Tubi termoionici

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Tubi termoionici

 

I TUBI TERMOIONICI
UN VIAGGIO TRA STORIA E TECNOLOGIA

di Vincenzo Iorio (1993)


Una delle prime lampadine del 1879

 

L'EMISSIONE TERMOELETTRONICA

L'emissione termoelettronica fu scoperta quasi per caso alla fine del 1800 da Thomas Alva Edison. L'inventore nel 1879 scoprì la lampadina elettrica che, come noi sappiamo, è costituita da un involucro di vetro all'interno del quale un filamento di metallo emette una luce molto brillante. Il materiale usato per il filamento è oggi costituito da un metallo con alto punto di fusione, e viene riscaldato fino all'incandescenza tramite una corrente elettrica prodotta da un generatore esterno.

         Le prime lampade costruite da Edison utilizzavano un filamento in carbone e duravano meno di un centinaio di ore, poi il filamento si interrompeva.

Successivamente Edison sperimentò filamenti che erano costituiti da un metallo invece che dal carbone. Questo cambiamento permise di ottenere un aumento del tempo di vita della lampada. Ricordiamo che in Italia gli studi del torinese Alessandro Cruto e del friulano Arturo Malignani avevano già prima di Edison permesso la realizzazione di ampolle luminose (così venivano chiamate), che utilizzavano un filamento di metallo. Lo stesso Cruto fu il primo, a quanto ci risulta, che adoperò il tungsteno come metallo per le prime lampade da egli prodotte. 

Tornando a Edison dobbiamo ricordare che durante la sperimentazione il grande inventore americano dovette risolvere diversi inconvenienti tecnici che cominciarono a verificarsi.

Uno dei tanti problemi che Edison dovette risolvere, fu l’annerimento della superficie interna del bulbo di vetro. Questo fenomeno che si verificava dopo alcune ore di funzionamento della lampadina, era prodotto dalla vaporizzazione del metallo usato per il filamento, e dalla presenza di impurezze contenute in esso, una volta portato ad alta temperatura. Questo problema diminuiva drasticamente l'efficienza luminosa del dispositivo, per questa ragione lo scienziato si prodigò per eliminarlo.

         Edison risolse il problema aumentando sia il vuoto all’interno del bulbo, che sostituendo il materiale adoperato per il filamento con metalli più puri, ma prima di trovare questa soluzione, egli effettuò numerosi altri tentativi.

         Poiché Edison aveva capito che la causa del fenomeno era legata alla vaporizzazione del metallo e alla sua conseguente condensazione sul bulbo di vetro più freddo, cercò di impedirne l'effetto interponendo una placchetta di metallo appena sopra il filamento.  La speranza era che la placchetta avrebbe fermato le emanazioni fastidiose, ma non fu cosi.

Per sostenere la placchetta fu necessario fissarla ad un supporto metallico saldato nel bulbo. Per ragioni tecniche dovute alla preparazione del bulbo di vetro, questo supporto fuoriusciva all'esterno sporgendo per un certo tratto. In questo modo vi era possibile applicare una connessione elettrica. Fu proprio questa fortuita disposizione che permise a Edison di constatare un fenomeno curioso.

Tramite un elettroscopio, strumento molto usato in quel periodo dai pionieri dell'elettricità, Edison scopri che quando la lampadina era accesa, la placchetta si caricava di elettricità negativa e il filamento si caricava di elettricità positiva.  A quel tempo gli elettroni non erano stati ancora scoperti, e il fenomeno fu chiamato effetto Edison rimanendo per qualche tempo senza una particolare spiegazione. Era il lontano 1883.

         Dall'esperimento di Edison fino alla prima applicazione pratica del fenomeno trascorse qualche anno. Nel 1897 Joseph John Thomson scoprì l'elettrone del quale si riuscì a misurare il rapporto carica massa che risultò pari a circa 1.77 108 C/g. Più tardi venne calcolata la massa della particella e si scoprì che pesava esattamente 1840 volte in meno della cosa più leggera conosciuta in natura allora, cioè l'atomo di idrogeno.

