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Sono dette materie plastiche ,quei materiali artificiali con struttura macromolecolare che in determinate condizioni di temperatura e pressione subiscono variazioni permanenti di forma. Si dividono in termoplastici, termoindurenti ed elastomeri. Le gomme, pur avendo chimicamente e tecnologicamente molti aspetti in comune con le materie plastiche, non sono normalmente considerate tali.
In questa fase possono essere modellate o formate in oggetti finiti e quindi per raffreddamento tornano ad essere rigide. Questo processo, teoricamente, può essere ripetuto più volte in base alle qualità delle diverse materie plastiche.
Nella chimica, le materie plastiche sono generalmente il risultato della polimerizzazione di una quantità di molecole base (monomeri) per formare catene anche molto lunghe. Si parla di omopolimeri se il monomero è unico, copolimeri se il polimero è ottenuto da due o più monomeri diversi, e di leghe polimeriche se il materiale è il risultato della miscelazione di due monomeri che polimerizzano senza combinarsi chimicamente.
Un materiale plastico è in genere composto da molecole polimeriche di diversa lunghezza, per cui è necessario conoscere la distribuzione dei pesi molecolari per determinare le proprietà chimico-fisiche del materiale plastico in esame.
Di seguito vengono riportate (in ordine cronologico) alcune tappe dello sviluppo delle materie plastiche.
Le caratteristiche vantaggiose delle materie plastiche rispetto ai materiali metallici e non metallici sono la grande facilità di lavorazione, l'economicità, la colorabilità, l'isolamento acustico, termico, elettrico, meccanico (vibrazioni), la resistenza alla corrosione e l'inerzia chimica, nonché l'idrorepellenza e l'inattaccabilità da parte di muffe, funghi e batteri. Quelle svantaggiose sono l'attaccabilità da parte dei solventi (soprattutto le termoplastiche) e degli acidi (in particolare le termoindurenti) e scarsa resistenza a temperature elevate.
La plastica si ottiene dalla lavorazione del petrolio. Lo smaltimento dei rifiuti plastici, quasi tutti non biodegradabili, avviene di solito per riciclaggio o per stoccaggio in discariche: bruciando materiali plastici negli inceneritori infatti si possono generare diossine (solo per quanto riguarda i polimeri che contengono atomi di cloro nella loro molecola, come ad esempio il PVC), una famiglia di composti tossici. Queste difficoltà hanno incentivato negli ultimi anni la diffusione della bioplastica, in cui una piccola percentuale di resina è sostituita da farine vegetali quale quella di mais.
Alla base polimerica vengono aggiunte svariate sostanze ausiliarie ("cariche", additivi e plastificanti) in funzione dell'applicazione cui la materia plastica è destinata. Tali sostanze possono essere plastificanti, coloranti, antiossidanti, lubrificanti ed altri componenti speciali.
Tali sostanze hanno quindi la funzione (tra le altre) di stabilizzare, preservare, fluidificare, colorare, decolorare, proteggere dall'ossidazione il polimero, e in genere modificarne le proprietà reologiche (lavorabilità), aspetto e resistenza in funzione dell'applicazione che se ne intende fare.
Molte materie plastiche (nylon, teflon, plexiglas ecc.) si prestano bene a processi di produzione industriale con macchine utensili in modo del tutto analogo ai materiali metallici; per questo vengono spesso prodotte in semilavorati (barre, profilati, lastre eccetera) da cui i prodotti finiti (ad esempio boccole, rulli, anelli, perni, ruote) vengono ricavati con lavorazioni meccaniche.
Tra le lavorazioni a cui vengono sottoposte le materie plastiche, si annoverano:[5]
Lo stampaggio per compressione è un processo di lavorazione impiegato per le materie plastiche termoindurenti (ma talvolta è utilizzato anche per i termoplastici).[5]
Nello stampaggio per compressione il polimero, inizialmente in forma di polvere o pellet (pastiglie),[5] viene sottoposto ad elevate pressioni, e in questa maniera si realizza il processo di reticolazione.
La lavorazione più usata per produrre in serie oggetti in plastica è lo stampaggio ad iniezione. Si fa con speciali presse (dette "presse per iniezione termoplastica"), che fondono i granuli di materia plastica e la iniettano ad alta velocità e pressione negli stampi, dove il polimero, raffreddandosi, assume la geometria voluta.[5]
Lo stampaggio per iniezione viene impiegata sia nel caso di materiali termoplastici che termoindurenti.[5]
Nello stampaggio per trasferimento il polimero viene portato ad una temperatura tale da rammollirsi e al tempo stesso evitando la reticolazione, che viene svolta successivamente, in uno stampo chiuso in cui la massa rammollita viene trasferita (da cui il nome del processo).[5]
Nella formatura per estrusione il materiale viene spinto grazie ad una vite attraverso un'apertura. La forma finale del polimero (che fluisce in maniera continua) dipende dalla geometria dell'apertura.[5]
Questo processo si utilizza per i materiali termoplastici e talvolta per quelli termoindurenti.[5] I tubi in plastica vengono prodotti tramite questo processo.
Utilizzato per produrre corpi cavi (come bottiglie, fustini, bombole) consiste nel dilatare una certa porzione di resina di forma cilindrica con un getto d'aria sotto pressione, fino a farla aderire alle pareti di uno stampo; la produzione di oggetti cilindrici è realizzata facendo precedere la fase di soffiatura da una fase di estrusione per la realizzazione del tubo di alimentazione alla soffiatura. La formatura per soffiatura viene impiegata anche per la produzione dei gusci di certi tipi di casco.
Un altro processo che ha una buona applicazione nella produzione di prodotti in plastica è la termoformatura, dove si parte da granuli di polistirolo o polipropilene. Si tratta dell'estrusione di film o di lastre che vengono fatte passare, a temperatura adeguata, in uno stampo nel quale l'oggetto voluto viene forgiato con la pressione dell'aria compressa o dell'aria atmosferica, con attrezzature di produzione molto economiche.
Un metodo diffuso per ottenere pellicole di polietilene è l'estrusione in bolla. Consiste nel far passare il polimero scaldato dall'estrusore attraverso una filiera circolare posta in posizione orizzontale. Il film ottenuto è raffreddato e fatto passare attraverso una calandra di traino che chiude il sistema. È anche inserita dell'aria per aumentare il volume del sistema, gonfiando ciò che assomiglia molto ad un pallone. In questo modo si produce il film termoretraibile usato per produrre imballaggi.
