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La gestione per l’impresa di successo
V.1. Il marketing
Che cosa è il marketing? Qual è il suo ruolo all’interno dell’impresa? E’ cambiato nel tempo il ruolo del marketing all’interno dell’impresa? Quali sono i principali processi che caratterizzano il marketing?
A queste domande si cerca di dare una risposta nei punti seguenti precisando tuttavia che il marketing costituisce un campo di approfondimento specifico che merita ben altra attenzione di quella che si può riservare in un corso di Economia e gestione delle imprese.
Ecco perché qui di seguito ci si sofferma sui seguenti punti:
- il significato del termine marketing;
- i campi di applicazione del marketing;
- la funzione di cerniera svolta dal marketing per instaurare proficue relazioni tra l’impresa e i contesti di riferimento;
- l’evoluzione del ruolo del marketing nell’impresa;
- i contenuti del processo di marketing.
In inglese le parole che finiscono con la desinenza “ing” indicano un’azione, tanto che il tempo del verbo che le caratterizza si chiama “presente progressivo”. Marketing, pertanto, è una parola che implica azione, qualcosa in divenire. Ecco perché una traduzione precisa della parola “marketing” risulta alquanto problematica, tanto che le definizioni che negli anni sono state proposte dai diversi autori sono assai numerose (Fiocca, Sebastiani, 2010, p. 2). In ogni caso, il senso generale del termine è quello relativo alle modalità attraverso le quali un’impresa cerca di legittimare la propria esistenza presso i potenziali clienti, facendosi preferire nella loro scelta d’acquisto per farli diventare propri clienti. Fare marketing, pertanto, è qualcosa che si deve tradurre in analisi, decisioni e azioni la cui efficacia è misurata direttamente dalle vendite che l’impresa riesce a realizzare nel tempo con la propria offerta per dare risposte risolutive ai numerosi, crescenti e mutevoli bisogni espressi dalle persone e dalle organizzazioni di qualsiasi tipo.
Tradizionalmente il termine marketing è utilizzato rispettivamente per:
Il problema di capire il significato del termine marketing, pertanto, non è tanto di tipo sintattico quanto di tipo semantico: la comprensione profonda del concetto di marketing consiste nel fare propria una modalità con la quale l’impresa decide di interagire col mercato, rappresentato dalla pluralità di potenziali clienti e con le azioni poste in essere per ottenere questo risultato. Ecco perché “nelle imprese che ambiscono a detenere posizioni competitive eccellenti, l’orientamento al mercato ed al cliente assurge da elemento strumentale ad indirizzo metodologico, tendendo a pervadere ogni funzione aziendale e comportando l’elezione del marketing ad un ruolo di coordinamento e di integrazione interfunzionale” (Barile, Pastore in Golinelli, 2002, p. 188). La scelta delle modalità relazionali più appropriate per rapportarsi con il mercato non è né facile, né scontata: al contrario essa presuppone la considerazione congiunta di molteplici elementi, vari, variabili e indeterminati tali che l’esito delle decisioni assunte e delle conseguenti azioni non è prevedibile a priori.
A dimostrazione della difficoltà e della complessità del processo di marketing si consideri che non sempre le azioni di marketing poste in essere dalle imprese soddisfano pienamente i clienti e i consumatori e, conseguentemente, non sempre si traducono per l’impresa nella conquista del potenziale cliente in cliente effettivo. Secondo un’indagine ACNielsen e Ernest&Young del 2005, per esempio, negli USA si è riscontrata una difficoltà importante nel lancio di prodotti innovativi tanto che, per esempio, il tasso di fallimento di nuovi beni di consumo è stato del 95%. La consapevolezza della difficoltà di allestire azioni di marketing efficaci non sembra essere poi così diffusa, visto che un’altra indagine condotta da Bain & Company nel 2005 ha mostrato come mentre l’80% degli amministratori delegati delle imprese americane è convinta che la propria marca sia capace di creare una “customer experience” migliore delle altre, la verifica fatta con i clienti ha confermato questa ipotesi solo per una percentuale pari all’8% (Boaretto A., Noci G., Pini F.M., 2009).
Il marketing è nato nell’impresa per favorire l’accesso al mercato dell’impresa ma oggi, come è stato opportunamente evidenziato, è dappertutto (Kotler e Keller, 2009). Formalmente o informalmente, le persone e le organizzazioni sono impegnate in un vasto numero di attività nell’ambito delle quali il marketing svolge un ruolo spesso determinante ai fini del successo di quelle attività.
Il campo di applicazione del marketing è molto ampio, dal momento che esso trova applicazione sia nell’ambito dei rapporti tra imprese e clienti (business to consumer o B2C) che comprende il marketing dei beni e dei servizi di consumo, ma pure nell’ambito dei rapporti tra imprese o, più in generale, tra organizzazioni, definito marketing industriale (business to business o B2B) sia, ancora, nell’ambito più generale delle relazioni che coinvolgono le organizzazioni senza fini di lucro come i musei, le università, i partiti politici, le associazioni di volontariato, le stesse organizzazioni religiose, ecc. (si parla in questo caso di marketing sociale) (Lambin, 2008).
Peraltro, è anche facile osservare come alcuni degli strumenti propri del marketing siano utili anche a livello individuale dal momento che le persone, di norma, cercano di creare valore per se stessi e per i propri interlocutori, ricercando la legittimazione e la preferenza da parte di altri per ottenere un lavoro, per gestire un’amicizia, ecc. e questo lo fanno sviluppando le proprie capacità distintive, migliorando la propria capacità di comunicare se stessi, i propri obiettivi così da rendersi “utili” agli altri e creando, nel contempo, utilità per se stessi. Il marketing pertanto tende a configurarsi come qualcosa che pervade la società intera e che si avvale di concetti, tecniche, procedure e strumenti volti a migliorare i rapporti sociali tra individui e organizzazioni.
Forse potrebbero essere sufficienti queste brevi considerazioni per evidenziare come il campo di applicazione del marketing, più in generale, riguardi il rapporto tra persone, singole o associate, che cercano il modo più adatto per legittimarsi nel contesto sociale di riferimento del quale il mercato non è che una delle manifestazioni attraverso cui queste relazioni si manifestano. Secondo Winer “il marketing è utile e necessario ogni qualvolta un individuo o un’organizzazione si trovino dinanzi ad una scelta”. Non a caso, per esempio, Giampaolo Fabris nell’ultimo lavoro intitolato “Societing”, pone in evidenza come il marketing “se resta una disciplina aziendalistica non può che prendere consapevolezza, ed adeguarsi di conseguenza, dei crescenti risvolti sociali del suo operato. Perché di fatto dei prodotti/servizi che deve promuovere la dimensione segnica, di attribuzione di senso, di significato e significante è sempre più importante”. Secondo tale interpretazione “i consumatori non esistono” mentre esistono le persone con le quali le imprese devono dialogare. L’impresa, infatti “non può più disinteressarsi delle conseguenze sociali dei prodotti che mette in circolo, delle nuove responsabilità sociali ed etiche della marca/impresa”. I mercati si trasformano in questo modo in uno spazio di relazioni tra pari (Fabris G.P., 2009)
Approfondimento
La rilevanza della dimensione segnica si manifesta col fatto che il possesso di un bene o il consumo di un servizio è legato al significato che si attribuisce al marchio con il quale tale prodotto o servizio viene commercializzato. È per questa ragione che marchi come Dolce & Gabbana, piuttosto che Armani Jeans, Ferrari, Costa corciere, ecc. hanno la funzione di consentire a chi ne fruisce di identificarsi in qualche modo con il mondo di significati che ciascuno di questi marchi vuole esprimere. Ecco perché il brand (il marchio) rappresenta uno dei fattori distintivi più importanti sia dal lato del produttore che da quello del consumatore.
