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Rapporti speciali di lavoro sono tanto i rapporti la cui fattispecie si discosta notevolmente da quella dell'art. 2094 c.c., quanto quelli in cui assume particolare rilevanza la tutela dell'interesse pubblico. Quest'ultima categoria ricomprende rapporti di lavoro - quelli di lavoro nautico, marittimo ed aereo e quelli nel settore del trasporto ferroviario ed autoferrotranviario - che non pongono particolari problemi di qualificazione perché la loro natura subordinata è ben definita.
Il nostro ordinamento ha da sempre affermato il principio della normalità del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e della eccezionalità di quello a tempo determinato.
A seguito dell'entrata in vigore del D. Lgs. 368/01 può legittimamente essere instaurato un rapporto di lavoro a tempo determinato tutte le volte in cui ricorrano ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.
La formula utilizzata dal legislatore, come si vede, è elastica e indefinita. Tuttavia, volendo provare a indicare quali ragioni possano concretamente legittimare la stipulazione del termine, si può pensare in primo luogo ai casi già contemplati dalla L. 230. Come si diceva, questa legge prevedeva ipotesi che, in via esclusiva e tassativa, consentivano l'apposizione del termine; attualmente, le stesse ipotesi possono essere utilizzati come esempi di valide giustificazioni dell'apposizione del termine. Quindi, bisogna continuare a familiarizzare con le attività stagionali, con la sostituzione dei lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto, con l'esecuzione di un'opera predeterminata, straordinaria e occasionale, eccetera. Tuttavia, questi non sono altro che esempi della ragione che, secondo la nuova normativa, può legittimare l'assunzione di un lavoratore a termine.
In ogni caso, per quanto elastica sia la lettera della norma, si deve tener presente che la ragione tecnica o produttiva o organizzativa deve comunque legittimare l'apposizione di un termine ad un contratto che, altrimenti, sarebbe a tempo indeterminato o non sarebbe stipulato tout - court: del resto, la Cassazione ha affermato che, anche dopo l'entrata in vigore della nuova disciplina legislativa, il contratto di lavoro normale è quello a tempo indeterminato, mentre il contratto a termine resta un'ipotesi eccezionale. Pertanto, la ragione giustificativa dell'apposizione del termine deve far riferimento ad un'esigenza particolare, eccezionale o comunque transitoria, tale da non poter essere soddisfatta né con l'impiego del personale già dipendente, né con l'assunzione di nuovi lavoratori a tempo indeterminato. La legge (art. 3 Dlgs 368/01) prevede anche ipotesi in cui l'apposizione di un termine è vietata. Ciò accade nei seguenti casi:
La legge precisa che tanto l'apposizione del termine, quanto la ragione che la giustifica devono risultare per iscritto, pena l'inefficacia del termine stesso, a meno che il termine non sia superiore a dodici giorni, nel qual caso l'atto scritto non è necessario. Copia dell'atto scritto deve essere consegnata al lavoratore entro cinque giorni dall'inizio della prestazione.
Il contratto a termine può essere prorogato, a condizione che il rapporto, inizialmente, avesse una durata inferiore a tre anni. La proroga è ammessa una sola volta e a condizione che sia giustificata da ragioni oggettive (che devono essere provate dal datore di lavoro), riferite alla stessa attività lavorativa per la quale era stato stipulato il contratto a termine. In ogni caso, per effetto della proroga il rapporto non può durare complessivamente più di tre anni.
Bisogna prestare attenzione al fatto che la legge contempla l'ipotesi del contratto a termine non superiore a tre anni solo al fine della eventuale proroga, non certo in considerazione della durata massima del rapporto. Ciò significa che nessuna norma vieta esplicitamente l'apposizione di un termine superiore a tre anni. Tuttavia, in concreto, si deve osservare che ben difficilmente si potrebbe ipotizzare una valida ragione giustificatrice che legittimi un termine così a lunga scadenza, se si pensa - come già si è detto - che la ragione giustificatrice deve comunque essere transitoria. Del resto, la stessa legge - come si è appena visto - dispone che, anche in caso di proroga, il termine non possa eccedere la durata dei tre anni: si vede quindi che lo stesso legislatore, se non vieta esplicitamente l'apposizione di un termine di durata superiore a tre anni, vede con estremo disfavore una simile ipotesi.
La continuazione del rapporto dopo la scadenza del termine non comporta di per sé la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato. Infatti, in caso di continuazione del rapporto dopo la scadenza, il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione, in misura del venti per cento, per ogni giorno di prosecuzione del rapporto fino al decimo; per ogni giorno ulteriore la maggiorazione è fissata nella misura del quaranta per cento. La trasformazione del rapporto a tempo indeterminato si verifica solo nel caso di continuazione del rapporto oltre il ventesimo giorno, se il contratto aveva una durata inferiore a sei mesi, ovvero negli altri casi oltre il trentesimo giorno.
Tra un contratto a termine e l'altro deve intercorrere un intervallo minimo: si tratta di dieci giorni, ovvero di venti, a seconda che il contratto sia di durata fino a sei mesi o sia superiore. Se questo intervallo non viene rispettato, il secondo contratto si reputa a tempo indeterminato; se i due rapporti si succedono senza soluzione di continuità, si considera a tempo indeterminato l'intero rapporto, dalla data di stipulazione del primo contratto.