La pultrusione è un processo continuo che permette di produrre profilati plastici rinforzati da fibre, come ad esempio la fibra di carbonio e la fibra di vetro.
I polimeri termoplastici possono esseri fusi e rimodellati più volte. Hanno una struttura molecolare "a catena aperta", ovvero presentano un basso grado di reticolazione.
Esistono varie tipologie di polietilene. Tra queste abbiamo:
Possono essere formati una sola volta, perché, se sottoposti al calore una seconda volta, carbonizzano.
Le plastiche si classificano con un sistema americano detto SPI (Society of the Plastics Industry), che consiste in un triangolo (che è il simbolo del riciclo) con un numero dentro (che corrisponde a un tipo di plastica).
Simbolo |
Cod.riciclo |
Abbreviazione |
Nome del polimero |
Usi |
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1 |
PETE o PET |
Polietilene tereftalato o arnite |
Riciclato per la produzione di fibre poliestere, fogli termoformati, cinghie, bottiglie per bevande. (vedi: Riciclaggio delle bottiglie in pet) |
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2 |
HDPE |
Polietilene ad alta densità |
Riciclato per la produzione di contenitori per liquidi, sacchetti, imballaggi, tubazioni agricole, basamenti a tazza, paracarri, elementi per campi sportivi e finto legno. |
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3 |
PVC o V |
Cloruro di polivinile |
Riciclato per tubazioni, recinzioni, e contenitori non alimentari. |
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4 |
LDPE |
Polietilene a bassa densità |
Riciclato per sacchetti, contenitori vari, dispensatori, bottiglie di lavaggio, tubi, e materiale plastico di laboratorio. |
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5 |
PP |
Polipropilene o Moplen |
Riciclato per parti nell'industria automobilistica e per la produzione di fibre. |
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6 |
PS |
Polistirene o Polistirolo |
Riciclato per molti usi, accessori da ufficio, vassoi per cucina, giocattoli, videocassette e relativi contenitori, pannelli isolanti in polistirolo espanso (es. Styrofoam). |
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7 |
ALTRI |
Altre plastiche, tra le quali Polimetilmetacrilato, Policarbonato, Acido polilattico, Nylon e Fibra di vetro. |
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[1] The History of Fabrics (http://inventors.about.com/library/inventors/blfabric.htm) [2] Microsoft Student, op. cit.
[3] L'industria chimica organica (http://www.minerva.unito.it/Storia/Industria_chimica2/chimDue.htm) [4] Weissermel-Arpe, op. cit., p. 240
[5] Villavecchia, op. cit., p. 2072
[6] Cangialosi, op. cit., pp. 97-102
[7] Cangialosi, op. cit., pp. 103-108
[8] Cangialosi, op. cit., pp. 109-112
[9] Cangialosi, op. cit., pp. 113-116
La chimica dei polimeri e delle macromolecole è una scienza multidisciplinare che studia la sintesi chimica e le proprietà chimiche e chimico-fisiche dei polimeri e delle macromolecole.
Secondo le indicazioni della IUPAC, il termine "macromolecola" si riferisce a composti a elevato peso molecolare, che possono essere caratterizzati sia da
ripetizione di unità monomeriche che dalla presenza di un macrociclo. La parola "polimero" descrive invece una sostanza formata da un insieme di macromolecole (aventi una distribuzione dei pesi molecolari più o meno ampia).
Schematicamente i polimeri possono suddividersi in polimeri naturali (o biopolimeri) e polimeri sintetici. Ciascuna di queste classi di composti può a sua volta ulteriormente suddividersi in sottoclassi più specifiche in relazione al loro ruolo, utilizzo o proprietà chimico-fisiche caratteristiche. La biochimica e la chimica industriale sono discipline che si interessano ai polimeri in modo contiguo alla chimica delle macromolecole.
Un polimero viene ottenuto per polimerizzazione di più unità monomeriche identiche, mentre un copolimero è ottenuto da diversi tipi di monomeri. Proprietà chimiche salienti dei polimeri sono: il grado di polimerizzazione, il peso molecolare medio, la tatticità, la successione monomerica nei copolimeri, il grado di ramificazione, i gruppi terminali, la presenza di legami reticolazioni (cross-link). Altre proprietà da considerare sono quelle chimico-fisiche quali la cristallinità, il punto di fusione e la temperatura di transizione vetrosa; inoltre, per polimeri in soluzione, vengono anche considerate la solubilità, la viscosità e la tendenza a gelificare.
Nello studio e caratterizzazione dei polimeri, come per la determinazione della forma, dimensione e peso molecolare medio, sono utilizzate comunemente tecniche quali: la diffrazione dei raggi X, l'osmometria, lo scattering di luce laser, la viscosimetria, l'ultracentrifugazione, la cromatografia a permeazione di gel e la spettrometria MALDI-TOF. Molto utilizzata in questo campo, in particolare per i polimeri biologici, è anche l'elettroforesi.
Una macromolecola è una molecola di dimensioni molto grandi e di peso molecolare molto elevato. Le macromolecole sono comuni nei sistemi viventi ma comprendono anche i polimeri sintetici e artificiali. Le macromolecole polimeriche sono tipicamente formate dall'unione di molecole più piccole, uguali o simili tra loro, ripetute molte volte (solitamente da 100 a oltre 1000) e possono essere lineari, ramificate o reticolate. Tra le macromolecole si annoverano inoltre i macrocicli.[1]
Secondo la IUPAC il termine macromolecola va utilizzato esclusivamente per indicare molecole singole
di grandi dimensioni, mentre il termine polimero identifica una sostanza composta da più macromolecole. Le macromolecole biologiche più importanti sono:
I polimeri sintetici comprendono le materie plastiche, le gomme sintetiche e le fibre tessili, ed hanno un vastissimo campo di applicazioni tecnologiche. I polimeri inorganici più importanti sono a base di silicio.
Le macromolecole in genere hanno comportamenti e proprietà fisiche inusuali, ad esempio possono mostrare tipi di aggregazione supramolecolare con comportamenti liquido-cristallini, difficoltà di sciogliersi in soluzione, facilità a denaturarsi a determinate concentrazioni e fenomeni di natura colloidale.