In un corso di economia e gestione delle imprese, tuttavia, l’interesse per il marketing riguarda in principal modo i rapporti tra imprese e tra queste e i clienti. In tale accezione il marketing, secondo l’American Marketing Association (AMA) has been defined an organizational function and a set of process for creating, communicating, and delivering value to customers and for managing customer relationship in ways that benefit the organization and its stakeholders (AMA, 2004). Secondo Pride e Ferrel il marketing è “il processo svolto per creare, distribuire, promuovere e prezzare beni, servizi e idee al fine di facilitare relazioni di scambio soddisfacenti con i clienti in un ambiente dinamico (Pride e Ferrel, 2004, ed. it: 2005). Un’altra definizione evidenzia che il marketing “è l’insieme delle conoscenze, delle competenze, delle attività e degli strumenti utilizzati dall’impresa, finalizzato alla comprensione, alle gestione e al controllo delle relazioni con il mercato” (Fiocca, Sebastiani, 2010, p. 2).
Da ciò si evince come il marketing concorre in modo distintivo al governo dell’impresa ma non è il governo dell’impresa (Burresi A., Aiello G., Guercini S., 2006). Tale contributo si estrinseca proprio “nell’orientare le scelte strategiche (e le conseguenti politiche operative) alla soddisfazione del cliente ed all’ottenimento di posizioni di vantaggio competitivo sostenibili nel tempo rispetto alla concorrenza” (Burresi A., Aiello G., Guercini S., 2006, p. XIII).
La funzione di marketing è stata definita come quella che “orienta e regola i rapporti di scambio con i mercati di sbocco, al fine di contribuire al conseguimento degli obiettivi di sviluppo e redditività dell’impresa a medio termine” (Di Bernardo, Gandolfi, Tunisini, 2009). Peraltro, “nelle imprese che ambiscono a detenere posizioni competitive eccellenti, l’orientamento al mercato ed al cliente assurge da elemento strumentale ad indirizzo metodologico, tendendo a pervadere ogni funzione aziendale e comportando l’elezione del marketing ad un ruolo di coordinamento e di integrazione interfunzionale” (Golinelli, 2002, p. 188)
Si tratta pertanto di una vera e propria funzione di confine, per il tramite della quale l’impresa non solo si distingue da altre imprese ma in base a tale identità cerca di costruire proficue relazioni con il contesto nel quale è inserita e, in particolare, con gli stakeholder rilevanti (clienti, fornitori, sistema creditizio e finanziario, ecc.). L’esercizio di tale funzione si sostanzia da un lato nell’individuazione di unità organizzative alle quale viene attribuito il compito di gestire determinati rapporti con le diverse componenti ambientali con cui l’impresa ha interesse o è “costretta”ad interagire.
Per il tramite del marketing l’impresa concepisce, “attiva, orienta e coordina l’interscambio di beni, servizi e informazioni tra l’impresa e i suoi mercati di sbocco” (Cozzi, Ferrero, 2004).
La funzione di confine, esercitata dai soggetti che a vario titolo ricoprono un ruolo nell’impresa, si sostanzia sia nella selezione di ciò che è funzionale alla stessa per la predisposizione della propria offerta da mettere a disposizione del proprio mercato di riferimento (energia, materie e materiali, persone, denaro, informazioni), sia nell’attivazione di relazioni con i diversi attori presenti nel mercato volte a legittimare la presenza dell’impresa nello stesso (si pensi in quest’ultimo caso che qualunque dipendente di un’impresa in contatto effettivo o potenziale con il pubblico svolge attività di marketing e questo indipendentemente dal fatto che ciò rientri o meno nelle sue competenze) (Winer, 2002).
L’esercizio della funzione di “selezione” opera sia in ingresso che in uscita: nel primo caso, per esempio, la rete di vendita che è a contatto diretto con il cliente finale acquisisce una moltitudine di informazioni, alcune utili e altre meno rispetto all’attività degli organismi di vertice dell’impresa; questo implica che essi non debbano semplicemente svolgere un lavoro routinario ma, al contrario dovrebbero essere capaci di operare con “intelligenza” in modo da scegliere tra le informazioni da trasferire affinché si eviti un sovraccarico di lavoro al management aziendale. D’altro canto la selezione opera anche in uscita dal momento che il management decide, stabilendo delle regole, le informazioni che ogni unità organizzativa può rilasciare all’esterno, così da assicurare una unitarietà di comportamento che se non ci fosse danneggerebbe la percezione dell’impresa presso il pubblico di riferimento.
Complementare all’attività di selezione è quella di collegamento per il tramite della quale l’impresa attiva e favorisce flussi informativi e di risorse verso l’esterno così da sviluppare e orientare l’integrazione dell’impresa nel contesto ambientale. Rientrano in tale ambito le attività di ricerca di mercato attraverso le quali l’impresa cerca di conoscere i bisogni, i desideri e le aspettative del mercato ma anche tutte le azioni di marketing con le quali l’impresa cerca di attivare proficue relazioni con i segmenti obiettivo di cui intende acquisire la preferenza.
Il marketing non ha una precisa data di nascita, tuttavia le sue origini possono farsi risalire all’inizio del secolo scorso nel passaggio tra il XIX e il XX secolo allorché la rivoluzione industriale della fine dell’800 e l’inizio del ‘900 hanno posto le imprese di fronte alla necessità di cercare nuovi sbocchi alle proprie produzioni. Più precisamente, sia su piano applicativo che teorico c’è sufficiente convergenza nel ritenere che le prime forme codificate di marketing siano apparse agli inizi del Novecento soprattutto negli Usa, mentre trovarono un più puntuale compimento nel periodo 1920 – 1940, a cavallo tra le due guerre mondiali (Cozzi G., Ferrero G., 2004; Fiocca, Sebastiani, 2010)
A prescindere dalla data precisa cui far risalire le origini del marketing certo è che nel tempo esso è stato oggetto di profonde trasformazioni determinate da varie circostanze quali, ad esempio, lo sviluppo scientifico e tecnologico che ha consentito nuove e più diversificate modalità di interazione tra imprese e clienti, la progressiva apertura dei mercati derivanti da accordi economici, monetari e politici in campo mondiale, dai cambiamenti sociali che hanno modificato valori, atteggiamenti e comportamenti di persone e organizzazioni. Si tratta di una trasformazione ben lungi dal potersi considerare conclusa, proprio perché va di pari passo con l’evoluzione del mondo e della società.
A posteriori e solo col senno di poi è possibile tracciare un percorso per fasi che metta in evidenza i tratti più significativi delle diverse caratteristiche assunte dal marketing dalle sue origini fino ad oggi. La conoscenza di tali fasi, tuttavia, non è semplicemente di tipo storico ma al contrario essa consente di evidenziare le diverse modalità/atteggiamenti con le quali le imprese possono interagire col mercato posto che certi atteggiamenti, comportamenti e azioni che pure storicamente è possibile collocare in un certo periodo possono presentarsi nei comportamenti di imprese esistenti oggi. Da qui la necessità didattica di evidenziarle per far capire come taluni di questi approcci al mercato possano risultare inefficaci dal punti di vista dell’ottenimento della preferenza da parte dei clienti potenziali cui l’impresa vorrebbe rivolgere la propria attenzione e la propria proposta di vendita.
Tale evoluzione, secondo Lambin, può essere misurata sulla base dell’intensità della concorrenza e del grado di maturità del mercato e può essere schematicamente riassunta nelle seguenti fasi:
Grafico 1 – L’evoluzione del concetto di marketing
Fonte: Elaborazione su schema tratto da Lambin e da Burresi, Aiello e Guercini
1.5.1. Il marketing passivo e l’orientamento alla produzione (o al prodotto)
Storicamente questo periodo è riconducibile ad un momento in cui la domanda era di gran lunga superiore all’offerta e il problema fondamentale delle imprese era quello di risolvere i problemi tecnici generati dalla necessità di riuscire ad aumentare le capacità produttive degli impianti per far fronte alle richieste del mercato. In tale situazione l’unico problema riguardante le relazioni con il mercato aveva per oggetto la gestione dei processi logistici volti a favorire il capillare raggiungimento dei mercati di sbocco delle produzioni realizzate.
Non è un caso che le competenze principali richieste dalle imprese in tale periodo fossero di tipo tecnico ingegneristico in cui gli obiettivi principali erano quelli della ricerca dell’efficienza produttiva, del contenimento dei costi, delle innovazioni di processo quale risultante della capacità creativa di esperti tecnici impegnati nella produzione di beni di largo e generale consumo a prezzi decrescenti. In questo periodo i principali contributi in tema di management sono proprio quelli di Frederick Taylor (negli USA) e di Henry Fayol (in Europa) che affrontarono il problema della gestione manageriale dei problemi delle imprese industriali.