In ogni caso, la legge precisa che il lavoratore assunto a termine ha diritto alle ferie, alla tredicesima mensilità, al TFR e a ogni altro trattamento in atto nell'impresa per i lavoratori a tempo indeterminato inquadrati al medesimo livello; ovviamente, questi istituti spettano in proporzione al periodo lavorato, e sempre che non siano obiettivamente incompatibili con la natura del contratto a termine.
Il decreto legislativo assegna ai contratti stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi la facoltà di individuare i limiti quantitativi di utilizzo dei contratti a termine. Al contempo, vengono indicate alcune ipotesi che non possono sottostare ad alcun limite (tra le altre, fase di avvio di nuove attività, contratti motivati da ragioni sostitutive o dalla stagionalità, intensificazione dell'attività produttiva in determinati periodi dell'anno, contratti a termine stipulati per specifici programmi o spettacoli radiofonici o televisivi). E' evidente la ragione che ha indotto il legislatore a introdurre un simile divieto. In effetti, il fatto stesso di assumere un lavoratore a termine in una mansione occupata da un altro lavoratore, messo in mobilità non più di sei mesi prima, induce a ritenere che era illegittima la messa in mobilità (in quanto non vi era una reale esuberanza strutturale in quella posizione lavorativa) e che comunque è illegittima l'apposizione del termine (in quanto è contraddittorio affermare che vi è un'esigenza temporanea di ricoprire una posizione lavorativa che poco tempo prima era stabilmente assegnata a un lavoratore). Per questo motivo, è curioso che il legislatore, da un lato, ponga il divieto e, dall'altro, consenta alle parti sociali di derogarlo. Bisogna dunque avvertire che questo potere di contrattazione, che la legge assegna al sindacato, deve essere utilizzato con estrema cautela, in quanto il sindacato rischierebbe di coprire e avallare un comportamento illegittimo del datore di lavoro. In ogni caso, sono esenti da limiti quantitativi i contratti di durata non superiore a sette mesi, compresa l'eventuale proroga, ovvero non superiore alla maggior durata definita dalla contrattazione collettiva con riferimento a una situazione di difficoltà occupazionale per specifiche aree geografiche. Tuttavia, è previsto che anche un contratto con le caratteristiche appena indicate soggiace ai limiti quantitativi, se lo stesso fa riferimento a una mansione identica a un'altra, che aveva formato oggetto di un altro contratto a termine, scaduto da meno di sei mesi.
L’art. 10 del Dlgs 368/01 prevede alcuni settori esclusi dalla campo di applicazione delle nuova disciplina, vale a dire:
Per completezza si precisa che il diritto di precedenza dei lavoratori che hanno prestato attvità lavorativa con contratto a tempo determinato, ad assunzioni presso la stessa azienda, non è previsto in via generale dal Dlgs 368/01 il quale demanda l’eventuale introduzione di tale diritto ai contratti collettivi nazionali stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, limitatamente tuttavia dei lavoratori che abbiano prestato attività lavorativa con contratto a tempo determinato per le attività lavorative a carattere stagionale.
La principale peculiarità del contratto a tempo determinato è rappresentata dal fatto che esso si risolve automaticamente alla scadenza e che il recesso, prima di detto termine, è disciplinato dall’art. 2119 c.c., essendo inapplicabile la disciplina limitativa del licenziamento contenuta nella legge 604/66. In base al richiamato art. 2119 c.c. il recesso ante tempus è ammesso solo qualora si verifica una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria del rapporto (giusta causa). qualora il datore abbia intimato prima della scadenza del termine illegittimamente il recesso, perché mancante la giusta causa, non potendosi applicare le norme di tutela contro i licenziamenti illegittimi, al lavoratore spetterà un risarcimento del danno commisurato all’ammontare delle retribuzioni non percepite dal momento del recesso alla prevista scadenza del rapporto.
La giurisprudenza e la dottrina hanno a lungo dibattuto sul tema di quale sia la tutela del lavoratore in caso di illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro. L’illegittimità ricorre tutte le volte in cui non siano rispettate le condizioni poste dalla legge per la stipulazione del contratto a tempo determinato, ossia mancanza della forma scritta o insussistenza delle ragioni giustificatrici. Per superare il contrasto interpretativo sono dovute intervenire per ben due volte le Sezioni Unite della Cassazione, le quali hanno aderito alla teoria della nullità parziale del contratto di lavoro. In sintesi la Sezioni Unite hanno statuito quanto segue:
Nel caso in cui il lavoratore non eserciti alcuna azione dopo la cessazione dell’attività lavorativa, secondo parte della dottrina si configurerebbe una tacita rinuncia alla prosecuzione del rapporto, che diventa irretrattabile trascorsi sei mesi.
L'apprendistato è un contratto a contenuto formativo, in cui il datore di lavoro oltre a versare un corrispettivo per l'attività svolta garantisce all'apprendista una formazione professionale. Il Dlgs 276/2003 (art. 47) individua tre tipologie di contratto, con finalità diverse:
Il contratto di apprendistato dà luogo ad una tipica ipotesi di lavoro caratterizzato per il contenuto formativo della obbligazione negoziale: a fronte della prestazione lavorativa, il datore si obbliga a corrispondere all’apprendista, non solo una controprestazione retributiva, ma anche gli insegnamenti necessari per il conseguimento di una qualifica professionale, di una qualificazione tecnico – professionale o di titoli di studio di livello secondario, universitario o di specializzazioni. All’apprendista sono assicurati percorsi di formazione interna o esterna all’azienda e la formazione acquisita deve essere registrata in un apposito libretto formativo. La qualifica professionale conseguita attraverso il contratto di apprendistato costituisce credito formativo per il proseguimento dei percorsi di istruzione e formazione professionale.
