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Un po’ di metallurgia.
Gli acciai in genere e quindi anche quelli adatti per la produzione dei coltelli sono metalli poli-cristallini la cui struttura molecolare è caratterizzata dalla presenza di “grani” di dimensioni più o meno grandi che ne influenzano le proprietà fisiche. Per capire il significato di questa affermazione cerchiamo di schematizzare ciò che succede nel corso della solidificazione e raffreddamento di un metallo. Per ogni metallo esiste una temperatura (di fusione) alla quale gli atomi che lo com-pongono raggiungono una condizione nella quale riescono a vincere le forze interatomiche, acquisire mobilità e conferire pertanto lo stato liquido al metallo stesso. Alla temperatura di solidificazione, invece, le forze di attrazione interatomiche e la mobilità degli atomi sono tali da favorire la formazione di aggregati di atomi, nei quali le singole particelle vengono ad assumere la disposizione ordinata (secondo varie forme geometriche) tipica degli stati cristallini. Tali aggregati risultano essere molto instabili, si formano e distruggono continuamente fino al raggiungimento di una temperatura più bassa alla quale iniziano a formarsi aggregati abbastanza stabili assimilabili a cristalli sub-microscopici. Questi funzionano da inneschi attorno ai quali si formano i cristalli veri e propri secondo un processo (nucleazione ed accrescimento) di apporto di materia: gli atomi ancora liberi entrano in contatto con gli inneschi iniziali e passano a far parte del solido sistemandosi progressivamente ai nodi del reticolo cristallino. Normalmente gli inneschi che si formano sono numerosissimi e si accrescono indipendentemente l’uno dall’altro. Esaurito il liquido i vari cristalli vengono a contatto tra loro. Si formano così i metalli poli-cristallini costituiti da un gran numero di cristalli elementari detti “grani”. Ciascuno di questi grani deriva dall’accrescimento di un unico innesco. Tra i grani che costituiscono un metallo si stabiliscono dei legami per la presenza di atomi che, attratti da due cristalli contigui, invece di entrare a far parte di uno dei cristalli hanno trovato una posizione di compromesso che li lega ad entrambi. Tale strato atomico prende il nome di bordo del grano. La temperatura dalla quale inizia il raffreddamento di un metallo, la velocità di raffreddamento e la presenza di impurità determinano la dimensione dei grani che si formano nella fase di raffreddamento di una massa metallica:
- abbassamento lento della temperatura produce una struttura cristallina a grana grossa (cristalli di grandi dimensioni lineari fino a 0,2 mm.)
- abbassamento veloce della temperatura non consente l’accrescimento dei grani e quindi avremo la formazione di una struttura a grana fine (cristalli di piccole dimensioni lineari medie pari a 0,005 mm)
- la presenza di impurità può alterare gravemente la struttura cristallina del metallo facendogli modificare considerevolmente le caratteristiche fisiche presenti allo stato puro (le inclusioni di atomi diversi da quelli del metallo alterano il reticolo cristallino)
E’ interessante notare che normalmente la superficie di un metallo raffreddato rapidamente sarà a grana finissima e l’interno a grana sempre più grossa man mano ci si avvicina al centro del lingotto (il centro raffredda per forza sempre più lentamente). E’ altresì importante notare che nel caso delle leghe (metalli con più componenti) si otterranno grani caratterizzati da composizioni differenti: i primi con cristalli più ricchi del componente a più alta temperatura di fusione (quello che solidifica per primo) e gli ultimi ricchi del componente a più bassa temperatura di fusione. Per ottenere una lega dalla composizione omogenea si può ricorrere ad un raffreddamento lento che consenta la formazione di grani molto grossi tutti con la stessa composizione. La omogeneità della lega è indispensabile per avere eterogeneità di proprietà fisiche del metallo ottenuto. Nella pratica per i costi di gestione sia dei raffreddamenti lenti che della difficoltà di controllo del punto di equilibrio solido-liquido, dai getti in acciaieria si ottengono materiali solidificati a grana molto grossa, con grani non omogenei per composizione media e diversi tra il cuore e la periferia del getto. Tali strutture a grana molto grossa sono poco desiderabili dal punto di vista meccanico quindi si elimina tale inconveniente con una lavorazione plastica a caldo o ricottura di omogeneizzazione che consiste nel riscaldare il materiale ad una temperatura alla quale la velocità di diffusione dei componenti la lega avviene a velocità accettabile. La ricottura ha lo scopo dunque di porre un metallo nello stato di equilibrio dal punto di vista meccanico, cristallografico, strutturale e chimico, e può essere fatta secondo due percorsi:
- ad una temperatura inferiore a quella di ricristallizzazione, con lo scopo di ripristinare condizioni meccaniche omogenee in pezzi lavorati a freddo.
- a temperature prossime a quella di fusione per ottenere l’omogeneizzazione del metallo.
Come si ottiene un acciaio.
Il ferro puro è un metallo bianco argenteo relativamente soffice che fonde a 1535°C e bolle a 1740°C. A temperatura ordinaria cristallizza nel sistema cubico a corpo centrato (ferro alfa), a 911°C si trasforma in cubico a facce centrate (ferro gamma) e ritorna con reticolo a corpo centrato a 1392°C (ferro delta).
Le fasi Delta e Gamma del ferro sono capaci di sciogliere limitate quantità di carbonio, mentre la fase Alfa ne scioglie piccolissime quantità.
Un acciaio altro non è che una soluzione ferro-carbonio.
In una tale soluzione si ha formazione di molecole varie, più o meno stabili, a seconda della temperatura alla quale si trova la soluzione:
- ferrite nella fase Alfa (a 723°C) una soluzione solida ferro-carbonio che può contenere fino allo 0,025% di carbonio e che va ad occupare gli spazi liberi tra i grani (interstiziale). La ferrite risulta essere duttile e dolce
- austenite nella fase Gamma (1147°C) soluzione solida ferro-carbonio con un contenuto di carbonio fino al 2,0%. L’austenite ha densità minore della ferrite e rimane dolce e duttile e normalmente instabile e quindi presente solo ad alte temperature. In alcuni acciai speciali è presente anche a temperatura ambiente.