In tale tipo di impresa non esiste neppure il problema di avere una organizzazione aziendale in cui fosse prevista la gestione di problemi legati alle relazioni con il mercato: sotto la direzione generale infatti di norma venivano costituite la direzione della Produzione, quella dell’Amministrazione e quella del Personale. Il servizio commerciale stava all’interno della funzione amministrativa e finanziaria ed era dedicato principalmente a sovrintendere l’amministrazione delle vendite e le attività distributive.
In questa situazione le imprese non hanno stimoli né sul versante dell’innovazione né su quello della differenziazione dell’offerta dal momento che i prodotti realizzati si propongono di soddisfare solo bisogni di base.
Alcuni autori (Burresi, Aiello, Guercini, 2006) evidenziano una ulteriore fase di sviluppo del ruolo del marketing denominata orientamento al prodotto differenziandola da quella orientata alla produzione perché dinamicamente la progressiva soluzione dei problemi legati al miglioramento dei processi di produzione fa si che la crescita delle quantità prodotte consenta all’offerta di avvicinarsi in termini quantitativi al livello della domanda e ponendo pertanto a ciascuna impresa il problema di affermazione della propria offerta su quella delle imprese concorrenti.
1.5.2. Il marketing orientato alla vendita
Il miglioramento delle capacità produttive delle imprese da un lato e l’aumento del reddito disponibile delle famiglie dall’altro, aveva dato luogo ad una nuova fase del ruolo del marketing: nuovi operatori si affacciano sul mercato e crescono in questo modo le quantità prodotte al punto che l’offerta cresce fino ad eguagliare le capacità di assorbimento del mercato. Ciò comporta la nascita della concorrenza tra le imprese che per acquisire la capacità di spendita dei consumatori devono adoperarsi per cercare di “spingere” la vendita delle proprie produzioni, fatto questo che avviene attraverso il crescente sviluppo della comunicazione pubblicitaria e delle altre forme di comunicazione personale e promozionali.
In tale approccio le imprese sono maggiormente impegnate nella promozione delle vendite e nell’organizzazione della distribuzione. Si tratta di una attività di vendita che in molti casi cerca di mettere sotto pressione il potenziale cliente attraverso strategia appropriate di comunicazione che oggi è possibile verificare soprattutto con riferimento a campi quali la vendita di enciclopedie, di prodotti assicurativi, di aspirapolvere o macchine a vapore per la pulizia della casa, ecc.
Storicamente si tende a collocare questo approccio nel periodo che va dal 1950 al 1965 (Cozzi – Ferrero, 2004, p. 48) e gli obiettivi perseguiti dalle imprese sono rappresentati dallo sviluppo delle vendite, dal ricordo della marca, dalla differenziazione psicologica dei prodotti mentre è del tutto marginale l’attenzione verso l’analisi dei bisogni da soddisfare, i mercati da servire, le tecnologie da adottare e i prodotti da realizzare in funzione di tali analisi.
1.5.3. l marketing orientato al cliente
Con questo approccio l’impresa sposta la sua prevalente attenzione dall’ambito interno a quello esterno: nasce in tal modo il marketing strategico attraverso il quale il cliente per la prima volta assume centralità nelle strategie delle imprese e diventa il soggetto intorno al quale si costruisce l’offerta. Questo cambiamento di prospettiva deriva sia dal processo di progressiva saturazione della domanda nei paesi in cui le famiglie dispongono di un reddito da destinare a consumi, sia dall’articolazione della domanda stessa che da conto dell’evoluzione della struttura sociale e della proliferazione e convivenza di stili di vita differenti.
Il ruolo del marketing si evolve nel senso che si pone, per la prima volta, il problema di capire le possibili motivazioni dei potenziali clienti in ordine all’acquisto di beni e servizi e, conseguentemente, quali sono gli elementi per acquisirne la preferenza. Nascono e si diffondono a questo punto le ricerche di mercato e dall’altro, le imprese adottano strategie di marketing mix in cui l’offerta è definita non soltanto dal prodotto in senso stretto ma da una molteplicità di elementi variamente combinati tra loro che consentono di differenziare l’offerta e di trovare posizionamenti differenti in relazione ai diversi segmenti di domanda individuati.
Attraverso l’analisi del mercato e, in particolare, dei bisogni dei clienti si comprende come questi ultimi non siano solo quelli di base e più frequenti nella popolazione considerata. Si scopre invece che oltre al “nucleo” centrale vi sono altri segmenti con bisogni diversi e altrettanto importanti da soddisfare: una volta saturato il nucleo centrale di mercato, le imprese più attente si accorgono di un potenziale non sfruttato rappresentato da quei consumatori le cui preferenze di consumo non hanno riscontro nel prodotto “medio” utilizzato per soddisfare il nucleo centrale. È così che ha origine la segmentazione che l’impresa può realizzare nei limiti in cui conosca il mercato in termini di bisogni espressi dai consumatori, di vantaggi ricercati dagli stessi nei prodotti e, conseguentemente, delle funzioni svolte dai prodotti esistenti nel mercato, così da poterne individuare di nuovi capaci di intercettare i bisogni non soddisfatti o non ancora emersi.
1.5.4. Il market-driven management e l’orientamento al mercato
L’approccio market-driven parte dall’analisi di ciò che l’impresa può fare e deve fare per decidere la strategia che meglio valorizza le capacità distintive in un quadro coerente con i valori della cultura aziendale e con le attese degli stakeholder. Questa prospettiva di analisi parte da un’attenta considerazione dei cambiamenti più significativi intervenuti nel contesto mondiale negli ultimi decenni (Lambin, 2008). In particolare meritano particolare attenzione i seguenti:
La differenza tra l’orientamento al mercato e quello al cliente del punto precedente è sostanziale benché alcuni autori e manager tendano a non fare distinzioni (Lambin, 2008). In particolare mentre l’orientamento al cliente considera quest’ultimo come elemento centrale di riferimento dell’azione dell’impresa, l’orientamento al mercato considera quest’ultimo come un “ecosistema” complesso del quale fanno parte non soltanto i clienti ma anche altri importanti attori quali i fornitori, i distributori, i prescrittori ovvero tutti coloro che caratterizzano i due principali sovra sistemi con cui l’impresa dovrebbe rapportarsi sincronicamente: quello della distribuzione e quello del consumo (Golinelli, 2002, p. 197).
Un’altra caratteristica dell’orientamento al mercato è che non basa la ricerca delle soluzioni da proporre ai clienti esclusivamente sulla base della domanda esistente (market-pull o marketing strategico di risposta), ma considera altresì i modelli innovativi legati allo sviluppo della tecnologia (market-push o marketing strategico proattivo).
L’affermazione dei valori ispirati alla sostenibilità trova spazio nella prospettiva dell’orientamento al mercato attraverso la considerazione congiunta di elementi valoriali, strategici e operativi, circostanza questa totalmente diversa dal paradigma dell’orientamento alle vendite (modello delle 4P) o dello stesso orientamento al cliente (che considera dimensione strategica e operativa ma trascura quella culturale riguardante i valori).
L’ultima caratteristica dell’orientamento al mercato è che proprio perché presuppone un’attenzione a tutti gli stakeholder, il marketing non possa essere relegato a mera funzione dal momento che essendo prima di tutto una filosofia di interpretazione delle relazioni tra attori essa pervada ogni livello e ogni funzione aziendale. In proposito è stato osservato che “la disciplina del marketing, nata da esigenze di natura commerciale, da compendio acritico di tecniche e strumenti finalizzati a promuovere le vendite, si è progressivamente evoluta includendo nel proprio ambito l’insieme delle modalità relazionali che l’impresa esprime sia al proprio interno che all’esterno” (Golinelli, 2002, 188)
Il marketing è talmente entrato nel linguaggio comune che gli “esperti” si moltiplicano a vista d’occhio, eppure è facile rilevare che non di rado questo è un termine spesso male utilizzato e ancor di più mal compreso (Lambin, 2008). Ciò porta taluni ad attribuire a tale termine contenuti che spesso sono riduttivi e non danno conto della complessità dello stesso, soffermandosi magari solo su alcuni degli aspetti caratterizzanti tale campo di studio e di azione.