[1] (EN) Macrocycle (http://goldbook.iupac.org/M03662.html) IUPAC Gold Book (http://goldbook.iupac.org/index.html)
Un polimero (dal greco "che ha molte parti"[1]) è una macromolecola, ovvero una molecola dall'elevato peso molecolare, costituita da un gran numero di gruppi molecolari (detti unità ripetitive) uguali o diversi (nei copolimeri), uniti "a catena" mediante la ripetizione dello stesso tipo di legame (covalente).
I termini "unità ripetitiva" e "monomero" non sono sinonimi: infatti un'unità ripetitiva è una parte di una molecola o macromolecola, mentre un monomero è una molecola composta da un'unica unità ripetitiva. Nel seguito, quando si parla di "monomeri" si intendono dunque i reagenti da cui si forma il polimero attraverso la reazione di polimerizzazione, mentre con il termine "unità ripetitive" si intendono i gruppi molecolari che costituiscono il polimero (che è il prodotto della reazione di polimerizzazione).[2]
Per definire un polimero bisogna conoscere:
Benché a rigore anche le macromolecole tipiche dei sistemi viventi (proteine, acidi nucleici, polisaccaridi) siano polimeri, nel campo della chimica industriale col termine "polimeri" si intendono comunemente le macromolecole di origine sintetica: materie plastiche, gomme sintetiche e fibre tessili (ad esempio il nylon), ma anche polimeri sintetici biocompatibili largamente usati nelle industrie farmaceutiche, cosmetiche ed alimentari, tra cui i polietilenglicoli (PEG), i poliacrilati ed i poliamminoacidi sintetici.
I polimeri inorganici più importanti sono a base di silicio (silice colloidale, siliconi, polisilani).[3][4][5]
Il termine "polimero" fu coniato da Jöns Jacob Berzelius, con un'accezione differente dall'attuale. Tale termine può indicare sia i polimeri naturali (tra i quali il caucciù, la cellulosa e il DNA) sia i polimeri sintetizzati in laboratorio (in genere utilizzati per la produzione di materie plastiche). La storia dei polimeri ha quindi inizio molto prima dell'avvento delle materie plastiche, sebbene la commercializzazione delle materie plastiche abbia aumentato notevolmente l'interesse della comunità scientifica verso la scienza e la tecnologia dei polimeri.
I primi studi sui polimeri sintetici si devono a Henri Braconnot nel 1811, il quale ottenne dei composti derivati dalla cellulosa.
Fu il chimico tedesco Hermann Staudinger nel 1920 a ipotizzare la struttura macromolecolare delle materie plastiche.[6] Sempre negli anni venti Wallace Carothers si dedicò allo studio delle reazioni di polimerizzazione.
Nel corso degli anni sono stati svolti molti studi sul comportamento reologico dei polimeri e sulla loro caratterizzazione, nonché sulle metodiche di polimerizzazione. In particolare nel 1963 Karl Ziegler e Giulio Natta ottengono il premio Nobel per la chimica come riconoscimento dei loro studi sui polimeri[6] (in particolare per la scoperta dei cosiddetti "catalizzatori di Ziegler-Natta").
Nel 1974 il premio Nobel per la chimica fu consegnato a Paul Flory, che concentrò i propri studi sulla cinetica delle polimerizzazioni a stadi e polimerizzazioni a catena, sul trasferimento di catena, sugli effetti di volume escluso e sulla teoria di Flory–Huggins delle soluzioni.
I polimeri possono essere classificati in vari modi:
polidispersi, con quest'ultimi caratterizzati da alta variabilità del peso molecolare medio.
Ogni materiale, in seguito ad uno sforzo risponde con una deformazione, a cui è associata un maggiore o minore allungamento percentuale. Nel caso dei polimeri si distingue tra:
In linea di massima, i polimeri con maggiore cristallinità (fibre) sono più fragili, mentre i polimeri amorfi (elastomeri) sono più duttili e più plastici.
A partire dal diagramma sforzo-deformazione è possibile ricavare i seguenti parametri:
La struttura dei polimeri viene definita a vari livelli, tutti tra loro interdipendenti e decisivi nel concorrere a formare le proprietà reologiche del polimero, dalle quali dipendono le applicazioni e gli usi industriali.
Esclusi i gruppi funzionali direttamente coinvolti nella reazione di polimerizzazione, gli eventuali altri gruppi funzionali presenti nel monomero conservano la loro reattività chimica anche nel polimero. Nel caso dei polimeri biologici (le proteine) le proprietà chimiche dei gruppi disposti lungo la catena polimerica (con le loro affinità, attrazioni e repulsioni) diventano essenziali per modellare la struttura tridimensionale del polimero stesso, struttura da cui dipende l'attività biologica della proteina stessa.
L'assenza o la presenza di una regolarità nella posizione dei gruppi laterali di un polimero rispetto alla catena principale ha un notevole effetto sulle proprietà reologiche del polimero e di conseguenza sulle sue possibili applicazioni industriali. Un polimero i cui gruppi laterali sono distribuiti senza un ordine preciso ha meno probabilità di formare regioni cristalline rispetto ad uno stereochimicamente ordinato.
Un polimero i cui gruppi laterali sono tutti sul medesimo lato della catena principale viene detto isotattico, uno i cui gruppi sono alternati regolarmente sui due lati della catena principale viene detto sindiotattico ed uno i cui gruppi laterali sono posizionati a caso atattico.
La scoperta di un catalizzatore capace di guidare la polimerizzazione del propilene in modo da dare un polimero isotattico è valsa il premio Nobel a Giulio Natta. L'importanza industriale è notevole, il polipropilene isotattico è una plastica rigida, il polipropilene atattico una gomma pressoché priva di applicazioni pratiche.
Due nuove classi di polimeri sono i polimeri comb e i dendrimeri.
I polimeri (al contrario delle molecole aventi peso molecolare non elevato o delle proteine) non hanno peso molecolare definito, ma variabile in rapporto alla lunghezza della catena polimerica che li costituisce. Lotti di polimeri sono caratterizzati da un parametro tipico di queste sostanze macromolecolari ovvero dall'indice di polidispersità (PI), che tiene conto della distribuzione di pesi molecolari riferibile ad una sintesi.
Si fa inoltre uso del grado di polimerizzazione, che indica il numero di unità ripetitive costituenti il polimero,[9] e che può essere:
Dal grado di polimerizzazione dipendono le proprietà fisiche e reologiche del polimero, nonché le possibili applicazioni.
Nel caso in cui il grado di polimerizzazione sia molto basso si parla più propriamente di oligomero (dal greco
"oligos-", "pochi").