- cementite un composto interstiziale di formula Fe3C, estremamente dura e fragile, si forma ad alte temperature ed in presenza di percentuali di carbonio superiori allo 0,8%. Rimane stabile e presente anche a temperatura ambiente.
- perlite è una mescolanza di ferrite e cementite che avviene per saturazione dell’austenite a 723°C.
-grafite carbonio allo stato puro che non si è solubilizzato. La formazione dei componenti sopra indicati è legata alla percentuale di carbonio presente nella soluzione ed al processo di raffreddamento. Il risultato finale, ovvero la quantità dei vari componenti che si ritroveranno nell’acciaio allo stato solido influenza in maniera determinante le sue qualità fisiche. Per capire il processo esaminiamo il raffreddamento lento di un acciaio contenente lo 0,5% di C: iniziando il raffreddamento si forma un primo nucleo solido composto da austenite (soluzione solida di carbonio in ferro Gamma con lo 0,5% di C), continuando il raffreddamento i grani di austenite si trasformano in ferrite (l’austenite è instabile a basse temperature) liberando atomi di carbonio (la ferrite è più povera di carbonio dell’austenite) che finiscono nella parte ancora austenitica fino a saturarla ed iniziare la formazione di cementite. Abbassando ulteriormente la temperatura la cementite che è un composto fisso (è stabile anche all’abbassare della temperatura) si depositerà con la ferrite presente nel composto chiamato perlite.
Acciaio per coltelli.
Un costituente importante di ogni coltello è, senza alcun dubbio, il metallo con il quale è costruita la sua lama. Quasi nel cento per cento dei casi si tratta di acciaio. E d’obbligo dire “quasi” perché negli ultimi tempi si è cercato di rimpiazzare l’acciaio con altri materiali quali la ceramica, il nylon ed altro ancora. Se è vero che non possiamo ignorare l’esistenza di coltelli affascinanti quali quelli con lame di materiali speciali qui per brevità ci porremo il limite di parlare soltanto dell’acciaio quale materiale usato da più tempo ed in prevalenza per produrre lame. La ricerca dell’“acciaio perfetto” per fabbricare lame di coltelli è un processo senza fine al pari della ricerca del “coltello perfetto”, e ha portato i fabbricanti a prove ed esperimenti i cui risultati sono sempre un compromesso tra le distinte caratteristiche che si cercano in un acciaio destinato a tale fine:
- facilità di lavorazione: la lavorabilità con strumenti ordinari, la comparsa di poche deformazioni in occasione del trattamento termico e la capacità di compensare piccoli errori durante le lavorazioni sono caratteristiche che aiutano non poco il fabbricante di coltelli e sono quindi molto apprezzate.
- durezza e granulometria fine: una durezza corretta ed una granulometria fine determinano la capacità di prendere un buon filo ovvero una buona capacità di taglio. La durezza teorica ottimale che oggi si richiede ad una buona lama dopo il rinvenimento varia tra 55 e 58 °R C (i gradi Rockwell C sono la scala di misura più usata per indicare la durezza di una lama) a seconda della destinazione d’uso della lama e con una tolleranza di +/- 1°. Molti pensano che la durezza sia un indice assoluto per valutare la qualità di uno strumento da taglio, ma in realtà è più semplicemente condizione necessaria e non sufficiente per ottenere un taglio efficace e duraturo. Si può affermare che la durezza elevata indica con certezza che l’acciaio con il quale è costruito il nostro coltello è di buona qualità (elevato contenuto di carbonio ed altri leganti ben dosati), ma se la granulometria non è fine e la trasformazione dell’austenite in martensite non si è completata è certo che il nostro coltello avrà un filo fragile e poco duraturo.
-tenacia: è la capacità di resistere alle sollecitazioni (flettenti e torcenti) cui è soggetta una lama durante il suo normale uso: ovvero la capacità di resistere alla rottura in presenza di forze che tendono a piegarla. Tenacia è l'opposto di fragilità.
- resistenza all’usura: la resistenza all’usura è la capacità della lama di mantenere un buon filo a lungo in presenza di un uso continuato: ovvero è la capacità di sopportare la pressione e l’abrasione che si verificano durante l’azione di taglio.