Il contratto di apprendistato è applicabile a diverse categorie di soggetti a secondo della tipologia:
L'apprendistato si applica a tutti i settori di attività, compreso quello agricolo.
Il Dlgs dispone un insieme di regole comuni alle tipologie di apprendistato prima evidenziate:
Il Dlgs 276/03 detta poi disposizioni specifiche in ordine alle tre distinte fattispecie contrattuali di apprendistato caratterizzandole, soprattutto per un ampio rinvio alle Regioni e alla contrattazione collettiva nazionale, territoriale ed aziendale, cui spetta il compito di emanare la regolamentazione necessaria alla piena operatività della nuova normativa.
L'apprendistato per il diritto-dovere di formazione ha una durata massima di 3 anni, determinata in base alla qualifica da conseguire, al titolo di studio, ai crediti professionali e formativi acquisiti, nonché al bilancio delle competenze realizzato dai servizi pubblici per l'impiego o dai soggetti privati accreditati. Il contratto deve avere forma scritte, a pena di nullità, e contenere: a. l’indicazione della prestazione lavorativa oggetto del contratto; b. il piano formativo individuale; la qualifica che potrà essere acquisita al termine del rapporto. Al contratto si applica la disciplina a tutela del licenziamento. Al termine del periodo di apprendistato, il datore di lavoro può recedere dal rapporto di lavoro ai sensi di quanto disposto dall’art. 2118 c.c..
L'apprendistato professionalizzante può durare da 2 a 6 anni, in base a quanto stabilito dalla contrattazione collettiva. A differenza della precedente tipologia, l’apprendistato professionalizzante non fa conseguire una qualifica o un titolo di studio; consente, invece, l’accrescimento delle competenze tecniche del giovane al fine di farlo divenire un lavoratore qualificato. È possibile sommare i periodi di apprendistato svolti nell'ambito del diritto-dovere di istruzione e formazione con quelli dell'apprendistato professionalizzante. Deve essere stipulato in forma scritta e contenere l’indicazione della prestazione lavorativa oggetto del contratto, del piano formativo individuale e della qualifica che potrà essere acquisita ala termine del rapporto.
La durata dell'apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione deve essere stabilita, per i soli profili che riguardano la formazione, dalle Regioni in accordo con le parti sociali e le istituzioni formative coinvolte.
È finalizzato al conseguimento di titoli di studio di livello secondario, universitario e di alta formazione, nonché alla specializzazione tecnica superiore.
Il compenso dell'apprendista non può essere stabilito in base a tariffe di cottimo e il suo inquadramento non può essere inferiore per più di 2 livelli rispetto a quello previsto dal contratto aziendale per i lavoratori che svolgono la stessa mansione o funzione. La qualifica professionale conseguita attraverso uno qualsiasi dei tre contratti di apprendistato costituisce credito formativo per il proseguimento nei percorsi di istruzione e formazione professionale. Il datore di lavoro non può recedere dal contratto in assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo, può però chiudere il rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato. Per tutti i contratti di apprendistato resta valida la disciplina previdenziale e assistenziale prevista dalla Legge 25/1955 (accertamento della idoneità psico fisica e divieto di assegnazione a lavori troppo gravosi o estranei alla specialità professionale).
Il rapporto di apprendistato si costituisce per assunzione diretta. Il rapporto di apprendistato si estingue alla scadenza non ricorrendo in capo al datore di lavoro alcun vincolo previsto dall’ordinamento giuridico in materia di recesso dal rapporto.
Possono costituire ipotesi di trasformazione del rapporto speciale di apprendistato in comune rapporto di lavoro subordinato:
Tra le novità introdotte con il Dlgs 276/03 rileva la profonda revisione dei contratti di lavoro a contenuto formativo. Alla immediata disapplicazione della disciplina del contratto di formazione e lavoro nel settore privato, corrisponde un nuovo istituto con differenti peculiarità e finalità: il contratto di inserimento, disciplinato dagli artt. 54 – 59 del Dlgs 276/03. Introducendo tale tipologia contrattale il legislatore ha inteso valorizzare, l’acquisizione di professionalità concreta, calibrata in rapporto al fabbisogno del datore di lavoro, nella prospettiva della futura, eventuale stabilizzazione del contratto.
Il contratto di inserimento mira a inserire (o reinserire) nel mercato del lavoro alcune categorie di persone, attraverso un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del singolo a un determinato contesto lavorativo. Momento centrale del contratto è la redazione del piano di inserimento lavorativo, che deve garantire l'acquisizione di competenze professionali attraverso la formazione on the job. La formazione effettuata durante l’esecuzione del rapporto di lavoro dovrà essere registrata nel libretto formativo (art. 55). Il contratto di inserimento sostituisce il contratto di formazione e lavoro (CFL) nel settore privato.
Possono accedervi le seguenti tipologie di lavoratori:
Quanto ai datori di lavoro:
Non è prevista una percentuale massima di lavoratori che possono essere assunti con contratto di inserimento (anche se questa potrà essere stabilita dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali). Il datore di lavoro, per poter assumere con questo contratto, deve aver mantenuto in servizio almeno il 60% dei lavoratori il cui contratto di inserimento sia scaduto nei 18 mesi precedenti.