I polimeri amorfi sono generalmente resine o gomme. Essi sono fragili al di sotto di una data temperatura (la "temperatura di transizione vetrosa") e fluidi viscosi al di sopra di un'altra (il "punto di scorrimento"). La loro struttura può essere paragonata ad un groviglio disordinato di spaghetti.
I polimeri semicristallini sono generalmente plastiche rigide; le catene di polimero, ripiegandosi, riescono a disporre regolarmente loro tratti più o meno lunghi gli uni a fianco degli altri, formando regioni cristalline regolari (dette "cristalliti") che crescono radialmente attorno a "siti di
nucleazione", questi possono essere molecole di sostanze capaci di innescare la cristallizzazione ("agenti nucleanti") o altre catene di polimero stirate dal flusso della massa del polimero.
Una situazione intermedia tra i polimeri amorfi e i polimeri semicristallini è rappresentata dai polimeri a cristalli liquidi (LCP, Liquid-Crystal Polymers), in cui le molecole mostrano un orientamento comune ma sono libere di scorrere in maniera tra loro indipendente lungo la direzione longitudinale, modificando quindi la loro struttura cristallina.[10]
Un polimero viene detto "reticolato" se esistono almeno due cammini diversi per collegare due punti qualsiasi della sua molecola; in caso contrario viene detto "lineare" o "ramificato", a seconda che sulla catena principale siano innestate o meno catene laterali.
Un polimero reticolato si può ottenere direttamente in fase di reazione, miscelando al monomero principale anche una quantità di un altro monomero simile, ma con più siti reattivi (ad esempio, il co-polimero tra
stirene e 1,4-divinilbenzene) oppure può essere reticolato successivamente alla sua sintesi per reazione con un altro composto (ad esempio, la reazione tra lo zolfo ed il polimero del 2-metil-1,3-butadiene, nota come vulcanizzazione).
Un polimero reticolato è generalmente una plastica rigida, che per riscaldamento decompone o brucia, anziché rammollirsi e fondere come un polimero lineare o ramificato.
Quando il polimero è costituita da due unità ripetitive di natura diversa, si dice che esso è un copolimero.
Nell'ipotesi di avere due monomeri, vi sono 4 modi di concatenamento delle unità ripetitive A e B che derivano da tali monomeri:[11]
I copolimeri random, alternati e a blocchi sono copolimeri lineari, mentre i copolimeri a innesto sono polimeri ramificati.
In base alle normative DIN 7728 e 16780 (nonché la ISO 1043/1[12]), ad ogni materia plastica è associata una sigla, che la identifica univocamente.
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La caratterizzazione dei polimeri avviene tramite l'utilizzo di numerose tecniche standardizzate dall'ASTM, SPI e SPE, tra cui (accanto a ciascuna tecnica si indicano le grandezze misurate):[13][14]
[1] Risultati ricerca - Treccani Portale (http://www.treccani.it/Portale/services/searchTitle.jsp?cercaTesto=polimero&searchIn=V& cercaTestoVis=&x=0&y=0)
[2] Gedde, op. cit., p. 1
[3] Polimeri Inorganici (http://pslc.ws/italian/inorg.htm)
[4] http://chimica-cannizzaro.it/files/le_frontiere_del_silicio.pdf
[5] Brisi, op. cit., pp. 457-458 [6] Microsoft Student, op. cit. [7] Callister, op. cit., p. 451
[8] Callister, op. cit., pp. 455-457
[9] Gedde, op. cit., p. 11
[10] Gedde, op. cit., p. 14
[11] Brisi, op. cit., pp. 433-434
[12] glossary (http://pslc.ws/italian/nomenclatura.htm)
[13] Gedde, op. cit., p. 10
[14] http://chifis.unipv.it/mustarelli/dpp.pdf
88-203-0532-1
books?id=m4MTd-kkk9UC&printsec=frontcover&source=gbs_navlinks_s), 2, Liguori Editore Srl, 1975, pp. 405-445. ISBN 88-207-0390-4
0-471-35243-8
Copolimero
Il termine copolimero indica tutte quelle macromolecole la cui catena polimerica contiene monomeri (piccole molecole reagenti) di due o più specie differenti.
Talvolta il termine copolimero viene utilizzato in senso più stretto per indicare i polimeri ottenuti a partire da monomeri di due specie differenti, mentre il termine terpolimero viene utilizzato per indicare polimeri ottenuti a partire da monomeri di tre specie differenti.
Quando invece un polimero è costituito dall'unione di monomeri di un solo tipo, viene detto omopolimero.
Una prima classificazione dei copolimeri si può effettuare in base alla disposizione dei diversi monomeri all'interno della catena polimerica. Se ipotizziamo di avere un copolimero formato da due diversi monomeri che chiameremo A e B si possono presentare i seguenti casi:
Un copolimero a blocchi molto diffuso è la gomma SBS. Viene utilizzata per le suole delle scarpe e anche per i battistrada degli pneumatici.
Un copolimero innestato è il polistirene anti-urto la cui sigla è HIPS: High Impact Polystyrene. Su una catena principale di polistirene sono innestate catene di polibutadiene. Il polistirene conferisce resistenza al materiale, la gomma polibutadienica ne aumenta la resilienza e ne riduce la fragilità.
[1] Callister, op. cit., pp. 460-461
Monomero
Col termine monomero (dal greco una parte) in chimica si definisce una molecola semplice dotata di gruppi funzionali tali per cui sia in grado di combinarsi ricorsivamente con altre molecole (identiche a sé o reattivamente complementari a sé) a formare macromolecole.
Per estensione, il termine viene usato anche per identificare l'unità strutturale ripetitiva che forma un polimero (detta più propriamente "unità ripetitiva" del polimero).
Il processo di trasformazione del monomero a polimero si chiama polimerizzazione.
Quando i monomeri vengono utilizzati per produrre copolimeri, si utilizza più precisamente il termine comonomero.
Esempi di monomero nel caso di polimerizzazioni per addizione possono essere:
La temperatura di transizione vetrosa, solitamente indicata col simbolo Tg, rappresenta il valore di temperatura al di sotto della quale un materiale amorfo si comporta da solido vetroso.
