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Flessicurezza e lavoro dignitoso in Europa: una convivenza possibile?
Clemente Massimiani *
Sommario: 1. Lavoro dignitoso. – 2. Intreccio di percorsi. – 3. Flessicurezza. – 4. Una convivenza possibile? – 5. Gli ultimi sviluppi.
Abstract
Il presente contributo intende analizzare il rapporto fra due nozioni di particolare attualità nel dibattito giuslavoristico internazionale ed europeo: il lavoro dignitoso e la flessicurezza. Il primo è un caposaldo del programma dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) da quasi un decennio. La seconda è una formula politica, venuta di recente alla ribalta nello scenario europeo, basata sul bilanciamento fra flessibilità e sicurezza nel mercato del lavoro.
1. Lavoro dignitoso.
La promozione di un “lavoro dignitoso”, c.d. decent work, rappresenta il core delle politiche dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) a partire dal 1999 ( ). Come si evince dal rapporto presentato dal Direttore Generale Juan Somavia alla 87esima sessione della Conferenza internazionale del lavoro, il goal primario dell’Organizzazione è di “fornire a ogni uomo e ogni donna possibilità reali di accedere ad un lavoro dignitoso e produttivo in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità umana” ( ).
Nel settembre del 2000 la decisione di “sviluppare e realizzare delle strategie che offrano ai giovani del mondo intero una reale opportunità di trovare un lavoro dignitoso e produttivo” è parte integrante della Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite (NU) ( ).
Il concetto di lavoro dignitoso, come ha rilevato la dottrina ( ), riflette al tempo stesso la continuità con il passato e l’innovazione nel modus operandi dell’OIL in relazione ai temi del lavoro. A voler semplificare al massimo, il paradigma del lavoro dignitoso esprime la summa, ma anche il punto di partenza e l’essenza della missione che l’OIL ha assunto sin dalla sua istituzione nel 1919 ( ).
Tale paradigma è universale, nel senso che è applicabile a tutti i lavoratori di tutte le società e che gli obiettivi ad esso sottesi costituiscono un’aspirazione comune all’interno di framework diversi esistenti a livello aziendale, regionale, nazionale.
Il lavoro dignitoso riassume le aspirazioni di tutti i lavoratori nei c.d. 4 pilastri: a) diritti sul lavoro; b) occupazione; c) protezione sociale; d) dialogo sociale ( ).
A) I diritti sul lavoro costituiscono la base etica e giuridica del lavoro dignitoso. Essi gettano le fondamenta per gli altri pilastri ed in questo senso li precedono. Stabiliscono un collegamento virtuoso fra il lavoro e le componenti della dignità, dell’uguaglianza, della libertà, della remunerazione adeguata, della sicurezza sociale e della voce dei lavoratori. Rappresentano una parte della più ampia agenda dei diritti umani.
B) L’occupazione è un elemento vitale del lavoro dignitoso. Si riferisce non (soltanto) al lavoro fordista, salariato, ma ad ogni forma di lavoro, a prescindere dal luogo di esecuzione della prestazione e dalle modalità personali e temporali con cui essa viene resa (telelavoro, auto-occupazione, lavoro temporaneo, lavoro a tempo parziale o a tempo pieno, lavoro delle donne e dei minori, ecc.). Il pilastro, in estrema sintesi, esprime il bisogno di un’occupazione produttiva, liberamente scelta e adeguatamente remunerata per tutti. Ciò si traduce nella parità di chances, nell’offerta di concrete possibilità occupazionali, nella garanzia di sviluppo personale e soddisfacimento delle aspettative in capo ai lavoratori.
C) La protezione sociale esprime l’istanza di tutela del lavoratore da ogni forma di accidente e vulnerabilità in cui possa incorrere durante l’arco della sua vita lavorativa. Il ventaglio degli interventi in questo settore è ampio. Da un lato, si tratta di aiutare il lavoratore e la sua famiglia a fronteggiare una serie di situazioni che espongono a rischi sociali (infortuni, maternità, stati di disoccupazione, crisi d’impresa, licenziamenti, calamità, ecc.). Dall’altro, si tratta di proteggere specificamente i soggetti deboli sul mercato del lavoro, quali le donne, i minori, gli anziani, i disabili, ecc. Le politiche di protezione sociale, nei confronti dei soggetti destinatari, mirano a ridurre la sofferenza, l’ansietà e l’insicurezza del lavoro, favorendo il benessere e l’inclusione sociale.
D) Il dialogo sociale dà la misura della voce dei lavoratori nei processi d’impresa. Attraverso i diritti di informazione, consultazione e partecipazione tramite proprie rappresentanze i lavoratori sono coinvolti nelle scelte aziendali. Il dialogo con gli altri attori dei processi produttivi, nonché con le autorità pubbliche, consente ai rappresentanti di difendere gli interessi dei lavoratori ed è funzionale ad un modello di democrazia partecipativa.
Rispetto ai suddetti pilastri si pone in una posizione trasversale, di c.d. mainstreaming, il principio della parità di genere.
Il paradigma universale del lavoro dignitoso impone il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro degli individui a tutte le latitudini e longitudini, a partire dal rispetto del c.d. zoccolo duro dei diritti sociali garantito dalle otto convenzioni fondamentali dell’OIL ( ).
A livello internazionale, la crescente importanza dei c.d. labour standards individuati dalle convenzioni dell’OIL costituisce una conseguenza dei processi di globalizzazione ( ). In estrema sintesi, l’evoluzione delle forme di produzione e di organizzazione del lavoro comporta movimenti rapidi di capitali e unità produttive che possono determinare trattamenti “al ribasso” per i lavoratori. L’esigenza di sostenere una “globalizzazione equa”, capace di evitare siffatte forme di social dumping e di ricondurre il focus sulle persone, sui rispettivi diritti, sull’indipendenza e l’identità culturale, sulla dignità del lavoro, nel pieno rispetto della parità di genere, trova un forte impulso nell’attività della Commissione mondiale sulla dimensione sociale della globalizzazione (CMDSG). In particolare, il rapporto presentato dalla Commissione nel febbraio del 2004 mostra l’ineludibile nesso fra globalizzazione e lavoro dignitoso, assumendo come assolutamente prioritarie, ai fini di una “globalizzazione equa”, politiche internazionali e nazionali che puntino a soddisfare l’aspirazione di uomini e donne per un lavoro dignitoso ( ).
Nel settembre del 2005 le NU riaffermano i principi della Dichiarazione del Millennio e consacrano l’obiettivo di un lavoro dignitoso “per tutti”, ivi compresi i giovani e le donne ( ). Secondo il programma condiviso, i goals di un’occupazione piena e produttiva e di un lavoro dignitoso per tutti si ergono a punto cruciale delle politiche internazionali e nazionali verso il conseguimento delle mete del Millennio ( ).
L’obiettivo di un lavoro dignitoso per tutti rappresenta oggi il “cuore del progresso sociale” ( ) ed è scientemente disegnato dall’OIL in maniera sufficientemente “aperta” ( ), a ragione della sua vocazione globale. Soltanto una definizione a maglie larghe, infatti, può rendere possibile il conseguimento del risultato atteso in contesti nazionali profondamente diversi dal punto di vista economico, sociale e culturale.
2. Intreccio di percorsi.
Non è questa la sede per descrivere e spiegare analiticamente i parametri di “lavoro dignitoso” assunti dall’OIL a partire dalla Conferenza del 1999, ma non può essere qui taciuta l’influenza da essi esercitata nei confronti delle politiche occupazionali europee. Ciò, segnatamente, a partire dalla formale ricezione da parte dell’Unione europea (UE) della c.d. agenda per il lavoro dignitoso nel mondo (decent work agenda), iniziativa OIL che si sostanzia in un approccio programmatico, bilanciato ed integrato, volto al perseguimento degli obiettivi della piena occupazione e di un lavoro dignitoso per tutti, a livello globale, regionale, nazionale, di settore e locale ( ).
