Il cambiamento organizzativo nel mondo del lavoro

Il cambiamento organizzativo nel mondo del lavoro

 

 

 

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Il cambiamento organizzativo nel mondo del lavoro

 

APPUNTI DI Organizzazione aziendale

 

Definizione di organizzazione

Per organizzazione intendiamo un insieme complesso di persone associate per uno scopo unitario fra cui si dividono le attività da svolgere, secondo certe norme, stabilendo dei ruoli collegati tra loro in modo gerarchico, in rapporto con un certo ambiente esterno.
Diamo una breve spiegazione dei termini utilizzati nella definizione.

  • insieme complesso perché richiede modelli sia riduttivi che esplicativi in grado di mettere in luce le variabili principali;
  • di persone perché comporta scelte sul grado di autonomia di comportamenti rispetto al grado di conformità a norme prescrittive;
  • associate per uno scopo unitario nella ricerca della coerenza tra obiettivi individuali e dell’organizzazione, se non anche con eventuali obiettivi dei gruppi;
  • fra cui si dividono le attività da svolgere scelta del livello di specializzazione tenendo conto delle esigenze di coordinamento e di completezza di professionalità;
  • secondo certe norme scelta del livello di formalizzazione delle attività in procedure scritte, quanto lasciare alla prassi e quanto delegare all’autonomia decisionale;
  • stabilendo dei ruoli in termini di scelta delle assegnazioni di autorità e responsabilità
  • in modo gerarchico in termini di accentramento e/o decentramento decisionale, anche in relazione alle dimensioni dell’organizzazione;
  • in rapporto con l’ambiente esterno in funzione del grado di apertura o chiusura verso l’esterno.

La precedente analisi della definizione di organizzazione porta a concludere che fare organizzazione vuol dire scegliere il livello di compromesso sui vari punti componenti.
Elemento primario è la definizione dell’obiettivo strategico di fondo dell’organizzazione, attraverso l’analisi degli ambienti economico-politico, legislativo, sociale e culturale, dei mercati della produzione, lavoro, vendita, capitali. Tale obiettivo strategico dipende dalla storia dell’organizzazione, dall’ambiente, dalle strategie aziendali, dalle risorse disponibili.
Per ciascun livello si definiscono :

  • Obiettivi
  • Autorità: potere di un individuo, riconosciuto in relazione alla sua posizione, di prendere decisioni che gli altri devono seguire;
  • Potere: capacità di influenzare in modo stabile il comportamento di una persona o di un gruppo;
  • Responsabilità: l’impegno, dato dal ruolo ricoperto nell’organizzazione formale, di realizzare gli obiettivi assegnati;
  • Compiti e ruoli.


Per poter incidere sull’organizzazione occorre individuare le variabili influenzanti, quelle analizzabili e le variabili di intervento. Per evidenziare le componenti o variabili di intervento dell’organizzazione si può utilizzare il modello semplificato di Leavitt (1964) che individua quattro componenti base dell’organizzazione (fig.1):

 

Figura 1 – Il modello di Leavitt

Uno schema più complesso è stato elaborato successivamente da Galbraith (1980) che individua i sistemi ritenuti critici e ne evidenzia il rapporto con la strategia (fig.2).
Un ulteriore schema fu proposto da Pascale e Athos (1982) che individuarono le variabili da considerare come segue (modello delle 7 S):

  • Staff
  • Skill (capacità)
  • Struttura
  • Stile di direzione
  • Sistemi
  • Sistema di valori prevalente
  • Strategia

 


Figura 2 – Il modello di Galbraith

Il successo aziendale è legato alla coerenza tra le 7 variabili individuate, sia a livello di progettazione che di analisi.


Teorie organizzative

Nel tempo si sono susseguite diversi tentativi di codificare il modo di fare organizzazione, cioè di trovare delle regole esplicative per la comprensione del funzionamento delle organizzazioni.
Le principali scuole di teorie organizzative sono riportate nella tabella I.

Tabella I – Principali scuole di organizzazione


Denominazione scuola

Autori principali

Scuola classica

Taylor

Principi organizzativi

Fayol

Relazioni umane

Scuola di Chicago – Roethlisberger - Dickinson

Motivazioni

Ma slow – Herzberg – Mc Gregor

Sistemi socio-tecnici

Istituto Tavistock – Davis – Emery - Rice

Modello burocratico

Weber – Hall – Gouldner – Selznicl – Merton – Crozier

H.Simon

Simon – March

Ipotesi evolutive

Chandler – Greiner

Ambiente e organizzazione

Burns e Stalcker – Lawrence e Lorsh – Galbraith

Tecnologia e struttura

Woodward – Newmann – Gruppo di Aston

Approccio sistemico

Boulding – Beer

  • Scuola classica o dello Scientific Management

Il principale autore si considera Taylor (1856-1915). Egli utilizza i concetti propugnati da A.Smith sul frazionamento del processo produttivo in fasi elementari e da Babbagè sulla convenienza di parcellizzare il processo produttivo in compiti semplici attraverso la diminuzione del tempo di apprendimento da parte degli operai, l’abbassamento dei salari e la facilità di sostituire la manodopera.
Il modello cui Taylor presuppone che sia sempre possibile individuare dei principi normativi di direzione secondo cui condurre le attività che portino, attraverso una prescrittività di struttura e comportamenti, all’obiettivo primario della massimizzazione dell’efficienza. Il modello si può schematizzare come in figura 3.

Figura 3 – Il modello di Taylor

Taylor si proponeva di definire un approccio razionale volto ad individuare quei principi che consentissero di migliorare l’efficienza dell’azienda in un momento storico nel quale lo sviluppo quantitativo del sistema industriale risentiva ancora dei modi di produzione empirico ed artigianale, la domanda di lavoro dell’industria trovava una offerta di personale non professionalizzato e si affermavano le organizzazioni sindacali.
Le principali ipotesi di base del lavoro di Taylor sono che:

  • l’unità elementare è la singola posizione lavorativa;
  • l’uomo, estensione della macchina, preferisce una compito definito e limitato;
  • il raggiungimento di una maggiore efficienza e produttività è il presupposto per un maggiore benessere sociale;
  • tale efficienza permette di remunerare il capitale e pagare soddisfacentemente la manodopera.

I principi fondamentali sono allora:

  • studio dei migliori metodi lavorativi con una netta distinzione tra lavoro manuale e lavoro di programmazione, coordinamento e controllo;
  • selezione ed addestramento della manodopera;
  • consenso ottenuto tramite remunerazione monetaria;
  • ristrutturazione dell’apparato direttivo ed organizzativo in tre livelli: operai, quadri intermedi e capi di primo livello, livello direttivo.

Si nota una completa assenza di considerazioni di ordine sociale e psicologico nella determinazione dei contenuti, dei tempi e dei metodi di lavoro degli operai.

  • Principi organizzativi.

Il principale autore si considera Fayol (1841-1925). Gli autori di questa scuola allargano lo studio tayloristico limitato allo studio del lavoro di officina.
Fayol considera 6 funzioni principali nell’azienda:

  • Operazioni tecniche di produzione e di trasformazione
  • Operazioni commerciali di acquisto, di vendita, di scambio
  • Operazioni finanziarie di ricerca e di gestione dei capitali
  • Operazioni di sicurezza per garantire la protezione dei beni e delle persone
  • Operazioni contabili per ottenere informazioni attendibili e complete sull’andamento ambientale
  • Operazioni direttive di programmazione, organizzazione, comando, coordinamento e controllo

Specificando il significato della funzione direttiva se ne precisano le componenti:

  • programmare; organizzare; comandare; coordinare; controllare.

Ciascuno degli Autori della scuola propose dei principi organizzativi universali. Tra questi sembrano i più significativi:

  1. Unità del comando: nessuno può obbedire a due capi; distinzione fra autorità funzionale di line e di staff per mitigare questo principio di fronte alla realtà; verificare che ogni membro dell’organizzazione abbia chiari i canali di autorità in cui inserito ed eventualmente semplificare e chiarire tali linee di autorità.
  2. Ampiezza di controllo: limite del numero di dipendenti diretti da un superiore.
  3. Eccezione: la routine ai subordinati, le eccezioni ai dirigenti
  4. Scalare: i rapporti tra superiore e subordinati devono essere regolati da una scala gerarchica; occorre dare rilievo alla gerarchia ed alla chiara attribuzione della responsabilità.