La Tg rappresenta la temperatura al di sotto della quale sono congelati i movimenti di contorsione e rotazione di segmenti di molecole di circa 40-50 atomi e i movimenti traslazionali dell'intera molecola e c'è energia sufficiente solo per le vibrazioni degli atomi intorno alle posizioni di equilibrio e per movimenti di pochi atomi appartenenti alla catena principale o di gruppi laterali. Analizzando più in dettaglio il processo implicato, in pratica la temperatura di transizione vetrosa regola la transizione di fase del secondo ordine definita transizione vetrosa: fondendo una fase totalmente o parzialmente amorfa, esempi classici sono i vetri e le materie plastiche, è possibile effettuare un successivo sottoraffreddamento che condotto fino al valore di temperatura pari a Tg porta alla formazione di una struttura solida vetrosa.
In pratica la temperatura di transizione vetrosa segna il confine tra lo stato amorfo vetroso e lo stato amorfo gommoso, liquido molto rigido e caratterizzato da elevata viscosità. La transizione vetrosa non è una transizione termodinamica, bensì cinetica, alla quale non corrisponde alcun cambiamento nella disposizione degli atomi/molecole nello spazio, come invece avviene nel passaggio di stato da solido
cristallino a liquido. Mentre le sostanze vetrose inorganiche o minerali, come la
silice, possiedono un determinato valore di T , i polimeri termoplastici possono
g
possedere una ulteriore T a valore di
g
temperatura inferiore e al disotto della quale diventano rigidi e fragili assumendo facile tendenza a frantumarsi. Inoltre a valori di
temperatura maggiori di T tali polimeri
g
possiedono elasticità e capacità di subire deformazioni plastiche senza andare incontro a fratture, caratteristica questa che viene sfruttata in ambito tecnologico.
I valori di transizione vetrosa ai quali si fa comunemente riferimento sono in realtà dei valori medi, dipendendo questa grandezza dal gradiente di temperatura con il quale viene effettuato il raffreddamento e per i polimeri anche dalla distribuzione dei pesi
molecolari medi. Inoltre la eventuale presenza di additivi è anch'essa in grado di influenzare la T .
g
Alcune sostanze pure dal basso peso molecolare possono possedere anche loro un determinato valore di temperatura
di transizione vetrosa al disotto della quale possiedono struttura amorfa. Ad esempio l'acqua possiede T = -173 °C e
g
per rapido raffreddamento dell'acqua liquida, in modo da impedire l'organizzazione in strutture cristalline ordinate,
fino a un valore pari alla T si ottiene il ghiaccio amorfo.
g
Comuni metodiche utilizzate per la determinazione della temperatura di transizione vetrosa sono la calorimetria differenziale a scansione (DSC) e l'analisi meccanica dinamica (DMA).
Materiale |
T (°C) |
Polietilene (LDPE) |
−125 (è citata anche −30) |
Polipropilene (atattico) |
−20 |
Acetato di polivinile (PVAc) |
28 |
Polietilene tereftalato (PET) |
79 |
Alcool polivinilico (PVA) |
85 |
Cloruro di polivinile (PVC) |
81 |
Polistirene |
95 |
Polipropilene (isotattico) |
0 |
Polimetilmetacrilato (atattico) |
105 |
Policarbonato |
150 |
Tellurite |
279 |
Fluoroalluminato |
400 |
Silice |
1175 |
Bibliografia
1. RINVIA Melt Flow Index
Rigonfiamento dei polimeri
Il rigonfiamento dei polimeri (in inglese swelling) è un fenomeno che consiste nell'aumento del volume di un materiale plastico, che può verificarsi:
Fenomeni di rigonfiamento possono essere vantaggiosamente utilizzati per la realizzazione di cilindri cavi tramite estrusione e per la produzione di gel e idrogel. Essi sono anche alla base dei meccanismi di rilascio di alcuni farmaci.
Il fenomeno di rigonfiamento può intervenire durante il processo di estrusione delle materie plastiche; tale fenomeno (chiamato in inglese die swelling[1]) è da ricondurre al comportamento viscoelastico dei polimeri[1] e consiste nel recupero parziale della forma e del volume che il polimero aveva prima del passaggio attraverso la filiera.
Tale fenomeno è da attribuirsi al rilassamento della struttura molecolare, con conseguente diminuzione dell'entropia posseduta dal sistema. Durante il passaggio attraverso la filiera, il polimero viene compresso, in quanto si ha una diminuzione della sezione di passaggio, ma la portata rimane necessariamente costante, per cui la velocità aumenta (per effetto Venturi).
Durante il fenomeno del rigonfiamento del polimero, nel caso in cui il passaggio attraverso la filiera avvenga in tempi sufficientemente lunghi (ovvero all'aumentare della lunghezza della filiera e della viscosità del polimero[1]), i nodi fisici (entanglement) possono sciogliersi. Una volta che il polimero è passato attraverso la filiera, i nodi fisici che non si sono dissolti tendono a riportare il polimero alla sua conformazione iniziale, in modo da minimizzare il contenuto entropico.[2]
Grazie al fenomeno del rigonfiamento è possibile produrre cilindri cavi tramite estrusione.[1] Bisogna inoltre tenere conto di tale effetto durante le operazioni di calandratura, in quanto a seguito del rigonfiamento lo spessore delle lastre ottenute risulta maggiore della distanza tra i due cilindri.[1]
Quando un polimero viene sciolto in una soluzione, si stabiliscono delle forze tra i tratti della catena polimerica e il solvente che sono di entità differente rispetto alle forze che i tratti della macromolecola sperimentavano quando si trovavano nel bulk del solido. In particolare, si ha un aumento della distanza testa-coda, che sarà più o meno marcato a seconda di:
Considerando il coefficiente di espansione α, si possono avere tre casi differenti, che sono:
Il fenomeno del rigonfiamento dei polimeri in soluzione è alla base della produzione di gel e idrogel, i quali vengono prodotti mettendo il polimero (in particolare omopolimeri idrofilici o copolimeri insolubili in acqua) in soluzione con acqua.[3] Su tale fenomeno si basa il meccanismo di rilascio di alcuni farmaci.[4]
[1] Cangialosi, op. cit., pp. 75-77
[2] Hiemenz, Paul C., and Tim Lodge. Polymer Chemistry. 2nd ed. New York: CRC, 2007. [3] http://www.ing.unitn.it/~luttero/materialifunzionali/idrogeli.pdf
[4] http://www3.unisa.it/uploads/1498/tesi_francescal.pdf
Plastificante
Un plastificante è un additivo che migliora la plasticità o fluidità del materiale a cui viene aggiunto. Plastificanti vengono aggiunti a materie plastiche, cementi, calcestruzzi, intonaci e gessi. Alcune sostanze plastificanti sono usate sia per le plastiche che per i cementi, ma l'effetto che producono è leggermente differente.
