Diritto del rapporto di lavoro individuale

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Diritto del rapporto di lavoro individuale

Il diritto del rapporto individuale:origini e caratteri fondamentali
Una prima fase (metà ‘800), caratterizzata da uno scarno intervento legislativo in materia di rapporto di lavoro subordinato e dalla repressione penale dell’attività sindacale.
Il diritto del lavoro si articola in tre parti fondamentali: il diritto del rapporto individuale di lavoro, il diritto sindacale, il diritto della previdenza sociale. A far da collante dell'intero corpo giuslavoristico è il primo di questi, che segna e accompagna l'emergere e il consolidarsi, prima nella dimensione economica, poi, in quella giuridica, della figura del lavoratore subordinato, cioè per dirla con le parole dell'art. 2094 c.c., di colui che si impegna a prestare il proprio lavoro ...alle dipendenze e sotto la direzione di un datore di lavoro. Tant'è che potrebbe sembrare più corretto parlare non di diritto del lavoro tout court, ma di diritto del lavoro subordinato, lasciando fuori quello autonomo, cioè quello di chi, almeno formalmente, dipende solo da se stesso, trovando la sua fattispecie codicistica non nell'art. 2094, ma nell'art. 2222 c.c. sul contratto d'opera.
 Il codice civile del 1865 riconduceva l’attività lavorativa entro lo schema della locazione di opere. Mentre la locatio operis (lavoro autonomo) trova una certa disciplina, la locatio operarum (lavoro subordinato) praticamente non era disciplinata (in conformità all’ideologia liberale, ispirata al principio di libertà di concorrenza, secondo cui doveva essere il mercato a fissare i salari e le condizioni di lavoro in generale, e non la legge).
In tale ambito dunque dominava l’autonomia privata, con un’unica grande eccezione; quell’articolo 1628, secondo il quale la locazione delle opere e dei servizi poteva avvenire solamente a tempo determinato e che vietava esplicitamente di stipulare contratti di lavoro a vita per evitare la ricostituzione di rapporti simili alla servitù della gleba o alla schiavitù. E sempre in un’ottica liberista va letta la repressione penale dell’attività sindacale ad opera del codice penale sardo del 1859, esteso dopo l’unità d’Italia a tutta la penisola ad eccezione della toscana.
La seconda fase (quella della c.d. legislazione sociale), tra la fine dell’800 e l’inizio del 900 è caratterizzata, sotto il profilo penale, dalla fine della repressione penale dell’attività sindacale, e sotto il profilo civile, dalla promulgazione di alcune leggi in materia di lavoro volte a d  disciplinare alcuni aspetti particolarmente gravosi delle condizioni di lavoro.
Le spinte al cambiamento in questa fase furono determinate dall’aggravarsi della questione sociale (conseguente alla rivoluzione industriale avviata nel 1760), che, a dire il vero, nel nostro paese viene ad avere come protagonista il salariato dell’agricoltura (il bracciante) ancor prima che quello dell’industria (l’operaio).
L’aggravarsi della questione sociale portò all’approvazione di norme volte ad affrontare due piaghe sociali sorte nella prima industrializzazione: lo sfruttamento delle donne e dei fanciulli ed il trasferimento del costo economico degli infortuni e delle malattie professionali sulle spalle dei soli lavoratori lesi.  Si trattava di una serie di disposizioni di legge dettate in deroga ai principi del codice civile, per proteggere il lavoratore in quanto contraente più debole nel rapporto di lavoro. La legislazione sociale si può dunque definire come un sistema di norme rivolte alla disciplina, non del contratto di lavoro, ma di talune condizioni ecomonico-sociali ad esso legate; un insieme di leggi che si affiancarono alla codificazione civile del 1865 e che si presentava in posizione eccezionale, come risposta dell’ordinamento alla questione sociale, sorta per effetto del processo di industrializzazione.
Sempre in quest’ottica di maggiore attenzione alle istanze dei lavoratori, visti quale categoria debole, si può inquadrare la depenalizzazione dell’attività sindacale: Il codice Zanardelli del 1889 elimina il reato di coalizione ed inaugura un periodo di tolleranza legale verso il fenomeno sindacale, che sarà destinato a durare fino al fascismo.