         Non fu difficile stabilire che queste particelle erano in qualche modo collegate con i fenomeni relativi al passaggio della corrente elettrica nei conduttori.

         Oggi, sappiamo che a determinare la curiosa elettrizzazione negativa della placchetta, sono proprio gli elettroni scoperti da Thomson. Queste particelle fuoriescono dal filamento e vengono catturate dagli atomi che costituiscono la placca.

         Quando un corpo metallico come il filamento della lampadina di Edison  viene portato ad alta temperatura, gli elettroni più esterni degli atomi che costituiscono il corpo subiscono un innalzamento della loro energia cinetica. L'aumento di energia è così elevato che moltissimi elettroni riescono ad abbandonare gli atomi che li ospitano formando una nube di carica negativa nello spazio intorno al filamento caldo.

         Questo fenomeno è chiamato “emissione termoelettronica o effetto termoionico”. Si verifica quando l'energia che viene somministrata a ciascun elettrone supera l'energia di ionizzazione tipica dell'elemento chimico utilizzato per costruire il filamento.

         La legge matematica che esprime questo fenomeno è conosciuta come l'equazione di Dushman - Richardson.

         La formula stabilisce il valore della corrente, in ampere, prodotta dal flusso di elettroni emessi da una superficie S di un filamento portato alla temperatura assoluta T. Il termine b0 ed il termine A0 sono determinati dalle seguenti formule:

Il termine e, rappresenta la carica elettrica dell'elettrone pari a 1,602 10-19 C, il termine Ew è appunto l'energia di ionizzazione valida per quell'elemento, k è la costante di Boltzmann pari a 1.380 10-23 j/K, m è la massa dell'elettrone ed h la costante di Planck pari a 6.626 10-34 j s.

Tab.1  - Costanti di emissione di alcuni metalli


MATERIALE

A0
A/m2/K2
104

b0

Ew (eV)

K

Carbonio

60,2

54500

4.7

3970

Cesio

16.2

21000

1.81

301

Molibdeno

60.2

49900

4.3

2895

Nichel

26.8

32100

5.0

1725

Platino

32

61700

5.32

2047

Tantalio

60.2

47600

4.1

3123

Torio

60.2

39400

3.4

2118

Tungsteno

60.2

52400

4.52

3655

         La tabella n.1 mostra i valori che assumono le costanti delle formule precedenti per alcuni metalli di impiego comune.

         Il cesio avendo una temperatura di fusione di soli 301K (28 °C) non può essere usato per la costruzione di filamenti riscaldatori, ma per la sua bassa energia di estrazione, (1.81 eV) il cesio viene impiegato sottoforma di ossido, come coprente per gli elettrodi usati per l’emissione termoionica (vedi più avanti).

IL DIODO TERMOIONICO

Il primo tentativo di sfruttamento del fenomeno scoperto da Edison fu realizzato un po' più tardi da un altro ricercatore Ambrose Fleming.

L'ingegnere inglese attraverso l'attento esame del fenomeno descritto dal suo predecessore intuì che l'effetto poteva costituire un'importante soluzione ad un problema. Fleming scoprì che applicando un potenziale elettrico sulla placchetta connessa al bulbo luminoso passava una corrente elettrica fra la placchetta e il filamento.

Il fenomeno avveniva soltanto quando la placchetta metallica era caricata positivamente, poiché in questo modo attraeva gli elettroni che provenivano dal filamento. Ne dedusse che ponendo il dispositivo in un circuito in cui passava corrente alternata, all'uscita si aveva soltanto corrente continua. Nel 1905, Ambrose Fleming presentò Il primo tubo elettronico, che si chiamò più tardi “diodo termoionico”.

          Il diodo termoionico era costituito da un’ampolla simile al bulbo di vetro della lampadina di Edison all'interno del quale veniva posto un filamento riscaldatore che svolgeva la funzione di catodo, più un elettrodo metallico che circondava il filamento chiamato placca o anodo. Il meccanismo su cui era basato il suo funzionamento era veramente semplice. Poiché, la placca attirava verso di sé gli elettroni emessi dal filamento solo se la sua polarità elettrica era positiva, il circuito si presentava nei confronti della corrente alternata Che veniva applicata all'anodo, come un elemento monodirezionale cioè un raddrizzatore.

