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Un ulteriore passo in avanti per la realizzazione della parità tra uomo e donna nel lavoro è stato compiuto dal legislatore con la emanazione della legge n. 125 del 1991 (Azioni positive per la parità uomo donna nel lavoro). Tale normativa si caratterizza per il dichiarato scopo di rimuover egli ostacoli che, di fatto, impediscono la realizzazione della parità, formalmente affermata ma concretamente non esistente. Per realizzare tale finalità la legge 125 del 1991 prevede l’adozione di azioni positive per le donne con lo scopo:
La legge prevede che le predette azioni positive siano stimolate ed attivate dalle imprese, da loro consorzi, dalle associazioni sindacali, dai centri di formazione professionale, nonché dal Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parità di trattamento ed eguaglianza di opportunità tra uomo e donna (art. 5).
La normativa, inoltre, verifica e potenzia la figura del consigliere di parità che, nella qualità di pubblico funzionario, ha il compito di agire per favorire l’occupazione femminile, rimuovere gli ostacoli alla realizzazione della piena eguaglianza tra i sessi nei luoghi di lavoro, accertare la distribuzione occupazionale allo stato delle assunzioni e, dunque, in sostanza, attuare le finalità della legge 125 del 1991.
In questa sede si segnalano i principali aspetti della tutela delle discriminazioni inerenti al rapporto di lavoro.
Ai sensi dell’art. 4 dell’art. 125/91, la discriminazione di genere in sostanza in qualsiasi atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando anche in via indiretta le lavoratrici o i lavoratori in regione del loro sesso. La medesima legge offre una tutela anche alle discriminazioni indirette, ossia ad ogni trattamento pregiudizievole conseguentemente all’adozione di requisiti, non essenziali per lo svolgimento dell’attività lavorativa, che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori dell’uno e dell’altro sesso e che determinino un pregiudizio per il lavoratore o la lavoratrice.
La legge 125 ha inteso offrire una tutela rafforzata rispetto alla tutela antidiscriminatoria prevista dalla 903 del 1977, anche sul piano processuale. La legge 125 attribuisce un ruolo fondamentale al consigliere di parità, che può agire direttamente a sostegno del lavoratore o della lavoratrice discriminata, nei giudizi promossi contro le discriminazioni in genere. Qualora si intenda agire in giudizio per ottenere la dichiarazione della discriminazione, il lavoratore o la lavoratrice possono esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione anche tramite il consigliere di parità provinciale o regionale territorialmente competente, il quale è legittimato ad adire il Tribunale, in funzione del giudice del lavoro, su delega della lavoratrice o del lavoratore. Inoltre, al consigliere è attribuito un autonomo potere d’azione ove venga rilevata l’esistenza di atti o comportamenti discriminatori diretti o indiretti di carattere collettivo, anche quando non siano individuabili in modo immediato e diretto le lavoratrici o i lavoratori lesi.
In tal caso, prima di agire in giudizio, il consigliere di parità regionale o nazionale, possono chiedere all’autore della discriminazione un piano di rimozione delle discriminazioni accertate entro un termine non superiore a 120 giorni, sentite le RSA o le associazioni locali aderenti alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Se il piano è considerato idoneo alla rimozione delle discriminazioni, il consigliere di parità promuove il tentativo obbligatorio di conciliazione, il cui verbale acquista forza di titolo esecutivo con decreto del Tribunale.
Il principio della parità di trattamento e la tutela contro le discriminazioni per motivi di razza, origine etnica, religione convinzioni personali, handicap, età, orientamento sessuale. Il principio di parità di trattamento si applica a tutti i lavoratori sia del settore pubblico che privato, con riferimento all’accesso al lavoro e all’intero svolgimento del rapporto di lavoro. Nel nostro ordinamento è stata di recente introdotta, sull’impulso delle istituzioni comunitarie una normativa generale per la parità di trattamento dei lavoratori in materia di occupazione ed accesso al lavoro, in precedenza contenuta solo nell’art. 15 dello Statuto dei lavoratori.
Tali disposizioni forniscono una adeguata tutela sul piano processuale contro le discriminazioni fondate sui diversi motivi, dalle convinzioni religiose a quelle personali, dall’età alle condizioni di salute, fino all’orientamento sessuale che si aggiunge agli strumenti di tutela delle legge 125 del 1991, limitati alla discriminazione di genere.
Le nuove norme di tutela contro le discriminazioni è contenuta in particolare:
Tali provvedimenti vietano:
I comportamenti individuati da entrambi i provvedimento sono vietati per il solo fatto che si realizzino oggettivamente, a prescindere cioè dalla circostanza che siano stati volontariamente diretti ad attuare la discriminazione. Per la tutela giurisdizionale contro tali discriminazioni, allo scopo di ottenere la cessazione del comportamento discriminatorio e la rimozione dei suoi effetti lesivi, sia il Dlgs 215/03 che il Dlgs 216/03, rinviano alle forme del procedimento speciale previsto dal Testo unico sull’immigrazione.
Al fine di rafforzare la tutela del soggetto discriminato, la legittimazione ad agire spetta:
Fonte: http://www.controcampus.it/wp-content/uploads/2012/03/Mazziotti-Compendio_Di_Diritto_Del_Lavoro__Aggiornato_.doc
Sito web da visitare: http://www.controcampus.it
Autore del testo: M. De Stasio www.studiodestasio.it
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