Il contratto può essere stipulato per tutte le attività e per tutti i settori, esclusa la pubblica amministrazione. Una novità della legge Biagi sta nell'aver incluso tra i soggetti che possono assumere con contratto d'inserimento anche i gruppi d'impresa, riconoscendo loro il ruolo giuridico di datore di lavoro.
Il contratto di inserimento va da 9 a 18 mesi, (fino a 36 mesi per gli assunti con grave handicap fisico, mentale o psichico). Non vanno conteggiati ai fini della durata i periodi relativi al servizio civile o militare e l'assenza per maternità. Non può essere rinnovato tra le stesse parti (ma si può stipulare un nuovo contratto di inserimento con un diverso datore di lavoro) e le eventuali proroghe devono comunque aversi nei limiti stabiliti (18 o 36 mesi). Se il rapporto continua alla scadenza del termine stabilito nel contratto o della eventuale successiva proroga, il contratto si trasforma in un normale contratto di lavoro a tempo indeterminato. Questa sanzione discende dall’applicazione della disciplina del lavoro a termine, richiamata dallo stesso Dlgs 276/03. Proprio perciò la trasformazione del contratto opera trascorsi trenta giorni dalla sua scadenza.
Il contratto di inserimento deve avere forma scritta e contenere l'indicazione precisa del progetto individuale di inserimento. La mancanza di forma scritta comporta la nullità del contratto e la trasformazione in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La definizione del progetto individuale di inserimento deve avvenire con il consenso del lavoratore e nel rispetto di quanto stabilito dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali, oppure all'interno di enti bilaterali.
Al contratto di inserimento si applicano per quanto compatibili le previsioni relative ai contratti di lavoro subordinato a tempo determinato (art. 58 Dlgs 276/03). L'inquadramento del lavoratore assunto non può essere inferiore per più di due livelli rispetto a quello previsto dal contratto nazionale per i lavoratori che svolgono la stessa mansione o funzione. Al datore di lavoro spettano inoltre degli sgravi economici e contributivi per l'assunzione di lavoratori con contratto di inserimento.
Tra gli altri vantaggi derivanti dal contratto, vi è la possibilità di fruire dei medesimi incentivi economici previsti dall’ordinamento in relazione ai precedenti contratti di formazione e lavoro, nei limiti derivanti dai criteri adottati delle istituzioni comunitarie.
Nel caso di grave inadempimento del progetto di inserimento è stabilita la restituzione della differenza tra i contributi versati e quelli dovuti in base al livello di inquadramento contrattuale che il lavoratore avrebbe potuto raggiungere al termine del periodo di inserimento, maggiorata del 100%.
A seguito del D.Lgs. 276/2003, la vigente disciplina dei contratti di formazione e lavoro viene disapplicata con effetto immediato trovando applicazione esclusivamente nell’ambito del lavoro alle dipendenze della P.A.
Può essere definito come quel contratto con cui si istaura un rapporto di lavoro subordinato a termine, con lavoratori di età giovane (di regola tra i 16 e i 32 anni), svolto secondo tempi e modalità previste da appositi progetti predisposti dal datore di lavoro o da associazioni di categoria, con lo scopo di avviamento al lavoro dei giovani e della loro formazione professionale.
Ne esistono due categorie:
Ai contratti di formazione e lavoro si applicano le disposizioni legislative che disciplinano i rapporti di lavoro subordinato in quanto non siano derogate. Una delle principali deroghe alla disciplina del lavoro subordinato, per il quale di regola non è prevista alcuna forma , è quella relativa all’obbligo di forma scritta ad substantiam, disposto dall’art. 8, comma 7 legge 407/90: in particolare, l’assunzione deve avvenire con contratto stipulato in forma scritta, anteriore o contestuale all’inizio dello svolgimento del lavoro. In caso contrario il rapporto si intende stipulato a tempo indeterminato fin dall’origine. Questa regola non trova applicazione per i contratti di formazione e lavoro stipulati nel settore pubblico, ove prevale il principio generale secondo cui in ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, avendo il lavoratore diritto unicamente ad un risarcimento del danno.
Il contratto di formazione e lavoro è contratto a termine e pertanto ala sua scadenza il datore potrà scegliere se far cessare il rapporto o trasformarlo a tempo indeterminato, trasformazione che comunque può avvenire anche in corso di rapporto, prima della scadenza.
I tirocini informativi e di orientamento. I tirocini informativi, disciplinati dal D.m. 142/98, sono finalizzati a realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro e ad agevolare le scelte professionali a favore dei soggetti che hanno già assolto l’obbligo scolastico. I tirocini sono attuati nell’ambito dei progetti di orientamento e formazione, con priorità per quelli definiti all’interno di programmi operativi quadro disposti dalle Regioni, e sulla base di convenzioni stipulate tra i promotori ed i datori di lavoro sia privati che pubblici. La durata dei tirocini è differenziata in base a diversi tipi di utenti e comunque non può superare i 12 mesi ovvero i 24 nel caso di portatori di handicap.
I piani di inserimento professionale. I piani di inserimento professionale, disciplinati dall’art. 15 della legge 451/94, costituiscono una tipologia di tirocinio mirata ad agevolare le scelte professionali e a fornire una formazione professionale aggiuntiva mediante un’esperienza lavorativa effettuata in un contenzioso aziendale. beneficiari possono essere i giovani di età compresa tra i 19 ed 9 32 anni, fino a 35 anni per i disoccupati di lunga data. Analogamente alle altre forme di tirocinio, anche nel caso dei PIP non si instaura un rapporto di lavoro subordinato.