A questi si possono aggiungere:

  1. Ripartizione del lavoro
  2. Disciplina
  3. Subordinazione degli interessi particolari
  4. Equa e soddisfacente retribuzione del personale
  5. Equità
  6. Spirito di corpo
  • Relazioni umane

Le prime ricerche si possono fare risalire agli studi empirici presso la Western Electric portati avanti dalla scuola di Chicago nel periodo 1927-1933.
Si nega la valenza assoluta del principio della divisione del lavoro e del concetto che l’organizzazione formale esaurisca la realtà dell’organizzazione. Si formulò l’ipotesi secondo cui il rendimento dei lavoratori fosse determinato anche dalla situazioni sociale e dal livello di soddisfazione psicologica. Si ampliano quindi le osservazioni della scuola classica agli aspetti psicologici e sociali.
I principi fondamentali sono legati all’influenza dei gruppi informali e degli stimoli non monetari (fig.4). Si preferisce, allora, agire su:

  • Relazioni capo-subordinato
  • Influenza dei piccoli gruppi
  • Motivazione
  • Cambiamenti innovativi

  • Bisogni dell’uomo

Figura 4 – Il modello delle relazioni umane

 

  • Motivazioni

L’autore principale è Maslow (1943) che identifica la motivazione in uno stato di tensione, dovuto alla consapevolezza di un bisogno, che impone la ricerca dei mezzi per soddisfarlo.
Egli postula nell’uomo l’esistenza di bisogni fondamentali organizzati a livelli successivi. Una volta soddisfatto un bisogno, questo verrà sostituito da altri, di livello superiore e così via. Ne consegue che la soddisfazione di un bisogno diventa un concetto tanto importante quanto la privazione. Un desiderio soddisfatto cessa di essere un desiderio. Viene postulata l’esistenza di 5 livelli di bisogni:

  1. fisiologici primari come i bisogni di cibo, sesso, asilo; un buon metodo per bloccare le motivazioni superiori è quello di far si che l’uomo sia posto in condizioni di avere un bisogno primario insoddisfatto;
  2. di sicurezza come il bisogni di protezione dal pericolo e dalle minacce;
  3. di appartenenza e di amore, detti anche bisogni sociali di ricerca di relazioni affettive con altre persone e di avere un posto in un gruppo;
  4. di stima che sfocia nel desiderio di ottenere forza, adeguatezza, fiducia, indipendenza, reputazione o prestigio, riconoscimento, attenzione ed apprezzamento;
  5. di autorealizzazione e di autocompletamento nel far ciò per cui ci si sente portati.

I bisogni di livello successivo vengono solo dopo aver soddisfatto in gran parte quelli precedenti:

Alla fine degli anni’60 un altro autore importante in questo filone di studi è stato F.Hertzberg che, a partire da indagini di campo in numerose aziende identificò i fattori che possono avere effetti motivazionali sul lavoro:

  • hygiene factors: stile di supervisione, rapporti con i colleghi, retribuzione, sicurezza del lavoro, che se non vengono realizzati provocano insoddisfazione nel lavoratore ;
  • motivator factors: responsabilità, autonomia crescita professionale, natura del lavoro che se assicurati provocano soddisfazione nel lavoro.

La realizzazione dei primi evita l’insoddisfazione sul lavoro. I secondi provocano soddisfazione, ma non possono eliminare eventuali mancanze nei primi. Viene data poca importanza al fattore prestigio ed alla retribuzione e non si considera l’aspetto organizzato del lavoro. Si sottolinea come il lavoro ha sempre un duplice significato: strumentale (per le ricompense) ed espressivo (delle capacità del lavoratore).

Un ulteriore contributo è quello portato da McGregor che contrappone alla visione tradizionale di direzione denominata teoria X una visione basata sui principi di Maslow denominata teoria Y. I principali presupposti della teoria X erano:

  • la direzione aziendale è responsabile dell’organizzazione avendo come unico obiettivo l’interesse economico;
  • le persone devono essere orientate, motivate e controllate per migliorare le condizioni organizzative;
  • naturalmente le persone rimarrebbero passive ;
  • l’uomo medio è per natura indolente e cerca di lavorare il meno possibile;
  • l’uomo è privo di ambizioni, non gradisce la responsabilità, preferisce essere guidato;
  • l’uomo è centrato su sé stesso, indifferente alle esigenze organizzative
  • l’uomo è resistente ai cambiamenti

Secondo Mc Gregor le teorie direzionali dovrebbero essere informate alla teoria Y i cui presupposti sono:

  • l’uomo desidera naturalmente effettuare sforzi fisici e mentali;
  • l’uomo desidera esercitare l’autodirezione e l’autocontrollo per raggiungere gli obiettivi nei quali è impegnato;
  • l’impegno nel conseguimento degli obiettivi è funzione dei premi;
  • in condizioni medie l’uomo ricerca la responsabilità;
  • la capacità di esercitare immaginazione è ampiamente ma scarsamente distribuita.
  • Sistemi socio-tecnici

L’approccio prende spunto dagli studi dell’Istituto Tavistock di Londra (1970) sulla meccanizzazione dell’industria carbonifera inglese, sulla creazione di squadre di 50-60 persone e sulla parcellizzazione del lavoro. In questo approccio l’organizzazione del lavoro viene osservata come combinazione dei due elementi tecnico e sociale. Il sistema tecnico viene inteso non solamente come il complesso di macchine ed attrezzature produttive, ma anche i sistemi tecnici ed informativi per programmare e controllare il sistema produttivo. Il sistema sociale è costituito dall’organizzazione formale ed informale delle persone e dalle norme e ruoli sociali presenti nell’unità lavorativa.
Si considera anche l’influenza dell’ambiente esterno all’impresa e la sua capacità di reagire e adattarsi a tali sollecitazioni. Per l’organizzazione del lavoro esecutivo vengono proposti i seguenti criteri:

  • Autonomia responsabile per programmare e regolare tutta o parte delle sue attività;
  • Sviluppo professionale per imparare ad adattarsi al cambiamento;
  • Varietà di esperienze per avere un contesto stimolante;
  • Partecipazione alle decisioni inerenti al proprio lavoro.

Si sostiene che in ambienti instabili è richiesta una organizzazione del lavoro che favorisca l’acquisizione delle conoscenze tecnico-gestionali anche ai livelli esecutivi. In particolare, secondo Davis (1971), i fattori tecnologici influenzano la programmabilità dei compiti attraverso l’analizzabilità delle situazioni di lavoro ed il numero di eccezioni (fig.5). Ove il processo di trasformazione presenta poche eccezioni ed i problemi sono facilmente analizzabili, i compiti dei lavoratori sono ripetitivi ed è possibile programmare il contenuto del lavoro, i tempi ed i metodi. In situazioni complesse viene esaltata l’importanza dei gruppi autonomi di lavoro con alta cooperazione all’interno. Tali situazioni si evidenziano e si moltiplicano con l’automazione dove la funzione del lavoratore diviene quella di regolatore del sistema.
Casella di testo: Difficoltà nell’analizzare  i problemi

N° di eccezioni sul lavoro

  


Figura 5 – Il modello sociotecnico di Davis

A.K.Rice mise in evidenza come l’impresa possa svilupparsi soltanto in un clima di consenso assicurato da piena coerenza fra compiti operativi ed atteggiamenti psicologici degli addetti..

  • Modello burocratico:

Il filone di studio si rifà agli studi di M Weber (1864-1920). L’ipotesi di fondo è che la struttura organizzativa deve tendere al raggiungimento razionale degli obiettivi. Tale operazione sarà tanto più efficiente quanto più verranno eliminate le arbitrarietà e le occasioni di conflitto nelle relazioni interpersonali e fra gruppi. Ciò è possibile solo razionalizzando le organizzazioni attraverso una struttura basata su:

  • divisione del lavoro in base alla specializzazione funzionale;
  • gerarchia di autorità
  • sistema di norme
  • sistema di procedure
  • impersonalità delle relazioni interpersonali
  • selezione e promozione in base alle competenze tecniche

Hall ed altri AA. sottolinearono come a questi elementi si possano aggiungere almeno altri due:

  • separazione del lavoro dalla vita privata
  • separazione delle attività politiche da quelle amministrative

Le disfunzioni cui questo modello può dare luogo furono sottolineate in particolar modo da Gouldner (fig.6) che sottolineò come l’uso del controllo e di regole generali ed impersonali instaurano bassi livelli di prestazione perché tendono a suggerire comportamenti minimi accettabili
Selznick (fig.7) mise in luce come la frammentazioni e la divisione del lavoro tendano a frammentare obiettivi ed interessi dei singoli e dell’impresa.
Merton (fig.8) ragionò in merito all’abuso di norme e formalizzazione, che si può tradurre in acritica interiorizzazione di queste che quindi si poteva tradurre in rigidità di comportamento e quindi in difficoltà di rapporti con i clienti.