L’agenda di Lisbona ( ) e l’agenda per il lavoro dignitoso nel mondo, in realtà, intrecciano i rispettivi percorsi già in precedenza. Il lavoro dignitoso, anzi, rappresenta il terreno elettivo sul quale si riapre lo storico confronto fra l’OIL e le Comunità europee per il progresso sociale ed economico, nonché per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e la promozione dell’occupazione.
Nel 2001, attraverso uno scambio di lettere ( ) tra la Commissione europea e l’OIL ( ), si riapre una consolidata tradizione di cooperazione il cui ultimo atto risaliva al 1989. Rispetto a tale ultimo atto, v’è la consapevolezza che i problemi sociali ed occupazionali si siano evoluti in maniera significativa, sia a livello europeo che internazionale, e che, dinanzi alle nuove sfide poste dal cambiamento, occorrano “nuovi approcci integrati a vari livelli” per fronteggiare gli aspetti sociali della globalizzazione ( ).
L’accordo del 2001 conferma le disposizioni di cooperazione del 1989, fra cui, in particolare, l’invito reciproco a riunioni periodiche nelle rispettive sedi di competenza e lo scambio di informazioni e pareri sulle questioni del lavoro, nella consapevolezza che “una riflessione congiunta sugli aspetti innovativi da applicare ai problemi sociali, […] mettendo in comune le rispettive competenze”, possa “rispondere con ancor maggiore efficacia all’esigenza di promuovere le opportunità di lavoro e mantenere e migliorare le condizioni di vita e di lavoro in tutto il mondo” ( ).
In seguito al rapporto del 2004 della CMDSG ( ), la dimensione sociale della globalizzazione, intesa come logica redistributiva dei benefici indotti dai processi globali, entra a far parte dei programmi delle istituzioni europee. La Commissione europea, attraverso una comunicazione del maggio del 2004, avvia nell’Unione un dibattito che intreccia i temi della globalizzazione, della governance e del lavoro dignitoso ( ).
Il Parlamento europeo (PE) recepisce le istanze internazionalistiche tese al rafforzamento della dimensione sociale della globalizzazione, ritenendo che la promozione di posti di lavoro dignitosi dovrebbe rappresentare una priorità sia sul piano nazionale, sia su quello dell’UE, nonché a livello globale ( ). Secondo il PE, garantire un lavoro dignitoso, assicurando diritti sindacali, protezione sociale e uguaglianza di genere, è indispensabile per sradicare la povertà. Il PE medesimo, tuttavia, non può fare a meno di registrare che, ancora alla fine del 2005, il programma e l’obiettivo di un lavoro dignitoso per tutti rappresentano una lacuna nella politica estera e nelle politiche commerciali e monetarie dell’Unione ( ).
Su questo crinale si innesta la comunicazione della Commissione del 24 maggio 2006 “Promuovere la possibilità di un lavoro dignitoso per tutti. Contributo dell’Unione alla realizzazione dell’agenda per il lavoro dignitoso nel mondo” ( ). Tale atto ha rappresentato la formale ricezione da parte dell’UE dei programmi e degli obiettivi dell’agenda per il lavoro dignitoso nel mondo. In tal guisa si colma, in linea di principio, la lacuna paventata dal Parlamento europeo.
Il programma varato dalla Commissione, e qui sta il cuore dei rapporti fra l’agenda dell’OIL e l’agenda di Lisbona, mira anzitutto a garantire i diritti sociali fondamentali ( ), che costituiscono lo “zoccolo minimo” di diritti stabilito dalla comunità internazionale ( ) e già riconosciuto dall’Unione ( ). Il disegno comunitario, tuttavia, ha una portata più ampia ed ambiziosa, in quanto involge gli aspetti sociali dello sviluppo sostenibile ( ), puntando a far ruotare la crescita attorno a valori e principi - per gli interventi e per l’azione di governo - che coniughino concorrenzialità economica e giustizia sociale ( ). In un simile framework, il lavoro dignitoso, da un lato, è parte integrante dell’agenda sociale europea, dall’altro, è veicolo per la promozione e la proiezione all’esterno del modello di sviluppo economico e sociale integrato dell’UE ( ).
La comunicazione del 2006 ha una valenza pratica, poiché, all’interno di un’impostazione globale, indica concretamente come promuovere il lavoro dignitoso, attraverso:
a) la tutela dei diritti sociali fondamentali, con speciale attenzione al lavoro infantile e alla dimensione di genere;
b) una politica degli investimenti funzionale alla creazione di occupazione;
c) una migliore governance anche grazie al dialogo sociale;
d) l’identificazione e la gestione delle carenze esistenti in materia di lavoro dignitoso;
e) la predisposizione di sistemi funzionanti di protezione sociale, istruzione e formazione permanente;
f) una migliore cooperazione e divisione di responsabilità tra i principali attori coinvolti;
g) una riduzione della corruzione accompagnata da regole eque di concorrenza.
Indicati gli obiettivi e gli strumenti, la Commissione prevede una serie di azioni per la promozione del lavoro dignitoso:
a) l’incremento del peso specifico di tale concetto nelle politiche per lo sviluppo e gli aiuti esterni dell’UE, nonché negli accordi e nella cooperazione internazionale con i Paesi extracomunitari;
b) il rinsaldamento della collaborazione con vari stakeholders (organizzazioni regionali e internazionali, comunità imprenditoriale, altri soggetti della società civile);
c) il rafforzamento della nozione de qua in un regime di libero scambio;
d) l’invito agli Stati membri, nel rispetto delle specificità nazionali, a formulare una roadmap mirata alla creazione di un lavoro dignitoso per tutti ( ).
Per l’UE il lavoro dignitoso è oggetto di politiche interne ed internazionali. Con riferimento alla situazione dell’Unione, tuttavia, non può non essere rilevato un eccesso di ottimismo nel quadro delineato dalla Commissione. Se, da un lato, gli Stati membri sono incoraggiati a proseguire nel processo di ratifica e di applicazione delle convenzioni dell’OIL, dall’altro, l’evidenza sui risultati già raggiunti, piuttosto che sulle lacune da colmare, sembra indirizzare l’impegno comunitario più alla cooperazione internazionale che alla politica interna, come se i livelli di tutela già attuati o comunque perseguiti dalle politiche sociali dell’UE potessero prescindere dall’implementazione del lavoro dignitoso. Ciò sembra evincersi dal passaggio secondo cui: “La normativa comunitaria consolidata in tema di occupazione, politica sociale ed equiparazione dei generi trascende per molti aspetti le norme e le iniziative internazionali soggiacenti alla nozione di lavoro dignitoso e ne incorpora i più importanti principi […] La strategia di Lisbona e l’Agenda sociale europea vanno al di là degli obiettivi dell’agenda per il lavoro dignitoso nel fornire una cornice politica ben più ampia per una risoluta attività a favore dell’occupazione, dell’equiparazione dei generi e della coesione sociale” ( ).
Il presupposto delle affermazioni che precedono è suffragato dalla Commissione attraverso un’enfasi quasi promozionale del modello sociale europeo, la cui perseverante vitalità è messa in discussione dalla dottrina ( ) e richiede un periodico sforzo di rinvigorimento e ammodernamento da parte delle istituzioni europee ( ). Il postulato della Commissione non può essere condiviso in un’ottica di allargamento dell’UE a 27 Stati membri, dal momento che non è pensabile un modello unico ed universalmente valido, ma nemmeno un’Europa sociale a geometria variabile ( ).