Per trovare la prima legge che si faccia carico di regolamentare organicamente il rapporto di lavoro individuale dobbiamo aspettare il d. lgs. 1919 n. 112 (sostituito poi dal R.d.l. 1924 n. 1825), il quale disciplina il contratto di impiego privato. Con questa legge il legislatore fornisce agli impiegati privati uno status giuridico organico, tendenzialmente comparabile a quello già introdotto per gli impiegati pubblici.
Nonostante sia limitata al solo lavoro impiegatizio, questa legge è considerata storica, non solo poiché vi si ritrova una prima definizione di contratto di lavoro subordinato, ma anche perché contiene una disciplina anticipatoria rispetto a quella codicistica del 1942, caratterizzata dalla sua inderogabilità unilaterale, cioè la totale e assoluta preclusione di qualsiasi modifica in peius da parte dell’autonomia collettiva ed individuale.
E qui risalta in tutta la sua chiarezza la devianza del diritto del contratto\rapporto di lavoro rispetto al diritto civile, nel cui ambito e contesto rimane sempre radicato il principio fondamentale della parità formale dei contraenti legittimati a trovare autonomamente e liberamente il punto di compromesso dei loro interessi, principio fondamentale che viene messo in discussione per tenere conto della disparità sostanziale fra datore di lavoro e lavoratore.
Da qui il caratterizzarsi del diritto del lavoro come un diritto diseguale, cioè tendente a riportare un minimo di equilibrio tra parti dotate di un ben diverso potere nella conclusione del contratto e nella conduzione del rapporto.
2. Il periodo corporativo
Questa fase, coincidente col ventennio fascista, si caratterizza per un irrigidimento dell’intera struttura sindacale e per l’illiceità di qualsiasi forma di conflitto (sciopero o serrata). Con la legge n. 563 del 1926 l’intero sistema sindacale viene ingabbiato. La legge riconosceva formalmente la libertà sindacale; tuttavia un solo sindacato di lavoratori e datori per ogni categoria produttiva poteva ottenere il riconoscimento legale dal governo, con attribuzione di personalità giuridica di diritto pubblico (da qui la possibilità per lo Stato di esercitare in controllo penetrante sui sindacati). E solo i sindacati così riconosciuti concludevano contratti collettivi che assumevano efficacia per l’intera categoria (erga omnes), con effetti simili alle norme di legge.
Il legislatore penale intervenne in modo incisivo, qualificando come reati sia lo sciopero che la serrata (codice Rocco del 1930).Con il corporativismo dunque i sindacati vengono trasformati in organi burocratici, privi di spinta conflittuale e di effettiva rappresentatività.
3.La costituzione
Con la caduta del fascismo (1943), la conseguente fine del corporativismo e l’emanazione della costituzione (1948) si apre una nuova fase storica dello sviluppo del diritto del lavoro e delle relazioni industriali.
Si riafferma la libertà di organizzazione sindacale e tale libertà di attività sindacale viene ulteriormente valorizzata dal riconoscimento del diritto di sciopero.
Prendendo in considerazione le fonti del diritto è possibile evidenziare come la rilevanza della materia del diritto del lavoro sia cresciuta nelle varie fasi che ne hanno caratterizzato l’evoluzione. La prima fase si caratterizza per un forte astensionismo legislativo; durante la fase della legislazione sociale, il diritto del lavoro diviene oggetto di una produzione normativa che si caratterizza per la sua eccezionalità rispetto al diritto civile; con il codice civile del 1942 la disciplina del rapporto di lavoro perde il suo carattere di eccezionalità e viene inclusa nella codificazione unificata del diritto privato del 1942. infine con la costituzione, i principi fondamentali che presiedono alla disciplina del rapporto di lavoro trovano una definitiva e più alta consacrazione nel testo costituzionale.
Sono molti i principi inerenti il diritto del lavoro che trovano formale consacrazione nella costituzione; l’art. 1 assume a valore base dell’ordinamento repubblicano il lavoro, inteso in senso ampio, cioè rappresentativo di ogni attività socialmente rilevante; l’art. 4,1 riconosce ad ogni cittadino il diritto al lavoro.
Oltre a questi principi, di portata più generale, nella Parte prima del titolo 3° ve ne sono altri, i quali si occupano in maniera ancor più incisiva del rapporto di lavoro e del fenomeno sindacale. Tra questi spiccano per importanza e rilievo:
 L’art. 35 pone a carico della repubblica la tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni.