Figura 6 – Il modello di Gouldner




Figura 7 – Il modello di Selznick

Figura 8 – Il modello di Merton
Una problematica fondamentale che l’approccio burocratico fa emergere è quella relativa al potere. Crozier, analizzando le problematiche legate al potere, presuppose che la burocratizzazione delle organizzazioni sia un fenomeno inevitabile quando l’ambiente esterno non ne solleciti un cambiamento. La burocratizzazione spingerà i gruppi interni a cercare delle proprie aree di attività nelle quali esercitare il potere. Si creerà allora all’interno di questi gruppi una solidarietà ed una coscienza comune perlopiù esterna agli obiettivi generali dell’organizzazione. I gruppi tendono ad isolarsi ed ad impedire il flusso e lo scambio di informazioni, fonte primaria di potere.

  • Teoria di Simon

L’idea iniziale di H.Simon (1958) è che la teoria amministrativa deve stabilire i confini tra gli aspetti razionali e non razionali del comportamento umano sociale.
Nell’analizzare il comportamento razionale dell’uomo amministrativo nella realtà operativa egli sostituì la scelta ottimale, che necessità di scegliere tra alternative perfettamente note non disponibili nella realtà, con la scelta soddisfacente (razionalità limitata).
Simon (con March) definisce un modello decisionale in cui la valutazione delle alternative avviene secondo processi sequenziali, sviluppando programmi di azione che possono essere impiegati in situazioni ricorrenti, impiegando i programmi di azione specifici per gamme ristrette di situazioni e di conseguenze, ed infine facendo in modo che ogni programma di azione possa essere eseguito in modo semi-indipendente da altri.
L’uomo che dirige è un uomo che deve continuamente decidere secondo tre stadi:

  • Intelligenza: scoprire quando prendere una decisione
  • Progettazione: trovare linee di azione alternative
  • Scelta: selezionare la linea più appropriata tra quelle disponibili.

Le decisioni possono essere programmate e non. Le prime in quanto routine possono fare riferimento ad una procedura prestabilita. Le seconde invece necessitano di volta in volta dell’applicazione dei tre stadi di cui sopra per ovviare alla mancanza di procedure specifiche atte a trattarle.

 

  • Ipotesi evolutiva

Il primo autore di questa scuola può considerarsi Chandler (1962) che definì che per strategia aziendale si intende l’insieme delle decisioni che stabiliscono gli obiettivi fondamentali di un’azienda, con particolare riferimento a quelli che riguardano i rapporti tra prodotti e mercati e l’allocazione delle risorse, mentre per struttura aziendale si intende lo schema organizzativo mediante il quale viene vista l’azienda, definito, formalmente ed informalmente, dal suo assetto strutturale (divisione del lavoro) e dagli strumenti e ai sistemi organizzativi e gestionali utilizzati dall’azienda. Dallo studio di 70 grandi aziende americane mise in evidenza che:

  • Esiste un rapporto preciso tra strategia e struttura
  • C’è una tendenza strategica a diversificare
  • C’è una tendenza a passare dalla struttura funzionale a quella divisionale.

In base a questi elementi egli dedusse che l’organizzazione è un complesso in continuo adattamento, che riflette gli accadimenti dell’ambiente esterno, che deve essere utilizzata come mezzo per raggiungere gli obiettivi. L’adattamento della struttura alla strategia deve essere perseguito tenendo conto di tutte le componenti: struttura formale, strumenti operativi, sistemi, procedure e prassi.
Greiner (1972) considera come variabile fondamentale per studiare le caratteristiche organizzative dell’azienda la dimensione, a sua volta legata all’età dell’azienda. La storia di un’organizzazione ne determina il futuro più che le altre variabili esogene. Ogni azienda si sviluppa secondo un’alternanza di fasi di evoluzione e di rivoluzione. La durata delle fasi è determinata da dimensione ed età dell’azienda, dando per scontato che l’espansione delle dimensioni aziendali è un fatto ineluttabile.

  • Ambiente ed organizzazione

Tra i principali studiosi particolarmente significativi sono gli studi di Burns e Stalker (1962) centrati su aziende che, passate da settori tradizionali a settori avanzati (elettronica), e mantenendo i vecchi assetti organizzativi non davano più risultati adeguati.
Essi ipotizzano che le scelte organizzative debbano tener conto delle caratteristiche di stabilità/instabilità dell’ambiente esterno. Possono quindi distinguersi strutture di tipo meccanicistico e organicistico rispettivamente più efficaci in condizioni di stabilità o di instabilità. Nella struttura meccanicistica è prevista una estesa specializzazione e distinzione funzionale delle mansioni, con compiti ben definiti in modalità, responsabilità e mezzi tecnici assegnati. Vi è una chiara gerarchia di autorità e controllo, il vertice aziendale coordina il tutto. Le comunicazioni sono di tipo ordine e fluiscono prevalentemente in senso verticale. Nella struttura organicistica la variabilità dei problemi non permette una esatta definizione a priori dei ruoli. Le comunicazioni fluiscono in tutte le direzioni e sono del tipo informazioni. Le relazioni interpersonali sono improntate alla collaborazione.
Lawrence e Lorsch (1967) ipotizzano che le scelte organizzative debbano tener conto delle caratteristiche dell’ambiente in termini di omogeneità/disomogeneità. Considerando che non si può definire un modello di organizzazione ottimale e che ciascun sottosistema aziendale presenta tassi di incertezza diversi, non si può definire un unico modello organizzativo ma tanti in funzione del grado di differenziazione tra le diverse unità operative. I concetti fondamentali

  • non esiste un modello di organizzazione ottimale (contingenza organizzativa);
  • le organizzazioni si strutturano in rapporto ai diversi sottosistemi ambientali;
  • ciascun sottosistema presenta gradi di incertezza diversi;
  • ciascuna parte dovrà quindi assumere caratteristiche diverse.

 

La differenziazione richiesta alle diverse unità può essere valutata in termini di:

  • grado di certezza/incertezza relativa alla:
  • chiarezza dei compiti
  • difficoltà del loro svolgimento
  • Tempo di feed-back per conoscere il risultato delle azioni intraprese;
  • Grado di influenza sulle altre funzioni organizzative in termini di:
  • successo strategico dell’impresa
  • importanza relativa di ciascun sotto-sistema ambientale

In base al grado di differenziazione richiesto occorrerà definire per ciascuna unità:

  • grado di strutturazione
  • orientamento interpersonale
  • orientamento temporale di riferimento
  • orientamento verso gli obiettivi

Accanto alla differenziazione occorre tenere conto all’opposto delle procedure di integrazione per coordinare l’intera struttura. IN particolare vengono proposti meccanismi di complessità crescente e tendenzialmente cumulativi:

  • procedure di comunicazione
  • meccanismi di programmazione
  • meccanismi strutturali
  • intervento gerarchico
  • gruppi di lavoro interfunzionali
  • organi di integrazione.

Galbraith assunse come variabile fondamentale l’incertezza del compito (i) intesa come scarto fra le informazioni disponibili ed informazioni necessarie al momento dell’esecuzione del compito (I).
L’incertezza del compito nasce dal livello d certezza/incertezza degli obiettivi e dal livello di conoscenza delle relazioni tra le variabili in gioco. L’incertezza del compito può quindi essere scomposta in:

  • variabilità
  • difficoltà

La variabilità è data da:

  • numero di eccezioni
  • instabilità nel tempo
  • stabilità ed uniformità degli input necessari e degli output richiesti.

Essa determina la capacità di standardizzazione del compito e quindi la possibilità di strutturazione. La difficoltà è data da:

  • complessità del processo di analisi
  • tempo necessario all’analisi
  • livello di know-how richiesto.