A quasi un anno dalla comunicazione, il rapporto del PE su “Promuovere la possibilità di un lavoro dignitoso per tutti” mostra che l’UE può svolgere un ruolo significativo nella promozione del lavoro dignitoso “attraverso le politiche sia interne che esterne” ( ). Dal rapporto si evince che la tutela dei diritti sociali nell’UE a 27 non è così progredita come ottimisticamente aveva tentato di presentare la Commissione ( ). Se, da un lato, v’è una generale attuazione delle norme fondamentali del lavoro ( ), dall’altro, si registra che la maggior parte dei Paesi membri non ha ancora ratificato le convenzioni OIL in materia di politica dell’occupazione (C168), salute e sicurezza sul lavoro (C155), protezione della maternità (C183), parità di trattamento e mantenimento dei diritti di sicurezza sociale in caso di mobilità (C118 e C157), lavoratori migranti (C97 e C143). Ciò implica, in determinati contesti, livelli di tutela inferiori agli standard internazionali. Il dato, peraltro, è corroborato, da un punto di vista numerico e quantitativo, dalla c.d. graduatoria del lavoro dignitoso, elaborata nel 2003 dall’OIL e allegata al rapporto del PE ( ).
In un quadro non certo idilliaco si innesta il rapporto fra il lavoro dignitoso e la flessicurezza in Europa, riconosciuto dalla stessa relatrice al PE ( ) laddove ritiene che “la flessibilità del mercato del lavoro e la sicurezza dell’occupazione non siano obiettivi che si escludano a vicenda, ma che, grazie a prassi appropriate, debbano rafforzarsi vicendevolmente” ( ). L’inciso, nella sua essenzialità, è di portata considerevole, giacché non vede un ossimoro nella relazione fra flessibilità e sicurezza e, soprattutto, ne certifica la “compatibilità”, purché perseguita attraverso “prassi appropriate”, con il concetto di lavoro dignitoso.
3. Flessicurezza.
Il dibattito europeo sulla modernizzazione del diritto del lavoro ( ), avviato dalla Commissione europea mediante il Libro Verde “Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo” ( ), ha posto una serie di interessanti questioni sul rapporto fra flessicurezza e lavoro dignitoso in Europa.
Nel par. 49 delle conclusioni del 14 dicembre 2007 il Consiglio europeo ha approvato, senza emendamenti, l’accordo sui principi comuni di flessicurezza raggiunto dal Consiglio “Occupazione, politica sociale, salute e consumatori” (EPSCO) il 5 e 6 dicembre 2007 ( ), invitando gli Stati membri “a prenderne buona nota nella messa a punto e nell’attuazione di politiche nazionali orientate alla flessicurezza” ( ).
I principi approvati dal Consiglio europeo, secondo le indicazioni provenienti dal Parlamento ( ), rappresentano una soluzione “più equilibrata” rispetto alla proposta della Commissione, ma pur sempre di compromesso. Sono approvati quasi “in silenzio” e all’unanimità ( ), tanto dal Consiglio EPSCO del 5-6 dicembre, quanto dal Consiglio europeo del successivo 14 dicembre. Il testo è il frutto di una soluzione politica di mediazione, che, da un lato, tiene conto delle riflessioni provenienti da più stakeholders europei ( ), dall’altro, si trova ad affrontare le sfide della diversità e dell’allargamento di una UE a 27.
La delicatezza degli interessi coinvolti determina esiti contraddittori. Il Consiglio europeo, su un fronte, perviene ad un accordo su capisaldi “minimi” per il contemperamento della flessibilità e della sicurezza occupazionali negli ordinamenti del lavoro nazionali; sul versante opposto, non riesce ad addivenire ad un’intesa sulle due iniziative che avrebbero potuto dare attuazione concreta ad obiettivi tipici della flessicurezza ( ). Non si raggiunge, difatti, il consenso sulla proposta modificata di direttiva del Parlamento e del Consiglio relativa alle condizioni di lavoro dei lavoratori temporanei tramite agenzia ( ), materia ove da tempo non si riesce a trovare un’intesa ( ), e sulla proposta di emendamenti alla direttiva del Parlamento e del Consiglio 2003/88/CE ( ), concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro ( ). Come è stato opportunamente rilevato, una cosa è trovare l’accordo su principi generali non vincolanti, ben altra è concretare gli stessi in un atto legislativo ( ).
Non si è trattato, come pure si è sostenuto ( ), di sostituire la strategia di Lisbona ( ), e nemmeno di spingerne in modo ossessivo gli impossibili obiettivi ( ), ma di rafforzarne l’attuazione, restituendo centralità alla visione di Lisbona intesa a “creare posti di lavoro migliori e più numerosi” ( ).
La strumentalità della flessicurezza rispetto alla strategia di Lisbona emerge espressamente già dalla formulazione del primo dei principi comuni approvati dal Consiglio ( ). A differenza dei principi proposti dalla Commissione, nell’atto del Consiglio la strategia di Lisbona trova immediata menzione e precede ogni tentativo definitorio del concetto di flessicurezza. La qualità del lavoro fa esordio nel primo dei principi approvati dal Consiglio, quale condizione preliminare e risultato ultimo cui devono tendere le forme della flessibilità e della sicurezza, indicate come funzionali all’adattabilità, terzo tradizionale pilastro della strategia europea per l’occupazione (SEO). La flessicurezza diventa la “ricetta” per la modernizzazione del diritto e dei mercati del lavoro ( ) ed il suo ampio approccio quasi “mette in soffitta” i contenuti del Libro Verde della Commissione ( ).
Il testo approvato dal Consiglio è generalmente più garantista di quello varato dalla Commissione. Il paradigma di tutela dei lavoratori discende direttamente dal tenore dei “nuovi” principi n. 4 e n. 5, come approvati dal Consiglio ( ).
La sostituzione dell’espressione “libertà di assumere e licenziare” con la meno stringente “flessibilità contrattuale”, a tenore del principio n. 5, rappresenta la risposta alle sollecitazioni provenienti da più direzioni, specialmente dalle parti sociali ( ), intese a porre sullo stesso piano diritti e responsabilità di datori e lavoratori; a valorizzare la pluridimensionalità del concetto di flessicurezza; a garantire, in estrema sintesi, che gli sforzi scaturenti dalla strategia non siano sopportati soltanto dai lavoratori, ma anche dalle imprese. Ciò si evince da una serie di correlazioni virtuose presenti nel nuovo testo rispetto alla proposta della Commissione. Le tecniche e gli obiettivi della flessibilità, nel nuovo sistema, non devono essere appannaggio esclusivo datoriale delle imprese, ma devono essere opportunamente controbilanciate dalla “sicurezza” di “transizioni sicure” dei lavoratori verso il mercato del lavoro e all’interno del mercato del lavoro ( ). Si capisce allora perché, secondo il Consiglio, le soluzioni contrattuali verso le quali occorre progredire non devono essere soltanto “stabili”, ma anche “giuridicamente sicure”. La garanzia delle transizioni professionali rappresenta il core del nuovo concetto di “sicurezza dell’occupazione”, cui dovrebbe cedere il passo la tradizionale “sicurezza del posto di lavoro” ( ). Quel che muta è l’idea di fondo: non più la “sicurezza grazie a un posto di lavoro”, ma la “sicurezza di un posto di lavoro” ( ). Non è più declinata l’inamovibilità del posto di lavoro occupato, per dare spazio alla disponibilità al cambiamento e a nuove opportunità personali di impiego ( ). Per il lavoratore ciò comporta il rischio di perdere momentaneamente la propria occupazione, ma tale rischio è controbilanciato (rectius, deve essere controbilanciato) dalle garanzie insite nella flessicurezza: dalla rete di sicurezza sociale alle politiche attive del mercato del lavoro (PAML) ( ). È valorizzata, in estrema sintesi, un’accezione “proattiva” della occupabilità ( ).