In particolare, l’errore più frequente è quello di attribuire al marketing un contenuto limitato, per esempio, alla sola pubblicità e/o alle azioni promozionali, ovvero a quelle iniziative volte ad esercitare sul mercato una pressione finalizzata alla sola crescita delle vendite. L’impresa che pensasse al marketing esclusivamente in questi termini adotterebbe quello che viene definito un approccio “mercantile”, non rispettoso della complessità sociale e di mercato che negli anni è venuta a configurarsi.
Altra accezione riduttiva del contenuto attribuito al marketing si manifesta allorchè venga considerato solo come un insieme, spesso complesso e oneroso, di strumenti di analisi: si tratta, per esempio, dei metodi per la previsione delle vendite, per la individuazione dei “mercati obiettivo”, di modelli di simulazione e di ricerche di mercato volti a costruire un adeguato quadro conoscitivo dei bisogni espressi dal mercato, delle tecniche di segmentazione e posizionamento dei prodotti, ecc.
Una terza accezione del marketing di cui si da conto in letteratura è quella che considera lo stesso come “l’architetto della società dei consumi”, cioè, per dirla con le parole di Jean Jacques Lambin “il grande seduttore in un sistema mercantile nel quale gli individui sono oggetto di uno sfruttamento commerciale da parte del venditore” (Lambin, 2008, p. 4). In questa visione di tipo “socio-politico” si trova l’idea in base alla quale il marketing si caratterizzerebbe in termini di onnipotenza rispetto alla capacità di indurre gli individui consumatori ad avere continuamente nuovi bisogni i quali, per effetto della pubblicità e dell’azione persuasiva dei venditori, si troverebbero nella condizione di sudditanza di accettare qualsiasi cosa. La comunicazione, concepita indipendentemente da qualsiasi preoccupazione in ordine alla soddisfazione dei reali e concreti bisogni del cliente, sarebbe la leva sulla quale specializzarsi per ottenere tale risultato. L’attenzione dell’impresa pertanto viene riposta sul venditore e sul suo bisogno di aumentare il livello delle vendite. I dati citati in precedenza sul tasso di fallimento di nuovi beni di consumo e altri esempi proposti dalla letteratura ma pure riscontrabili nelle cronache di tipo economico e finanziario dimostrano che i consumatori non sono così sprovveduti e incapaci di resistere alle “tentazioni” provenienti dalle imprese.
Ciascuna delle indicate accezioni esprime una caratteristica del concetto di orientamento al mercato o di impresa “market-driven” e, più specificamente, una caratteristica di tipo culturale, una di tipo strategico e un’altra di tipo operativo. Queste tre caratteristiche, schematizzate nella figura seguente, esprimono se considerate congiuntamente, la complessità del processo di marketing.
La dimensione culturale (o filosofica) evidenzia come il marketing non sia una semplice funzione organizzativa o un insieme di tecniche e strumenti, quanto invece un approccio alle problematiche del rapporto tra impresa e ambiente. La dimensione culturale evoca “l’ampiezza del territorio disciplinare” tanto da affondare le proprie radici teoriche e operative in più discipline: economia, economia aziendale, economia e gestione delle imprese, ma anche sociologia, psicologia, statistica, informatica, storia economica, politica, diritto, ecc.
Figura 1 – Le caratteristiche del marketing nella prospettiva market-driven
Fonte: Adattamento da Lambin (2008)
In ogni caso il marketing si configura come un processo complesso che per consuetudine si distingue in marketing “strategico” e marketing “operativo”.
Nell’ambito del processo di marketing strategico si sviluppano tutte le attività finalizzate ad assumere decisioni che generano un impatto di lungo periodo e dalla cui correttezza dipendono le possibilità di successo o di insuccesso dell’impresa.
Con l’espressione “marketing strategico”, convenzionalmente, ci si riferisce a quell’insieme di conoscenze, competenze, attività e strumenti volti ad individuare e comprendere le caratteristiche dell’ambiente e del mercato in cui l’impresa opera. Tale processo si articola in diverse fasi logicamente interrelate in modo non lineare nel senso che lo svolgersi di ciascuna di esse può richiedere di retroagire su quelle già svolte, evidenziando in tal modo la complessità del processo stesso.
Le fasi in cui si articola il processo di marketing strategico possono essere schematizzate nel modo seguente:
L’analisi dei bisogni e del comportamento d’acquisto del cliente
Già si è precisato che la legittimazione ad esistere dell’impresa deriva dal fatto che i potenziali clienti si trasformino in clienti effettivi attraverso atti di acquisto ripetuti nel tempo. Affinché ciò avvenga l’offerta dell’impresa deve essere considerata da tali clienti superiore rispetto a quella di altre imprese: ciò avviene attraverso un confronto tra benefici percepiti e sacrifici percepiti che ciascuna offerta presente nel mercato origina nei confronti di chi deve scegliere. Quando il beneficio differenziale percepito (Cozzi, Ferrero, 2004) dell’offerta di un’impresa risulta superiore a quello di altre imprese vuol dire che essa è stata capace, più di altre, di soddisfare i bisogni di tali clienti.
Il Beneficio Differenziale Percepito
È determinato dal rapporto tra
Valore Differenziale Percepito
BDP =
Sacrificio Differenziale Percepito
Tale rapporto avviene ogni volta che il potenziale cliente/consumatore opera una scelta tra alternative. Il valore differenziale deriva dalla percezione del cliente e non necessariamente coincide con il valore creato dall’impresa nella predisposizione dell’offerta. Nello stesso modo opera il sacrificio differenziale che dipende dalla percezione del costo monetario e dagli altri costi di natura psicologica (legati per esempio al tempo, ecc) che il potenziale cliente/consumatore dovrà sostenere per l’acquisizione di quel bene o servizio.
Il problema fondamentale dell’impresa diventa allora conoscere e comprendere i bisogni, consapevoli e non consapevoli, dei potenziali clienti così da poter allestire offerte che possano conquistare la preferenza. Per poter conoscere tali bisogni l’impresa deve poter disporre di conoscenze e competenze utili a capire la natura dei processi cognitivi e comportamentali delle persone, sia considerate come singoli consumatori, che quando svolgono determinate funzioni con responsabilità all’interno delle organizzazioni di qualsiasi tipo. Nel primo caso le conoscenze proprie della sociologia, della psicologia e della psicologia sociale aiutano a conoscere e capire le motivazioni che stanno alla base delle scelte individuali delle persone, mentre nel secondo caso, occorre avere consapevolezza dei processi decisionali che caratterizzano entità organizzative complesse nelle quali il processo d’acquisto è la risultante del concorso di una pluralità di attori che Webster e Wind hanno individuato come “centro decisionale d’acquisto” (Webster, Wind, 1972).
Funzionale al processo di conoscenza continua dell’evoluzione dei bisogni è l’esistenza di un idoneo “Sistema Informativo di Marketing” (SIM) attraverso il quale l’impresa si organizza per acquisire elementi volti a conoscere piuttosto che interpretare i bisogni del cliente. Per il tramite di un adeguato Sistema informativo l’impresa riesce a far fruttare sia l’enorme base di dati aziendali che quotidianamente si producono per effetto della normale gestione e che vengono codificati nella contabilità aziendale, sia le informazioni acquisite per il tramite di una sistematica e continua attività di intelligence (investigazione), sia, ancora, quelle rilevate attraverso apposite ricerche di mercato realizzate utilizzando sia dati secondari che dati primari. Va da se che l’evoluzione tecnologica oggi consente la possibilità di acquisire dati e informazioni in modo più sistematico e continuo favorendo in tal modo analisi sempre più aggiornate rispetto alla dinamicità dei comportamenti dei diversi attori del mercato.
La definizione del mercato e la scelta delle aree strategiche d’affari nelle quali l’impresa intende operare
L’analisi dei bisogni consente all’impresa di assumere la prima decisione importante: quella relativa all’individuazione del mercato di riferimento nel quale intende operare e dei segmenti obiettivo cui indirizzare la propria offerta.