 L’art. 36 consacra il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata ed in ogni caso sufficiente al sostentamento suo e della famiglia, il diritto irrinunciabile al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite ed infine rinvia alla legge la fissazione della durata massima della giornata lavorativa.
 L’art. 37 sanziona una disciplina di tutela per la donna lavoratrice e per i minori.
 L’art. 39 sancisce 3 principi fondamentali:
La libertà (e quindi la pluralità) sindacale come fondamento delle relazioni industriali;
La registrazione del sindacato ed il riconoscimento della personalità giuridica come presupposto per acquisire la capacità di stipulare contratti collettivi efficaci per tutti gli appartenenti alla categoria alla quale il contratto si riferisce;
L’attribuzione di tale capacità contrattuale direttamente a rappresentanze unitarie dei sindacati registrati, costituite in proporzione ai loro iscritti.
La valorizzazione dell’attività sindacale è poi rafforzata dal riconoscimento del diritto di sciopero operato dall’art. 40
Non è senza significato poi che l’art. 41 afferma che la libertà di iniziativa economica non possa esercitarsi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla dignità umana. Se ne è infatti dedotto che il testo costituzionale abbia prefigurato un diverso equilibrio fra i due fattori della produzione, lavoro e capitale, più favorevole al lavoro di quanto potesse esserlo precedentemente (per il suo essere mezzo di sostentamento insostituibile).
Da qui una rilettura degli artt. 2094 e ss. c.c., che li reinterpreterà alla luce del nuovo equilibrio stabilito dalla Costituzione. Se prima quel complesso di articoli costituiva il diritto del rapporto individuale inscritto nel codice civile ed era considerato più o meno alla pari con gli altri corpi di articoli ricondotti al codice civile, alla luce della costituzione, quegli articoli acquistano un rilievo particolare, proprio in forza dell’essere quello del lavoro il rapporto inter-privato di maggior peso costituzionale. Va detto tuttavia che spostare il punto di equilibrio fra lavoro e capitale non equivale ad escludere l’inevitabile carattere compromissorio del diritto del lavoro.
Se dunque è vero che il diritto del lavoro è innanzitutto una tecnica protettiva di un soggetto soprattutto sul piano socio-economico e, quindi, un diritto distributivo di garanzie e di risorse, non si può trascurare che esso è anche un diritto della produzione, cioè una disciplina dei ruoli e delle modalità del produrre in una società sviluppata.
4.La legislazione post-costituzionale. Dalla normativa paternalista-individualista degli anni '50 e '60 a quella garantista-promozionale dello Statuto dei lavoratori.
In un clima di inattuazione delle disposizioni costituzionali e di ripulitura del codice civile dalle incrostazioni corporative, con una riutilizzazione a tutto campo delle categorie civilistiche, matura la prima stagione post-costituzionale del diritto del lavoro, quella paternalista-individualista, che così viene definita per l’interventismo sul piano individuale fra la fine del decennio ’50 e l’inizio degli anni ’60.
La successiva stagione matura nelle intemperie della sequenza conflittuale 1968/1973, ormai entrata nella storia con l’etichetta del suo climax, l’autunno caldo del ’69. Ed è in questo clima che vede la luce uno dei più importanti interventi legislativi dell’intero periodo repubblicano; lo Statuto dei lavoratori del 1970; un testo caratterizzato dall’intento di dare cittadinanza ai diritti sanciti dalla Costituzione, anche all’interno dei luoghi di lavoro, non solo garantendo la presenza del sindacato, ma anche tutelando direttamente la posizione del singolo lavoratore.
Per quanto rilevante tuttavia lo Statuto presenta un limite genetico; quello di essere stato costruito a misura del lavoratore “tipico”, occupato nella grande e media industria, con un contratto a tempo indeterminato e ad orario pieno, tralasciando le differenti situazioni lavorative. Di lì a qualche anno, viene a fare da sostegno allo Statuto la L. n. 533 del 1973 sulle controversie individuali di lavoro, che assicura al nuovo diritto sostanziale un nuovo rito, più consapevole dello squilibrio capitale-lavoro, più spedito, più effettivo.
5.Il passaggio dagli anni '70 agli anni '80: dall'emergenza alla flessibilità.
Il primo shock petrolifero danneggiò severamente l’economia italiana, dando vita ad un periodo di stagnazione del prodotto interno lordo e di inflazione, con una pesante ricaduta in termini di disoccupazione.