I PIP sono attuati mediante progetti formativi di due tipi:
La partecipazione ai PIP non può superare i 12 mesi e che ai giovani debba essere corrisposta un’indennità per le ore di lavoro effettuato.
I PIP vengono predisposti dal Ministero del Lavoro d’intesa con le Regioni interessati.
I tirocini estivi. Per tirocini estivi di orientamento si intendono i tirocini promossi durante le vacanze estive a favore di un adolescente o di un giovane, regolarmente iscritto a un ciclo di studi presso l’università o un istituto scolastico di ordine e grado, con fini orientativi e di addestramento pratico. Questa tipologia di tirocinio deve tuttavia ritenersi non più praticabile in quanto la Consulta ha dichiarato la norma incostituzionale. La Consulta ha censurato la norma in quanto la disciplina dei tirocini estivi di orientamento, dettata senza alcun collegamento don rapporti di lavoro, e non preordinata in via immediata ad eventuali assunzioni, attiene alla formazione professionale di competenza esclusiva delle Regioni.
Il lavoro a tempo parziale (part-time) si caratterizza per un orario, stabilito dal contratto individuale di lavoro, inferiore all'orario di lavoro normale (full-time). L’istituto è stato completamente ridisegnato dal Dlgs n. 61 del 2000 il quale ha abrogato la previdente normativa ed ha introdotto una nuova disciplina conforme agli indirizzi comunitari e rispondente all’esigenza di promuovere una maggiore diffusione a tale tipologia contrattuale. Su tale testo normativo è intervenuto dapprima il Dlgs 100/01 e, da ultimo, il Dlgs 276 del 2003 (art. 46), mediante il quale il legislatore ne ha drasticamente modificato il contenuto nei suoi profili più significativi.
Il rapporto a tempo parziale può essere:
Il rapporto di lavoro a tempo parziale si è rivelato un valido strumento per incrementare l'occupazione di particolari categorie di lavoratori, come giovani, donne, anziani e lavoratori usciti dal mercato del lavoro. Si configura come un rapporto di lavoro stabile, non precario, che permette di soddisfare le esigenze di flessibilità delle imprese da una parte e di adattarsi a particolari esigenze dei lavoratori quali la conciliazione tra lavoro e famiglia.
Il rapporto a tempo parziale può essere stipulato dalla generalità dei lavoratori e dei datori di lavoro. La disciplina del lavoro a tempo parziale si applica interamente anche al settore agricolo. Nel settore pubblico è possibile ricorrere al lavoro part-time, ma non si applicano le modifiche introdotte dalla riforma.
Il contratto di lavoro part-time è un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato. Deve essere stipulato in forma scritta ai fini della prova e deve contenere puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e dell'orario di lavoro, con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno. La mancanza della forma scritta non determina la nullità del contratto di lavoro, ma solo una limitazione dei mezzi probatori. Anche nel caso della mancanza della durata della prestazione non comporta nullità del contratto a tempo parziale. qualora l’omissione riguardi la durata della prestazione lavorativa, infatti, su richiesta del lavoratore può essere dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla data del relativo accertamento giudiziale, Se invece l’omissione riguarda la sola collocazione temporale dell’orario, il giudice provvede a determinare le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale con riferimento alle previsioni dei contratti collettivi o, in mancanza, con valutazione equitativa.
Il lavoratore part-time non deve essere discriminato rispetto al lavoratore a tempo pieno per quanto riguarda il trattamento economico e normativo:
Rispetto alla precedente disciplina, il Dlgs 276/2003 prevede maggiore flessibilità nella gestione dell'orario di lavoro e minori vincoli per la richiesta di prestazione di lavoro supplementare, lavoro straordinario e per la stipulazione di clausole flessibili o elastiche. I contratti collettivi devono stabilire i limiti, le causali (per il lavoro supplementare), le condizioni e modalità (per il lavoro elastico e flessibile) e le sanzioni legati al ricorso al lavoro supplementare, elastico e flessibile. In ogni caso:
Le clausole elastiche e flessibili possono essere stipulate anche per i contratti a tempo determinato. La disponibilità del lavoratore allo svolgimento di lavoro flessibile ed elastico deve risultare da un patto scritto e, salve diverse intese fra le parti, è richiesto un periodo di preavviso di almeno due giorni lavorativi da parte del datore di lavoro. In assenza delle disposizioni dei contratti collettivi il datore di lavoro e i lavoratori possono concordare direttamente clausole flessibili ed elastiche.
Il lavoratore a tempo parziale ha gli stessi diritti e doveri nei riguardi del datore di lavoro di tutti i lavoratori subordinati. Ha inoltre il diritto, se previsto dal contratto individuale, di precedenza nel passaggio dal part-time a full-time rispetto alle nuove assunzioni a tempo pieno, avvenute nelle unità produttive site nello stesso ambito comunale e per le stesse mansioni o mansioni equivalenti.
Il lavoratore a tempo pieno ha invece il diritto a essere informato, anche con comunicazione scritta in luogo accessibile a tutti, dell'intenzione di procedere ad assunzioni a tempo parziale per poter presentare domanda di trasformazione.