Questa prima fase prende il nome di “macrosegmentazione” ed ha origine dalla consapevolezza che non è possibile soddisfare tutti i bisogni dei clienti con un unico prodotto o servizio. L’analisi dei bisogni, infatti, consente di prendere consapevolezza del fatto che clienti diversi hanno interessi diversi, sono motivati da valori diversi, manifestano desideri e comportamenti d’acquisto e di consumo diversi, ricercano nei prodotti utilità diverse e benefici diversi. A tale diversità le imprese cercano di rispondere non più con prodotti “standardizzati” ma tendono a definire strategie di marketing indirizzate ad uno o più gruppi di clienti. Identificare questi gruppi significa realizzare il processo di segmentazione del mercato. Questa operazione, soggettiva, è tra le più complesse del processo di marketing poiché i criteri utilizzati per individuare i gruppi di clienti, di fatto, definiscono la scelta degli stessi segmenti in cui operare. La segmentazione, pertanto, definisce il campo d’azione dell’impresa, orienta la scelta e l’implementazione della strategia e determina le conoscenze e le competenze necessarie affinché le componenti organizzative della stessa operino in funzione del raggiungimento degli obiettivi prestabiliti.
La definizione del mercato di riferimento passa attraverso la ricerca di una risposta alle seguenti domande: quale è o quali sono i nostri settori di attività? In quale (o quali) di questi dovremmo operare?
Per trovare un’adeguata risposta a tali domande l’impresa non può che adottare un orientamento al mercato, proprio di chi fa dei bisogni dei clienti il punto di partenza imprescindibile per orientare anche le altre scelte di tipo organizzativo, tecnologico e operativo.
Partire dai bisogni dei clienti significa adottare un approccio volto a fornire, per il tramite del prodotto, una soluzione al bisogno del cliente: quest’ultimo non compra un prodotto in sé, quanto una soluzione ad un proprio problema di cui il prodotto ne rappresenta il mezzo.
La definizione del mercato, pertanto, deve poter tenere conto sia del bisogno che della soluzione: lo strumento più appropriato che consente di tener conto di entrambe queste prospettive è rappresentato dal modello di Abell che nel 1980 ha proposto uno schema tridimensionale per poter definire il mercato. Tale modello considera i gruppi di clienti da soddisfare, i bisogni da soddisfare e le tecnologie attraverso le quali soddisfare i bisogni dei clienti.
L’incrocio tra queste tre dimensioni definisce le diverse combinazioni “prodotto-mercato” o “aree strategiche d’affari” (ASA e in inglese SBU, strategic business unit). (si veda la fig. 2)
Figura 2 - Il modello tridimensionale di Abell per l’individuazione delle ASA
Fonte: Adattamento da Abell, 1980
L’individuazione delle aree strategiche d’affari nelle quali potenzialmente operare influenzerà le decisioni riguardanti il modo con cui l’impresa vuole stare nel mercato: scegliere una sola ASA, oppure più di una o ancora tutte (si tratta della decisione concernente le strategie di copertura del mercato di cui al successivo punto 5.1.4). Ovviamente la scelta di operare su una o più aree strategiche dipenderà dalle caratteristiche di ciascuna ASA in termini di attrattività (espressa da indicatori quali il livello della domanda primaria e del mercato potenziale, dal numero e dalle dimensioni delle imprese concorrenti che già operano in tale segmento, ecc.) e di competitività (rappresentata dalla individuazione delle competenze distintive che possono determinare un vantaggio nei confronti degli altri concorrenti) della stessa.
L’individuazione dei gruppi di clienti-obiettivo
Una volta che l’impresa ha scelto l’area o le aree strategiche d’affari nelle quali operare deve individuare al suo interno i singoli gruppi di clienti che richiedono prodotti con lo stesso “paniere di attributi”. Tale processo, definito di micro segmentazione, si basa sulla considerazione che all’interno della stessa combinazione prodotto-mercato, i clienti richiedano attributi di prodotto differenti. In particolare l’appartenenza di gruppi di clienti alla stessa area strategica significa che essi esprimono lo stesso bisogno in ordine alla funzione “base” del prodotto (per esempio il bisogno base di avere un mezzo per potersi spostare autonomamente), mentre la necessità di riferirsi all’interno di tale area strategica a gruppi di clienti diversi sta a significare che tra tali clienti vi sono dei gruppi che non si accontentano di un prodotto che soddisfa solo la funzione di base, ma ad esso richiedono la soddisfazione di altre necessità. Da qui scaturisce il processo di “micro segmentazione” che si fonda proprio sul concetto di prodotto come paniere di attributi.
Il prodotto come paniere di attributi
Il marketing considera il prodotto come un insieme di attributi, tangibili e intangibili dalla cui combinazione discendono vantaggi differenti per le diverse tipologie di clienti.
La definizione di cui sopra comprende:
- il prodotto fisico (l’oggetto offerto dal produttore);
- i servizi aggiuntivi che l’impresa utilizza per accompagnare il prodotto fisico;
- l’insieme dei vantaggi e/o benefici che il prodotto determina per i clienti o che questi ultimi si aspettano dallo stesso.
La considerazione del prodotto come “paniere” di attributi consente all’impresa di individuare la funzione base del prodotto, ma anche un insieme di altri elementi, secondari rispetto alla funzione base che in taluni casi possono essere necessari per la commercializzazione del prodotto e, in altri, invece aggiunti.
Sono proprio gli elementi secondari che consentono all’impresa di “differenziare” la propria offerta da quella degli altri concorrenti in modo tale da influenzare, spesso significativamente, le preferenze dei clienti.
Schematicamente Levitt (1980) propone i seguenti livelli di differenziazione:
prodotto generico: è il prodotto in senso stretto, l’oggetto o il servizio base;
prodotto atteso: si riferisce a quei servizi o elementi necessari per la commercializzazione del prodotto (si pensi al contenitore, senza il quale per esempio un prodotto liquido o in polvere non può essere venduto, o si pensi al servizio di reception per un albergo, senza il quale le camere non potrebbero essere agevolmente vendute o, ancora, alla qualità delle materie impiegate per la realizzazione del prodotto);
prodotto aumentato (o aggiuntivo): che considera caratteristiche del prodotto non considerate indispensabili per la funzione base ma che concorrono a differenziare lo stesso rispetto ad altri beni e servizi (si pensi per esempio alla possibilità di fornire un’automobile dotata di seggiolini per bambini già compresi nel prezzo base, ovvero al servizio di garanzia sul prodotto acquistato, o ancora alle modalità di pagamento o consegna personalizzate in ragione di specifiche esigenze del clienti, ecc.).
prodotto potenziale: fa riferimento a ulteriori caratteristiche che “potenzialmente” saranno in grado di attrarre i consumatori e che possono essere legate ad associazioni mentali riferibili ad uno status symbol, alla capacità di suscitare emozioni, all’identificazione con luoghi, culture, stili di vita ecc. che vengono considerati come espressione di valori ritenuti importanti.
Le aree di differenziazione del prodotto
Fonte: Adattamento da Levitt, 1980
Per poter individuare tali gruppi di clienti possono utilizzarsi classi diverse di variabili di micro-segmentazione: socio-demografiche (età, sesso, reddito, ubicazione geografica, ecc.), comportamentali (si fa riferimento in questo caso a domande quali “quando acquista”, “dove acquista”, “con quale frequenza”, “come utilizza il prodotto”, ecc.), basate sui benefici ricercati (il risparmio, il rispetto per l’ambiente, il modesto contenuto calorico, ecc.), socio-culturale o per stili di vita (con la quale si associano ai dati socio-demografici anche informazioni riguardanti l’insieme delle attività, degli interessi e delle opinioni caratterizzanti i consumatori, così da poter ricostruire “ritratti” più umani dei clienti).
Va da sé che ciascuna di queste classi di variabili presenta vantaggi e limiti e la scelta del tipo da utilizzare per distinguere i gruppi di clienti target è soggettiva ed ha natura contingente e dipende dal tipo di settore di attività e dal tipo di prodotto.
La scelta delle strategie di copertura dei mercati obiettivo
Una volta definite le aree strategiche e i gruppi di clienti target l’impresa sceglie se operare su tutto il mercato o su parti di esso.