I plastificanti per cementi vengono usati per ammorbidirli finché sono freschi, migliorandone la lavorabilità, senza che necessariamente vengano alterate le proprietà del cemento dopo l'essicamento.
I plastificanti per intonaci migliorano la stendibilità della miscela e permettono di usare meno acqua, rendendo più rapida l'asciugatura.
I plastificanti per le materie plastiche vengono invece impiegati per aumentare la flessibilità e la lavorabilità dei polimeri.
I superplastificanti o disperdenti sono miscele chimiche[1] aggiunte alle miscele di cemento per migliorarne la lavorabilità. Questo permette di limitare la quantità di acqua da aggiungere al cemento, migliorandone la tenacia.
Sono generalmente prodotti da ligninsolfonato, un sottoprodotto dell'industria cartaria. Altri superplastificanti sono prodotti da naftalensolfonati condensati o da melammina solfonata e formaldeide. Devono la loro azione disperdente alla loro natura di polimeri organici recanti un'elevata quantità di cariche elettriche negative: avvolgendosi attorno alle particelle di cemento, fanno sì che queste si respingano a vicenda.
Disperdenti di concezione più recente sono gli eteri policarbossilati (PCE), la cui azione non si basa sulla repulsione elettrostatica, ma sulla repulsione sterica.
Nell'antica Roma, i plastificanti in uso erano latte, grasso e sangue animali[2].
Nel caso delle materie plastiche, un plastificante è una sostanza aggiunta ad un polimero per diminuirne la rigidità in modo da consentirne la lavorazione a temperatura ambiente o a temperature sufficientemente basse tali da non rischiare la degradazione termica del polimero durante la lavorazione.
Esistono numerose classi di sostanze plastificanti, la scelta della sostanza da impiegare dipende dal polimero cui va aggiunta e dal tipo di applicazione finale cui la materia plastica è destinata.
Una sostanza plastificante deve essere completamente miscibile con il polimero, in modo che si incorpori stabilmente e in maniera omogenea nella sua massa e non tenda col tempo a migrare verso la superficie della materia plastica (fenomeno noto col nome di "essudazione"). Deve altresì essere poco o nulla volatile perché lasciando la materia plastica, verrebbe meno il suo effetto; per la stessa ragione occorre anche che la sostanza plastificante resista all'effetto di estrazione che potrebbero esercitare i liquidi con cui la materia plastica verrà a contatto durante l'utilizzo del manufatto (ad esempio, un contenitore per bevande o alimenti).
La sostanza plastificante deve inoltre essere chimicamente inerte nei confronti del polimero (ovvero non reagire con esso), deve essere chimicamente stabile per resistere all'azione del calore e della luce, non deve subire facilmente reazioni di idrolisi o ossidazione da parte dell'umidità o dell'ossigeno ambientali, deve non essere infiammabile - spesso l'aggiunta di un plastificante serve anche a rendere meno infiammabile il polimero stesso - elettricamente isolante, inodore e incolore, quest'ultimo requisito è indispensabile se la materia plastica è destinata alla produzione di pellicole o manufatti trasparenti.
Le sostanze plastificanti e le loro miscele sono moltissime, la loro individuazione e messa a punto è continuo oggetto di ricerca nell'industria; si elencano di seguito alcune classi principali, senza alcuna pretesa di esaustività.
Gli esteri organici dell'acido fosforico sono forse la categoria di plastificanti tecnologicamente più anziana; sono apprezzati per la scarsa volatilità e per la loro non infiammabilità.
Esteri dell'acido ftalico.
Esteri dell'acido adipico, dell'acido sebacico e di altri acidi grassi.
[1] Cement Admixture Association (http://www.admixtures.org.uk/publications.asp), 02.04.2008
[2] Cemex Mortars, p. 6 (http://www.cemex.co.uk/re/pdf/lt-admixtures.pdf)
Con il termine polimerizzazione si intende la reazione chimica che porta alla formazione di una catena polimerica, ovvero di una molecola costituita da molte parti uguali (detti "monomeri" o "unità ripetitive") che si ripetono in sequenza.
Nel 1929 i polimeri furono distinti da Wallace Hume Carothers in polimeri di addizione e polimeri di condensazione, a seconda che la reazione di polimerizzazione produca rispettivamente solo il polimero o anche una specie a basso peso molecolare (chiamata "condensato").[1][2]
Il poliuretani (polimeri prodotti a partire da un diisocianato e un diolo) sono ad esempio polimeri di addizione.
Più tardi (nel 1953), Paul Flory distinse i polimeri in base al meccanismo di reazione seguito dalla reazione di sintesi dei polimeri.[3] A seconda del meccanismo di reazione, la reazione di polimerizzazione può essere infatti distinta in:
I polimeri ottenuti per polimerizzazione a stadi sono in genere polimeri di condensazione, mentre i polimeri ottenuti per polimerizzazione a catena sono in genere polimeri di addizione. Esistono comunque delle eccezioni a questa regola, ad esempio il poliuretano è un polimero di addizione ma la sua produzione avviene tramite polimerizzazione a stadio.[5] Quindi le classi di polimeri secondo la classificazione di Carothers e secondo la classificazione di Flory non coincidono.
Nella polimerizzazione a catena la reazione è innescata dalla formazione di una specie chimica attiva, chiamata iniziatore, che può essere costituita da un radicale, un carbocatione o un carbanione). L'iniziatore somma ricorsivamente su di sé una molecola di monomero, spostando il centro di reattività (l'elettrone spaiato, la carica elettrica) all'estremità della catena a mano a mano che questa cresce. Il processo di produzione di una catena polimerica è suddiviso in 3 fasi: attivazione, propagazione e terminazione.
Un esempio di polimero ottenuto per polimerizzazione a catena è il polietilene.
In presenza di una elevata temperatura o pressione il doppio legame tra gli atomi di carbonio si rompe ed è sostituito con un legame singolo covalente. A ogni atomo di carbonio competeranno quindi 7 elettroni nel livello energetico più esterno. Per soddisfare le richieste di legame, il monomero si combina con altri monomeri di etilene, assicurando così che ogni atomo di carbonio condivida 4 legami covalenti. La
polimerizzazione può avvenire grazie alla presenza di un doppio legame covalente tra gli atomi di carbonio nella molecola del reagente. Il legame doppio (assieme al legame triplo) è detto "legame insaturo"; esso è costituito da due legami che hanno forze di legame di entità differenti: il legame σ (più forte) e il legame π (più debole). Dalla rottura del legame π si genera un specie chimica instabile (detto radicale) a cui possono addizionarsi monomeri addizionali, allungando la catena.