- resistenza alla corrosione: ai coltelli di oggi, specialmente se destinati al taglio di alimenti, si richiede di resistere alla corrosione ovvero di sopportare gli attacchi chimici che provocherebbero la comparsa di macchie e nei casi più gravi di vera e propria ruggine. Per capire l’importanza di tale capacità di resistere ad ossidi ed acidi basta pensare che sostanze di questo tipo sono fortemente presenti in carni, verdure e frutta. Questa caratteristica si controlla con la composizione chimica della lega aggiungendo cromo in quantità superiori al 12 % ed inferiori al 18 % che risultano il miglior compromesso tra il mantenimento della buona capacità di taglio ed una accettabile resistenza alla corrosione. In realtà nessun acciaio da taglio è completamente inossidabile: infatti è semplicemente più resistente all'ossidazione di un acciaio al carbonio convenzionale. La lingua inglese usa il termine “stainless” per indicare questi acciai che si traduce letteralmente in “senza macchie” rendendo meglio l’idea del loro vero comportamento. Se lasciamo un coltello di “acciaio inossidabile” senza pulirlo dopo l’uso, esposto alle intemperie o all'acqua di mare, sicuramente appariranno segni di deterioramento, seppure con maggiore lentezza di quanto accadrebbe con una lama di acciaio comune. Anzi si può dire che la comparsa di tali macchie indica che il nostro coltello è realizzato con un buon acciaio da taglio. Acciai con elevato tenore di cromo, tali da essere totalmente inossidabili (come quelli per fare pentole e posate che si riconoscono facilmente perché diamagnetici), vedono diminuire in maniera significativa la loro resistenza all'usura e la loro tenacia. Secondo una credenza molto diffusa le lame di acciaio al carbonio sono superiori a quelle fabbricate con acciai inossidabili per capacità e durata del taglio. In realtà si tratta proprio di “credenze” che hanno avuto origine alla comparsa dei primi coltelli inossidabili fabbricati con acciai che possedevano caratteristiche chimiche inadeguate e che non erano trattati termicamente nella maniera appropriata. Lo sviluppo tecnologico ha oggi permesso da un lato di mettere a disposizione acciai con composizioni chimiche sofisticate e dall’altro di individuare e rendere facilmente disponibili trattamenti termici appropriati, in maniera tale che ogni coltellinaio può liberamente scegliere l’acciaio più adatto al coltello che deve realizzare senza pregiudizi facendo solo riferimento alla destinazione d’uso che questo avrà. Una regola generale da adottare può essere quella di preferire gli acciai inossidabili per i coltelli destinati ad usi alimentari, ambienti aggressivi o al collezionismo, mentre per coltelli o attrezzi da lavoro si preferiranno acciai al carbonio più economici e resistenti a colpi e sollecitazioni violente.
-facilità di manutenzione: oggi abbiamo a disposizione una tale quantità di “acciai speciali” che spesso si è tentati di usarli impropriamente. Non sempre è meglio abbondare in prestazioni poiché si finisce con l’avere un coltello più costoso, più difficile da affilare del quale non sfrutteremo mai le reali potenzialità. Ogni coltello deve essere realizzato con un acciaio dalle caratteristiche ottimali per l’uso cui sarà realmente destinato. La facilità di manutenzione è una proprietà che interessa direttamente l’acquirente ed utilizzatore di un coltello.
Come si ottiene un acciaio da taglio.
L’acciaio è una lega metallica la cui base fondamentale è il ferro, al quale è stata addizionata una piccola quantità di carbonio, (inferiore a 1,5%) durante il suo processo di ottenimento. Nessun intervento, sia in fase di produzione che di lavorazioni successive, può modificare altrettanto la forza e la durezza di un acciaio come può farlo un piccolo cambiamento nel suo contenuto di carbonio. Esiste, tuttavia, un limite oltre il quale un contenuto maggiore di carbonio non produce un aumento apprezzabile della durezza della lama: tenori di carbonio maggiori dello 0,8 % producono aumenti di durezza dopo il trattamento termico sempre meno significativi tanto che se addirittura si supera il livello del 1,5% avremo un acciaio così fragile da essere inutilizzabile. Unica eccezione a questa situazione vale per gli acciai damascati, che devono la loro fortuna proprio al fatto di poter contenere fino al 2 % di carbonio e mantenere una sufficiente elasticità. Il segreto di tali acciai, risiede nello speciale processo di ottenimento, che consiste nella saldatura per bollitura di lamine caratterizzate da differenti tenori di carbonio piegate e saldate più volte fino ad ottenere una struttura a strati.
Invece, gli acciai oggi comunemente usati in coltelleria sono diventati delle “leghe” complesse caratterizzate dalla presenza di più elementi che conferiscono loro caratteristiche aggiuntive quali inossidabilità, lavorabilità, resistenza all’usura, tenacia, ecc.
Le caratteristiche ideali per un acciaio da taglio sono:
a. Dato un certo livello di durezza, aumentare la sua resistenza all'usura.
b. Dato un certo livello di durezza, aumentare la sua tenacia.
c. Aumentare la resistenza alla corrosione.
d. Ridurre le deformazioni durante il processo di tempra. Le prime tre qualità costituiscono dei vantaggi per gli utilizzatori dei coltelli, mentre l’ultima è utile al produttore. Per migliorare le caratteristiche di un acciaio oramai è diventato normale aggiungere alla base di ferro e all’indispensabile carbonio alcuni dei seguenti elementi:
- Manganese: riducendo la presenza di ossigeno evita la formazione di ossidi dannosi, dà stabilità alle alte temperature e mantenendo la sua presenza inferiore allo 0,7 % aiuta ad aumentare la durezza raggiungibile dalla lega con il trattamento termico. Una quantità eccessiva di questo metallo conduce a lame troppo dure e facilmente fessurabili (troppa austenite presente a temperatura ambiente).
- Silicio: anche il Silicio si usa come disossidante. Una combinazione di alto contenuto di silicio, pari o superiore al 2 %, e di moderato contenuto di carbonio (0,4 a 0,6 percento), conferisce grande tenacità all’acciaio.
- Cromo: è un importante elemento che produce effetti diversi secondo il suo contenuto nella lega:
a. In piccola quantità (0,25 a 0,50 %): aumenta la durezza e riduce la presenza di “punti
soffici”, comuni in certi acciai.
b. In quantità moderata (0,8 a 1,25 %): ritarda l'azione della corrosione, l'ossidazione, ed
aumenta la resistenza all'azione di agenti esterni (acidi ecc.)
c. In alto contenuto(oltre il 4% e fino al 12 %): aumenta la resistenza all'abrasione,
all’ossidazione ed alle macchie. Un acciaio ad alto contenuto di carbonio (da taglio)
diviene “inossidabile” con un contenuto del 12 % o più di cromo.
- Nichel: raramente presente negli acciai “sofisticati” utilizzati in coltelleria, la presenza di nichel ha il compito di aumentarne la tenacia ed abbassarne la temperatura di tempra e di rinvenimento. Il vantaggio che ne consegue è la minimizzazione della comparsa di fessure o distorsioni sulle lame, specialmente in quelle lunghe e sottili. Il nichel diminuisce, inoltre, il grado di ossidazione dell'acciaio, aumentando la resistenza alla corrosione chimica ed atmosferica.