La scelta di operare su tutto il mercato può essere una decisione da realizzare considerando lo stesso in modo indistinto (strategia di marketing indifferenziata o di massa), oppure distinguendo in esso due o più segmenti e decidere di operare su tutti con apposite strategie, diverse per ciascuno dei segmenti considerati.
Nel caso in cui l’impresa sceglie di operare solo su parti del mercato totale, essa potrebbe scegliere un solo segmento (strategia di focalizzazione o di concentrazione) oppure su due o più segmenti.
La scelta tra le diverse forme di copertura del mercato dipende da diversi elementi: le risorse interne all’impresa, il grado di omogeneità del prodotto, lo stadio del ciclo di vita del prodotto, il livello di omogeneità del mercato, le strategie dei concorrenti.
La scelta del posizionamento ricercato nei mercati obiettivo
A Ries e Trout (1981) risale la diffusione della parola “posizionamento”, da essi definito come “la concezione di un prodotto e dell’immagine allo scopo di dargli, nel giudizio del consumatore, un posto favorevole e diverso da quello occupato dai prodotti concorrenti”. Più recentemente, esso è stato definito come “la decisione dell’impresa relativa alla scelta del beneficio (o dei benefici) della marca che possono farle guadagnare un posto distintivo nel mercato” (Lambin, 2008). In questa definizione emerge un aspetto importante del prodotto, la marca, l’elemento cioè volto a favorire il processo di identificazione da parte dei clienti. Ecco perché la marca diventa il principale elemento di identificazione e quindi di posizionamento, dal momento che essa riassume tutti gli attributi propri dell’offerta.
La decisione inerente il posizionamento, pertanto, implica la ricerca di adeguate risposte alle seguenti domande: quali sono i benefici che derivano ai nostri clienti attraverso il ricorso alla nostra marca? Chi sono i gruppi di clienti interessati a questi benefici (e conseguentemente alla nostra marca)? In quali circostanze la nostra marca appare la più idonea a soddisfare i bisogni della clientela (occasioni d’uso e di consumo)? Nei confronti di quali altre marche la nostra si contrappone con le caratteristiche di cui è portatrice?
L’insieme di queste decisioni definisce la strategia di posizionamento le quali si basano sulla considerazione congiunta dei seguenti elementi (Lambin, 2008):
Le decisioni di cui sopra caratterizzeranno poi il processo di comunicazione con il quale l’impresa tenderà a far conoscere ai potenziali clienti le caratteristiche della propria offerta così da determinare in essi una chiara e definita percezione della stessa. Per il tramite di tale processo di comunicazione l’impresa cioè fa conoscere la propria identità così da “costruire” nella mente dei propri potenziali clienti una “immagine di marca” coerente con le proprie aspettative e obiettivi.
La scelta del posizionamento deve ispirarsi ad alcuni requisiti che Ries e Trout hanno ben evidenziato già nel loro articolo pubblicato nel 1981. Tali requisiti sono i seguenti:
La scelta del posizionamento, pertanto, è la base del programma di marketing operativo di cui al punto successivo. In particolare, le principali basi di posizionamento che la dottrina ha permesso di identificare sono evidenziate nel seguente riquadro (Wind, 1982; Stanton & Varaldo, 1986; Valdani, 1995; Cozzi Ferrero, 2004; …).
Le decisioni di nuovo posizionamento hanno natura contingente dal momento che la loro traduzione operativa, cui si fa riferimento nel successivo paragrafo, determinerà dei risultati (posizionamento attuale) che andranno sottoposti a valutazione e rispetto ai quali l’impresa potrebbe trovarsi nella condizione di assumere decisioni di riposizionamento.
Le basi di posizionamento identificate dalla dottrina
- gli attributi fisici del prodotto (es.: contenuto di sodio per un acqua minerale – Lete; produzione biologica di un alimento; ecc.);
- gli attributi simbolici del prodotto, derivanti dall’immagine, dalla reputazione dell’impresa, dalla specifica reputazione tecnologica, ecc.;
- i benefici offerti alla clientela, quali quelli derivanti, per esempio, dalla silenziosità, dal basso consumo energetico, dal valore estetico del bene, ecc.;
- le occasioni d’uso e/o le funzioni assolte dal prodotto;
- il prezzo relativo, che può essere alto o basso in relazione alle caratteristiche di come ci si vuole distinguere (es: Gucci, Cartier, Antonio Marras, Audi, Porsche, Ferrari per quanto riguarda prezzi alti, Lidl, Ikea, Ryanair per quanto concerne scelte di prezzi bassi);
- l’immagine percepita, spesso riconducibile alle caratteristiche degli utilizzatori (es.: complementi di arredo per la casa firmati “gente di Guzzini”; profumi firmati quali Light Blue di Dolce e Gabbana, Hugo Boss, ecc.);
- l’immagine derivante dal luogo di origine, valido con riferimento a diversi livelli territoriali, dal “made in” che identifica il Paese di origine (birra tedesca, tecnologia giapponese, design italiano, ecc.), fino a specifici contesti territoriali (es.: arance di Sicilia, pasta di Sardegna, ecc.).
1.6.2. Il processo di marketing operativo
Al marketing operativo compete l’insieme delle decisioni volte ad operativizzare nel breve termine le scelte strategiche sotto forma di combinazione delle diverse leve (o fattori) che stanno alla base del marketing mix. Per ciascuna delle leve si pongono problemi decisionali complessi inerenti gli obiettivi che ci si propone di raggiungere, gli strumenti da attivare per raggiungerli, le linee di azione alternative che si rende necessario adottare per far si che gli obiettivi si traducano in risultati.
Saranno proprio i risultati a determinare l’efficacia delle strategie e la bontà degli strumenti e delle linee di azione adottate.
Tradizionalmente le leve del marketing operativo sono quelle introdotte da Philip Kotler (195_) e note con l’espressione “4P” che stanno ad indicare product, price, place e promotion. Per ciascuna di queste leve l’impresa deve prendere decisioni appropriate e coerenti. Nota in proposito Collesei che “il marketing mix può essere descritto come il complesso degli strumenti a disposizione dell’impresa per introdurre, affermare e difendere una certa combinazione prodotto-mercato, strumenti che vanno correlati sia alle caratteristiche di quest’ultima, sia alle caratteristiche della domanda, degli intermediari commerciali, della concorrenza nel rispetto si intende dei vincoli presenti nell’ambiente” (Collesei, 2000, p. 572). Tale complesso di strumenti va reso sistemicamente unitario e coerente proprio in ragione delle molteplici interrelazioni che legano tra loro le diverse componenti. Il marketing mix si configura pertanto come un “abito su misura” da verificare nel tempo in ragione delle dinamiche interne ed esterne all’impresa.
Quanto al modello delle 4P va precisato che ciascuna leva in realtà rappresenta un’area decisionale complessa che a loro volta possono essere scomposte in ulteriori sotto combinazioni. Nel seguito si richiamano in sintesi le principali problematiche inerenti le quattro aree decisionali del prodotto, del prezzo, della distribuzione e della comunicazione.
Le scelte concernenti il prodotto
Il concetto di prodotto, come è stato messo in evidenza in precedenza può essere inteso in senso stretto (l’oggetto o il servizio base) o in senso ampio (il prodotto totale o il concetto di prodotto come paniere di attributi). Si è anche precisato che è quest’ultimo quello al quale fare riferimento per la definizione delle strategie di marketing mix.
Il prodotto come paniere di attributi rappresenta pertanto l’interfaccia che consente all’impresa di entrare in relazione con i clienti e attraverso il quale quest’ultima cerca di attrarre prima l’attenzione e poi la preferenza in ordine alla possibilità che esso possa risolvere i propri problemi.
Il prodotto si configura come la soluzione specifica e contingente al problema che il cliente manifesta in un particolare momento e in una particolare situazione (il bisogno derivato). La capacità del prodotto di essere “soluzione” ha valore pro-tempore, il che pone all’impresa il problema di verificare nel tempo la capacità dello stesso di rispondere a tali bisogni.