Essa determina le capacità professionali richieste, le necessità di specializzazione e coordinamento. Le strategie organizzative potranno allora essere:

  • a bassi livelli di incertezza si ricorre a norme e procedure e alla gerarchia
  • al crescere dell’incertezza si ricorre alla programmazione per obiettivi
  • al crescere ancora dell’incertezza si può agire:
  • riducendo le informazioni da elaborare utilizzando:
  • risorse eccedenti
  • unità più autonome
  • aumentando la capacità di elaborazione attraverso:
  • lo sviluppo del sistema informativo
  • il ricorso ai rapporti laterali.
  • Tecnologia e struttura

La tecnologia è vista come variabile ambientale esterna in base alla quale è possibile definire le variabili organizzative fondamentali. Per tecnologia, uno degli autori principali, la J. Woodward (1965) identificava il grado di continuità del processo di produzione, inversamente associato al grado di incertezza di assorbimento del mercato. L’Autrice mettendo in luce il rapporto tra caratteristiche organizzative ed incertezza dei processi operativi individuò:

  • produzioni in piccola serie o unità singole:
  • su commessa
  • su modello
  • produzioni di grande serie o di massa
  • produzioni di processo

I risultati della sua ricerca sono che:

  • aziende simili per tecnologie hanno organizzazioni simili;
  • le aziende di successo hanno organizzazioni più vicine di altre a quelle tipiche della classe tecnologica di appartenenza;
  • per ciascuna classe sono diverse le funzioni critiche di successo.

Il gruppo di Aston (1976) verificò i risultati precedenti per quanto riguarda la configurazione organizzativa, cioè la distribuzione dei ruoli e la divisione del lavoro. Mentre per la struttura organizzativa intesa come standardizzazione, formalizzazione, ecc., fecero riferimento alla dimensione aziendale. Essi concludevano che

  • la tecnologia influenza l’organizzazione della produzione
  • la tecnologia influenza l’organizzazione dell’intera azienda quando questa è piccola
  • la tecnologia ha limitata influenza sulle grandi organizzazioni nel loro complesso, perché sono rilevanti le parti che non hanno connessione diretta con la produzione.

Esso concludeva che il vertice aziendale è indipendente dalla tecnologia che invece influenza l’organizzazione della produzione.
Newman (1974) espresse la natura della tecnologia dell’impresa in termini di tipologia di problemi affrontati:

  • problemi uguali non frequenti: stabilità
  • problemi uguali ma frequenti: elasticità regolata
  • problemi nuovi e frequenti: elasticità.

Per ciascuna tipologia è possibile individuare una struttura organizzativa più efficace in termini di programmazione, leadership e controlli.
Le imprese che operano in ambienti a tecnologia stabile (trasformazione di materie prime, servizi sociali, ecc.) dovrebbero adottare una struttura centralizzata, con un processo di programmazione molto completo e dettagliato, un sistema di controllo molto stretto ed un grado di partecipazione del personale alle decisioni molto limitato.
Le imprese che operano in ambienti a tecnologia cosiddetta ad elasticità controllata (meccanica media-leggera, redazioni di giornali, ecc.) dovrebbero essere incentrate su una organizzazione dei compiti molto specializzata (ciascun dipendente conosce i limiti della propria discrezionalità) nel quadro di sistemi di programmazione, controllo ed informativo molto centrati sulle singole posizioni e ruoli organizzativi.
Le imprese che operano in settori dinamici (aerospaziali, consulenza aziendale, ecc.) dovrebbero essere impostate su una struttura con autorità decentrata, con meccanismi operativi orientati su obiettivi con larga partecipazione dei singoli e dove la tensione di tutti i componenti l’organizzazione è rivolta verso l’autorealizzazione.

 

  • Approccio sistemico

Si definisce sistema un complesso di parti aggregate in modo non casuale, secondo una logica che stabilisce anche i criteri di interdipendenza tra le parti. Ogni parte di un sistema è a sua volta composto da sottoinsiemi (chiusi o aperti).
Ogni azienda deve:

  • crearsi dei confini
  • gestire le relazioni di scambio con l’esterno per finalizzare i propri fini.

Nel concetto di sistema è insita l’idea di controllo intesa come regola di funzionamento inserita nel sistema che ne consente la correzione. Il modello di controllo può essere su feedback alla continua ricerca di un equilibrio con l’ambiente.
L’approccio sistemico propone un metodo di lavoro per l’analisi e la progettazione organizzativa basata su:

  • definizione e chiarimento degli scopi ed obiettivi del sistema e dei suoi sottosistemi attraverso la:
  • individuazione dei rapporti del sistema con l’esterno
  • individuazione dei sottosistemi e dei rapporti di interdipendenza
  • costruzione di un modello del sistema per definire la sequenza I/O per studiare l’interazione tra le parti;
  • raccolta ed elaborazione dei dati per assicurare un flusso continuo di informazioni in tutte le direzioni e tra le parti;
  • assicurazione di controlli efficienti per stato presente e futuro su feedback;
  • assicurazione del coordinamento tra le parti e del tutto.

Modelli di organizzazione

Il problema fondamentale per ogni organizzazione è quello di definire la propria struttura in relazione agli obiettivi, all’ambiente esterno, alle risorse disponibili.
I 3 tipi di modelli proposti per l’identificazione del tipo di struttura:

  • modello tradizionale: parte dai criteri di divisione orizzontale
  • modello Ansoff-Braundenburg: parte dai criteri di progettazione strutturale e dal tipo di decisione consentita ai vari livelli;
  • modello Mintzberg: parte dall’evoluzione relativa dei rapporti tra i gruppi che compongono l’organizzazione.

Nel modello tradizionale i criteri di raggruppamento più diffusi per mansioni, unità elementari ed unità di livello superiore sono:

  • su base numerica: si divide il lavoro tra le persone o le unità, e si raggruppano le persone o le unità di livello superiore sulla base di un parametro numerico considerando per es. il carico di lavoro che può essere assorbito da ciascuna persona, il numero di dipendenti controllabili da un capo, ecc. E’ rilevante solo il fattore numerico e siamo in condizioni di perfetta sostituibilità delle persone;
  • su base temporale: si divide il lavoro in base al fattore tempo perché il fatto essenziale è che il lavoro venga svolto con continuità;
  • su base funzionale: aggregazione dei compiti in base alle funzioni svolte nell’organizzazione: produrre, vendere amministrare, progettare, controllare, ecc. Quindi si riuniscono le persone in base alla similitudine dei compiti da svolgere o delle competenze richieste;
  • per area geografica/localizzazione: si riuniscono le persone in base all’area geografica in cui operano;
  • per prodotto su cui lavorano: si riuniscono le persone in base al prodotto cui lavorano;
  • per cliente o mercato: si riuniscono le persone in base al cliente per cui lavorano;
  • per tecnologia/processo: si riuniscono le persone in base alla tecnologia che utilizzano o al processo che svolgono;
  • per orizzonte temporale decisionale: si riuniscono le persone in base al livello temporale di riferimento, o per tipo di decisione: a lungo, medio, breve termine, opuure strategiche, direzionali, operative;
  • per fase: programma-organizzazione-controllo, distinto per attività di innovazione e di gestione;
  • per progetto: non per tutta la struttura ma per gruppi impegnati su attività specifiche.

In generale in una struttura complessa, normalmente articolata su più livelli, è raro che venga utilizzato un solo criterio di divisione orizzontale del lavoro. Questo perché ogni criterio è funzionale ad una sola variabile critica di successo, mentre le variabili critiche dell’organizzazione su sempre più di una.
Dopo aver deciso la suddivisione orizzontale occorre definire quella verticale in base ai parametri organizzativi di:

  • ampiezza di controllo: intesa come numero di dipendenti diretti da una persona/posizione;
  • numero di livelli gerarchici organizzati.

Il rapporto tra questi due parametri definisce se una struttura è piatta o verticale. Le strutture verticali hanno i seguenti vantaggi:

  • forniscono ai dipendenti carriere a molte tappe;
  • richiedono un basso carico di supervisione;
  • consentono un forte controllo sui dipendenti;
  • consentono una specializzazione spinta.

Si indicano invece i seguenti svantaggi:

  • presentano elevati costi fissi;
  • comportano problemi di comunicazione e di controllo diretto;
  • possono creare ambiguità nella suddivisione delle responsabilità fra i diversi livelli;
  • essendo basate sul controllo, deresponsabilizzano e deprimono motivazioni e sviluppo.