- Molibdeno: si usa per aumentare la capacità di indurimento delle lame. Sono sufficienti piccolissime quantità, 0,2/0,3 %, per ottenere l'effetto desiderato e, contemporaneamente, diminuire la fragilità tipica a tutta tempra. Riduce inoltre, le tensioni interne che normalmente si formano durante la forgiatura ed il trattamento termico.
- Tungsteno: conferisce proprietà simili a quelle date dalla presenza di molibdeno, con l’aggiunta di migliorare la resistenza all'usura.
- Vanadio: usato inizialmente per ridurre la presenza di inclusioni ed impurezze, in seguito, si scoprì che il suo uso aveva il beneficio aggiuntivo di aumentare la resistenza all'usura delle leghe che lo contenevano.
Il trattamento termico degli acciai da taglio.
E’ a tutti noto che un coltello per meritare tale nome deve essere fatto con uno speciale acciaio temprabile. Forse non è altrettanto chiaro in cosa consista la “tempra” di un acciaio. Se poi qualcuno sa che consiste nel riscaldare ad una data temperatura la massa metallica e raffreddarla poi rapidamente, sicuramente pochi sanno perché si sottopongono a trattamento termico gli acciai e cosa cambia nell’acciaio stesso con il trattamento termico. Prima di tutto conviene osservare che il trattamento termico è necessario perché gli acciai sono prodotti e venduti dalle acciaierie in un stato “soffice” (ricotto), altrimenti non si potrebbero lavorare a causa della loro durezza, o almeno non si potrebbe farlo con la stessa facilità utilizzando le normali attrezzature di officina. Il trattamento termico è un processo che suscitando una trasformazione fisica della struttura di un acciaio, senza alterarne la composizione chimica, gli conferisce le proprietà necessarie per farlo diventare un “acciaio da taglio” ovvero adatto alla produzione di lame: resistenza all'usura, tenacia, durezza.
Tale processo è così determinante per la realizzazione di un buon coltello che in passato ogni coltellinaio aveva, in qualche caso credeva di avere, segreti o abilità particolari per conferire alle sue lame caratteristiche superiori a quelle di altri. In effetti fino a quando la tecnologia non ci ha fornito acciai dalla composizione desiderata e certa, strumenti di misura precisi per valutare temperature, durezze e capacità di taglio ed infine percorsi di trattamento termico determinati scientificamente da metallurgisti, solo intuito, esperienza ed abilità potevano consentire di produrre ottime lame. La temperatura di tempra per un determinato acciaio veniva determinata attraverso una serie di prove empiriche fino a trovare quella che produceva il miglior risultato. I coltellinai più eruditi potevano avvalersi di una semplice calamita perché sapevano che nel momento in cui l’acciaio perde le sue qualità magnetiche ha raggiunto appunto la temperatura di tempra. Una volta determinata la corretta temperatura di tempra era necessario abituarsi a riconoscerla dal colore dei pezzi incandescenti e proprio per questo le botteghe avevano sempre un angolo buio che consentisse di evitare interferenze di luce naturale o artificiale per effettuare la tempra.
Sempre con processi empirici fatti di prove ripetute i cui risultati erano rigorosamente e gelosamente tramandati da padre in figlio si determinava il miglior processo di raffreddamento: olio, acqua, aria o varie soluzioni di sali fino a scoprire che raffreddando in “urina”, meglio se di Vescovo, si ottenevano risultati eccellenti. La cosa non deve stupire perché l’urina contiene fosfati e sali vari in abbondanza, il Vescovo mangiava mediamente bene e la sua urina era più ricca, e quindi con il raffreddamento in tale liquido si otteneva un “trattamento” del pezzo proprio come si fa oggi con sofisticati processi tecnologici mirati ad indurire superficialmente gli acciai. Restavano infine da verificare i risultati raggiunti esaminando la granulometria di una zona di frattura e la durezza raggiunta. Anche in questo caso con osservazioni ad occhio nudo, prove di limatura a mano (da quanto la lima “morde” un pezzo di acciaio temprato se ne deduce la durezza) e forma e colore delle scintille ottenute alla mola ci si abituava a capire se la tempra era andata a buon fine.
Altre osservazioni che si possono fare ad occhio nudo:
- Acciai con basso tenore di carbonio producono scintille lunghe e giallo-arancioni con lingue arancio brillante. Occasionalmente esplode qualche “stella” originata dal carbonio dell'acciaio.
- Acciai con alto tenore di carbonio producono una “pioggia” di scintille fini e “piumose” brevi e concentrate. Quanto maggiore il contenuto di carbonio, più complessa la “pioggia” di stelle e più brevi le scintille.
- Acciai legati (inox ed altro) producono scintille di varia forma secondo gli elementi che contiene la lega che combinate con quelle del carbonio danno luogo a raggi lunghi di colore ed intensità variabile ma più rarefatti.
Una volta trovato il miglior percorso per temprare era indispensabile, e qui si manifestava l’abilità del coltellinaio, acquisire la capacità di ripercorrerlo sempre allo stesso modo utilizzando la capacità personale di riconoscere lo stato dei processi senza avere a disposizione strumenti per misurarli.