Si evince come il prodotto abbia un suo “ciclo di vita” tale per cui dopo il la sua introduzione nel mercato esso possa attraversare delle “fasi” che esprimono l’andamento delle vendite nel tempo (introduzione e lancio, sviluppo, turbolenza, maturità, declino).
In relazione alla fase nella quale si trova il prodotto l’impresa può definire attributi diversi e politiche di prezzo, di distribuzione e di comunicazione specifiche.
Grafico 2 - Il modello standard del CVP
Fonte: Lambin, 2008
Affinché l’impresa possa interagire col mercato in modo positivo deve necessariamente prevedere politiche di prodotto nell’ambito delle quali non soltanto ci si adopera per migliorare quelli esistenti, con l’introduzione di nuovi attributi o la modifica di quelli esistenti, ma anche per sviluppare nuovi prodotti, capaci di sostituire quelli diventati obsoleti o, anche di intercettare nuovi bisogni prima non soddisfatti. È per tale ragione da un lato l’impresa si trova a dover prendere decisioni con riferimento ai seguenti diversi ambiti:
a) la definizione di un “portafoglio” di prodotti con in quali operare nell’ambito di una o più aree strategiche d’affari;
b) la definizione di una politica dell’innovazione, attraverso la quale garantirsi nel tempo prodotti idonei a soddisfare le molteplici e mutevoli modificazioni della domanda;
c) l’attivazione di appropriate procedure di pianificazione volte a testare le nuove idee di prodotto prima ancora di attivare il processo di produzione industriale.
Le scelte relative alla marca e alla sua gestione
La marca svolge un ruolo strategico all’interno dell’impresa: per il suo tramite l’impresa definisce la propria “identità” e quella dei propri “prodotti” o “famiglie” di prodotti. Nel definire la propria identità, l’impresa favorisce anche il processo di identificazione da parte del mercato. La marca, pertanto, è un presupposto imprescindibile per essere riconoscibili e per potersi posizionare nel mercato.
La marca tende quindi ad evocare in modo sintetico nella mente dei consumatori una “storia”, un “vissuto”, un “mondo” (es: Nutella, Nike, Ferrari, Barilla); e sono proprio questi ricordi evocati che determinano il posizionamento della marca.
La marca, dal punto di vista tecnico, secondo l’American Marketing Association, può essere definita come:
“un nome, una parola, un simbolo, un disegno, una combinazione di questi elementi, finalizzata ad identificare un prodotto o un servizio offerto da un venditore o da un gruppo di venditori ed a renderlo differente da quello dei concorrenti” (AMA, 1960).
In base alla diversa natura delle imprese che la possiedono si può distinguere tra:
La marca svolge diverse funzioni sia verso il cliente che verso l’impresa. Tali funzioni, almeno con riferimento al mercato B2C sono riconducibili a quelle dello schema seguente.
Le funzioni della marca nei mercati B2C
Funzioni per il cliente:
Funzioni per l’impresa:
La marca si configura pertanto come uno dei fattori di marketing da gestire sia con riferimento alla definizione dell’identità, sia con riferimento alla sua immagine. La marca può riguardare l’impresa nel suo complesso (Barilla), oppure linee di prodotti (Il Mulino Bianco), o ancora singole referenze (Le Macine, i Rigoli, ecc.).
Le scelte relative al prezzo
Il prezzo è definito come:
la quantità di moneta o di credito monetario ceduta dall’acquirente al venditore in cambio di un prodotto.
Il prezzo, in altre parole, rappresenta da un lato il sacrificio sostenuto dall’acquirente per avere la disponibilità del prodotto, ma anche il valore attribuito allo stesso dall’impresa.
Questo duplice punto di osservazione (quello dell’impresa e quello del cliente) impone un’attenta valutazione delle decisioni sul prezzo: esso, in altre parole, deve essere determinato all’interno di una forbice i cui estremi sono rappresentati rispettivamente, dal costo sostenuto dall’impresa per la produzione e immissione del mercato del prodotto (soglia minima di prezzo) e dal valore percepito come “appropriato” dal cliente, al di sopra del quale viene meno la disponibilità a pagare (soglia massima di prezzo).
All’intero di tale forbice l’impresa fissa il prezzo in funzione degli obiettivi generali definiti nel piano di marketing (definiti dai volumi di vendita, dalle quote di mercato, dalla redditività, ecc.), della fase del ciclo di vita in cui si colloca il prodotto, del segmento di mercato cui si rivolge l’offerta, e delle caratteristiche degli altri fattori di marketing. Tali scelte configurano le politiche di prezzo che di volta in volta possono prevedere prezzi bassi, prezzi alti, prezzi last-minute, prezzi di penetrazione, prezzi di scrematura, ecc.
Diversi possono essere pertanto i metodi attraverso cui l’impresa decide il prezzo. In termini generali questi possono essere riconducibili a tre categorie:
Le scelte relative alla distribuzione
La distribuzione si configura come il processo mediante il quale il prodotto viene reso disponibile al cliente finale. In tale processo possono intervenire solo due attori (il produttore e il cliente) oppure possono inserirsi anche altri soggetti (definiti intermediari) il cui numero può variare in relazione a varie circostanze quali la natura del prodotto e la distanza geografica intercorrente tra produttore e consumatore.
Lo svolgimento del processo distributivo avviene pertanto all’interno di un “canale” definibile come:
una struttura formata da partner interdipendenti che mettono beni e servizi a disposizione dei consumatori o delle imprese industriali utenti (Lambin, 2008, p. 355).
Le funzioni svolte dai diversi intermediari all’interno del processo distributivo possono essere molteplici e sono riconducibili alle seguenti:
Nel corso del tempo il processo distributivo si è evoluto, soprattutto per effetto delle innovazioni tecnologiche che hanno riguardato lo svolgimento di tutte le funzioni poc’anzi indicate. Ciò ha dato luogo sia a processi di disintermediazione, sia a processi di nascita di nuovi intermediari, sia alla trasformazione del modo con cui le imprese intermediatrici si pongono sia nei confronti del mercato di consumo sia nei confronti degli stessi produttori.
Tipologie di intermediari
• Grossisti
• Dettaglianti
• Distribuzione integrata
• Nuovi discount alimentari
• Agenti
• Società di servizi
• Cybermediari
Nello stesso tempo occorre ricordare che nel campo della distribuzione si è sviluppato un processo di crescita delle imprese che hanno reso tali entità, spesso più “forti” sotto l’aspetto contrattuale di tante imprese industriali.
Ciò ha dato origine ad un “conflitto” tra industria e distribuzione, tutt’altro che risolto, dal momento che ciascuna di queste entità adotta strategie volte a conquistare la preferenza e la fidelizzazione del consumatore: da un lato l’impresa tende ad adottare strategie di brand loyalty (fedeltà alla marca), mentre il distributore tende a sviluppare strategie di store loyalty (fedeltà al punto vendita).
Per l’impresa industriale questa evoluzione impone particolare attenzione alle decisioni inerenti le modalità distributive: si sceglie di operare attraverso un solo canale o più canali? Si opta per alcune tipologie di intermediari o si ritiene di dover operare in canali diversi con intermediari diversi? Sono queste alcune delle domande cui il management aziendale deve trovare una appropriata risposta.
Le scelte relative alle modalità di comunicazione
Per comunicazione di marketing si intende il processo mediante il quale l’impresa entra in relazione con il mercato con l’obiettivo precipuo di far conoscere se stessa e la propria offerta, in armonia con le altre politiche di comunicazione di impresa.
Gli strumenti adottati a tale fine di norma sono riconducibili ai seguenti:
Ciascuno degli strumenti indicati consente di perseguire obiettivi di marketing specifici, dispone di proprie modalità operative e richiede conoscenze e competenze altrettanto specifiche. Alcuni degli strumenti sopra indicati sono di tipo impersonale (pubblicità, pubbliche relazioni, sponsorizzazioni), altre invece coinvolgono in modo personale il potenziale cliente (sia esso finale che intermediario).
La scelta de mix comunicazionale varia in relazione a diversi fattori ascrivibili sia a caratteristiche del mercato di riferimento (dimensioni, fase del ciclo di vita, ecc.), sia a caratteristiche proprie dell’impresa (storia, posizionamento competitivo, ecc.).