Occorre privilegiare innanzitutto l’identificazione delle aree di criticità operativa e decisionale indotte dal compito primario e dalla loro classificazione in scala di priorità. La scelta va fatta dopo aver individuato le variabili critiche di successo che tengano conto delle diversità specifiche di ogni organizzazione.
In corrispondenza ai criteri di specializzazione usati al primo livello aziendale, le configurazioni organizzative saranno:


  • struttura funzionale (fig.9): si ricerca l’efficienza attraverso la competenza specialistica rispetto alle risorse da trattare ed alle attività specifiche da svolgere; ha le seguenti caratteristiche:

Figura 9 – Struttura funzionale

  • si può sviluppare dimensionalmente in maniera limitata;
  • privilegiare obiettivi di efficienza tramite competenza specialistica, riduzione dei costi di struttura; realizzazione di economie di scala;
  • formazione specialistica dei dipendenti;
  • centralizza il controllo;
  • accentra la responsabilità di profitto;
  • consente facilmente il controllo dei costi delle funzioni;
  • consente una gestione rapida delle eccezioni operative del sistema di comunicazioni e decisionale tramite la gerarchia;
  • consente una buona flessibilità operativa con gamma prodotti/mercati limitata;

 

Essa presenta i seguenti svantaggi:

  • lo sviluppo dimensionale porta ad un appesantimento del coordinamento e la tendenza alla burocratizzazione;
  • non si favorisce l’innovazione perché si tende ad evitare la diversificazione;
  • non si sviluppano competenze manageriali integrate;
  • non si riesce a gestire situazioni di instabilità.

  • struttura per prodotto (fig.10): quando cresce l’esigenza di spostare l’attenzione dalle funzioni ai prodotti; è corretto parlare di struttura divisionale quando alle unità si assegna una responsabilità di profitto; restano centralizzate solo la gestione delle risorse comuni a più divisioni;. Le caratteristiche positive sono:

Figura 10 – Struttura divisionale per prodotto

 

  • consente lo sviluppo dimensionale;
  • consente autonomia decisionale e di comportamento, adeguate ai singoli mercati di riferimento;
  • garantisce l’attenzione del management sui singoli prodotti;
  • consente il decentramento delle responsabilità di profitto;
  • favorisce lo sviluppo di quadri direttivi con capacità globali.

Presenta i seguenti svantaggi:

  • al crescere delle dimensioni ogni divisione presenta gli svantaggi delle strutture funzionali; se cresce il numero di divisioni cresce il carico direttivo di coordinamento;
  • conflitti nelle divisioni tra innovazione e stabilità;
  • conflitti sulla distribuzione delle risorse tra le divisioni;
  • duplicazione di risorse specialistiche;
  • possono venire a mancare dirigenti con sufficienti capacità direzionali.

Possono aversi le varianti:

  • holding: con completa delega alle divisioni da parte del centro (anche giuridicamente autonome); alla direzione resta solo il controllo finanziario;
  • conglomerate: la direzione dà molta importanza alla diversificazione, gestendo il gruppo in un’ottica esclusivamente finanziaria, acquisendo, mantenendo o cedendo in funzione dei risultati delle singole società;
  • struttura per area geografica: diversificazione geografica di unità complesse ed autosufficienti; simile alle strutture per prodotto
  • struttura per progetto (funzione del ruolo assunto dal project manager) al crescere della complessità aziendale o delle problematiche affrontate. Si crea quando oltre a svolgere l’attività primaria, l’unità svolge anche attività specifiche non ripetitive, oppure ha come attività primaria lo svolgimento di simili attività e nasce l’esigenze di coordinare, programmare e controllare tali attività. Si creano ruoli di coordinamento dei singoli progetti (project manager-PM) e si differenziano in base all’autorità sulle risorse in:
  • debole o per influenza: il PM ha un ruolo di pianificazione, coordinamento e controllo per i tempi di avanzamento, i costi e la qualità, ma non ha responsabilità gerarchica sulle risorse; il ruolo è ambiguo, e deve essere svolto da persone che abbiano competenza, esperienza ed immagine aziendale per svolgere un ruolo basato solo sull’influenza;
  • pura o forte (fig.11): il PM ha completa autorità gerarchica sulle risorse;
  •  
  •  


Figura 11 – Struttura per progetto pura e forte


  • a matrice (fig.12): il PM condivide la responsabilità con i diversi responsabili funzionali che hanno la responsabilità del reperimento e sviluppo delle risorse e di garantire la loro disponibilità al PM.

 

Figura 12 – Struttura per progetto a matrice

 

  • struttura per matrice per incrocio funzione/progetto: ha le caratteristiche di prima ma può nascere anche dall’incrocio prodotto/funzione, o mercato/funzione, ecc. Nasce quando si avverte l’esigenza di incrociare due criteri di divisione del lavoro ritenuti ambedue critici per la realizzazione del compito aziendale. Ha la caratteristica di garantire la flessibilità e l’interfunzionalità. Ha il difetto di creare un doppio comando, con natura di inefficienza determinata dai forti sovraccariche decisionali e di coordinamento al vertice

Il modello di Ansoff-Brandenburg individua 4 tipologie di efficienza organizzativa:

  • efficienza in condizioni di stabilità: si privilegia la minimizzazione dei costi con un compromesso tra i vantaggi dell’economia di scala ottenuti con concentrazioni dei reparti produttivi e gli svantaggi dei costi di trasporto dei beni dagli stabilimenti ai mercati; il criterio può essere quello di assegnare le responsabilità al livello in cui tutte le principali variabili decisionali sono chiaramente osservabili e possono essere bilanciate; non è requisito fondamentale la rapidità delle risposte alle condizioni interne ed esterne;
  • elasticità operativa: misura la capacità di effettuare mutamenti rapidi nei volumi di produzione determinati da variazioni nel livello della domanda o da azioni della concorrenza; le condizioni di un sistema operativo progettato per l’elasticità operativa tendono ad essere in antitesi a quelle in condizioni di stabilità; si privilegia per esempio il decentramento degli impianti, l’avere una quota di capacità produttiva di riserva;
  • elasticità strategica: misura la capacità di reagire a mutamenti nelle caratteristiche della produzione, quali l’obsolescenza dei prodotti, i mutamenti di tecnologia, il modificarsi del quadro normativo, ecc.; normalmente si agisce acquisendo nuove aziende o abbandonando parte delle attività esistenti; occorre un sistema perfezionato di analisi e controllo dell’ambiente esterno, centri decisionali capaci di agire in conformità a input forniti dal sistema informativo, una struttura operativa capace di elaborare idee e decisioni ai vari livelli dell’azienda con un efficace scambio di comunicazioni tra direzione e sottosistemi aziendali; anche in questo caso la struttura richiesta è antitetica con quella in condizioni di stabilità; la struttura richiesta è quindi un mix di carattere innovativo per le modificazioni e di stabilità per il contingente;
  • elasticità strutturale: misura la capacità di effettuare cambiamenti strutturali quando le predenti elasticità non sono sufficienti; lo stimolo è costituito in genere dai mutamenti tecnologici che intervengono sia nel processo direzionale che nel processo operativo;

Per analizzare le tipologie di strutture organizzative si analizzano:

  • livelli di responsabilità direzionale e rapporti intercorrenti
  • tipi di decisioni delegate
  • a livello strategico
  • decisioni di espansione
  • decisioni di diversificazione
  • a livello direzionale
  • decisioni sulla struttura organizzativa
  • decisioni sull’acquisizione e sviluppo di risorse
  • a livello operativo
  • decisioni sulla realizzazione delle attività produttive.