La concentrazione di monomero nell'ambiente di reazione nel caso di polimerizzazione a catena diminuisce con velocità costante. La resa per questo tipo di polimerizzazione è elevata, e i polimeri che si ottengono hanno un minore grado di polimerizzazione rispetto a quelli ottenuti nella polimerizzazione a stadi.
La polimerizzazione a stadi si realizza tra specie chimiche aventi due (o più) estremità reattive (gruppi funzionali), capaci quindi di legarsi le une alle altre, formando lunghe catene per unione di catene più corte. Un esempio di polimero prodotto per polimerizzazione a stadi è il nylon.
La tabella seguente mette in risalto le principale differenze che intercorrono tra la polimerizzazione a catena e polimerizzazione a stadi.
|
Polimerizzazione a catena |
Polimerizzazione a stadi |
Centri di reazione |
Centri attivi (radicali o ioni) |
Gruppi funzionali |
Peso molecolare delle catene polimeriche nel tempo |
I polimeri ad alto peso molecolare si formano in minore tempo e con conversioni più basse. La concentrazione di monomero decresce nel tempo. |
I polimeri ad alto peso molecolare si formano in più tempo (diverse ore) e con conversioni più elevate. La concentrazione di monomero si riduce si riduce molto presto |
Numero di catene polimeriche nel tempo |
Si ha una fase iniziale di produzione di specie attivate (attivazione), passata la quale avviene l'allungamento delle catene polimeriche (propagazione), che non aumentano di numero durante questa seconda fase. Durante la successiva fase di terminazione si ha infine una diminuzione del numero di catene polimeriche. |
Il monomero reagisce immediatamente per formare catene polimeriche che si accrescono a una velocità pressoché costante |
Viscosità |
Si ha elevata viscosità per la massima parte del processo (a causa dell'elevato peso molecolare delle catene) |
Si ha viscosità non elevata per la massima parte del processo (a causa del basso peso molecolare delle catene) |
Specie reagenti |
Possono reagire solo le specie in cui è presente un centro attivo (radicali o ioni) |
Qualunque specie può prendere parte alla reazione, per cui la probabilità di avere reazioni secondarie è maggiore |
Assunzioni sulle costanti cinetiche |
Tutti i radicali in accrescimento (a prescindere dal loro peso molecolare) hanno uguale costante cinetica[6] |
Tutti le catene in accrescimento hanno uguale costante cinetica (a prescindere dal loro peso molecolare), ovvero i gruppi funzionali di tutte le catene hanno uguale [6] |
Classificazione di Carothers |
In genere si ottengono polimeri di addizione |
In genere si ottengono polimeri di condensazione |
A livello industriale, esistono 4 differenti metodi di produzione dei polimeri per addizione, che si differenziano a seconda delle fasi coinvolte nel processo:[7]
Polimerizzazione in massa
Viene utilizzata industrialmente per la produzione di PS, PVC, PMMA, PET, PA-6.6, PE (alta pressione).
Ha come vantaggi l'assenza di solvente (che comporta dei costi, produzione di sostanze inquinanti e deve essere successivamente recuperato), ed il fatto che la polimerizzazione avviene in situ, direttamente nello stampo (vantaggioso soprattutto per il PMMA).
I principali svantaggi sono dovuti all'aumento di viscosità (in breve tempo), alla difficoltà di dissipazione del calore che si produce durante la reazione, allo scarso controllo delle variazioni dimensionali (differente densità), ed all'impossibilità di condurre reazioni in cui il solvente ha parte attiva.
Come caratteristica, si ha che l'iniziatore deve essere solubile nel monomero di partenza (la maggior parte dei monomeri è apolare). Per evitare fenomeni di autoaccelerazione si utilizzano trasferitori di catena.
Polimerizzazione in sospensione (micromassa)
Viene usata per PS, PVC, PMMA, reazioni fortemente esotermiche. Per facilitare la rimozione del calore si crea una sospensione in un mezzo disperdente che ha una certa viscosità. Si frammenta il sistema in massa formando perle di qualche mm di diametro. Ogni particella ha comportamento cinetico come il processo in massa.
Vantaggi
Come caratteristica, si ha che come disperdente viene usata acqua stabilizzata da caolino, gelatine colloidali ed altri, e ciò è importante anche per la morfologia delle particelle che si ottengono di polimero (separate o coalizzate assieme). L'iniziatore ed il monomero devono essere insolubili in acqua (mezzo disperdente), e l'iniziatore deve essere solubile nel monomero.
Viene usata per PE, PP, PVAc, PAN, PA-6.6, polimerizzazioni interfacciali, ioniche. Tutte le polimerizzazioni sterospecifiche (es. Ziegler-Natta) vengono svolte in un solvente idrocarburico.
Vantaggi
Come caratteristica, si ha che l'iniziatore ed il monomero devono essere solubili nel solvente (polare o apolare).
Viene usata per PS, PVC, PVAc. Vantaggi
Viene effettuata in un sistema disperdente a base acquosa; il monomero non è solubile in acqua, ma lo è l'iniziatore. Questa tecnica permette di ottenere alti PM e alte vp.
Per una polimerizzazione in emulsione oltre ad acqua, monomero ed iniziatore, è necessario aggiungere un emulsificante, di solito un tensioattivo: quando questo entra in acqua contenente monomero si formano delle micelle, con le teste polari all'esterno e le code apolari all'interno.
Una parte di queste micelle andrà a stabilizzare delle goccioline di monomero (ed in seguito di polimero), comportandosi da reattori; delle grosse gocce invece conterranno solo il monomero, comportandosi da serbatoi. C'è poi una quantità di emulsificante che sta disperso come molecola singola.
L'iniziatore, in fase acquosa, darà origine ai radicali che si muovono per raggiungere le particelle di monomero (goccioline), ed a questo punto avrà inizio la polimerizzazione radicalica.
La polimerizzazione avviene in questo modo:
È la reazione con cui si formano macromolecole caratterizzate da almeno 2 o più differenti unità ripetitive che non si legano secondo una sequenza obbligatoria. I copolimeri possono essere a blocchi, a innesto, alternati o casuali.
