densità di corrente |
0,1-2,0 A/dm2 |
Anodi |
Titanio platinato |
Al cloruro
Palladio come Pd(NH3)4Cl2 |
10-20 g/l |
Ammonio cloruro |
60-90 g/l |
Ammonio idrato |
fino a pH 8.0-9.5 |
Temperatura |
20-25 °C |
Densità di corrente |
0,1-2,5 A/dm2 |
Anodi |
Titanio platinato o grafite |
Acido al cloruro
Palladio come PdCl2 |
50 g/l |
Ammonio cloruro |
30 g/l |
Acido cloridrico |
fino a pH 0,1- 0,5 |
Temperatura |
40-50 °C |
Densità di corrente |
0.1-1.0 A/dm2 |
Anodi |
Palladio o grafite |
Palladio - Nickel
Il palladio forma leghe con diversi metalli. Di queste la più importante commercialmente è quella con il nickel che si può depositare elettroliticamente con una composizione compresa fra il 30 e il 90% in palladio. Nella pratica corrente viene utilizzata la lega con il 75-85% in palladio. Questo tipo di lega ha la caratteristica di avere una notevole resistenza alla corrosione e una buona duttilità fino a spessori di 2 mm che garantiscono la bassa porosità. La lega è meno sensibile alle criccature indotte dall’idrogeno rispetto ai depositi di palladio puro.
La composizione più utilizzata è la seguente:
Palladio come Pd(NH3)4Cl2 |
18-28 g/l |
Ammonio cloruro |
60 g/l |
Nickel cloruro esaidrato |
20-40g/l |
Ammonio idrossido |
fino a pH 7.5-9.0 |
Temperatura |
< 25°C |
Densità di corrente |
0.1-2.5 A/dm2 |
Anodi |
Titanio platinato,grafite |
Brillantanti |
Solfonati e Acetilenici |
Il Rutenio è un metallo molto duro ed è il meno caro dei metalli del gruppo del platino. Ha una elevata temperatura di fusione. Il colore del deposito è più scuro rispetto al palladio e può essere ulteriormente inscurito con aggiunta di sostanze organiche tipo fenolo o piridina fino ad assumere un colore canna di fucile.
Una formulazione molto usata è la seguente:
Rutenio solfammato o nitrosil solfammato |
5 g/l |
Acido solfammico |
8 g/l |
PH |
1-2 |
Temperatura |
60-65 °C |
Densità di corrente |
1-3 A/dm2 |
Rendimento di corrente |
10-20 % |
A causa dell’ acidità del sistema è conveniente far precedere questo deposito da una predoratura o da un flash di palladio.
L’analisi ponderale, iodometrica o complessometrica viene utilizzata in genere per i metalli comuni nei bagni dove la concentrazione è elevata. Quando questi sono presenti in quantità limitata, come accadde per i metalli preziosi, è ormai d’uso comune l’utilizzo del metodo spettrofotometrico ad assorbimento atomico o al plasma.
In questi casi una piccola aliquota di bagno (1-2 cc) viene diluita fino ad ottenere una soluzione di concentrazione compresa in genere fra i 2 e 50 ppm.
Esso è costituito da una sorgente luminosa che emette radiazioni pressoché monocromatiche caratteristiche dell’elemento che interessa.
Il campione viene portato allo stato atomico mediante una fiamma aria – acetilene. La soluzione viene prelevata dal contenitore mediante un tubicino che la invia nebulizzata con aria e acetilene alla fiamma. Qui si formano gli atomi, che assorbono la luce proveniente dalla sorgente.
Il segnale in uscita dalla fiamma passa attraverso un monocromatore che si incarica di eliminare le radiazioni che non interessano. Infine la radiazione monocromatica passa al rivelatore (di solito un tubo fotomoltiplicatore) che produce una corrente proporzionale all’intensità del raggio.
La corrente viene trasformata in tensione e amplificata. Il segnale ottenuto viene poi espresso sotto forma numerica in un display e rappresenta la concentrazione del metallo della soluzione precedentemente diluita.
BIBLIOGRAFIA:
Fonte: http://www.ing.unitn.it/~colombo/TRATTAMENTI_GALVANICI_DEI_METALLI/File%20relazione/Relazione.doc
Sito web da visitare: http://www.ing.unitn.it
Autore del testo: Fossen Omar
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