Vengono quindi individuate:

  • Strutture funzionali: danno efficienza in condizioni di stabilità che si ottiene per mezzo delle economie di scala, sono parzialmente elastiche sul piano operativo; tale caratteristica viene persa man mano che aumentano le dimensioni; scarsa elasticità strategica e strutturale. Le decisioni operative prevaricano le altre, esiste conflitto tra attività innovative e tradizionali, nella determinazione delle retribuzioni si retribuisce la redditività delle attività attuali, non si incentiva l’assunzione di rischi. L’elasticità strutturale è limitata dalla mancanza di risorse organizzative destinate alla progettazione ed all’introduzione di mutamenti strutturali;
  • Struttura divisionale: consiste nel raggruppare le attività in base ai prodotti ed ai mercati relativi e non in base alle attività svolte; ciascun gruppo di prodotti e di mercati viene assegnato ad un dirigente; solo le decisioni strategiche di diversificazione restano alla direzione centrale, oltre ad alcune decisioni operative comuni a tutte le divisioni quali gli acquisti, i servizi finanziari, i servizi legali, la formazione del management, la ricerca. Risulta difficile una chiara attribuzione delle responsabilità che determinano inefficienze nella direzione del mutamento strategico. C’è una buona elasticità operativa combinata con efficienza in condizioni di stabilità. Si incrementa l’elasticità strategica e strutturale, ma solo marginalmente. A livello centrale il carico di lavoro direzionale è meno gravoso e si può prestare attenzione ai problemi di diversificazione, alla strategia globale, ecc.
  • Strutture elastiche: serve per aziende che mutano frequentemente il mix di prodotti, con prodotti di vita breve. Le attività sono divise tra quelle di sviluppo (responsabili delle decisioni strategiche di pianificazione e delle decisioni direzionali di sviluppo risorse e specializzazione imprese) e quelle per i progetti (responsabili della realizzazione dei piani strategici e del conseguimento delle posizioni del mercato e del progetto). La direzione centrale si occupa della pianificazione strategica globale dell’impresa. I capo progetti vengono nominati di volta in volta e le risorse umane vengono ruotate tra i vari progetti. Sono molto alte tutte le elasticità.
  • Strutture innovative: consistono nel riunire in un gruppo operativo per le attività correnti prodotti e mercati già affermati, e nell’assegnare lo sviluppo di nuove posizioni ad un gruppo per l’innovazione. E’ possibile che il gruppo per le innovazioni abbia la responsabilità strategica solo della diversificazione mentre quella di espansione viene lasciata al gruppo operativo per le attività correnti. Ogni prodotto innovativo viene seguito dall’apposito gruppo sino alla prima commercializzazione, nella fase successiva se ne occuperà il gruppo delle attività correnti. Anche questa struttura è molto elastica, ma vengono in parte sacrificate le economie di scala sia per la duplicazione delle risorse nei due gruppi, sia per la struttura a progetto del gruppo per l’innovazione.

Nel modello di Mintzberg l’organizzazione viene definita come il complesso delle modalità secondo le quali viene effettuata la divisione del lavoro in compiti distinti e viene realizzato il coordinamento tra tali compiti-
Le variabili dell’organizzazione devono essere scelte in maniera da garantire un’armonia ed una coerenza sia tra gli elementi interni sia tra questi e le condizioni esterne.
Cinque meccanismi sembrano spiegare le modalità fondamentali attraverso le quali avviene il coordinamento:

  • Adattamento reciproco: comunicazione informale
  • Supervisione diretta: persona che assume la responsabilità del lavoro di altri, dando ordini e controllando le azioni
  • Standardizzazione degli output: si specificano i risultati
  • Standardizzazione delle capacità di lavoratori: si specifica il tipo di formazione richiesta.
  • Standardizzazione dei processi produttivi

Il passaggio da un meccanismo all’altro è determinato dall’aumento della complessità delle attività svolte, considerando come ultimo meccanismo il ritorno al n. 1 adatto sia a condizioni molto semplici come a condizioni molto complesse.
Le parti che compongono un’organizzazione sono:

  • Nucleo operativo
  • Tecnostruttura
  • Linea intermedia
  • Staff

  • Vertice strategico
Figura 13 – Le cinque parti fondamentali dell’organizzazione

 

Il terzo elemento di riferimento della progettazione organizzativa è la modalità di analisi del funzionamento del flusso di potere:

  • Sistema di autorità formale
  • Sistema di flussi regolati
  • Sistema di comunicazioni informali
  • Sistema di costellazioni di lavoro
  • Sistema di processi decisionali ad hoc

Possiamo adesso definire i parametri della progettazione organizzativa:

  • Progettazione delle posizioni individuali. I parametri sono:
    • ampiezza o specializzazione orizzontale delle mansioni: il lavoratore svolge una varietà di compiti connessi con l’ottenimento di prodotti e servizi;
    • profondità o specializzazione verticale delle mansione: separa l’esecuzione dalla direzione del lavoro, cioè l’esecuzione dal controllo;
    • formalizzazione del comportamento: può essere ottenuto attraverso la mansione, il flusso di lavoro o le regole. Viene attuata per prevedere e controllare il lavoro. Tale formalizzazione è più spinta nelle organizzazioni burocratiche che in quelle organiche, quindi viene applicata maggiormente nelle attività stabili e ripetitive (minori nel nucleo operativo);
    • formazione: capacità e conoscenze connesse a una mansione
    • indottrinamento: processo di acquisizione delle norme organizzative proprie di un’organizzazione.
  • Progettazione della macrostruttura: l’individuazione dei compiti e la loro aggregazione in posizioni avviene con una procedura top-down, mentre la progettazione di come queste posizioni vengono unite in unità superiori avviene from bottom top up. I parametri sono:
    • raggruppamento in unità: favorisce la supervisione direta ed il reciproco adattamento fra le posizioni all’interno di un’unità. E’ la base per la standardizzazione degli output perché fornisce undici comuni di performance. Differenzia le diverse unità sfavorendo il coordinamento. Una distinzione può essere fatta tra:
      • raggruppamenti in base ai fini o alle caratteristiche dei mercati serviti;
      • raggruppamenti in base ai mezzi o funzioni utilizzate per produrre.

La scelta per le basi di raggruppamento va fatta tenendo conto delle interdipendenze tra:

      • flussi di lavoro
      • processi di lavoro
      • interdipendenza di scala
      • rapporti sociali

I raggruppamenti del 1° ordine tendono ad essere su base funzionale, i raggruppamenti manageriali su base di mercato.

    • dimensioni delle unità: i fattori che spingono verso l’aumento delle dimensioni sono:
      • standardizzazione
      • similarità dei compiti
      • bisogni di autonomia dei dipendenti
      • necessità di ridurre le distorsioni nelle informazioni che risalgono la linea gerarchica.

I fattori che spingono verso la diminuzione delle dimensioni sono:

      • esigenze di stretta supervisione diretta
      • necessità di adattamento reciproco fra compiti complessi ed interdipendenti
      • estensione dei compiti ce il capo deve svolgere oltre alla supervisione diretta
      • necessità di numerosi contatti tra capo e addetti.

Le dimensioni più elevate si trovano nel nucleo operativo.

  • Progettazione dei collegamenti laterali. I parametri sono:
    • sistemi di pianificazione e controllo: sono progettati nella tecnostruttura degli analisti. Si possono distinguere:
      • sistemi di controllo delle performance: è particolarmente intenso nelle unità raggruppate in base al mercato dove le interdipendenze sono generiche. Viene usato sia a fini di valutazione che a fini di motivazione.
      • pianificazione dell’azione: rappresenta il mezzo per gestire decisioni ed azioni non di routine nelle unità raggruppate su base funzionale.

Più le responsabilità sono di carattere globale più le unità tendono a controllare la performance complessiva piuttosto che le azioni specifiche.