Per questa caratteristica tali dispositivi vennero chiamati, valvole elettroniche. In poche parole durante i semiperiodi della corrente alternata per i quali la placca era negativa rispetto al catodo, gli elettroni venivano respinti e non vi era circolazione di corrente elettrica. Viceversa durante i semiperiodi per i quali l'anodo era positivo rispetto al catodo gli elettroni venivano attratti verso di esso e vi era circolazione di corrente nel circuito di placca.

Le figure precedenti mostrano i due tipi di polarizzazione. Utilizzando, infatti, come esempio una batteria in corrente continua, possono ottenersi due modi di funzionamento: la polarizzazione diretta, è illustrata dalla prima figura al lato, in questo caso la placca è a potenziale positivo e gli elettroni possono circolare nel circuito. La polarizzazione inversa, illustrata dalla figura successiva, impedisce al diodo termoionico di condurre corrente.

         La realizzazione di questi dispositivi costrinse i tecnici ad adottare nuove soluzioni riguardante le posizioni e la forma degli elettrodi che costituivano il tubo elettronico. Per aumentare l’efficienza di emissione termoionica di li a poco si utilizzo una nuova soluzione per quanto riguarda l’elettrodo catodico. Il filamento fu usato solo come elemento riscaldatore, quest'ultimo veniva posto all'interno di un elettrodo cilindrico che diventava il vero e proprio catodo. Il catodo veniva posto in modo da avvolgere completamente il filamento che aveva il compito come abbiamo già detto, di riscaldarlo.  L'elettrodo catodico era costituito di nickel sul quale venivano depositati alcuni ossidi come il bario, o il cesio, in modo da sfruttare l’enorme sensibilità di questi composti per quanto riguarda l’emissione termoelettronica. Questa soluzione costruttiva, che venne chiamata a riscaldamento indiretto, permise di ottenere anche altri svariati vantaggi che non enumereremo in questa sede.

Struttura funzionale di un catodo ad emissione indiretta

Il diodo termoionico di Fleming fu utilizzato non solo come raddrizzatore ma anche come rilevatore delle onde elettromagnetiche al posto del coherer di Marconi. Grazie a questo dispositivo la nascente tecnica radiofonica subì un forte impulso. 

IL TRIODO E ALTRI TUBI

Il diodo termoionico fu il primo tubo elettronico ad essere costruito all'inizio del 900, ma non fu quello più importante. Il tubo elettronico invece che caratterizzò l’inizio di una nuova era, e  divenne il capostipite di una famiglia di dispositivi destinati a sconvolgere i circuiti elettrici di quel tempo, fu  il triodo.

L’idea di collocare un terzo elettrodo a forma di griglia attorno al catodo spetta a Lee De FOREST nel 1907. Il dispositivo che si chiamò, triodo termoionico permise la realizzazione di circuiti che determinarono la nascita di una nuova materia, l’elettronica.

Il terzo elettrodo aggiunto dall'ingegnere americano permetteva grazie alla sua forma e alla sua posizione, un certo controllo del flusso degli elettroni generato dal catodo. Piccole variazioni di tensione sulla griglia generavano grandi variazioni di corrente anodica e quindi grandi variazioni di tensioni anodiche.   Per ricavare sull'anodo la variazione di tensione, si utilizzava un’opportuna disposizione circuitale che prevedeva l'inserzione di una resistenza di carico nel circuito anodico.

In base a questo meccanismo la tecnologia elettrica di quel tempo poté utilizzare un nuovo ed importante effetto, “l'amplificazione”.

Ecco quindi un momento caratteristico nel quale l'elettrotecnica partorì una nuova disciplina, una materia che avrebbe dovuto occuparsi dei segnali, della loro amplificazione, e delle loro trasformazioni. Questa nuova materia si chiamò elettronica proprio a ricordare il ruolo principale che assolvevano gli elettroni all'interno di questi primi dispositivi costruiti dalla tecnologia di quel tempo.