Decolla così nella seconda metà degli anni ’70 una c.d. legislazione dell’emergenza, tesa ad accompagnare la ristrutturazione industriale con una mobilità dei lavoratori dai settori in ridimensionamento a quelli in sviluppo, e a favorire l’entrata sul mercato del lavoro dei giovani per via dei contratti flessibili, quali quelli di formazione e lavoro; nonché a contenere la dinamica della scala mobile per decelerarne la ricaduta inflativa. La scala mobile era un meccanismo di adeguamento automatico della retribuzione dei lavoratori dipendenti, agganciato all’aumento del costo della vita; l’aumento del costo della vita era a sua volta determinato sulla base della variazione del prezzo di alcuni beni di consumo (il paniere).Lo scopo dell’introduzione della scala mobile doveva essere quello di mantenere inalterato il potere d’acquisto salariale. A questo scopo dal 1946 fu prevista in Italia, sulla base della contrattazione collettiva, la presenza di una quota integrativa del salario detta indennità di contingenza il cui importo, oltre a essere proporzionato a fattori quali l'età o la qualifica del lavoratore, veniva periodicamente rivalutato in base alle variazioni intervenute nei prezzi di alcuni beni e servizi ritenuti rappresentativi dei consumi della famiglia tipo (paniere). Tuttavia lo stesso meccanismo della scala mobile innescava a sua volta dinamiche inflazionistiche, in relazione alla sue connessioni con il PIL.  Infatti un aumento dei salari al di sopra della produttività (per quanto in linea con l’inflazione corrente) è causa di nuova inflazione. Se aumentano i salari e l’utile rimane invariato si genera un aumento della moneta circolante non corrisposto da una crescita della ricchezza prodotta e dunque, una spirale inflazionistica.
Questa legislazione dell’emergenza mirava a favorire la difesa e la crescita dei livelli di occupazione, prevedendo l’estensione, sia pure controllata e contrattata, delle forme di impiego flessibile della forza-lavoro (contratto a termine e a tempo parziale; contratto di formazione e contratti di solidarietà).
Inoltre nel corso degli anni ’70 matura un profondo cambiamento nel ruolo dello Stato nelle relazioni industriali. Da mediatore che cerca di garantire le regole del gioco, lo Stato diviene un “giocatore” nelle dinamiche delle relazioni industriali e vi interviene quale gestore di risorse proprie, richiedendo ai sindacati comportamenti di moderazione, specie salariale e di contenimento della conflittualità; e ai datori di lavoro richiede un tasso elevato, o almeno regolare, d‘investimento. Tra i 3 attori delle relazioni industriali si realizza in tal modo quello che è stato definito “scambio politico”. La concertazione e l’intervento pubblico dunque danno vita allo scambio politico, i cui primi frutti possono essere intravisti nei protocolli triangolari del ’77, dell’83 (protocollo Scotti) e dell’84 (protocollo di S. Valentino, che inferse il primo duro colpo al meccanismo della scala mobile).
I primi anni ’80 conoscono una relativa stabilizzazione, che fa da sfondo all’esperienza triangolare dell’83\’84. inoltre si assiste ad un mutamento della struttura produttiva ed occupazionale (che influirà sulla legislazione); cioè il passaggio da un modello di sviluppo industriale ad un terziario, nel contesto di un’accelerata informatizzazione e di una crescente competizione mondiale. La legislazione caratterizzata da emergenzialità si converte alla flessibilità, come risposta strutturale ad un cambiamento continuo dei mercati. A posteriori è possibile individuare almeno 3 elementi di novità destinati a segnare a tutt’oggi il diritto del lavoro.
La concertazione triangolare – la diretta partecipazione del governo nella negoziazione triangolare (i protocolli) testimonia la crescente rilevanza della spendita di risorse pubbliche nella trattativa fra le parti sociali. Questo intervento pubblico è determinato in gran parte dalla necessità di porre un freno alle dinamiche inflazionistiche innescate dalla scala mobile ed in quest’ottica si collocano alcune misure, (es. “tetti massimi” per i trattamenti dei lavoratori), inderogabili, non solo in peius, ma anche in melius.
La moltiplicazione dei “tipi” di rapporto – la terziarizzazione e informatizzazione della struttura produttiva e occupazionale ha determinato (oltre ad una frammentazione dell’impresa) una moltiplicazione della domanda di lavoro, secondo coordinate flessibili di tempo, intensità e autonomia.