Il piano di comunicazione è il documento di programmazione che consente all’impresa di progettare la propria strategia di comunicazione in modo coerente e finalizzato.
Tale documento deve dare conto sia degli obiettivi che l’impresa si propone di perseguire, sia l’articolazione temporale del processo di comunicazione e il relativo piano di spesa necessario per realizzare quanto progettato.
Gli strumenti di comunicazione
Pubblicità
È una forma di comunicazione a pagamento e impersonale che si avvale di mezzi di comunicazione di massa quali giornali, radio, telefono, televisione, computer.
Obiettivi perseguibili possono essere: informare, persuadere, ricordare.
Promozione delle vendite
Sono tutte le attività dirette ad incentivare l’acquisto o la prova di beni e servizi.
Esse si caratterizzano per una durata temporale limitata e per l’esistenza di un chiaro vantaggio a favore del cliente.
L’obiettivo specifico di questo strumento è quello di sollecitare una risposta immediata da parte del cliente.
Le modalità operative possono assumere la forma di buoni omaggio, sconti, premi, concorsi, ecc.
L’azione persuasiva del personale di vendita
Consiste nella comunicazione esercitata dalla forza vendita ogni qualvolta entra in contatto con il cliente, sia per effetto di una azione di ricerca ad hoc, sia nella gestione di un punto vendita.
Essa è bidirezionale e adattabile alle caratteristiche del cliente.
Può essere persuasiva, ma anche informativa e comparativa.
Ha nella variabilità del personale di vendita l’elemento di maggiore criticità e richiede un aggiornamento continuo e costante degli stessi sia per favorire il processo di aggiornamento, sia per cercare di “standardizzare” il sistema delle conoscenze minime comuni, sia tecniche e che comportamentali.
Le pubbliche relazioni
“Comprendono le comunicazioni elaborate dall’impresa allo scopo di farne conoscere l’attività, le finalità e il valore e sviluppare un’immagine favorevole nella mente del pubblico generalmente inteso e, più in particolare, dei principali attori del mercato” (Lambin, 2008, p. 461).
Le sponsorizzazioni
Si collocano nell’ambito degli strumenti di comunicazione e promozione, attraverso le quali un’impresa fornisce un supporto, che può essere finanziario e/o di beni e o servizi in natura, ad un individuo, un gruppo o un’ organizzazione, al fine di permettere a questi di svolgere le loro attività e nel contempo di ottenere, in virtù dell’associazione dell’attività, della manifestazione o dell’evento sponsorizzato, al proprio nome e/o alla propria marca, soprattutto in termini di notorietà e di immagine complessiva verso i diversi pubblici di riferimento dell’impresa.
Un elemento cui prestare attenzione è dato dallo sviluppo delle tecnologie web che stanno progressivamente modificando il modo di comunicare delle imprese con il mercato: sempre più si va verso una comunicazione interattiva mentre si modifica il peso (anche in termini di budget assegnato) assunto da ciascuno degli strumenti tradizionali.
Le tre caratteristiche (o dimensioni) del marketing richiamate in precedenza (culturale, strategica e operativa) sono espressive di un approccio market-driven solo se si considerano congiuntamente, ma i contenuti relativi hanno necessità di essere continuamente rivisitati e adattati ai mutamenti ambientali in atto. Questo significa che “le pietre miliari del vecchio modo di fare marketing” rischiano di essere sconfessate dall’evoluzione scientifica e tecnologica in atto. In particolare, l’avvento di internet e, più specificamente, del web 2.0 e delle tecnologie “partecipative” ad esso legate, nonché l’evoluzione dei modelli sociali e culturali frutto del processo di progressiva apertura degli ambienti, dei processi di reciproca contaminazione culturale, sociale, politica, economica, ecc. stanno determinando profondi cambiamenti nei bisogni delle persone e nei loro comportamenti di acquisto e di consumo, così come altrettanti cambiamenti si stanno manifestando nel modo con cui gli individui interagiscono tra loro e con i diversi mezzi di comunicazione.
Questi cambiamenti, irreversibili, mettono in discussione i tradizionali modelli di marketing management o, quanto meno, ne richiedono una rivisitazione. Secondo un recente lavoro (Boaretto A., Noci G., Pini F.M., 2009, pp. VIII-IX) tra le cosiddette pietre miliari del tradizionale approccio di marketing management che rischiano di essere sconfessate vi sono:
A fronte della necessità di rivisitare concetti antichi e di introdurne di nuovi vi è l’esigenza di considerare con la giusta attenzione nuovi fenomeni che impattano per esempio sui modelli di analisi di mercato che, grazie alle moderne tecnologie della rete consentono di modificare i metodi di acquisizione delle informazioni sui comportamenti di acquisto e di consumo dei clienti, sui valori di riferimento che ispirano il loro essere clienti/consumatori e cittadini, ecc. Per il tramite di blog e social network per esempio è possibile mettersi in ascolto delle percezioni, delle opinioni,m delle attitudini inerenti non solo i comportamenti di acquisto e di consumo ma più in generale la loro stessa visione della società che cambia.
Particolarmente significativa è l’ipotesi fatta dagli autori citati in ordine ai modelli classici di definizione della value pro position fondati sulle tradizionali tecniche di segmentazione: i segmenti, infatti, quand’anche individuati in modo rigoroso non appaiono coerenti con “la volatilità” dei comportamenti di acquisto e di consumo delle persone. D’altro canto la crescita quantitativa di clienti consumatori più preparati e istruiti attribuisce loro una maggiore capacità di governo della relazione con le imprese, non più subita ma assai spesso da essi costruita e controllata. Se questo aspetto si ribalta sul comportamento richiesto alle imprese allora per esse il problema diventa quello di costruire e mantenere nel tempo relazioni affidabili e attrattive con i clienti/consumatori facendo si che siano essi stessi ad “autosegmentarsi” preferendo l’impresa che si pone, nel confronto competitivo, nella condizione di meglio soddisfare le loro aspettative.
Se il cliente/consumatore è una persona le cui scelte sono determinate da un insieme composito di circostanze interne al soggetto ed esterne ad esso è evidente che il suo comportamento si estrinseca in una condizione di razionalità contingente, nel senso che la coerenza di comportamento è all’interno della specifica situazione nella quale egli si trova ad operare.
Questo comporta che se si analizzano le sequenze di comportamento esse danno conto di un modo di operare “libero”, nel senso che egli “non segue più una sequenza univoca nell’utilizzo dei canali” ma li utilizza e li aggrega in relazione a specifici momenti e condizioni (Boaretto, Noci, Pini, p. 157).
A partire da queste modificazioni scaturisce il paradigma dell’open marketing i cui contenuti principali sono riconducibili all’innovazione e alla progettazione partecipata, che non possono essere gestiti secondo una prospettiva monocanale. Lo sviluppo di piattaforme collaborative presenti nel world wide web favoriscono progressivi processi di partecipazione di una folla di persone (crowd) rappresentata da clienti, fornitori, utilizzatori, progettisti, ecc. nonché di esternalizzazione di funzioni e processi (outsourcing): nasce da qui per esempio la nuova prospettiva del crowdsourcing, parola composta proprio dall’unione dei termini crowd e sourcing.
La multicanalità consiste pertanto nella possibilità di combinazione tra canali tradizionali e nuovi canali digitali. Da tale combinazione scaturisce un coacervo di opportunità di contatto per il cliente/consumatore il quale dal canto suo non si trova più nella condizione di “subire” passivamente i contenuti dei messaggi provenienti dai vari media ma, al contrario, egli “è in grado di creare e condividere contenuti utilizzando dispositivi e piattaforme diverse” sulla base dei suoi interessi, del suo sistema di valori e delle esigenze del momento. Ecco pertanto che il cliente consumatore diventa attore del processo di creazione del valore concorrendo in tale dinamica insieme a imprese ed altre entità organizzative.
È evidente che in tale contesto nel quale il cliente consumatore è profondamente cambiato rispetto a quello di qualche anno fa, le imprese hanno il problema di gestire questa nuova fase di complessità che, come si può ben immaginare, non è né scontata né prevedibile.
Fonte: http://econoca.unica.it/public/downloaddocenti/DISPENSA%20PARTE%20V.docx
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