[1] W. H. Carothers, "Journal of American Chemical Society", 1929, 51, 2548
[2] Paul J. Flory, "Principles of Polymer Chemistry" (http://books.google.com/books?id=CQ0EbEkT5R0C&pg=PA37&lpg=PA37& dq=Carothers+polymer+addition+condensation&source=bl&ots=13v-5Uxvju&sig=h1RcDqB_plK0WR xwxwjuLybC4&hl=it& ei=wdJUSuKSKY2angPIt4SMDA&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=1), Cornell University Press, 1953, p.39. ISBN
0-8014-0134-8
[3] Susan E. M. Selke, John D. Culter, Ruben J. Hernandez, "Plastics packaging: Properties, processing, applications, and regulations" (http:// books.google.com/books?id=1aM9n0hovOoC&dq=Flory+polymer+addition+condensation&hl=it), Hanser, 2004, p.29. ISBN
1-56990-372-7
[4] In genere i polimeri di condensazione vengono prodotti tramite polimerizzazione a stadio mentre i polimeri di addizione vengono prodotti tramite polimerizzazione a catena, ma esistono numerose eccezioni.
[5] Brisi, op. cit., pp. 435
[6] Queste assunzioni a rigore non sarebbero valide per le catene con un basso numero di unità ripetitive (oligomeri), ma siccome nell'ambiente di reazione questi hanno una concentrazione più bassa delle catene polimeriche in accrescimento, si può trascurare la loro presenza.
[7] Brisi, op. cit., pp. 435-436
88-203-0532-1
books?id=m4MTd-kkk9UC&printsec=frontcover&source=gbs_navlinks_s), 2, Liguori Editore Srl, 1975, pp. 405-445. ISBN 88-207-0390-4
I polimeri termoplastici sono polimeri formati da catene lineari o poco ramificate, non legate l'una con l'altra (ovvero non reticolate);[1] è sufficiente quindi aumentare la temperatura per portarli ad uno stato viscoso e poterli quindi formare.
Ogni volta che si ripete l'operazione di riscaldamento e formatura il materiale perde un po' delle sue caratteristiche.
I polimeri termoplastici possono essere amorfi o semicristallini: i primi sono trasparenti, gli altri sono invece opachi. I polimeri amorfi al di sotto della temperatura di fusione hanno catene intrecciate e attorcigliate. Presentano una certa resistenza ed elasticità e se non sono caricati mantengono la loro forma.
I polimeri semicristallini sono invece costituiti da zone cristalline (in cui le catene polimeriche sono disposte in maniera ordinata, seguendo tutte la stessa orientazione) intervallate da zone amorfe.
Il comportamento dei polimeri amorfi è fortemente influenzato dalla temperatura: alla temperatura di transizione vetrosa (T ) i movimenti delle catene si riducono a tal punto che il materiale diviene compatto e rigido, e vi è una
g
variazione di circa tre ordini di grandezza del modulo elastico. La temperatura di transizione vetrosa non è costante, ma dipende dal peso medio ponderale e dalla velocità di raffreddamento del polimero.
I polimeri termoplastici hanno comportamento elastico se sottoposti a piccole deformazioni (ovvero seguono la legge di Hooke), per cui se lo sforzo cessa vengono ripristinate le dimensioni che il provino aveva prima dell'applicazione dello sforzo, quindi la deformazione è reversibile.
Se vengono invece sottoposti a deformazioni più marcate, hanno comportamento plastico, per cui una volta che lo sforzo è cessato il provino non ritorna alle dimensioni iniziali, bensì permane una
certa aliquota di deformazione. Ciò è spiegato dal fatto che le molecole di polimero possono muoversi l'una rispetto all'altra e i legami che intercorrono tra le macromolecole sono legami di attrazione intermolecolare (ad esempio forze di van der Waals o legami idrogeno), più deboli dei legami chimici che possono esserci ad esempio nel caso di polimeri reticolati (elastomeri), i quali invece riassumono sempre le loro dimensioni iniziali.
Inoltre all'aumentare della temperatura e a parità di deformazione ottenuta è necessario applicare uno sforzo minore per deformare un polimero termoplastico (da cui il nome "termo-plastico").
Le proprietà di un materiale termoplastico dipendono dalle condizioni di solidificazione, che sono:
Nello studio è utile il diagramma (analogo alle curve di Bain per gli acciai) nel quale presenti le curve di fine e inizio trasformazione (che rappresentano la fine e l'inizio di cristallizzazione), con scala dei tempi logaritmica.
Al punto di fine cristallizzazione però non abbiamo il materiale 100% cristallino, ma abbiamo raggiunto il massimo grado di cristallinità del materiale. Poi abbiamo anche la curva di transizione vetrosa, che incide sull'addensamento delle macromolecole e sul volume libero del polimero (cioè lo spazio che rimane tra le macromolecole).
I tipi di raffreddamento possibili sono:
La morfologia dei polimeri termoplastici può essere:
Nel caso di polimero ottenuto da fuso si forma una "superstruttura", in cui la lamella è l'elemento base, chiamato sferulite.
Di seguito vengono elencati alcuni polimeri termoplastici:
[1] Gedde, op. cit., p. 15
Polimeri termoindurenti
I polimeri termoindurenti sono particolari polimeri che una volta prodotti non possono essere fusi senza andare incontro a degradazione chimica ("carbonizzazione").[1]
Sono polimeri reticolati, ma presentano un grado di reticolazione molto più elevato degli elastomeri, per cui le reticolazioni ostacolano la mobilità delle macromolecole, dando luogo ad un comportamento fragile.
I polimeri termoindurenti vengono prodotti in due fasi: in una prima fase vengono prodotte le catene polimeriche, mentre nella fase successiva (che è rappresentata da un riscaldamento o da una reazione chimica catalizzata) le catene polimeriche vengono fatte reticolare.[2] Lo stampaggio avviene durante la seconda fase di lavorazione.
Le tecniche che possono essere utilizzate per lo stampaggio di questi polimeri sono:[2]
Di seguito vengono elencati alcuni polimeri termoindurenti:
[1] Gedde, op. cit., p. 15
[2] http://www.mauriziogalluzzo.it/cladis_0607/plastiche/pdf/lavorazioni.pdf
Fonte: http://www.wikilibri.it/pdf/Materieplastiche.pdf
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