Il lavoratore affetto da patologie oncologiche ha il diritto di trasformazione del rapporto di lavoro da full-time a part-time. Il rapporto di lavoro a tempo parziale deve essere trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno quando il lavoratore lo richieda. Il datore di lavoro, oltre ai diritti e doveri tipici del rapporto di lavoro subordinato, ha:
Il lavoro ripartito (anche chiamato job sharing) è un rapporto di lavoro speciale, disciplinato dagli artt. 41 – 45 del Dlgs 276/03, mediante il quale due lavoratori assumono in solido l'adempimento di un'unica e identica obbligazione lavorativa. La solidarietà riguarda le modalità temporali di esecuzione della prestazione nel senso che i lavoratori possono gestire autonomamente e discrezionalmente la ripartizione dell'attività lavorativa ed effettuare sostituzioni fra loro. Entrambi sono direttamente e personalmente responsabili dell'adempimento dell'obbligazione. Questa forma contrattuale ha l'obiettivo di conciliare i tempi di lavoro e di vita, attraverso nuove opportunità di bilanciamento tra le esigenze di flessibilità delle imprese e le esigenze dei lavoratori.
Il contratto di lavoro ripartito può essere stipulato da tutti i lavoratori e da tutti i datori di lavoro, ad eccezione della pubblica amministrazione. Rispetto a quanto previsto dalla precedente normativa (circolare Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 43/1998), la vera novità del contratto di lavoro ripartito previsto dalla legge Biagi sta nell'aver limitato la possibilità di gestire il lavoro in solido a due lavoratori.
Il contratto di lavoro ripartito, a fini probatori, deve avere forma scritta e contenere le seguenti indicazioni:
Il rapporto di lavoro può essere stipulato a termine o a tempo indeterminato. Per quanto riguarda il trattamento economico, vige il principio di parità di trattamento rispetto ai lavoratori di pari livello e mansione. Il trattamento è comunque riproporzionato in base alla prestazione lavorativa effettivamente eseguita.
Il datore non può opporsi alla ripartizione dell'attività lavorativa stabilita dai due lavoratori. Ai fini previdenziali i lavoratori ripartiti sono assimilati ai lavoratori a tempo parziale, ma il calcolo delle prestazioni e dei contributi dovrà essere effettuato mese per mese, salvo conguaglio in relazione all'effettivo svolgimento della prestazione lavorativa.
In caso di dimissioni o licenziamento di uno dei due lavoratori, il rapporto si estingue anche nei confronti dell'altra parte, ma il datore di lavoro può chiedere all'altro di trasformare il rapporto in un contratto di lavoro subordinato a tempo pieno o parziale. Il datore può anche rifiutare l'adempimento di un terzo soggetto.
La disciplina del rapporto di lavoro ripartito è demandata sostanzialmente alla contrattazione collettiva in quanto il Dlgs 276/03 (art. 43) stabilisce che solo in mancanza di contratti collettivi, e salve le specifiche disposizioni contenute nello stesso provvedimento, si applicherà la normativa generale sul lavoro subordinato in quanto compatibile con la particolare natura del rapporto di lavoro ripartito. Gli elementi caratterizzanti della fattispecie sono certamente l’elasticità della prestazione ed il vincolo di solidarietà tra i due lavoratori.
Essi comportano che:
Il contratto di lavoro intermittente (o a chiamata) è un contratto di lavoro mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione del datore di lavoro per svolgere determinate prestazioni di carattere discontinuo o intermittente (individuate dalla contrattazione collettiva nazionale o territoriale) o per svolgere prestazioni in determinati periodi nell’arco della settimana, del mese o dell’anno (individuati dal Dlgs 276/2003, artt. 33-40). Questo contratto costituisce una novità per l'ordinamento italiano ed è previsto in due forme: con o senza obbligo di corrispondere una indennità di disponibilità, a seconda che il lavoratore scelga di essere o meno vincolato alla chiamata. L'obiettivo del contratto intermittente è la regolarizzazione della prassi del cosiddetto lavoro a fattura, usato finora per le richieste di attività lavorativa non occasionale ma con carattere intermittente. Rappresenta anche un'ulteriore possibilità di inserimento o reinserimento dei lavoratori nel mercato del lavoro.
Può essere stipulato da qualunque lavoratore:
Può essere stipulato immediatamente, in via sperimentale, da:
Può essere stipulato da qualunque impresa ad eccezione di quelle che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi prevista dalla legge sulla sicurezza nei posti di lavoro (Dlgs 626/1994). Non può essere stipulato dalla pubblica amministrazione.
Il contratto di lavoro intermittente può essere stipulato a tempo determinato o indeterminato. Deve avere la forma scritta e deve contenere l'indicazione di una serie di elementi (che devono conformarsi a quanto sarà contenuto nei contratti collettivi) quali: durata, ipotesi che ne consentono la stipulazione, luogo, modalità della disponibilità, relativo preavviso, trattamento economico e normativo per la prestazione eseguita, ammontare dell'eventuale indennità di disponibilità, tempi e modalità di pagamento, forma e modalità della richiesta del datore, modalità di rilevazione della prestazione, eventuali misure di sicurezza specifiche.