La deregolazione del diritto del lavoro – Sotto l’impatto della frammentazione dell’impresa e del mercato la legislazione risponde non solo con la moltiplicazione dei “tipi”, ma anche con una riduzione della dote di garanzie inderogabili ex lege. Tale tendenza deregolativa ha una duplice variante: quella c.d. “secca (in prospettiva neo-liberista), con una smobilitazione della copertura legislativa imperativa a favore di una maggiore autonomia individuale; quella c.d. “controllata”, anche questa con una riduzione della dote legale inderogabile, ma a pro di una qualche istanza amministrativa partecipata o dell'autonomia collettiva.
6. Gli anni '90: la stagione di mezzo.
Nel corso del decennio ’90 non si è mancato di enfatizzare la divaricazione fra un diritto del lavoro “maggiore” (per gli occupati a tempo indeterminato e pieno nelle grandi e medie imprese sindacalizzate) e un diritto del lavoro “minore” (per tutti gli altri), divaricazione accentuata dalla presenza e rispettivamente assenza della contrattazione aziendale. Divaricazione questa che avrebbe finito per aggravare la tendenziale dicotomia del mercato del lavoro tra lavoratori “forti” e “deboli”.
Gli anni ’90 sono dominati dai problemi del risanamento e della stabilizzazione economica, aggravati dal peso del debito pubblico, dall’inflazione e dalla fragile competitività del nostro sistema. Dopo una lunga pausa, ritorna dunque la stagione dei protocolli, con una istituzionalizzazione e formalizzazione della concertazione triangolare, sempre all'insegna della politica dei redditi, resa drammaticamente necessaria dall'accentuarsi della crisi finanziaria proprio alla vigila della nascita dell'euro.
In una sequenza senza soluzione di continuità, all'accordo interconfederale del 23 luglio 1993, che rende stabile la concertazione e riscrive il modello di contrattazione collettiva a tutt'oggi in vigore segue il protocollo del ’96 (Patto per il lavoro), nel tentativo di rispondere all’esigenza di risanare i conti pubblici, in vista degli impegni assunti a Maastricht, si concentra sulle tematiche occupazionali (introduzione del lavoro interinale, riforma del part-time; riforma della disciplina dei LSU). Con l’accordo sociale per lo sviluppo e l’occupazione del ’98 (Patto di natale) la concertazione assurge istituzionalmente al ruolo di strumento di coordinamento tra ordinamento statale e autonomia collettiva, ma anche tra ordinamento nazionale e Unione Europea.
Sempre all’incombente crisi finanziaria si ricollegano due importanti riforme. La riforma previdenziale e la privatizzazione del pubblico impiego.
La privatizzazione del pubblico impiego, realizzata con il d. lgs. 29\’93 (ora confluito nel T.U. n. 165 del 2001), attraverso il quale il rapporto di pubblico impiego viene traghettato dal diritto pubblico al diritto privato, cioè dal diritto amministrativo al diritto del lavoro, unificando così sotto il dominio unitario del diritto comune quasi l’intero universo del lavoro subordinato; e ciò sul presupposto di rendere così l’impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni meno costoso e burocratico. Non meno rilevante è la rivisitazione della normativa pensionistica (con un spesa previdenziale ormai senza controllo) che porta al D.lgs. n. 124 del 1993, che vara la previdenza integrativa.
La legislazione sul rapporto e sul mercato del lavoro risulta caratterizzata da una duplice spinta di segno diverso.
Da una parte c’è tutta una tendenza ri-regolativa, dettata sia dall’intenzione di allargare l’area della tutela, sia dalla necessità di razionalizzare una qualche normativa resa anacronistica dall’evoluzione economico-sociale. Questa tendenza trova espressione in una sequenza ricca e articolata di leggi alcune delle quali molto importanti (la 108 del ’90 sui licenziamenti individuali, la 223 del ’91 sui licenziamenti collettivi, la 125 del ’91 sulle pari opportunità).
Dall’altra parte vi è una continuazione della tendenza de-regolativa del decennio precedente. Ne costituiscono esemplificazioni la legge 223/1991, che delega al sindacato il delicato compito della gestione dei processi di crisi e ristrutturazione delle imprese (l’individuazione di alternative al licenziamento e la determinazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare collettivamente o da collocare in mobilità); oppure la L 196/1997 (c.d. pacchetto Treu), che introduce il lavoro interinale e flessibilizza una serie di istituti, tra cui l’orario di lavoro.