Se ad un triodo termoionico fornissimo un potenziale negativo in griglia molto elevato, la corrente di elettroni che proviene dal carico si arresterebbe del tutto. Questa situazione si verificherebbe tramite il campo elettrico opposto prodotto dalla griglia nei confronti di quello prodotto dall'anodo. Fornendo invece alla griglia un potenziale man mano più positivo, gli elettroni non avrebbero impedimento nella loro corsa verso l'anodo, generando così correnti anodiche più elevate.

Anche se non espres-samente consigliato, potremo applicare tensioni positive sulla griglia, in questo caso le correnti anodiche subirebbero una certa amplificazione.
Intanto ricordiamo che la corrente anodica non potrebbe mai essere superiore ad un valore detto di saturazione, imposto dalla legge di Dushman.

La ragione della grande sensibilità degli elettroni alla variazione della tensione di griglia, è determinata dalla forma e dalla posizione geometrica che questo elettrodo assume nello spazio fra l'anodo e il catodo. La griglia controllo è normalmente posizionata in modo da essere più vicina al catodo, per questa ragione il campo elettrico da essa generato diventa molto più efficace di quello generato dall'anodo. Sfruttando questa opportunità i primi tubi elettronici poterono facilmente essere utilizzati come amplificatori dei segnali microfonici, rilevatori dei segnali a radiofrequenza, e anche come oscillatori elettronici.


Schema di un amplificatore che utilizza un triodo termoionico.

         Successivamente ai triodi si diffusero rapidamente altri tipi di tubi elettronici con caratteristiche molto diversificate. In effetti, questi nuovi dispositivi differivano per il numero e la disposizione degli elettrodi contenuti al loro interno. Apparvero, infatti, ben presto alcuni problemi che costrinsero i progettisti di tubi elettronici a effettuare alcune modifiche alla disposizione semplice del triodo di De Forest. Si aggiunse un'altra griglia, chiamata griglia schermo con il compito di ridurre la capacità interelettrodica fra l'anodo e la griglia di controllo. Si provvide ad eliminare fastidiosi effetti di emissioni elettroniche secondarie frapponendo collimatori a fasci, o griglie chiamate di soppressione. Da lì a poco il parco dei tubi disponibili si arricchì con esemplari chiamati, tetrodi, pentodi, eptodi e cosi via.

I TUBI CATODICI

         Oggi noi utilizziamo ancora un dispositivo molto importante chiamato tubo catodico, il cui funzionamento è legato all'evoluzione tecnologica dei tubi a vuoto.

In realtà la scoperta del tubo catodico è avvenuta qualche tempo prima di quella dei tubi che abbiamo parlato fino ad ora. L'esperienza che permise a Thomson di scoprire l'elettrone fu proprio effettuata tramite un tubo per certi versi molto simile al tipo usato oggi e chiamato tubo catodico.

         Il tubo catodico odierno è costituito da un'ampolla di vetro a forma di cono nel cui vertice è praticato un prolungamento cilindrico sempre di vetro all'interno del quale hanno sede gli elettrodi principali. Dispositivi di questo tipo sono utilizzati per generare un raggio di elettroni sufficientemente stretto chiamato pennello elettronico che opportunamente collimato si dirige verso il fondo del cono. La superficie interna del cono di vetro è ricoperta con uno strato sottile di un miscuglio di sostanze fluorescenti chiamate fosfori. Questi ultimi si illuminano appena vengono colpiti dal pennello di elettroni. Per questa ragione i tubi catodici possono essere adoperati per produrre figure essenziali o immagini in base all'uso che se ne stabilisce. La moderna tecnica televisiva utilizza/utilizzava, infatti, il tubo catodico per generare un'immagine che altri dispositivi raccolgono o registrano da un'altra parte. E' anche vero che proprio in questi ultimi anni le moderne tecnologie al plasma o a led stanno facendo letteralmente scomparire gli ultimi tubi catodici superstiti che erano rimasti. Tuttavia vediamo, molto brevemente, come funziona un tubo catodico ad emissione termoelettronica. Per generare un'immagine è necessario che il pennello di elettroni sia spostato in tutte le direzioni dello schermo, ed è oltremodo necessario modularlo di intensità per realizzare i giusti contrasti. Analizziamo in che modo un tubo catodico è in grado di soddisfare queste possibilità.