Il merito di aver ricondotto in primo piano nella strategia de qua i diritti dei lavoratori, piuttosto che le loro responsabilità, non è ascrivibile ad un singolo atto od evento, ma è il frutto di un dialogo e di un pensiero via via corroborato dai contributi degli attori progressivamente coinvolti. Cionondimeno è possibile ravvisare un momento clou nel dibattito europeo sulla flessicurezza. Si tratta della Conferenza di Lisbona “Flexicurity: key challenges” del 13-14 settembre 2007, in occasione della quale i ministri europei hanno discusso insieme per la prima volta i principi elaborati dalla Commissione ( ). È stato tale meeting a riportare al centro della strategia le esigenze della qualità del lavoro e della protezione sociale; a spingere verso strategie “globali” ( ) di inclusione e non segmentazione nei confronti degli outsider del mercato del lavoro; a sottolineare la complementarità piuttosto che la alternatività tra la sicurezza dell’occupazione e la sicurezza del lavoro, risolvendo, parimenti, il trade-off tra flessibilità e sicurezza in un rapporto di complementarità tra le due dimensioni ( ); a valorizzare, in termini comprensivi, la dimensione sociale della flessicurezza ( ).
La Conferenza di Lisbona ha suggellato inoltre due aspetti fondamentali che contrassegneranno i principi adottati dal Consiglio rispetto alla proposta della Commissione: a) l’esigenza di monitoraggio e sorveglianza sulle politiche della flessicurezza ( ); b) il coinvolgimento delle parti sociali nei processi deliberativi, attraverso gli strumenti del dialogo sociale e della contrattazione collettiva ( ). In riferimento al primo punto, la Presidenza portoghese non ha avvertito il bisogno di introdurre nuovi meccanismi di controllo, dal momento che è stato ritenuto adeguato allo scopo il framework offerto dalla strategia di Lisbona ( ). In relazione al secondo punto, laddove nelle conclusioni (rectius, nelle c.d. core directions) della Presidenza portoghese le forme partecipative in oggetto sono incoraggiate “in order to strengthen consensus, trust and commitment of all actors as factors of success” ( ), è agevole scorgere, da un lato, gli echi della c.d. democrazia deliberativa ( ), dall’altro, l’anteprima di una scelta politica che troverà il massimo riconoscimento nel Trattato di Lisbona ( ).
Il coinvolgimento di una pluralità di stakeholders nel processo deliberativo dei principi comuni di flessicurezza costituisce l’idea di fondo della Conferenza di Lisbona. Per questo motivo sono stati invitati a parteciparvi sindacati, ONG ed esperti, al fine di ottenere un confronto costruttivo con le posizioni delle istituzioni e degli Stati membri d’Europa. E l’intervento delle parti sociali europee è stato determinante, poiché ha riportato il focus sulla tutela dei diritti del lavoratore ( ), per superare due preoccupazioni di fondo: a) in negativo, la paura che la strategia dissimuli una generale tendenza alla deregolamentazione, che anteponga i bisogni dei datori di lavoro a quelli dei lavoratori; b) in positivo, l’esigenza di indirizzare la ricerca di soluzioni flessibili, o l’attuazione di modelli già esistenti ( ), verso il miglioramento dei diritti di coloro che hanno un impiego precario senza la riduzione dei diritti già esistenti. Come hanno, difatti, sottolineato diversi stakeholders, se è vero che la globalizzazione dei mercati richiede una sempre maggiore adattabilità, sia nell’occupazione da creare, sia in quella esistente, è altrettanto vero che l’UE non può permettere agli Stati membri di farsi concorrenza al ribasso mediante il lavoro precario ( ), permutando la flessicurezza in fles-sfruttamento ( ).
L’intesa delle parti sociali europee del 18 ottobre 2007 “Key challenges facing European labour markets: a joint analysis of European social partners” rappresenta la consacrazione di un approccio multilaterale, olistico ed equilibrato, che troverà riconoscimento nei principi comuni approvati dal Consiglio ( ). Nella loro analisi congiunta, i partners sociali individuano le sfide poste dalla flessicurezza e rivolgono raccomandazioni, oltre che a se stessi, agli Stati membri, alla Commissione e al Consiglio. Nelle intenzioni comuni alle varie organizzazioni rappresentative, raccogliere la sfida posta dalla nuova strategia significa (anche) legare la flessicurezza alla qualità del lavoro (v. infra, § 4) ( ). Il core dell’intesa, nella specifica materia della flessicurezza, è che forme contrattuali flessibili devono essere bilanciate da un’adeguata protezione sociale e tutela nelle transizioni professionali, da strategie di qualificazione e riqualificazione attraverso la formazione, dalla garanzia di “buone condizioni di lavoro” ( ).
L’esigenza di un “buon lavoro” è avvertita da più parti e, da parte di talune ( ), si arriva addirittura a sostenere che al centro dei nuovi orientamenti integrati per la crescita e l’occupazione 2008-2010 (v. infra, § 4) dovrebbe esservi non la flessicurezza, ma il concetto di “good work”, come enucleato nelle conclusioni del meeting ministeriale informale di Berlino del 19 gennaio 2007 ( ). La consapevolezza in nuce, sin da tale meeting, è che una maggiore flessibilità sul mercato del lavoro deve necessariamente essere controbilanciata dal riconoscimento di adeguati diritti sul lavoro, ivi compresi i diritti di partecipazione tramite proprie rappresentanze.
V’è un’intima condivisione di contenuti fra il concetto di “good work” suffragato dalla Presidenza tedesca dell’UE e la nozione di “decent work” appartenente alla tradizione dell’OIL. Il good work, tuttavia, è qualcosa di più, che va oltre i pilastri del lavoro dignitoso (v. infra, § 4). Come si è avuto modo di ricordare, con la ricezione dell’agenda per il lavoro dignitoso nel mondo ( ), le istituzioni europee sono state rese edotte sull’impegno di cooperazione comune inteso a promuovere le possibilità di lavoro dignitoso in ogni parte del mondo, principalmente in quei Paesi in cui mancano i diritti minimi sul lavoro, il c.d. zoccolo duro garantito dall’OIL. Un impegno, quindi, che trascende i confini dell’Europa. In via d’esegesi, è sintomatico l’utilizzo dell’aggettivo “good” in luogo di “decent”, per indicare quel qualcosa di più che rispecchia, o meglio dovrebbe rispecchiare, la situazione dei mercati del lavoro europei rispetto a quei mercati in cui manca ancora il substrato minimo di garanzie dei lavoratori. L’utilizzo del condizionale “dovrebbe rispecchiare” è funzionale ad una lettura correttiva di un simile assunto, per le ragioni che già si sono analizzate (v. supra, § 2). In particolare, in un’ottica di allargamento, che deriva dalla considerazione dell’UE a 27 Stati membri, non possono sottacersi le condizioni di debolezza in cui attualmente versano le tutele dei lavoratori in diversi mercati nazionali, all’uopo utilizzati per competere al ribasso sui costi di produzione. D’altra parte, non può nemmeno trascurarsi la sovrapposizione di contenuti identitari fra le due nozioni di good work e decent work, tale che nella prima compaiono voci come “diritti sul lavoro” e “protezione sociale” riprodotte altresì nei pilastri del lavoro dignitoso.