7. Il diritto del lavoro, la globalizzazione e l'Europa.
Globalizzazione è una parola fin troppo abusata, per la sua capacità evocativa, ma ridotta all'essenza richiama una dinamica di interazione sistematica tra le diverse economie nazionali, all'insegna di un'informazione in tempo reale e di una competizione senza confine, tale da acquisire una sua dimensione autonoma e autosufficiente rispetto alla realtà dei singoli stati, costretti ad adattarvisi. Il che comporta una ricaduta incisiva proprio su quei settori degli ordinamenti interni, cresciuti e consolidatisi in termini strettamente nazionali, a misura di storie e di realtà socio-economiche peculiari come, i sistemi di relazione collettive e i regimi disciplinanti i rapporti di lavoro. Tutto questo riduce i margini di competizione sui mercati mondiali, incoraggiando la delocalizzazione industriale e disincentivando l'entrata/permanenza di capitali esteri.
Si avvia un percorso verso un'Europa comunitaria, non solo economica ma anche politica. Un cammino che ha a lungo risentito dell'imprinting originario del Trattato  di Roma del 1957. Il momento di svolta coincide con la stipulazione del Trattato di Maastricht (7 febbraio 1992) e più in particolare dell'accordo sulla politica sociale ad esso allegato (APS): il Trattato trasforma la Cee in UE con una estensione delle sue competenze sociali, per la realizzazione e attuazione della politica sociale comunitaria. Solo che l'accordo firmato da 11 stati membri su 12, è rimasto un semplice allegato del Trattato del 1957, senza essere in grado di esprimere appieno tutto il suo impatto potenziale. Il che risulterà ovviato dal trattato di Amsterdam (in vigore dal 1 maggio 1999) il quale promuove la cooperazione tra gli stati membri con una Strategia europea per l'occupazione (SEO), articolata su quattro pilastri portanti: occupabilità, imprenditorialità, adattabilità, pari opportunità.
Nel dopo Amsterdam continua il processo di unificazione. In proposito è sufficiente ricordare il Trattato di Nizza (dicembre 2000), ed ora il varo della nuova costituzione europea, finalizzata ad imprimere alla realtà sovranazionale non solo regole, ma valori e principi comuni, che dall'alto dovranno informare tutti i meccanismi di produzione ed applicazione normativa. Tuttavia non poche rilevanti materie giuslavoristiche risultano ancora sottratte alla competenza comunitaria, mentre altre restano soggette alla regola dell'umanità.
8. Le prospettive del nuovo secolo (c.d. Legge Biagi e riforma della Costituzione)
Si manifesta forte all’inizio del decennio 2000 una sollecitazione alla ripresa della concertazione, leit motiv degli anni ’90, ma che aveva esaurito la propria parabola con il Patto di Natale del ’98. tale sollecitazione trova risposta nel c.d. Patto per l’Italia del 2002, accordo concluso tra governo e parti sociali, con l’intento di concretizzare le disposizioni programmatiche contenute nel Libro Bianco in un’attività di riforma del mercato del lavoro, capace di assecondare le istanze di flessibilità poste dal contesto economico europeo e mondiale.
Il Libro Bianco sul mercato del lavoro del 2001 è un documento programmatico contenente gli indirizzi generali della    azione di governo in materia di mercato del lavoro. Tale documento propone una rivisitazione a tutto campo del diritto del lavoro: il tema di fondo è la flessibilizzazione del mercato del lavoro, da realizzarsi attraverso una distribuzione graduata delle tutele dei lavoratori, lungo un continuum tra i due poli dell’autonomia e della subordinazione, con la previsione di uno zoccolo minimo di garanzie anche per il gradino occupato dai rapporti di lavoro parasubordinato, come le collaborazioni coordinate e continuative (tale previsione era contenuta nella proposta di Statuto dei lavori – proposta che poi non troverà applicazione). A ciò si aggiunga la flessibilizzazione e l'accentuazione della deregolazione, la sospensione; temporanea e sperimentale, degli effetti di cui all’art. 18 St. lav., finalizzata a promuovere l’occupazione e l’emersione del sommerso. L’obiettivo perseguito è quello della flessibilizzazione del mercato del lavoro da realizzarsi attraverso l’ampliamento degli spazi e dei margini di manovra della contrattazione individuale (riducendo gli spazi destinati alla legge e alla contrattazione collettiva); favorire la diversificazione, incidendo sulla disciplina unitaria di tutela del lavoratore.
