Pubblico e privato nei mercati del lavoro

Pubblico e privato nei mercati del lavoro

 

 

 

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Pubblico e privato nei mercati del lavoro

1. L'evoluzione della normativa: dal vincolismo alla liberalizzazione.
Quello dell’intervento (dapprima solo pubblico) sul mercato del lavoro, è un ambito in continuo cambiamento, come del resto è in mutamento il generale contesto economico-sociale, che produce e accresce un grave squilibrio quantitativo e qualitativo fra domanda ed offerta di lavoro. Fino agli anni ’90 il perno centrale dell’intervento pubblico sul mercato del lavoro è stato il collocamento, inteso come sistema istituzionale-normativo predisposto per lo svolgimento dell’attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro, in vista della collocazione o assunzione di manodopera.
Nella fase precorporativa l’attività di mediazione fra domanda e offerta di lavoro era svolta contemporaneamente da agenzie private con finalità lucrativa, associazioni sindacali e strutture pubbliche. Con l’avvento del corporativismo, viene istituito in Italia il monopolio pubblico del collocamento, con il conseguente divieto di mediazione privata, anche se gratuita.
La fase repubblicana eleva l’intervento pubblico nel mercato del lavoro (definito attività di collocamento) al rango di “pubblica funzione”e la L. 264/1949 (legge Fanfani) poneva i principi fondamentali in materia, basandosi su 3 pilastri principali: a)monopolio pubblico [era ammesso solo l’intervento pubblico nel mercato del lavoro con esclusione dei privati]; b)gestione statale e accentrata [la gestione dell’attività era svolta dagli uffici periferici del Ministero del Lavoro, senza la partecipazione di enti territoriali minori]; c)natura vincolistica [per l’assunzione di manodopera inoccupata o disoccupata era obbligatoria (salvo eccezioni) l’iscrizione dei lavoratori nelle liste di collocamento, nonché la richiesta del datore di lavoro all’ufficio competente dell’avvio di un certo numero di lavoratori iscritti nelle liste ed in possesso di determinati requisiti professionali (c.d. chiamata numerica, senza possibilità di scelta].
La rigidità della L. 264/1949 , la moltiplicazione dei collocamenti speciali hanno condotto il legislatore a ripensare le regole e gli strumenti di regolazione dell'incontro tra domanda ed offerta di lavoro, con numerose riforme, che hanno dato vita ad una stratificazione normativa.
Il primo elemento destabilizzante del sistema tradizionale è stato la generalizzazione della regola della chiamata nominativa (che consente al datore di lavoro la scelta, ma richiede il nulla osta preventivo degli uffici), seguita dall’introduzione della regola della assunzione diretta (art 9bis, L. n. 608/1996), con l’eliminazione del vincolismo nelle modalità di assunzione, determinato dal collocamento. Inoltre, la L. n. 196/1997 (c.d. Pacchetto Treu), con la regolamentazione del lavoro temporaneo, mette in discussione un altro principio dell'ordinamento tradizionale: il divieto di intermediazione di manodopera.
Gli altri due pilastri (monopolio pubblico e gestione statale ed accentrata) restano in piedi fino al ’97, anno di emanazione del decreto Montecchi (D.lgs. 469/1997) con il quale due nuovi principi si sostituiscono ai pilastri tradizionali. Quello del decentramento amministrativo di funzioni e compiti dello Stato alle regioni e agli altri enti locali (applicazione del principio di sussidiarietà verticale: la sussidiarietà verticale comporta una distribuzione delle funzioni amministrative e/o legislative dal basso, sfoltendo quelle ritenute superflue e conferendo alle amministrazioni territoriali quelle localizzabili nel rispettivo ambito di competenza, risalendo di volta in volta al livello immediatamente superiore per le funzioni non localizzabili); e quello della liberalizzazione controllata dell’attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro (in un’ottica di sussidiarietà orizzontale che riguarda i rapporti tra pubblico e privato, tra istituzioni e società civile ed economica, con una inevitabile ridefinizione tra potere sociale e politica).