Una volta affermato nelle conclusioni di Berlino un concetto dai contenuti più ampi e garantisti rispetto al lavoro dignitoso, si instaura in tale contesto un rapporto fra forma standard dei rapporti di lavoro ( ) e flessibilità che non troverà cittadinanza nei principi comuni di flessicurezza ( ). La flessibilità, in un’ottica fortemente garantista, avrebbe dovuto essere una sorta di strategia ausiliaria, intesa soprattutto al reinserimento professionale sul mercato del lavoro dei soggetti meno tutelati. Perciò era subito affiancata alla formula della flessibilità la sicurezza, per prevenire che “more labour market flexibility will lead to a reduction of social protection for employees” ( ). Da qui, altresì, l’invito agli Stati membri a rafforzare la forma comune dei rapporti di lavoro e ad attuare un’efficace sorveglianza e politica di prevenzione nei confronti dell’utilizzo abusivo dei lavori atipici.
Di tutto questo non v’è traccia nei principi comuni di flessicurezza proposti dalla Commissione, né tantomeno in quelli adottati dal Consiglio. Questi ultimi appaiono sicuramente più equilibrati e garantisti rispetto ai primi, ma non rispondono appieno alle sollecitazioni di tutela dei lavoratori provenute da più parti. Non v’è alcun riferimento alla relazione fra forma comune dei rapporti di lavoro e forme flessibili e nemmeno ad una politica di sorveglianza sugli abusi nel ricorso al lavoro atipico. Residua, in materia, un non meglio precisato invito del Consiglio ad una “efficace sorveglianza” sui “progressi” nell’attuazione della strategia, senza alcuna specificazione inerente al merito del controllo.
4. Una convivenza possibile?
Sia nei principi proposti dalla Commissione, sia nei principi adottati dal Consiglio dell’UE, manca qualsivoglia riferimento al lavoro dignitoso, nonostante l’espressa richiesta proveniente in tal senso dalla risoluzione del Parlamento del 29 novembre 2007 ( ). Il Consiglio europeo del 14 dicembre 2007, superando l’impostazione del Consiglio dell’UE, si è manifestato sensibile all’istanza del PE, ma, anziché incorporare la promozione del lavoro dignitoso tra i principi comuni di flessicurezza, si è limitato ad approvare sic et simpliciter l’accordo raggiunto in materia dal Consiglio EPSCO il 5 e 6 dicembre 2007, ribadendo in un paragrafo distinto e successivo delle conclusioni “il suo impegno a favore dell’agenda per il lavoro dignitoso come strumento globale inteso a promuovere l’occupazione, e norme di lavoro migliori, e a incentivare lo sviluppo” ( ). Senza volere né potere in questa sede approfondire il merito della scelta del Consiglio europeo, emergono sul punto almeno due ordini di considerazioni. Anzitutto, l’impegno a favore dell’agenda per il lavoro dignitoso è assunto nella stessa ottica globale cui si poneva la comunicazione della Commissione del 2006, quindi, ancora una volta, più come politica internazionale che interna. In secondo luogo, tale impegno è riaffermato in subordine alle politiche di inclusione attiva, quasi a voler ricondurre il lavoro dignitoso alla strategia della protezione e inclusione sociale ( ), piuttosto che alla strategia della flessicurezza.
Si potrebbe sostenere che la mancata menzione del lavoro dignitoso nei principi comuni di flessicurezza sia riconducibile ad un’esplicita scelta del Consiglio, che avrebbe optato per il più ampio concetto di “good work” nell’accezione sopra richiamata, così estendendo il bisogno di tutela auspicato dal Parlamento.
In realtà, il concetto di “good work” cui accede il Consiglio sembra riprodurre la nozione di “qualità del lavoro” sottesa all’agenda di Lisbona. Non è un caso che proprio nel primo dei principi comuni di flessicurezza si utilizzi l’espressione “good work” in correlazione al pilastro dell’adattabilità ed in subordine all’esigenza di rilanciare la strategia di Lisbona. Se l’assunto è dimostrato, si tratta di capire se il lavoro dignitoso sia ricompreso in tale espressione o rappresenti un concetto diverso per sostanza e latitudine.
Il giudizio richiede una comparazione che allo stato attuale delle politiche comunitarie è tutt’altro che semplice. Per effettuare un confronto occorre, difatti, disporre di indicatori certi che misurino le componenti espresse dai fenomeni che si intendono misurare. Data la tradizionale difficoltà di esprimere in numeri fenomeni di tipo non quantitativo ma qualitativo ( ), e data, soprattutto, a quanto consta, l’assenza di indicatori ufficiali sui progressi nell’attuazione dell’agenda per il lavoro dignitoso in Europa ( ), ogni valutazione in questo momento non sarebbe agevole, anche se si assumessero come termini di riferimento gli indicatori internazionali dell’OIL ( ) e gli indicatori di qualità dell’agenda di Lisbona ( ). D’altra parte, è stato lo stesso Parlamento europeo a richiedere alla Commissione, in consultazione con gli Stati membri e le parti sociali e in collaborazione con l’OIL, di proporre indicatori che identifichino e quantifichino i livelli raggiunti in materia di dignità del lavoro ( ).
Come ha dimostrato il rapporto del PE sul lavoro dignitoso, è possibile registrare un gap fra gli obiettivi di principio e la portata effettiva delle politiche sociali sottese all’agenda di Lisbona, specialmente in un’ottica di allargamento. Anche a non voler contestare che la strategia di Lisbona e l’agenda sociale europea vadano effettivamente “al di là degli obiettivi dell’agenda per il lavoro dignitoso nel fornire una cornice politica ben più ampia per una risoluta attività a favore dell’occupazione, dell’equiparazione dei generi e della coesione sociale” ( ), non può non rilevarsi il deficit di tutela nei diritti sociali fondamentali ancora persistente in molti Paesi dell’UE (anche) a causa della mancata ratifica di parecchie convenzioni OIL ( ).
Nondimeno, ammesso che la qualità del lavoro esprima un concetto più ampio e di maggior tutela rispetto al lavoro dignitoso, se si considera che un riferimento alla qualità del lavoro era già presente nel sesto dei principi di flessicurezza proposti dalla Commissione, si finisce col non capire perché mai il Parlamento avrebbe dovuto insistere nel richiedere al Consiglio europeo di adottare principi comuni che promuovessero appositamente il lavoro dignitoso ( ). Delle due l’una: o si è trattato di una clamorosa svista, oppure il PE, già fonte del rapporto e della risoluzione sul lavoro dignitoso ( ), ha voluto lanciare un messaggio inequivocabile alle altre istituzioni europee, e al Consiglio in primis, per correggere il tiro di un’impostazione poco bilanciata fra diritti e responsabilità degli attori protagonisti della flessicurezza, restituendo centralità alla dignità del lavoro.
Per rispondere ad un simile interrogativo può essere d’ausilio ripercorrere gli ultimi sviluppi in materia di flessicurezza.
Quest’ultima assurge ad un ruolo da protagonista nel nuovo ciclo della strategia di Lisbona. Nella proposta di orientamenti integrati per la crescita e l’occupazione 2008-2010 ( ) la Commissione richiede l’attribuzione di una priorità ancora maggiore alla flessicurezza, confermando la 21esima guideline del ciclo precedente ( ): “Favorire al tempo stesso flessibilità e sicurezza occupazionale e ridurre la segmentazione del mercato del lavoro, tenendo debito conto del ruolo delle parti sociali”.