         La sede del gruppo di elettrodi che costituiscono il prolungamento del tubo è chiamato cannone elettronico. All'estremità di esso è posto il filamento riscaldatore inserito all'interno di un elettrodo cilindrico chiamato catodo. Il catodo, collegato alla polarità negativa di un generatore di tensione, è il punto dove vengono generati gli elettroni secondo le modalità viste precedentemente nel caso dei tubi termoionici. Il tubo catodico è per se stesso un tubo termoionico.

L'elettrodo successivo che troviamo lungo il tragitto che gli elettroni effettuano tra il catodo e il fondo del tubo è la griglia controllo. In questo caso la griglia assume un aspetto un po’ diverso dalla tipica forma che questo elettrodo assumeva all'interno dei tubi termoionici. La griglia controllo dei tubi catodici è costituita da un disco nel quale è stato praticato un piccolo orifizio al centro. Tramite la griglia noi moduliamo la corrente di elettroni, nel caso specifico del tubo catodico noi riusciamo a modulare l'intensità del fascio. Appena dopo la griglia controllo sono posti alcuni elettrodi di forma cilindrica che hanno il compito di focalizzare il raggio di elettroni in un fascio molto stretto. Per tale ragione questi elettrodi saranno collegati ad un potenziale positivo rispetto al catodo. L'ottica elettronica è quella materia che studia la deflessione degli elettroni tramite campi elettrici prodotti da elettrodi di forme opportune. Attraverso le leggi fisiche che regolano queste traiettorie il raggio di elettroni viene focalizzato in una regione molto stretta chiamata appunto pennello catodico. Gli elettrodi focalizzatori possono essere anche più di due e l'ultimo chiamato anodo acceleratore è quello che assume il compito di accelerare gli elettroni verso lo schermo.

         Una differenza caratteristica che separa il funzionamento del tubo catodico dalla valvola, e che in quest'ultima la maggior parte degli elettroni è raccolta dall'elettrodo anodico, viceversa nel tubo catodico la maggior parte degli elettroni dirige la sua traiettoria verso lo schermo e solo una parte prosegue il suo cammino nel circuito anodico. Quest'ultima considerazione andrebbe corretta attraverso la semplice osservazione che gli elettroni che giungono sullo schermo depositano una carica elettrica che a poco a poco si disperde attraverso gli elettrodi del tubo catodico per tornare a circolare circuito anodico.

 

 

Per modificare la traiettoria del fascio di elettroni possiamo utilizzare indipendentemente o un campo magnetico o un campo elettrico. A seconda del metodo adoperato è diverso il criterio di interazione con il fascio di elettroni secondo le modalità studiate in elettrotecnica. L'insegnante in questo caso potrà ripetere i concetti di azione di un campo elettrico e magnetico nei confronti di una corrente elettrica, analizzando con maggiore dettaglio le regole della deflessione. Infatti, il fascio di elettroni che si dirige dal catodo all'anodo, può essere considerato a tutti gli effetti una corrente elettrica di verso convenzionale che si muove dall'anodo al catodo. Per questa ragione saranno applicabili le regole che conosciamo dell'elettromagnetismo.

         I tubi catodici a deflessione elettrostatica sono provvisti di placchette di deflessione localizzati nella parte alta del collo del tubo. Per spostare il pennello di elettroni sia nella direzione x, che nella direzione y, sono necessarie due coppie di placchette disposte in modo tra loro perpendicolare. Questi tubi sono largamente utilizzati nel settore elettronico, impiegati nella strumentazione di misura. A tale esempio ricordiamo il famoso oscilloscopio, l'analizzatore di spettro, il vettorscopio e altri strumenti. I tubi a deflessione magnetica sono invece impiegati nel settore televisivo sia come tubi di ripresa (telecamere) che come riproduzione delle immagini. In quest'ultimo caso il tubo catodico viene chiamato cinescopio proprio per la sua funzione di riproduttore di immagini animate. Anche i moderni personal computer utilizzano cinescopi simili a quelli impiegati nei televisori.