Una peculiarità del Patto per l’Italia sta in ciò che, al termine “concertazione” si sostituì quello di “dialogo sociale”, mutuato dal diritto comunitario. Il dialogo sociale si contraddistingue per la decisione unilaterale dell’esecutivo di intervenire su determinate materie e per la possibilità di assumere l’iniziativa legislativa sulle questioni così individuate, anche in mancanza di accordo o di unanime consenso del fronte sindacale, ferma restando, ovviamente, la consultazione e la negoziazione con le parti sociali entro tempi certi e definiti.
Pur monca della parte riguardante la tutela contro il licenziamento la legge delega prosegue, esaltando il profilo della flessibilizzazione delle tipologie di lavoro. Il proposito di armonizzare il nostro ordinamento con il panorama europeo suggerisce l'approvazione del D.lgs. 532/1999 sul lavoro notturno nonché dei due decreti legislativi n. 61/2000 e n.100/2001, sul lavoro part-time e il varo del D.lgs. 368/2001 sul contratto a termine, nonché del D.lgs. 66/2003 sull'orario di lavoro. La sottoscrizione del Patto per l’Italia portò all’emanazione di una legge delega al governo, la L. 30/2003 (legge Biagi) che, a sua volta, porterà al D. lgs. 276/2003, il quale eserciterà la delega in materia di mercato del lavoro attribuita al governo dalla legge Biagi. Tuttavia l’attuazione delle indicazioni programmatiche del Libro Bianco, non sarà integrale. Dal disegno originario prefigurato dal Libro Bianco, infatti, verrà stralciata la parte relativa alla sospensione degli effetti dell’art. 18. Tuttavia, a differenza delle precedenti esperienze deregolative, stavolta alla deregolazione segue una ri-regolazione accentrata, in cui il ruolo del sindacato e della contrattazione collettiva risulta del tutto marginalizzato.
Nel tradurre i criteri direttivi della legge delega, il D. lgs. 276\2003 conferma il ruolo centrale della legge statale nella gerarchia delle fonti. Sotto il profilo regolativo, poi, la marginalizzazione del sindacato e dell’autonomia collettiva, permette l’esaltazione dell’autonomia privata individuale, cui il decreto consente di spaziare all’interno di un ricchissimo panorama di rapporti, istituti, soggetto. Sempre a proposito del rilievo centrale della legislazione statale nell’ambito del diritto del lavoro, tale posizione appare confermata anche dalla riforma del titolo V della Costituzione, coeva al D. lgs. 276\2003 (L. Cost. 2001 n. 3). La riforma capovolge il rapporto tra legislazione statale e legislazione regionale, rendendo la legislazione regionale residuale (diviene di competenza esclusiva regionale tutto quanto non venga espressamente qualificato di competenza statale).
Tuttavia il legislatore della riforma include tra le materie oggetto di competenza legislativa concorrente la tutela e sicurezza del lavoro. L’endiadi ha subito monopolizzato l’attenzione della dottrina, che ha espresso diverse opzioni interpretative. Da un lato si è tentato di assegnare all’espressione tutela e sicurezza del lavoro un significato pieno, coincidente con quello di “ordinamento giuslavoristico”. Dall’altro, a favore di una lettura più moderata, è stata avanzata un’interpretazione (non solo letterale ma anche) sistemica, alla cui stregua l’espressione tutela e sicurezza va raccordata con la competenza esclusiva dello Stato in materia di “ordinamento civile”. Secondo quest’ultimo orientamento, che finora ha raccolto maggior consenso tra gli autori, il diritto del lavoro, in quanto parte dell’ordinamento civile, resta di esclusiva competenza statale, con l’eccezione della materia della tutela e sicurezza del lavoro, affidata alla competenza concorrente. In tal modo la competenza regionale viene circoscritta all’attività amministrativa di tutela del lavoro (formazione, assistenza, collocamento, incentivazione all’occupazione), e si scongiura il rischio di una federalizzazione dei diritti e delle tutele, tutt’ora di competenza della legislazione statale esclusiva.

 

Fonte: https://associazioneetabetagamma.files.wordpress.com/2014/02/il-rapporto-di-lavoro-subordinato.doc

Sito web da visitare: https://associazioneetabetagamma.files.wordpress.com

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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