I processi empirici di tempra messi a punto nei secoli dai coltellinai, almeno quelli realmente efficaci, nati con atteggiamenti che paiono essere più vicini all’oscurantismo ed alla magia che alla scienza hanno successivamente trovato una spiegazione scientifica ed oggi la presenza di strumenti di misura ed analisi consentono di trasformare la tempra in un processo tecnologico. Dal punto di vista teorico oggi, oltre a poter scegliere l’acciaio più adatto alle nostre necessità, è possibile conoscere l’esatta composizione chimica di ogni lega da trattare e quindi si può determinare il miglior trattamento termico per la stessa (le acciaierie forniscono le indicazioni necessarie per temprare i loro acciai). Tuttavia esistono inevitabilmente piccole differenze di composizione tra i vari “lotti” prodotti di uno stesso acciaio, che, se non compensate dalla abilità ed esperienza del col-tellinaio che effettua il trattamento termico, finiranno per far comparire tra la sua produzione coltelli che “non mostrano le proprietà tipiche della marca” (capacità di taglio, durata del taglio, ecc.). Fino ad ora abbiamo genericamente parlato di trattamento termico come se si trattasse di un unico processo mentre in realtà consiste in due distinte fasi:
- la tempra: la tempra consente di ottenere a temperatura ordinaria (ambiente)
1. una forma allotropica di quella struttura cristallina che risulta essere stabile solo alla temperatura di tempra.
2. una soluzione sovrasatura di uno degli elementi di lega del metallo base. Negli acciai da taglio con la tempra si vuole ottenere una trasformazione (allotropica: ovvero che mantenga le stesse proprietà) del ferro Gamma in ferro Alfa ed avere a temperatura ordinaria una soluzione sovrasatura di carbonio. La Tempra consiste nel raffreddare rapidamente un acciaio a partire da una determinata temperatura (velocità di raffreddamento e temperatura di tempra sono funzioni della qualità dell’acciaio da temprare) in maniera tale da ottenere, a temperatura ambiente una struttura relativamente instabile (metastabile) detta martensite il cui reticolo tetragonale può considerarsi intermedio tra quello cubico a facce centrate del ferro gamma e quello cubico a corpo centrato del ferro Alfa e che solubilizza la maggior quantità possibile di carbonio. Maggiore è la quantità di martensite che si riesce ad ottenere con la tempra (riducendo la presenza di ferrite e grafite) tanto maggiori saranno le qualità di durezza, tenacia e resistenza del pezzo temprato rendendolo adatto a realizzare un coltello con buone capacità di taglio. La martensite è una struttura dura ed aghiforme caratterizzata dalla presenza di “grani” il cui volume influenza la tenacia del metallo: un acciaio con grani grossi è debole poiché diminuendo i punti di contatto tra grano e grano, diminuiscono anche le interrelazioni (legami) tra i grani stessi.
Saranno da considerare controindicati i grani grossi ed aspri.
Saranno da considerare ideali i grani piccoli, uniformi, vellutati.
Con un po’ di esperienza e molta attenzione, è possibile osservare ad occhio nudo la granulometria di un pezzo di acciaio temprato osservando la tessitura di una zona di frattura. Un acciaio a grana grossa mostrerà una zona di frattura aspra e puntiforme, con aspetto “terroso”, mentre un acciaio a grana fine mostrerà una zona di frattura con tessitura dolce, uniforme e “vellutata”. Per temprare correttamente un acciaio, ovvero per ottenere una dimensione ottimale dei suoi grani si deve porre attenzione a più fattori tutti dipendenti dalla composizione dell’acciaio stesso ed applicando eventuali correzioni dettate dall’esperienza:
a. la temperatura (di tempra) alla quale si porta l’acciaio prima di iniziare il raffreddamento deve essere assolutamente la sua temperatura critica superiore, che varia da acciaio ad acciaio, altrimenti i grani risulteranno sovradimensionati tanto da debilitare il metallo.
b. il tempo di mantenimento alla temperatura di tempra prima di iniziare il raffreddamento deve garantire che ogni lama raggiunga e non superi la temperatura voluta quindi è funzione del volume dei pezzi da temprare.
c. il raffreddamento deve avvenire utilizzando un refrigerante (aria, aria ventilata, olio, acqua, salamoia, ecc.) adeguato all’acciaio usato ed al tipo di risultato che vogliamo ottenere.
d. il tempo di raffreddamento, decisamente determinante, deve essere sufficientemente rapido da produrre i tanto desiderati grani piccoli, ma non tanto da produrre fessurazioni ed è funzione della composizione della lega che stiamo temprando.
-il rinvenimento o normalizzazione: con la tempra raggiungiamo uno stato fisico metastabile (di non equilibrio e con forti tensioni interne), che garantisce all’acciaio le proprietà fisiche (durezza, tenacia, ecc.) necessarie alla realizzazione di un coltello, ma tale da renderlo fragile, di difficile utilizzo pratico perché soggetto a rotture. La lama di un coltello a “tutta tempra” è fragile al punto che potrebbe rompersi come un vetro se la si lasciasse cadere in terra o ricevesse un colpo secco. Per ridurre questi inconvenienti è necessario ricondurre la struttura cristallina del pezzo temprato ad una condizione più equilibrata attraverso un procedimento detto rinvenimento. Il rinvenimento consiste nel mantenere il pezzo temprato un lungo periodo di tempo (da una a tre ore) ad una temperatura molto più bassa di quella di tempra (circa un quarto). Con il rinvenimento si riducono di poco (circa 1-2%) le proprietà fisiche della lega cercate con la tempra (durezza, tenacità e resistenza), mentre l’aver recuperato uno stato di sufficiente equilibrio per la sua struttura elimina la maggior parte della non desiderabile fragilità. Per il coltellinaio di un tempo il rinvenimento richiedeva un'abilità, esperienza e sensibilità davvero speciali necessarie per intuire il “momento giusto” in cui le lame raggiungono la corretta temperatura di rinvenimento. La difficoltà risiede nel fatto che le temperature che entrano in gioco sono troppo basse per farsi guidare dai colori di incandescenza dei pezzi trattati quindi è necessario pulire una parte del metallo prima di riscaldarlo e diventare capaci di valutare l’ossidazione di questa parte che si manifesta mediante una variazione di tonalità violacee. Inoltre sarà possibile “saggiare” con una lima il pezzo per determinare la durezza. Anche nel caso del rinvenimento gli acciai di oggi e gli strumenti di misura disponibili consentono di ricondurre il processo a percorsi certi e dai risultati sicuri.