Non è possibile ricorrere al lavoro intermittente nei seguenti casi:
Al lavoratore intermittente deve essere garantito un trattamento economico pari a quello spettante ai lavoratori di pari livello e mansione, seppur riproporzionato in base all'attività realmente svolta. Per i periodi di inattività, e solo nel caso in cui il lavoratore si sia obbligato a rispondere immediatamente alla chiamata, spetta un'indennità mensile, divisibile per quote orarie. È stabilita dai contratti collettivi, nel rispetto dei limiti minimi fissati con decreto ministeriale, e non spetta nel periodo di malattia oppure di altra causa che renda impossibile la risposta alla chiamata. Il rifiuto di rispondere alla chiamata senza giustificato motivo può comportare la risoluzione del rapporto, la restituzione della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo all'ingiustificato rifiuto, e il risarcimento del danno la cui misura è predeterminata nei contratti collettivi o, in mancanza, nel contratto di lavoro. I contributi relativi all'indennità di disponibilità devono essere versati per il loro effettivo ammontare in deroga alla normativa in materia di minimale contributivo. Nel caso di lavoro intermittente per predeterminati periodi della settimana, del mese o dell'anno l'indennità è corrisposta solo in caso di effettiva chiamata.
Il lavoro dirigenziale presenta caratteri di specialità rispetto all’ordinario rapporto di lavoro, soprattutto per:
Si tratta, in quest’ultimo caso, di una specialità di tipo negativo, proprio perché i dirigenti vengono sottratti al complesso di norme di tutela sancite dall’ordinamento per il lavoratore subordinato.
Si discute se rientrino nei rapporti di lavoro (anche se speciali) quelli intercorrenti tra società, soci ed amministratori. In particolare:
Datore e prestatore di lavoro sono parenti o affini e sono conviventi. Si ha quindi presunzione di gratuità, che può essere vinta dalla prova contraria. Nell’impresa familiare il lavoratore ha diritto:
Non è comunque esclusa la possibilità di lavoro subordinato.
L'art. 1 della L. 18 dicembre 1973, n. 877, modificato dalla L. 16 dicembre 1980, n. 858, definisce lavoratore a domicilio "chiunque, con vincolo di subordinazione, esegue nel proprio domicilio o in locale di cui abbia disponibilità, anche con l'aiuto accessorio di membri della sua famiglia conviventi a carico, ma con esclusione di manodopera salariata e di apprendisti, lavoro retribuito per conto di uno o più imprenditori, utilizzando materie prime o accessorie e attrezzature proprie o dello stesso imprenditore, anche se fornite per il tramite di terzi". Prima dell'emanazione della L. 858/1980, si discuteva, in dottrina ed in giurisprudenza, della natura autonoma o subordinata del rapporto di lavoro a domicilio. Oggi il problema è superato nel senso che deve farsi ricorso ad una valutazione caso per caso, essendo prevista sia l'ipotesi di:
Il luogo di svolgimento della prestazione lavorativa costituisce l’aspetto tipizzante del rapporto di lavoro a domicilio. L’art. 1, comma 3, della legge 877/73, infatti, sancisce che non è lavoratore a domicilio e deve a tutti gli effetti considerarsi dipendente con rapporto di lavoro a tempo determinato, chiunque esegua lavori in locali di pertinenza dello stesso imprenditore, anche se per l’uso di tali locali e dei mezzi di lavoro in esso esistenti corrisponde al datore di lavoro un compenso di qualsiasi natura.
Con riferimento alla disciplina del rapporto, si segnalano:
Il telelavoro è una forma di lavoro svolta a distanza, ovvero al di fuori dell’azienda e degli altri luoghi dove tradizionalmente viene prestata l’attività lavorativa, ma al contempo, funzionalmente e strutturalmente collegato ad esso grazie all’ausilio di strumenti di comunicazione informatici e telematici. Il telelavoro, pertanto, costituisce una particolare modalità di esecuzione della prestazione lavorativa che presenta aspetti simili al lavoro a domicilio. La normativa sul telelavoro è, ad oggi, ancora contenuta per lo più in accordi quadro tra le parti sindacali e datoriali. Solo nel pubblico impiego si è avvenuta un’apposita normativa.
Gli elementi caratterizzanti questa tipologia di lavoro sono:
Non configurando una tipologia contrattuale specifica, la qualificazione giuridica del telelavoro va dedotta di volta in volta a seconda del diverso contesto in cui viene a svolgersi il rapporto. In ragione delle modalità concrete di esecuzione della prestazione lavorativa, infatti, il telelavoratore può essere titolare di un rapporto di lavoro autonomo, parasubordinato o subordinato.
La distanza che intercorre tra i soggetti del rapporto, infine, presuppone che l’esercizio del potere datoriali di controllo dell’attività di lavoro avvenga nel rispetto pieno delle norme di tutela della vita personale e privata del telelavoratore. A riguardo, infatti, l’art. dello Statuto dei lavoratori sancisce in via generale il divieto di ricorrere ad impianti audiovisivi o ad altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, aggiungendo, però, che, qualora esigenze organizzative e produttive lo richiedano, l’uso di apparecchiature di controllo è ammesso previo accordo con le RSA. Segnatamente al telelavoro, la specialità delle modalità di espletamento a distanza dell’attività di lavoro hanno richiesto un intervento specifico da parte del legislatore che, con il recente Dlgs 196/03 (Codice in materia di protezione dei dati personali) ha ribadito il divieto di controllo a distanza di cui all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, statuendo che nell’ambito del telelavoro il datore di lavoro è tenuto a garantire al lavoratore il rispetto della sua personalità e della sua libertà morale.
I principi generali della loro regolamentazione sono contenuti nel Codice della navigazione, e molte norme sono di carattere inderogabile, data la connessione con l’interesse pubblico. Il contratto è disciplinato dalla legge nazionale del veicolo.