    • meccanismi di collegamento: essi sono incorporati di solito nell’organizzazione formale e tendono a favorire i rapporti tra le persone. Il loro utilizzo riduce la dimensione media delle unità. Dando luogo ad una proliferazione di manager. Sono tipici delle organizzazioni organiche e specialmente per attività specializzata orizzontalmente, complesse e molto interdipendenti. Sono molto usati ai livelli intermedi della struttura. Si distinguono:
      • posizioni di collegamento
      • task forces e comitati
      • manager integratori o posizioni di collegamento con autorità formale sui processi decisionali, ma mai sulle persone
      • struttura a matrice: rinuncia al principio dell’unità di comando. Si distinguono:
      • struttura permanente, quando le interdipendenze sono stabili;
      • struttura temporanea per progetti specifici.
  • Decentramento verticale e orizzontale: una struttura sarà accentrata se il potere decisionale è in un unico punto. L’accentramento permette di coordinare l’assunzione delle decisioni fintanto che per motivi locali o di motivazione non é più opportuno decentrare e diffondere il potere. Il decentramento può essere selettivo se il potere si colloca in punti diversi dall’organizzazione, oppure parallelo se ad uno stesso punto sono assegnate le decisioni su molte questioni. Il decentramento è massimo quando il decision maker controlla solo la fase della scelta; egli perde potere in favore di chi raccoglie le informazioni, le elabora per consigliarlo, ne autorizza la scelta e ne esegue la volontà. I parametri sono:
    • decentramento verticale: si delega il potere lungo la gerarchia di autorità. Il decentramento selettivo è logicamente associato con costellazioni di lavoro la cui base di raggruppamento è di tipo funzionale. Per il coordinamento delle costellazioni di lavoro si ricorre al reciproco adattamento. Il decentramento parallelo garantisce autonomia alle imprese divisionalizzate, In questo caso: il coordinamento è gestito attraverso il sistema di controllo delle performance. La divisione è una forma limitata di decentramento verticale.
    • Decentramento orizzontale: si delega il potere allo staff, agli analisti, agli oratori. Il decentramento è configurabile in 4 tipologie:
      • una sola persona
      • pochi analisti
      • esperti
      • tutti

Il potere ad una sola persona configura il max accentramento.
Il potere a pochi analisti che standardizzano le attività di tutti è un decentramento limitato che riduce il potere dei manager di line di livello inferiore.
La supervisione diretta rappresenta il meccanismo di coordinamento più accentratore, il reciproco adattamento quelle umano.
Il potere agli esperti determina una organizzazione che in misura elevata si affida alla conoscenza specialistica, Si possono distinguere:

      • potere informale agli esperti e linea tradizionale di autorità
      • potere formale agli esperti
      • potere agli operatori in quanto esperti

Il potere a tutti rappresenta un’eccezione ristretta a poche organizzazioni democratiche di volontariato.
Risulta quindi possibile identificare 5 tipi di decentramento:

      • accentramento verticale e orizzontale
      • decentramento orizzontale selettivo limitato
      • decentramento verticale parallelo limitato
      • decentramento orizzontale e verticale selettivo
      • decentramento orizzontale e verticale

Una progettazione organizzativa efficace richiede una coerenza tra il complesso dei parametri di progettazione ed il complesso dei fattori contingenti. Questa va sotto il nome di configurazione allargata, unione delle ipotesi di conseguenza tra i parametri progettati ed i fattori contingenti e di configurazione come coerenza tra i parametri progettati: I principali parametri contingenti sono:

  • Età: è possibile individuare due ipotesi fondamentali:
    • Maggiore è l’età dell’azienda, maggiore è la formalizzazione del comportamento
    • L’organizzazione riflette l’epoca di costituzione del settore.
  • Dimensione: è possibile individuare 3 ipotesi

c)    maggiore è la dimensione aziendale, più articolata è la sua organizzazione e più sviluppata è la componente direzionale

  • maggiore è la dimensione aziendale, maggiore è la dimensione media delle unità organizzative
  • maggiore è la dimensione dell’azienda, più elevata è la formalizzazione del comportamento.

III.  Sistema tecnico: è possibile individuare 3 ipotesi

  • maggiore è il grado di regolazione del sistema tecnico, più l’attività operativa è formalizzata e più l’organizzazione del nucleo operativo è’ burocratica
  • più il sistema tecnico è sofisticato, più articolata è la struttura operativa: più ampio e professionale è lo staff, maggiore è il decentramento selettivo a tale staff e più elevato è l’utilizzo dei meccanismi di collegamento al suo interno.
  • L’automazione del nucleo operativo trasforma una struttura direzionale burocratica in organica.

Secondo la ricerca della Woodward è possibile evidenziare:

  • Produzioni di unità o di piccola serie
  • Produzione di grande serie o di marca
  • Produzione di processo

IV.  Ambiente in questo ambito si possono individuare:
i)     stabilità

                • complessità
                • diversità dei mercati
                • ostilità

E’ possibile individuare 5 ipotesi:

  • più l’ambiente è dinamico, più l’organizzazione è organica
  • più l’ambiente è complesso più l’organizzazione è decentrata
  • più i mercati sono diversificati, più l’organizzazione tende a strutturarsi per mercati (a meno di rilevanti economie di scala)
  • l’elevata ostilità dell’ambiente spinge le aziende ad accentrare temporaneamente le proprie attività
  • l’eterogeneità dell’ambiente spinge l’azienda a decentrare in modo selettivo a costellazioni di lavoro diverse.
    • Potere: è possibile individuare tre ipotesi:
  • maggiore è il controllo esterno sull’azienda, più la sua organizzazione è accentrata e formalizzata
  • il bisogno di potere dei membri dell’azienda tende a determinare organizzazioni eccessivamente accentrate
  • la moda favorisce l’organizzazione del momento (e in linea con la cultura, anche quando non è appropriata).

Le combinazioni degli elementi considerati (meccanismi di coordinamento, fattori contingenti, parametrici progettazione) tendono a combinarsi secondo 5 tipologie ideali:

        • struttura semplice:

il vertice aziendale spinge per l’accentramento, il coordinamento avviene per supervisione diretta

        • burocrazia meccanica:

la tecnostruttura spinge per la standardizzazione delle attività produttive, il decentramento selettivo limitato orizzontale

        • burocrazia professionale:

il nucleo operativo promuove il decentramento orizzontale e verticale per minimizzare l’influenza della direzione e agire autonomamente

        • soluzione divisionale:

i manager della linea intermedia ricercano l’autonomia spingendo per un decentramento verticale limitato e la standardizzazione degli output

        • adhocrazia:

lo staff di supporto spinge per l’organizzazione con costellazioni, un decentramento selettivo del potere ed adattamento reciproco.

LA STRUTTURA SEMPLICE:
La tecnostruttura è assente, vi sono pochi addetti allo staff di supporto. L’ampiezza di controllo al vertice è elevata. La divisione del lavoro non è rigida, la differenziazione tra le unità è minima. E’ assente una forza lavoro professionalizzata. La gerarchia manageriale è poco sviluppata come la formalizzazione del comportamento, la pianificazione, la formazione e l’uso dei meccanismi di collegamento.


Figura 14 – La struttura semplice

 

Il coordinamento è del tipo supervisione diretta. Il potere è accentrato al vertice. Il processo decisionale è flessibile e rapido. Esiste un forte sentimento di identificazione nell’impresa.
Essa si presenta o nelle aziende giovani (può permanere indefinitamente anche nelle piccole imprese) o nelle aziende in crisi.
Si distinguono le forme di:

      • organizzazione sintetica: crisi temporanea
      • organizzazione autocratica: accumulazione del potere senza formalizzazione
      • organizzazione carismatica: il leader acquisisce potere per meriti.

Esiste confusione tra problemi strategici e operativi. E’ molto vincolante per le ambizioni professionali degli addetti.

La burocrazia meccanica
I compiti operativi sono molto specializzati e di routine con procedure formalizzate nel nucleo operativo impostato in unità di grandi dimensioni raggruppate su base funzionale. Il coordinamento si ha con la supervisione diretta.
La tecnostruttura è la parte fondamentale, costituita dagli analisti delle procedure di standardizzazione del lavoro. Il processo decisionale, che si sviluppa lungo la linea di autorità, è piuttosto accentrato, anche per la disponibilità di informazioni. Le unità operative sono molto differenziate ed è accentuata la divisione del lavoro.
I manager di line hanno l’autorità formale, lo staff consiglia. L’organizzazione è ossessionata dalla necessità di controllo. Questi sistemi sono necessari per abbassare la continua conflittualità esistente a tutti i livelli.


Figura 15 – La burocrazia meccanica

Il vertice aziendale è in parte assorbito dalla gestione dei conflitti. Esiste un forte ricorso alla pianificazione dell’azione. E’ caratteristica di ambienti stabili e semplici, di aziende mature di dimensioni elevate e con sistemi tecnici ad alto grado di regolazione, ma non automatizzati. Si osservano le seguenti forme di burocrazia:

      • semplice: in assenza di struttura direzionale articolata
      • meccanica pubblica: enti pubblici
      • di controllo: corpi di polizia
      • di sicurezza: aziende di trasporto aereo
      • per le contingenze: pompieri

In caso di controllo esterno tutte le organizzazioni tendono a diventare burocratiche.