         Per ottenere la deflessione si colloca sul collo del tubo un particolare dispositivo chiamato gioco di deflessione che consiste in un gruppo di solenoidi avvolti in aria con una forma particolare. Applicando alcuni tipi di forme d'onda ai terminali di questi avvolgimenti, si fanno circolare all'interno di essi correnti che producono campi magnetici opportuni per il processo di deflessione.

         Se il cinescopio è previsto per una visione a colori, i fosfori impiegati sono di tipo particolare. In pratica si usano sostanze fluorescenti in grado di produrre i tre colori fondamentali per la composizione cromatica additiva. La tabella riportata mostra i vari tipi di fosfori utilizzabili.

FOSFORI

Tipo di fosforo

Formula
Chimica

Attivatore

Colore

Impiego

Alluminato di
zinco

ZnO + Al2O3

Manganese
(Mn)

Blu - verde

Tubi catodici per
strumentazione

 

Silicato di
zinco

ZnO + SiO2

Manganese
(Mn)

Blu - verde

"  "  "

 

Solfuro di
zinco-cadmio

ZnS + CdS

Manganese
(Mn)

Blu - rosso

"  "  "

 

Silicato di
magnesio

MgO + SiO2

Manganese
(Mn)

Arancio - rosso

"  "  "

 

Alluminato di
zinco

ZnO + Al2O3

Cromo
(Cr)

Rosso

"  "  "

 

Tungstato di
cadmio

CdO + WO2

 

Blu chiaro

"  "  "

 

Vanadato di ittrio

YVO4

Europio
(Eu)

Rosso

Cinescopi per
TV a colori

 

Solfuri di zinco
e cadmio

ZnCdS

Argento
(Ag)

Verde

"  "  "

 

Solfuro di zinco

ZnS

Argento
(Ag)

Blu

"  "  "

 

          Nel 1907 l'uomo riuscì per la prima volta a controllare il flusso della corrente elettrica in modo continuo e modulato. Tutto questo tramite a un semplice segnale di pochi millivolt di tensione applicato ad un elettrodo a forma di griglia. Per riuscire in questo intento fu però necessario strappare gli elettroni dai corpi conduttori che li contenevano in modo da controllarli agevolmente nel vuoto di un bulbo di vetro. Più tardi altri ardimentosi nel 1948 riuscirono ad effettuare lo stesso controllo servendosi di tecnologie più raffinate. Si riuscì a controllare il flusso delle cariche elettriche direttamente all'interno della materia solida. Per questo caso si sfruttarono nuovi materiali chiamati semiconduttori. Di lì a breve venne realizzato un nuovo componente con la stessa funzione del triodo termoionico ma contraddistinto da un principio fisico completamente diverso. Questo dispositivo chiamato transistore costituì il più importante risultato di quegli anni, e rimane ancora indissoluto artefice della nostra attuale elettronica. La nostra prossima lezione riguarderà appunto la giunzione a semiconduttore.

         Il nostro pensiero sarà rivolto verso quegli anni di gloria, ma con pari entusiasmo ricorderemo anche gli inizi di questo secolo e il lavoro svolto dai ricercatori che scoprirono e utilizzarono l'emissione termoelettronica. La nostra riconoscenza a questi illustri e compianti protagonisti.

 

Vincenzo Iorio

 

<< Consiglio il lettore di visionare il documentario amatoriale “L'affascinante storia dell'elettronica” scaricabile su questo stesso sito. >>

Fonte: http://www.atuttoportale.it/articoli/elettronica/TubiTermoionici.doc

Sito web da visitare: http://www.atuttoportale.it

Autore del testo: indicato nel documento di origine

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