Possiamo distinguere fra:
La L. 23 marzo 1981, n. 91, disciplina il lavoro sportivo, qualificando, all'art. 2, come sportivi professionisti "gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l'attività sportiva a titolo oneroso, con carattere di continuità nell'ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l'osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell'attività dilettantistica da quella professionistica". L'attività svolta dall'atleta a titolo oneroso e con carattere di continuità costituisce l'oggetto di un rapporto di lavoro dipendente. Lo sportivo professionista assume, invece, la veste di lavoratore autonomo quando ricorre anche uno solo dei seguenti requisiti:
Ora, se è vero che di regola il lavoro sportivo si configura come lavoro subordinato, è anche vero che la sua disciplina si differenzia notevolmente da quella di quest'ultimo. Le principali particolarità riguardano:
Presenta delle affinità con il lavoro sportivo il lavoro artistico, che consiste nell'attività di spettacolo e nelle prove svolte dal personale artistico e tecnico - orchestrali, corali, ballerini, artisti e tecnici della produzione televisiva, cinematografica, radiofonica, teatrale, e lavoratori ad essi equiparati. Come afferma MAZZIOTTI, "la valutazione come autonomo o dipendente del lavoro artistico svolto con una certa continuità deve essere operata tenendo conto della particolarità delle prestazioni artistiche e dell'alto grado della loro autonomia". Il lavoro artistico è soggetto ad uno speciale collocamento.
Poiché né il codice civile né la legislazione speciale forniscono una specifica nozione della fattispecie, la categoria dei lavoratori dello spettacolo può essere individuata alla luce del D.M. 15 marzo 2005 che ha integrato ed aggiornato, tenendo conto dell’evoluzione della professionalità, la classificazione in tre distinti gruppi dei soggetti assicurati all’apposito Fondo di previdenza dell’Enpals.
Si tratta, in particolare:
Il lavoro giornalistico, di norma, è un rapporto di lavoro dipendente che si instaura tra il giornalistica professionista, da un lato, e gli editori di quotidiani o riviste o agenzie di informazione per la stampa, dall'altro. Da tale definizione si evince che l'attività giornalistica può essere svolta solo dagli appartenenti all'ordine professionale: giornalisti e pubblicisti.
La particolarità del rapporto - derivante sia dalla natura intellettuale della prestazione lavorativa sia dalla natura dell'attività imprenditoriale (che è quella di un'impresa di tendenza) - consiste in un affievolimento del vincolo di subordinazione. Tale affievolimento comporta che i giornalisti, in caso di cambiamento dell'indirizzo politico del giornale, possono dimettersi senza perdere né i benefici economici né la c.d. indennità fissa, cioè quella particolare indennità cui hanno diritto nell'ipotesi di licenziamento dovuto a colpa dell'editore.
Il rapporto di lavoro domestico può essere definito come quel rapporto avente ad oggetto la prestazione dei servizi necessari al governo della casa ed ai bisogni personali e familiari del datore di lavoro da parte di terzi estranei, che assumono la posizione tipica di lavoratori subordinati. E ciò sia che si tratti di personale con qualifica specifica (istitutori, maggiordomi, bambinaie diplomate, ecc.), sia che si tratti di personale adibito a mansioni generiche (cameriere, cuochi, bambinaie comuni, ecc.). Al fine dello svolgimento della prestazione di lavoro domestico, non sempre è necessaria la coabitazione; tuttavia, essendo il lavoro prestato nella stessa sfera in cui si svolge la vita privata del datore, esso implica sempre l'elemento della convivenza, inteso in senso lato. Ciò spiega perché non è considerato lavoro domestico:
La disciplina del lavoro domestico è contenuta:
In particolare, la L. 339/1958 dispone che:
Ai lavoratori domestici sono poi stati estesi i diritti relativi:
La L. 339/1958 istituisce anche una commissione centrale per la disciplina del lavoro domestico con compiti consultivi e commissioni provinciali con compiti di rilevazione e regolamentari.
Infine, va detto che deve essere considerato rapporto di lavoro domestico subordinato anche il rapporto c.d. di "ospitalità alla pari", se presenta i caratteri della collaborazione domestica.
I datori di lavoro sono tenuti a corrispondere la remunerazione; se si obbligano al vitto e all’alloggio, vi sono particolari precisazioni (es. nutrizione sufficiente). Per gli stranieri si applica l’accordo europeo di Strasburgo del 24.11.69, ratificato dalla L. 304/73,: in specie, pur esclusi dalle assicurazioni sociali, devono essere tutelati contro le malattie mediante polizza da stipulare con compagnie private di assicurazione, a totale carico della famiglia ospitante.
Si ha rapporto di portierato quando il lavoratore (portiere) è adibito alla custodia di uno stabile condominiale, abitato cioè da più proprietari od affittuari. Tale rapporto è disciplinato da alcune leggi speciali e dalla contrattazione collettiva. Presenta le seguenti particolarità:
Al portiere, come corrispettivo del lavoro svolto, deve essere garantito:
l'alloggio gratuito, con luce, acqua e riscaldamento
Fonte: http://www.controcampus.it/wp-content/uploads/2012/03/Mazziotti-Compendio_Di_Diritto_Del_Lavoro__Aggiornato_.doc
Sito web da visitare: http://www.controcampus.it
Autore del testo: M. De Stasio www.studiodestasio.it
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