I problemi principali di questa struttura sono nelle motivazioni ed aspettative del lavoratori.
Le eccezioni vengono fatte risalire lungo la gerarchia sino a trovare il manager che ha il potere di decidere. Ciò provoca un forte aggravio del carico decisionale della direzione che diventa opprimente quando è anche necessario prendere delle decisioni strategiche. Si desume quindi che la struttura non è in grado di modificare la propria strategia tempestivamente.

La burocrazia professionale:
Il nucleo operativo è la parte fondamentale. Lo staff è sviluppato ma è al servizio del nucleo operativo. E’ un’organizzazione decentrata orizzontalmente e verticalmente. Nel nucleo operativo ci sono solo professionisti, con capacità standardizzate, che controllano il loro lavoro ma anche le decisioni amministrative e direzionali che li riguardano. La line intermedia è poco sviluppata ed è composta da professionisti del nucleo operativo che dedica molto tempo alla gestione delle varianze che si manifestano nell’organizzazione. Essi svolgono anche una funzione di rappresentanti con l’ambiente esterno. Essi detengono potere in quanto ottengono
appoggi e finanziamenti dall’ambiente esterno per le attività operative.

Figura 15 – La burocrazia professionale

 

Le strategie collettive coincidono con quelle dei singoli a meno delle attività specifiche cumulate nel tempo da ciascuno. L’ambiente è complesso e stabile, cioè con procedure difficili da apprendere ma sostanzialmente non mutabili nel tempo. Nella struttura pura il sistema tecnico è semplice. Si osservano le forme di:

      • burocrazia professionale dispersa: Cia
      • burocrazia/adhocrazia professionale: ospedali
      • burocrazia professionale semplice: orchestra sinfonica

Non esistendo alcun controllo diventa difficile rimediare le deficienze. Il coordinamento tra staff e professionisti e tra questi stessi è difficile.
La discrezionalità consente ai professionisti poco coscienziosi di non tenere conto delle esigenze di clienti ed azienda. E’ un’organizzazione rigida poco adatta alle innovazioni. Il tentativo di controllare le attività non è adatto per compiti complessi e turba la libera relazione tra cliente e professionista.

La soluzione divisionale:
Il raggruppamento delle attività al vertice è in base al mercato. La scarsa interazione minimizza le necessità di coordinamento.
L’ampiezza di controllo del vertice strategico è elevata. Si ha un decentramento verticale limitato parallelo. E’ piuttosto accentrata.
Il principale meccanismo di coordinamento è la standardizzazione dell’output, il parametro di progettazione organizzativa è il sistema di controllo delle performance.
La direzione controlla le divisioni con la supervisione diretta. All’interno le divisioni tendono ad organizzare come burocrazia meccanica.

 

Esiste una rigida divisione del lavoro tra direzione centrale e divisioni, le comunicazioni sono formali i rapporti personali sono limitati per non perdere potere.
La direzione centrale ha il potere di gestire il portafoglio strategico e di allocare le risorse finanziarie, inoltre la direzione ha il potere di controllare le performance e di nominare e sostituire i responsabili delle divisioni. Le visite periodiche consentono alla direzione un controllo personale. Viene adottata in presenza di mercati di verificati ed essa stessa spinge alla diversificazione.
La divisionalizzazione è attuabile quando il sistema tecnico può essere diviso in parti. E’ presente in ambienti poco complessivi e poco dinamici.
Il suo utilizzo viene ritardato dall’assenza di pressione competitiva. All’aumentare della dimensione e dell’età le impreso sono portate a diversificare e a divisionalizzare. I manager di line intermedia spingono per questa struttura per acquisire potere.
La soluzione divisionale adottata dopo una diversificazione strategica favorisce un’efficiente allocazione dei capitali all’interno dell’impresa, forma generale manager, ripartisce i rischi ed aumenta l’elasticità strategica.
Viene vanificata quando i manager della direzione tendono ad accentrare alcune funzioni importanti, rendendo di fatto vane le azioni delle divisioni.
In questa soluzione il consiglio di amministrazione perde il potere di controllo perché non dispone delle informazioni necessarie.
Il potere dei manager di divisione è inferiore a quello di un’impresa indipendente. Protegge le attività in periodi di congiuntura sfavorevole, ma così facendo protegge anche business non competitivi.
Il sistema di controllo delle performance è assolutamente indifferente alle modalità di ottenimento dei risultati, quindi eventuali conseguenze sociali delle attività della divisione vengono ignorate.
E’ una forma instabile che oscilla tra imprese indipendenti e ritorno all’accentramento funzionale. Le grandi dimensioni assunte dalle imprese e la spinta esercitata dalla divisionalizzazione all’ingrandimento costituiscono un pericolo per il normale svolgersi delle forze di mercato, e socialmente spesso spingono ad una maggiore burocratizzazione. Le fasi di sviluppo possono essere da impresa integrata a impresa integrata con prodotti intermedi, a impresa con prodotti correlati a impresa conglomerata.

L’adhocrazia:
E’ adatta per innovazioni complesse o sofisticate perché in grado di fondere esperti di discipline diverse inarmonici gruppi di progetto ad hoc.
E’ un’organizzazione organica, con scarsa formalizzazione, elevata specializzazione orizzontale delle mansioni conformazione di tipo formale. Raggruppamento su base funzionale, ma utilizzo in piccoli gruppi interfunzionali per progetto.
Coordinamento attuato tramite reciproco adattamento. Decentramento selettivo ai gruppi in un’organizzazione e matrice. Non esiste unità di comando, i processi informatici e decisionali sono flessibili ed informali.
Il potere è degli esperti e dei professionisti, ma non esiste standardizzazione delle capacità perché ciò inibirebbe l’innovazione. Sono molto utilizzati i meccanismi di collegamento laterali. Ci sono due forme:

  1. Adhocrazia operativa: rinnova e risolve i problemi per il cliente
  2. Adhocrazia amministrativa: realizza i progetti per se stessa.

 

 

In 1) l’attività direzionale ed operativa tendono a fondersi. In 2) le precedenti sono nettamente distinte. Il nucleo operativo viene automatizzato, oppure ceduto ad altri, oppure viene gestito in maniera burocratica.
La distinzione tra line e staff sfuma e quest’ultimo assume primaria importanza. La tecnostruttura è assente. Questa configurazione non è stabile e con l’età tende a burocratizzarsi. E’ fonte di conflitti determinati dalle scelte, ma questi vanno gestiti ai fini produttivi e non eliminati. Il vertice, strategico ha la primaria funzione di collegamento con l’esterno oltre che di controllo dei progetti.
Le multinazionali le cui linee di prodotto sono interdipendenti e che affrontano un ambiente caratterizzato da complessità e dinamismo crescenti saranno spinte verso l’ibrido dell’adhocrazia divisionale.Nelle piccole imprese ad alta tecnologia si ha l’ibrido della adhocrazia imprenditoriale.
Quando il prodotto varia continuamente a causa della competitività dei mercati e della rapidità obsolescenza dei prodotti si ha una adhocrazia competitiva, fondata su tempi di risposta rapidissima determinati da una perfetta conoscenza dei mercati.
I principali problemi sono:

  1. ambiguità rispetto alle mansioni, al comando, che genera confusione, scarsa lealtà, programmazione lacunosa della formazione;
  2. inefficienza nei riguardi di attività ordinarie e di routine, anche per gli elevati costi di comunicazione e di decisione, e nella saturazione del tempo di lavoro del personale;
  3. transizioni inappropriate verso soluzioni che non sono confacenti alla struttura innovativa.

Mintzberg conclude ricordando che si sono riportati tipi ideali o puri. Rimane il problema di dove possano essere riscontrati. E’ ovvio che ogni configurazione è una semplificazione che minimizza la complessità delle strutture organizzative. Alcune strutture reali si presentano in modo diverso. Alcune sono una transizione da un tipo puro all’altro, in conseguenza di una mutata situazione. Altre presentano strutture che possono essere descritte come un ibrido di configurazioni. Mintzberg sottolinea come le cinque tipologie individuate rappresentano una struttura concettuale da utilizzare per comprendere il comportamento organizzativo, e come e perché esse cambiano nel tempo.

sono:

Fonte: http://www.dica.unict.it/users/aancaran/eoa_inf/Appunti_Organizzazione.doc

Sito web da visitare: http://www.dica.unict.it

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Il cambiamento organizzativo nel mondo del lavoro

 

 

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