Sistemi di ottenimento delle lame.
In maniera schematica si può affermare che una lama può essere ottenuta per forgiatura o per tranciatura. La forgiatura rappresenta il modo più antico per realizzare una lama mentre la tranciatura è un processo relativamente recente. Oramai da molto tempo alla forgiatura tradizionale con incudine e martello si è affiancata una forgiatura a “macchina” mentre alla tranciatura si sono affiancati altri metodi di taglio quali taglio laser ed altri. Tuttavia per comprendere le reali differenze qualitative delle lame è necessario e sufficiente distinguere i seguenti processi produttivi:
-Lavorazione plastica a caldo manuale: per forgiare manualmente una lama si parte da una barra di acciaio sufficientemente lunga da poter essere tenuta in mano da una estremità quando l’altra viene mantenuta al rosso riscaldandola nella fucina. Con l’azione del martello contro l’incudine si allunga e deforma l’estremità calda dell’acciaio per portarla alla forma approssimata della lama che si desidera ottenere. Una volta forgiata, la lama sarà molata fino ad arrivare alla sua forma definitiva, per eseguire poi il trattamento termico, la finitura delle superfici ed il montaggio del manico. Tale processo manuale di forgiatura è molto importante, perché oltre a dare forma di lama ad un pezzo di acciaio ne migliora considerevolmente la qualità di taglio. Durante l’azione continua e calibrata di martellatura i grani dell’acciaio si “rompono” diventando via via più piccoli e si allineano in file parallele che seguono la direzione di costruzione della lama. La combinazione di questi due fenomeni consente di ottenere un filo duro e tenace e quindi una eccellente capacità di taglio. Un altro vantaggio indiscutibile della forgiatura consiste nel dare alla lama la forma che si desidera senza limitazioni. Infatti si parte da un bisello (piccola barra) di acciaio pieno e deformandolo a caldo, quasi a scolpirlo, se ne estrae la forma voluta. Oggi non è più necessario forgiare manual-mente un acciaio per migliorarne la qualità (abbiamo già detto che gli acciai sono disponibili nella qualità desiderata in acciaieria) pertanto, dato l’alto costo di un tale lento processo produttivo, si continua ad utilizzarlo solo per realizzare lame sofisticate destinate prevalentemente al collezionismo.
-Lavorazione plastica a caldo meccanica: la forgiatura meccanica è ottenuta con l’uso di un maglio: macchina che lascia cadere un grosso peso (martello) sopra un banco di lavoro (incudine). L’azione del martello per spezzare ed allineare i grani è praticamente scomparsa nella forgiatura moderna (in qualche caso si sottopone il bisello a 6/12/24 martellature meccaniche della cui utilità ho molti dubbi) oramai ridotta ad una semplice “lavorazione a caldo” dell’acciaio che, mantenuto al rosso, viene schiacciato con un sol colpo dentro uno stampo assumendo la forma di una “frittella”. Con una azione di tranciatura successiva la lama prenderà la forma definitiva, sarà sottoposta a trattamento termico, molata e quindi portata a finitura. Il vantaggio principale che se ne ricava è quello di poter dare alla lama forme (nodi, incisioni ed altro) che per tranciatura non sono ottenibili, senza avere i costi improponibili, per coltelli destinati ad usi quotidiani, tipici della forgiatura manuale.
- Lavorazione a freddo: consiste nell’ottenere una lama tagliandola da una lamiera di acciaio con l’ausilio di uno stampo da taglio montato su una pressa. Con un solo colpo lo stampo produce una lama già formata, ma a spessore costante. Dopo la tranciatura si esegue il trattamento termico ed infine con l’azione di un certo numero di mole le lame saranno portate a finitura per asportazione. Questo processo produttivo si è affermato riservandolo a produzioni di scarsa qualità: meno costoso della forgiatura meccanica consentiva di ottenere coltelli a buon mercato partendo da acciai modesti. In tempi recenti la disponibilità di lamiere di acciaio di grande qualità ha consentito di destinare questo metodo produttivo anche alla realizzazione di ottime lame. Ancor più recentemente altre tecniche di taglio (laser ed altro) si sono affiancate alla tranciatura per realizzare lame partendo da lamiere di acciaio. Il più grosso limite costituito dalla tranciatura o dal taglio laser consiste nella impossibilità di realizzare alcune forme di lame molto apprezzate sia per motivi tradizionali che per oggettiva bellezza. Partendo infatti da lamiere a spessore costante non si potranno ottenere lame con nodi, guardie ed incisioni profonde, ma solo lame a spessore costante.
Da quanto sopra detto si rileva facilmente che la forgiatura, soprattutto quella manuale è un processo assai affascinante ma non garantisce automaticamente la qualità di un coltello. Oggi la qualità e la varietà degli acciai prodotti dalle acciaierie, combinata con la conoscenza di processi di trattamento termico ottimali per ogni lega, con sentono di ottenere coltelli di altissima qualità anche per tranciatura o taglio laser.
Affilatura dei coltelli.