Se l’orientamento è confermato, viene da chiedersi cosa ci sia di nuovo. C’è, anzitutto, che la flessicurezza fa ufficialmente ingresso, anche terminologicamente, negli atti ufficiali della SEO ( ). C’è, ancora, che il c.d. flexicurity approach diventa il cardine per il raggiungimento del target di piena occupazione sotteso alla visione di Lisbona ( ). C’è, soprattutto, per il tema qui in discussione, che la flessicurezza viene espressamente legata alla qualità del lavoro, ove si includono espressamente la retribuzione e gli altri benefici, le condizioni lavorative, l’accesso alla formazione permanente e le prospettive di carriera ( ). Il passaggio è di notevole importanza, poiché supera le remore e le incertezze sulla conseguibilità del bilanciamento tra flessibilità e sicurezza, da un lato, e tra flessicurezza e lavoro dignitoso, dall’altro. Sostenere che la qualità del lavoro, nell’accezione suddetta, riveste un ruolo “cruciale” ai fini dell’approccio della flessicurezza sgombera il terreno da ogni dubbio e fornisce una risposta all’interrogativo posto poc’anzi. Si tratta di una risposta importante, che segna il coraggio delle istituzioni europee di superare l’originaria posizione ancora legata ad una “libertà di licenziare” non accompagnata dalla previsione di transizioni professionali verso occupazioni non soltanto “stabili” ma anche “giuridicamente sicure” ( ).
È evidente l’influenza esercitata su una proposta di tal guisa dai vari attori coinvolti nel processo definitorio dei principi di flessicurezza ( ).
5. Gli ultimi sviluppi.
Dando seguito all’invito contenuto nelle conclusioni del Consiglio EPSCO del 5-6 dicembre 2007 ( ), la Commissione ha lanciato nel febbraio del 2008 una pubblica iniziativa in stretta cooperazione con le parti sociali europee denominata “Mission for Flexicurity” ( ). Tale iniziativa, scandita da una precisa timeline dei lavori, intende aiutare gli Stati membri dell’UE ad attuare concretamente i principi comuni di flessicurezza nei rispettivi contesti nazionali. Il testimone è passato nelle mani dei 27, poiché, va ricordato, la formula della flessicurezza non concerne un modello unico di mercato del lavoro, né un’unica strategia politica, ma tanti modelli e tante strategie quanti sono gli Stati membri dell’UE, alla cui responsabilità ultima è rimessa la realizzazione di pratiche sostenibili di flessibilità e sicurezza.
In esito al percorso “partecipato” tracciato dalla Commissione ( ), è prevista la redazione di un rapporto da presentare al Consiglio EPSCO del dicembre 2008.
La missione si pone espressamente al servizio della strategia di Lisbona, dal momento che intende facilitare l’integrazione della flessicurezza nei processi e negli strumenti del ciclo 2008-2010 degli orientamenti integrati per la crescita e l’occupazione.
La conferma si rinviene nelle conclusioni del Consiglio europeo del 13-14 marzo 2008, ove si legge l’invito agli Stati membri “ad attuare i principi comuni concordati di flessicurezza delineando nei loro programmi nazionali di riforma per il 2008 le modalità nazionali di attuazione di tali principi”, sul presupposto che “non esiste un unico modello di flessicurezza” ( ).
La concezione di flessicurezza cui approda il Consiglio europeo di primavera è bilaterale e complessiva. Bilaterale, poiché indirizzata sia ai lavoratori che ai datori di lavoro. Complessiva, poiché accoglie tutte le componenti della flessicurezza emerse dal processo definitorio della strategia lungo l’intero arco della vita attiva dei lavoratori.
I profili specifici di tutela accolti dal Consiglio europeo di primavera - nel paragrafo delle conclusioni sulla flessicurezza - ineriscono ad aree nevralgiche per la promozione del lavoro dignitoso in Europa, quali l’occupazione dei giovani e delle persone con disabilità, il work-life balance, la parità di genere ( ).
Sul piano delle politiche comunitarie si fa, in sostanza, più consistente l’idea che possa esservi una correlazione virtuosa non soltanto tra flessibilità e sicurezza, ma anche tra flessicurezza e qualità del lavoro ( ).
Elenco delle abbreviazioni
ABL - Australian Bulletin of Labour
ADB - Asian Development Bank
CES - Confederazione europea dei sindacati (ETUC)
CESE - Comitato economico e sociale europeo
CMDSG - Commissione Mondiale sulla Dimensione Sociale della Globalizzazione
Conquiste - Conquiste del Lavoro
CRS - Centro per la Riforma dello Stato
D&L - D & L Rivista critica di diritto del lavoro
DLM - Diritti Lavori Mercati
DLRI - Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali
DRI - Diritto delle relazioni industriali
EUOBSERVER - EUobserver.com
EURACTIV - EurActiv.com
EUROFOUND - European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions
EUROPOLITICS - Europolitics social
GA - Giustizia Amministrativa
GUCE - Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee
GUUE - Gazzetta ufficiale dell’Unione europea
ILJ - Industrial Law Journal
ILR - International Labour Review
JEPP - Journal of European Public Policy
NU - Nazioni Unite (UN)
OIL - Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO)
Rass. Sind. - Rassegna Sindacale
Rassegna.it - Rassegna Online
WP CSDLE “Massimo D’Antona” - Working Papers Centro Studi di Diritto del Lavoro Europeo “Massimo D’Antona”
DP WZB - Discussion Papers Wissenschaftszentrum Berlin für Sozialforschung
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( ) Ibidem; Commissione europea 2006a.
( ) Si rinvia a NU 2000.
( ) Cfr. Ghai 2006, p. 3.
( ) Cfr. OIL 2005a.
( ) Si v. ampiamente Ghai 2006, p. 7 ss. Per una rassegna schematica dei labour standards adottati dall’OIL in riferimento ai pilastri del lavoro dignitoso si v. Commissione europea 2006b.
( ) Si v. le convenzioni OIL: C29 sul lavoro forzato (1930); C87 sulla libertà sindacale e la protezione del diritto sindacale (1948); C98 sul diritto di organizzazione e di contrattazione collettiva (1949); C100 sull’uguaglianza di retribuzione (1951); C105 sull’abolizione del lavoro forzato (1957); C111 sulla discriminazione (impiego e professione) (1958); C138 sull’età minima (1973); C182 sulle forme peggiori di lavoro minorile (1999).
( ) Sul concetto di labour standards si v. ADB, OIL 2006, spec. p. 9 ss.
( ) Cfr. CMDSG 2004, spec. p. 110 ss. Sul nesso fra lavoro dignitoso e globalizzazione si v. inoltre OIL 2005b e 2007.
( ) Cfr. NU 2005, par. 47:
“Employment
47. We strongly support fair globalization and resolve to make the goals of full and productive employment and decent work for all, including for women and young people, a central objective of our relevant national and international policies as well as our national development strategies, including poverty reduction strategies, as part of our efforts to achieve the Millennium Development Goals.
These measures should also encompass the elimination of the worst forms of child labour, as defined in International Labour Organization Convention No. 182, and forced labour. We also resolve to ensure full respect for the fundamental principles and rights at work”.
( ) Ibidem.
( ) Emblematica, in tal senso, è la dichiarazione OIL “Decent work - the heart of social progress”, in <http://www.ilo.org/public/english/decent.htm>.
( ) Cfr. Commissione europea 2006b.
( ) Cfr. OIL 2007, p. 5; Commissione europea 2006a.
( ) Cfr. Commissione europea 2000 e 2005a.
( ) Strumento pattizio avente valore di trattato internazionale, ai sensi degli artt. 2 e 13 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969; cfr. NU 1999.
( ) In GUCE 30.5.2001, C 156, pp. 5-9, con rettifica in GUCE 8.6.2001, C 165, pp. 23-27.
( ) Ibidem.
( ) Ibidem.
( ) V. supra, nt. 9.
( ) Cfr. Commissione europea 2004a.
( ) Cfr. Parlamento europeo 2005.
( ) Ibidem.
( ) Commissione europea 2006a.
( ) Cfr. Commissione europea 2006a e 2006b.
( ) V. supra, nt. 7.
( ) Si fa riferimento al problema dell’efficacia giuridica della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, riconosciuta dall’art. 6 del Trattato sull’UE, come emendato dal Trattato di Lisbona, in GUUE, 17.12.2007, C 306, p. 1 ss. Si rinvia a Caruso 2008; Bronzini, Piccone 2007; Celotto 2006.
( ) Cfr. in materia NU 1987.
( ) Così Commissione europea 2006a.
( ) Cfr. Commissione europea 2005b e 2006a; v. infra.
( ) Cfr. Commissione europea 2006a; Parlamento europeo 2007a.
( ) Cfr. Commissione europea 2006a.
( ) Cfr. sul tema Blanpain 1998; Jepsen, Serrano Pascual 2005; Hermans 2005; Ales 2007.
( ) Cfr. Consiglio europeo 2001 e 2003; Parlamento europeo 2006. Si v. inoltre infra, § 4.
( ) Cfr. Caruso 2007b.
( ) Si rinvia a Parlamento europeo 2007a.
( ) Più precisamente dall’allegato I al rapporto, che delinea il livello di ratifica delle convenzioni dell’OIL nell’UE a 15, a 25, a 27 e nei Paesi candidati all’adesione.
( ) Come garantite dalle otto convenzioni fondamentali dell’OIL; v. supra, nt. 7. Fanno eccezione la Repubblica Ceca e L’Estonia in relazione alla convenzione C138 sull’età minima; si rinvia a Parlamento europeo 2007a.
( ) Cfr. Parlamento europeo 2007a; Ghai 2003. V. anche infra, § 4.
( ) M. Panayotopoulos-Cassiotou.
( ) Cfr. Parlamento europeo 2007a.
( ) Sui temi del dibattito si v. Sciarra 2007.
( ) Commissione europea 2007d.
( ) Consiglio dell’UE 2007d.
( ) Ibidem.
( ) Cfr. Parlamento europeo 2007d, punto 17; Gros-Verheyde 2007c.
( ) Si v. EURACTIV 2007.
( ) Un’ampia rassegna delle posizioni degli stakeholders sulla flessicurezza è contenuta in Massimiani 2008.
( ) Cfr. Kubusova 2007; Gros-Verheyde 2007a.
( ) Consiglio dell’UE 2007b.
( ) Per tutti, Zappalà 2003.
( ) In GUUE 18.11.2003, L 299, p. 9 ss.
( ) Consiglio dell’UE 2007c.
( ) Cfr. Gros-Verheyde 2007b. Più in generale, sul rapporto tra forme rigide di armonizzazione normativa e forme flessibili d’integrazione nelle politiche comunitarie, si v. Caruso 2005; Cini 2001, sp. pp. 192-196.
( ) Si v. l’opinione di W. Cerfeda, segretario confederale CES dal 2003, in Toti 2007.
( ) Consiglio europeo 2000.
( ) Cfr. Amoroso 2006, p. 6.
( ) Cfr. Consiglio europeo 2000.
( ) “(1) La flessicurezza è un mezzo per rafforzare l’attuazione della strategia di Lisbona, creare posti di lavoro migliori e più numerosi, modernizzare i mercati del lavoro e promuovere un lavoro di qualità attraverso nuove forme di flessibilità e sicurezza volte ad aumentare l’adattabilità, l’occupazione e la coesione sociale”. Si rinvia a Consiglio dell’UE 2007d.
( ) Cfr. Caruso, Massimiani 2007.
( ) Cfr. Cilona 2007.
( ) “(4) La flessicurezza dovrebbe promuovere mercati del lavoro aperti, reattivi e inclusivi, superando la segmentazione. Essa riguarda sia gli occupati che i non occupati. Le persone inattive, i disoccupati, i lavoratori irregolari, i precari, o quanti si trovano ai margini del mercato del lavoro hanno bisogno di vedersi offrire migliori opportunità, incentivi economici e misure di sostegno per un più facile accesso al lavoro o di supporti per essere aiutati a progredire verso un’occupazione stabile e giuridicamente sicura. Il sostegno dovrebbe essere disponibile per tutti gli occupati al fine di rimanere occupabili, progredire e gestire le transizioni verso il mondo del lavoro e da un posto di lavoro all’altro.
(5) Occorre promuovere la flessicurezza interna (all’interno dell’impresa) come anche quella esterna, in quanto altrettanto importanti. Una sufficiente flessibilità contrattuale deve essere accompagnata da transizioni sicure da un lavoro all’altro. Si deve incoraggiare la mobilità ascendente come anche quella tra disoccupazione o inattività e lavoro. Sono parimenti essenziali posti di lavoro di qualità elevata e produttivi, una buona organizzazione del lavoro e un continuo aggiornamento delle competenze. La protezione sociale dovrebbe offrire incentivi e sostenere le transizioni da un lavoro all’altro e l’accesso a nuovi impieghi”. Si rinvia a Consiglio dell’UE 2007d.
( ) Si v. Albertazzi 2007; Vitulano 2007.
( ) Sul tema dei c.d. transitional labour markets (TLM), cfr. Schmid 1998 e 2006; Hancock, Howe, Considine 2006; Commissione europea 2004b, p. 159 ss. Più specificamente, sul rapporto tra flessicurezza e TLM, si v. Schmid 2007; Muffels, Wilthagen, van den Heuvel 2002.
( ) Cfr. Commissione europea 2007a, p. 3. Sulla dicotomia all’interno della strategia della flessicurezza tra “sicurezza dell’occupazione” e “sicurezza del posto di lavoro”, cfr. CESE 2006.
( ) Cfr. Parlamento europeo 2007c.
( ) Cfr. Leonardi 2007; CESE 2006.
( ) Si v. sul tema Freedland, Countouris 2005; de Koning, Peers 2007.
( ) Cfr. Caruso 2007a, sp. pp. 100-104.
( ) Si v. il comunicato stampa Rapid “Flexicurity debate steps up a gear”, IP/07/1320, 13.9.2007, Bruxelles.
( ) La dicotomia tra insider e outsider del mercato del lavoro, presente nei principi proposti dalla Commissione, sarà superata dal Consiglio attraverso un approccio globale, rivolto tendenzialmente a tutti i lavoratori a prescindere dal rispettivo status occupazionale; cfr. Consiglio dell’UE 2007d.
( ) Cfr. Auer 2007; Commissione europea 2006c, p. 77.
( ) Si v. le conclusioni adottate dalla Presidenza portoghese, insieme a Germania e Slovenia, “Key Messages from the Conference ‘Flexicurity: key challenges’”, in Massimiani 2008.
( ) Si v. l’ultima parte del principio n. 3 adottato dal Consiglio dell’UE 2007d, laddove si richiede che i progressi nell’attuazione della strategia “dovrebbero essere soggetti ad un’efficace sorveglianza”.
( ) Si v. il principio n. 7 in Consiglio dell’UE 2007d.
( ) Richiedendosi, tuttavia, un approccio equilibrato che tenga conto delle diversità nazionali; si rinvia alle conclusioni della Conferenza di Lisbona di cui supra, nt. 73.
( ) V. supra, nt. 73.
( ) Sui processi partecipativi della e nella flessicurezza si v. Wilthagen, Tros 2004, p. 170; Caruso, Massimiani 2007.
( ) Il rafforzamento in senso democratico dei processi deliberativi dell’Unione costituisce una delle anime del Trattato di Lisbona. Il ruolo delle parti sociali europee, in particolare, è valorizzato dal Trattato attraverso l’inserimento nel TCE del nuovo art. 136 bis, a tenore del quale: “L’Unione riconosce e promuove il ruolo delle parti sociali al suo livello, tenendo conto della diversità dei sistemi nazionali. Essa facilita il dialogo tra tali parti, nel rispetto della loro autonomia.