Nonostante sia comune far riferimento al “filo” di un ferro tagliente nella vita quotidiana non è sicuramente chiaro a tutti cosa sia con precisione il filo di un coltello. Tutti gli oggetti da taglio, dalle selci ai sofisticati strumenti di oggi hanno contribuito non poco a migliorare la qualità della nostra vita proprio con il loro “filo” che possiamo genericamente definire come punto di incontro delle due superfici piane ed estese che caratterizzano ogni lama. Ottenuto più o meno accidentalmente dagli uomini primitivi scheggiando delle pietre oggi è frutto di processi abbastanza complessi e delicati che ne influenzano la capacità di taglio. L’incontro dei piani che costituiscono la parte estesa di una lama non è semplice da ottenere ed ogni coltellinaio ha una sua teoria per l’ottenimento del miglior filo possibile. Nonostante, per astrazione, nel linguaggio comune si tenda a confondere il “filo” di una lama con la sua “capacità di taglio” nella realtà è più corretto pensare ad esso come alla porzione terminale del tagliente della lama stessa quindi ad un elemento geometrico la cui forma determina la “capacità di taglio”. L’affilatura di un coltello non è certamente una “scienza esatta” pertanto non è possibile ricondurla a qualcosa di inconfutabile. Nella realtà ogni coltellinaio ha una sua teoria frutto di esperienza diretta, confronto con altre esperienze e verifica dei risultati ottenuti. Per far capire quanto sia difficile “misurare” la bontà di una affilatura si osservi che esistono macchine che misurano la durata del taglio di una lama, ma non danno informazioni sulla “piacevolezza” del taglio. Definire “piacevole” la sensazione che si ha nel tagliare può sembrare di cattivo gusto, ma ritorneremo su questo argomento che è invece di grande interesse. Nonostante ogni coltellinaio adotti una tecnica di affilatura personale non si può prescindere da tre elementi basilari senza i quali è impossibile arrivare ad una affilatura di successo:
1. uso di un abrasivo corretto (mola e/o pietra)
2. adozione di un angolo di taglio adeguato
3. adozione di una tecnica corretta ed uniforme di lavoro.
Normalmente i coltelli prodotti con tecniche industriali o comunque in grandi quantità escono di fabbrica con il filo solo impostato o realizzato con delle affilatrici automatiche.
Il motivo di tale atteggiamento risiede nell’elevato costo della affilatura manuale e nella difficoltà di avere a disposizione un numero sufficiente di “arrotini” ovvero di “artigiani” capaci di affilare correttamente ed a qualità costante numeri elevati di coltelli.
Affilatura con la pietra.
In effetti l’affilatura ottimale richiede sempre il passaggio della lama su di una pietra da affilatura inumidita con acqua od olio, secondo il tipo di pietra posseduta. Esistono molti tipi di pietre da affilatura, naturali o sintetiche, che ognuno potrà scegliere secondo la propria sensibilità e valutando poi i risultati ottenuti. Periodicamente sarà utile provvedere anche al lavaggio della pietra stessa per mantenerla nella sua massima capacità di “taglio”. In effetti l’acqua o l’olio impediranno alle minute particelle di acciaio che si staccano dalla lama di fissarsi nei pori della pietra impedendole di levigare la lama stessa, ma una pietra usata più volte e lasciata sporca avrà una patina indurita che la ricopre in maniera tale da non esercitare una sufficiente azione di abrasione. Le pietre da affilatura si possono usare anche a “secco” purché si abbia l’accortezza di mantenerle pulite. Per usare correttamente una pietra è importante che essa abbia dimensioni adeguate alla lama da affilare e sia assicurata ad un banco di lavoro per evitare di ferirsi e per facilitare l’azione di affilatura. Poiché l’affilatura richiede l’applicazione di una certa forza ed uniformità di azione è bene procedere restando in piedi vicino al tavolo di lavoro. La capacità di taglio di una lama è molto influenzata dall’angolo di taglio che le varie teorie vogliono compreso tra 10º e 35º a seconda del coltello e dell’uso che se ne farà. Misurare tale angolo non è facile e solo con l’esperienza la mano acquisisce la sensibilità necessaria per levigare secondo un angolo costante la lama. E’ importante notare che quanto è più acuto l'angolo pietra-lama tanto più acuto e tagliente sarà il filo della lama stessa, ma anche più delicato e meno duraturo. Un buon compromesso è rappresentato da un angolo di taglio compreso tra 15º e 20°. Il tempo necessario per terminare l’affilatura di una lama con la pietra dipende dall'angolo di taglio iniziale del coltello, dal suo spessore, dalla durezza dell’acciaio dalla capacità di levigatura della pietra, eccetera. L’azione di levigatura può infine interessare alcuni decimi di millimetro fino ad alcuni millimetri, a partire dal tagliente sempre in relazione dalle condizioni iniziali del coltello da affilare. Anche il modo di “passare” la lama sulla superficie della pietra, non è unico: alcuni preferiscono "sfregarla” secondo un moto circolare (così faceva mio nonno Severino) mentre si scorre per la lunghezza della pietra e col filo contro la pietra stessa, altri invece, preferiscono “sfregare” la pietra in senso rettilineo, facendo scorrere il filo dal manico fino alla punta, come se tentassero di tagliare fette della pietra, sempre mantenendo lo stesso angolo ed effettuando un movimento della mano tale che anche la punta del coltello arrivi a “affettare” la pietra. Esistono sul mercato anche dei dispositivi che, bloccano la lama per il dorso e mantengono
uniformemente l’angolo di taglio cercato. Naturalmente sia che si decida di utilizzare l’affilatura con moto circolare o quella con moto rettilineo è indispensabile procedere alternativamente su entrambi i lati del filo. La prima affilatura o sgrossatura farà comparire una piccola “bava” (un “filo” appunto) che percorre tutto il tagliente e si può agevolmente vedere appoggiando la lama inclinata di 45° sul palmo della mano. Per togliere questa “bava” (filo morto) ricorreremo ad una pietra di grana più fine con la quale eseguiremo la stessa azione di affilatura precedentemente eseguita, da entrambi i lati del filo, e con un angolo di taglio leggermente accentuato (fino a 25°). In questo modo produrremo una minuscola doppia smussatura nel filo della lama. A questo punto non resta che giudicare il risultato ottenuto. Questa operazione può essere effettuata in maniera empirica verificando la capacità di rasatura a secco dei peli dell’avambraccio o la capacità di non scivolare sull’unghia sotto il solo peso della lama oppure in modo più scientifico ricorrendo ad una macchina che a pressione costante taglia strisce di carta speciale (dalle caratteristiche di resistenza al taglio uniformi) fino a consumare completamente il filo del coltello. Altri ancora sono i modi empirici per provare la capacità di taglio di una lama, ma in ogni caso non dovremo mai dimenticare che l’affilatura dovrà essere adeguata al tipo di taglio cui è destinato il coltello in esame: un coltello che rade avrà il filo delicato e fragile e inadatto a tagli grossolani, mentre un coltello da colpo difficilmente sarà capace di radere.