Il vertice sociale trilaterale per la crescita e l’occupazione contribuisce al dialogo sociale”.
( ) Cfr. Vitulano 2007; CES 2007b. In seno al dibattito europeo sulla flessicurezza, peraltro, la CES è stata una delle prime voci a sostenere con forza l’inscindibilità fra agenda della flessibilità e sicurezza e agenda della qualità del lavoro. Secondo la Confederazione, la qualità del lavoro rappresenta l’ago della bilancia affinché l’equilibrio fra flessibilità e sicurezza non si risolva ad unico vantaggio e profitto dei datori di lavoro. In altre parole, la qualità del lavoro - in tutte le sue dimensioni, dal salario dignitoso all’investimento nella formazione professionale, dalla sicurezza alla protezione sociale - riporta i lavoratori tra i termini dell’equazione fra flessibilità e sicurezza, consentendo una più equa distribuzione del rapporto costi/benefici fra le parti; cfr. CES 2007a.
( ) Cfr. Commissione europea 2007d.
( ) Si v. l’intervento di J. Monks, segretario generale CES, in Vitulano 2007.
( ) Adattamento in lingua italiana della dicotomia “flexicurity or flexploitation?”. Si consideri, a tal proposito, il dibattito sul tema “Flessicurezza o flessfruttamento? Il lavoro atipico in Europa” organizzato dal gruppo socialista al Parlamento europeo (PSE); si rinvia a Massimiani 2008.
( ) CES, BUSINESSEUROPE, UEAPME, CEEP 2007.
( ) Ibidem, p. 53: “[…] flexicurity needs to be accompanied by the provision of good working conditions and quality of jobs as outlined below.
Quality of work has several dimensions: Ensuring career and employment security, maintaining and promoting the health and well-being of workers; developing skills and competencies; and reconciling working and non-working life. In addition, pay, equality and diversity at work are also important.
Quality of work is an important element in making the most of a society’s potential and can be conducive to economic growth and productivity”. V. anche supra, nt. 80.
( ) Cfr. CES, BUSINESSEUROPE, UEAPME, CEEP 2007, p. 53 e p. 62.
( ) Tale è, per esempio, la posizione adottata dal gruppo GUE/NGL del Parlamento europeo in una “lettera aperta” al gruppo socialista; si rinvia a Wurtz, Liotard, Musacchio, Zimmer 2007.
( ) A tenore delle citate conclusioni, “GOOD WORK means employee rights and participation, fair wages, protection of safety and health at work as well as a family friendly work organisation. Good and fair working conditions as well as an appropriate social protection are indispensable for the acceptance of the European Union by its citizens”. Si rinvia al comunicato stampa “Chair’s Conclusions drafted in Cooperation with the two Following Presidencies Portugal and Slovenia”, 19.1.2007, in <http://www.eu2007.de>.
( ) Cfr. Commissione europea 2006a.
( ) Si v. il sesto considerando ed il preambolo della direttiva del Consiglio 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, in GUCE 10.7.1999, L 175, p. 43 ss.
( ) A tenore delle conclusioni suddette, “Fair wages are an important characteristic of GOOD WORK. The Member States and the social partners are called upon to ensure that wages are set in a fair and adequate manner while safeguarding the national wage setting systems’ characteristic features […]
Regular employment relationships are indispensable. They provide security and strengthen competitiveness in a sustainable manner. The Member States are called upon to strengthen standard working relationships in accordance with their national practice and to limit their circumvention by atypical employment relationships.
New forms of employment types can facilitate reintegration into the labour market. They must, however, not be abused of for the purpose of excluding employees from their rights. They must not lead to discrimination and exclusion”. Si rinvia al comunicato stampa cit. supra, nt. 88.
( ) Ibidem.
( ) Cfr. Parlamento europeo 2007d, punto 17.
( ) Cfr. Consiglio europeo 2007, parr. 49 e 50.
( ) Si rinvia in materia al sito web predisposto dalla DG Occupazione e Affari Sociali della Commissione europea: <http://ec.europa.eu/employment_social/spsi/index_en.htm>.
( ) Cfr. Massimiani 2007, pp. 111-112.
( ) Si v. tuttavia lo studio di A. Tangian sui c.d. “indicatori compositi” del lavoro decente, ricavati sulla base del quarto survey sulle condizioni di lavoro in Europa a cura della Fondazione di Dublino; si rinvia a Tangian 2007; EUROFOUND 2007.
( ) Cfr. Zarka-Martres, Guichard-Kelly 2005.
( ) Cfr. Commissione europea 2001.
( ) Cfr. Parlamento europeo 2007a.
( ) Cfr. Commissione europea 2006a.
( ) Come ha rilevato M. Panayotopoulos-Cassiotou alla conferenza “Decent work for all - mobilising the EU and its partners”, tenutasi a Bruxelles il 24 e 25 gennaio 2008, “l’UE ne peut toutefois prétendre à l’exportation de son modèle social et de ses valeurs si elle n’enjoint pas d’abord ses États membres et les pays candidats à ratifier et à appliquer pleinement les conventions que l’OIT a classées comme étant à jour, en particulier celles qui concernent le travail décent ainsi que la Convention des Nations Unies relative aux migrants qui continuent d’être victimes d’exploitation, sans oublier celles relatives à l’hygiène et à la sécurité au travail”. Si rinvia al sito web predisposto dalla DG Occupazione e Affari Sociali della Commissione europea: <http://ec.europa.eu/employment_social/international_cooperation/decent_work_conf2008_en.htm>.
( ) Secondo la risoluzione del PE, fra gli aspetti da includere nei principi comuni di flessicurezza figura proprio “la riconciliazione di lavoro e vita familiare o personale, e la promozione del concetto di ‘lavoro dignitoso’”; cfr. Parlamento europeo 2007d, punto 17.
( ) Rispettivamente Parlamento europeo 2007a e 2007b.
( ) Commissione europea 2007c.
( ) Si v. Consiglio dell’UE 2005.
( ) Si v. sul tema Caruso, Massimiani 2007.
( ) Si rinvia alla versione in lingua inglese della proposta di orientamenti per l’occupazione 2008-2010, poiché, sul punto, nella traduzione in lingua italiana si smarrisce il riferimento all’approccio della flessicurezza (peraltro divenuta in tale atto “flessisicurezza”), poi ripreso nel prosieguo del testo; si rinvia a Commissione europea 2007c.
( ) Cfr. Commissione europea 2007c.
( ) Cfr. Commissione europea 2007a e 2007c; Consiglio dell’UE 2007d.
( ) V. supra, § 3.
( ) Il Consiglio, in tale occasione, invitava la Commissione “a varare un’iniziativa pubblica in stretta cooperazione con le parti sociali europee per agevolare la titolarità dei principi da parte degli attori interessati del mercato del lavoro e potenziare la sensibilizzazione dei cittadini per quanto concerne la flessicurezza, la sua logica implicita, i suoi principali elementi e le sue implicazioni, e a tener pienamente informato il Consiglio delle sue azioni in proposito”; si rinvia a Consiglio dell’UE 2007d.
( ) Cfr. Commissione europea 2008. Si rinvia al sito web predisposto dalla DG Occupazione e Affari Sociali: <http://ec.europa.eu/employment_social/employment_strategy/flex_mission_en.htm>.
( ) Il progetto prevede l’intervento e la consultazione reciproca delle istituzioni dell’UE, degli Stati membri e delle parti sociali; sui processi partecipativi che animano la strategia della flessicurezza si rinvia a Caruso, Massimiani 2007.
( ) Cfr. Consiglio europeo 2008, par. 16.
( ) Ibidem.
( ) Cfr. sul tema Auer 2007.
Fonte: http://www.europeanrights.eu/public/commenti/Massimiani.doc
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