Affilatura con l’affilatoio.
Tutti abbiamo visto, ed ammirato, il nostro macellaio che con maestria brandisce coltello ed affilatoio prima di effettuare un taglio importante quasi si trattasse di un gesto rituale irrinunciabile. Nella realtà l’affilatoio è una sorta di lima, dalla sezione circolare o ellittica, la cui superficie è coperta da zigrinature molto fini. Un tempo ne esistevano di “lisci”, ma, più indicati per gli acciai al carbonio, sono scomparsi con l’avvento degli acciai inossidabili. La punta dell’affilatoio è calamitata al fine di raccogliere i residui di “limatura” di acciaio che si formano durante il suo uso ed impedire “l’intasatura” delle zigrinature che effettuano l’azione abrasiva. Per mantenere efficace nel tempo un affilatoio è necessario provvedere al suo lavaggio periodico al fine di rimuovere residui di grassi e metallo che inevitabilmente si insinueranno tra i minuscoli denti di cui è ricoperto. L’uso di una pietra consente di effettuare la vera e propria affilatura di una lama mentre usando un affilatoio al massimo si può aspirare a mantenere il filo di una lama già correttamente affilata. Un affilatoio zigrinato lima il filo provocando delle minuscole sbavature (quasi dei micro-denti) che sono in realtà un “falso filo” poco duraturo: è per questo che l’utilizzo dell’affilatoio da parte del macellaio è continuo. In realtà, l’uso di un affilatoio distrugge un buon filo sarà quindi buona norma iniziarne l’uso quando il nostro coltello non taglia più bene e vogliamo semplicemente rimandare il più a lungo possibile l’intervento dell’arrotino oppure abbiamo bisogno di usare il coltello e non possiamo attendere l’intervento dell’arrotino.
Il modo corretto di usare un affilatoio consiste nel lasciare scorrere il filo lungo tutto l’affilatoio dal manico fino alla punta della lama, mantenendo sempre lo stesso angolo durante tutto il movimento. L’angolo di affilatura in questo caso può essere compreso tra i 35° ed i 40° mentre la pressione che eserciteremo dovrà essere uniforme e sufficiente a dare la sensazione del “morso” dell’affilatoio sulla lama. Oggi esistono anche ottimi affilatoi in ceramica a sezione circolare da preferirsi a quelli in acciaio zigrinato poiché pur effettuando una azione meno aggressiva ed essendo di impiego meno immediato mantengono meglio il filo dei coltelli.
Filo liscio o seghettato.
Produrre coltelli con il “filo” seghettato è una abitudine che si è imposta in tempi relativamente recenti soprattutto per la produzione di coltelli da cucina e da tavola. A favorire il successo dei coltelli seghettati hanno concorso due eventi concomitanti: la necessità delle aziende di produrre grandi quantità di coltelli da tavola e da cucina a prezzi contenuti e la sostituzione dei piatti di legno con altri di materiali più duri (ceramica, porcellana, acciaio, ec.). Per quanto riguarda le aziende la realizzazione di coltelli a filo seghettato consente di semplificare il processo di affilatura tanto da renderlo completamente meccanizzato e comunque se il coltello non taglia almeno “sega”. I cibi, specialmente cotti, possono essere agevolmente “segati” anche con coltelli realizzati in maniera approssimativa e con acciai modesti, mentre se vogliamo “tagliarli” è indispensabile disporre di un “buon” coltello. L’uso di piatti in ceramica invece favorisce i coltelli seghettati perché durante il taglio dei cibi entrano in contatto con la superficie dura del piatto, rovinandosi rapidamente, le sole punte dei denti del coltello mentre il “filo interno” del dente viene preservato consentendo affilature meno frequenti. Nel caso del taglio di cibi si deve riconoscere al filo liscio una maggior piacevolez-za e pulizia nel taglio che sarà pagata da un maggior costo di acquisto e forse da qualche affilatura in più, ma che, per quanto mi riguarda ritengo irrinunciabile. Se può sembrare un po’ cerebrale avvertire una spiacevole sensazione nel lacerare, strappare con dei denti, nel piatto, il cibo che mi appresto a mangiare sottoponendolo ad un inutile ulteriore sacrificio (prima di arrivare nel piatto si trattava di un animale o di un vegetale che hanno sacrificato la loro vita per nutrirmi) è sicuramente più immediato osservare che tagliando carni, verdure e formaggi con coltelli seghettati si produce la fuoriuscita di fluidi che contengono gran parte del gusto e delle sostanze nutritive che invece di mangiare rimarranno nel piatto. La superiorità del tagliare i cibi con coltelli a lama liscia è vvalorata anche dal fatto che nessun cuoco professionista fa uso di coltelli a lama seghettata. Un discorso diverso può essere fatto per i coltelli da tasca od a lama fissa destinati a tagliare materiali quali corde ed altro di difficile taglio con lame lisce. Oggi è diffusa l’abitudine di proporre lame con dentatura parziale che sono molto pratiche per usi generici.
Fonte: http://www.coltellerieberti.it/approfondimenti/admin/mdb/documenti/155_Acciaio.doc
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