Infine la definitiva consacrazione del decentramento e del principio di sussidiarietà verticale è avvenuta con la L. Cost. 3\2001, che riforma il titolo V della Costituzione (con particolare riferimento all’art. 117 che stravolge i rapporti Stato\regioni in tema di potestà legislativa). Se nell'originario testo costituzionale l'unica concessione fatta alle regioni, in materia di lavoro, riguardava la formazione professionale, mentre ora le regioni sono competenti per la parte amministrativa del diritto del lavoro (detta anche diritto del marcato di lavoro). Gli strumenti di intervento pubblico nei mercati del lavoro (collocamento, sostegno del reddito, politiche attive e formative) verranno sempre più governati a livello regionale. A fronte di questa inevitabile frammentazione, la garanzia di uniformità di prestazioni a livello nazionale è prevista dalla disposizione che attribuisce allo stato la determinazione dei principi fondamentali, dei livello essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali che dovranno essere garantiti su tutto il territorio nazionale, dal potere sostitutivo del governo nei cfr. delle regioni e degli enti locali nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione.
Il D.lgs. n. 297/2002 e il D.lgs. n. 276/2003 ambiscono ad una riorganizzazione dei mercati del lavoro incentrata sul ruolo dei soggetti privati ribaltando il sistema nato con la L. n. 264/1949. Ora l'intervento pubblico nella mediazione tra domanda e offerta di lavoro (collocamento) diventa un servizio e non un'autorità senza un regime di monopolio, né vincolistico.
2. L'intervento pubblico nei mercati del lavoro. Struttura organizzativa e funzioni.
A seguito della nuova disciplina di liberalizzazione del collocamento, la complessa struttura dell'organizzazione amministrativa ha dovuto rinnovarsi.
Il D. lgs. 469\97 (decreto Montecchi) ha previsto il conferimento alle Regioni e alle Province delle funzioni e dei compiti relativi al collocamento e alle politiche attive del lavoro, mentre un ruolo generale di indirizzo e coordinamento è attribuito allo Stato. Una delle finalità è quella di superare la dissociazione tra le funzioni relative al collocamento, quelle relative alla formazione professionale e quelle in tema di politiche attive del lavoro, così da accrescere l'efficienza del mercato del lavoro. Cade così uno dei pilastri della legge Fanfani; quello della natura statale della gestione del collocamento.
Fino ad oggi, l’intervento pubblico nei mercati si è tradotto in una duplice presenza, caratterizzata, da un lato, da un forte ruolo di regia e coordinamento della Regione in materia di politica attiva del lavoro, volta ad incrementare l’occupazione e ad incentivare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro; dall’altro dalla gestione ed erogazione di servizi per l’impiego affidate alle Province, attraverso articolazioni periferiche sparse sul territorio, i così detti centri per l'impiego. Seguendo il modello delineato dal D.lgs. 469/1997 i servizi per l'impiego regionali e provinciali si articolano in organi tecnico-politici e organi collegiali a composizione mista (con la presenza delle parti sociali).
Ai sensi del D.lgs. n. 469/1997 allo stato restano le competenze nelle materie specificamente elencate nonché un ruolo generale di indirizzo, promozione e coordinamento
Le competenze statali sono esercitate dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, istituito con il D.P.R. 23 marzo 2001, n. 176. Il nuovo ministero è poi articolato in strutture periferiche, le Direzioni regionali e provinciali del lavoro che svolgono compiti in precedenza realizzati dagli uffici del lavoro e dagli ispettorati del lavoro.
Una riforma organica dell'attività di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale è stata realizzata con il D.lgs. n. 124/2004: ora la funzione ispettiva si articola su tre distinti livelli di direzione e coordinamento: centrale, regionale e provinciale, con un rafforzamento delle funzioni di prevenzione e formazione.
3.L’intervento dei privati nei mercati del lavoro. Le agenzie per il lavoro.
Il decreto 469/1997 si è occupato di demolire il monopolio pubblico, regolando l'ingresso di soggetti privati nell'esercizio delle attività di mediazione tra la domanda e l'offerta di lavoro.
La gestione in monopolio del collocamento da parte dello Stato appariva uno strumento funzionale al contratto sociale del mercato del lavoro e all'obbiettivo di giungere ad una distribuzione equa dei posti di lavoro vacanti. La ratio del monopolio pubblico del collocamento affondava le sue radici nel principio “il lavoro non è una merce” sancito dalla Convenzione OIL (organizzazione internazionale del lavoro) n. 2 del 1919 e nella cattiva immagine lasciata dai raggiri e dagli abusi di intermediari e reclutatori. La convenzione OIL è frutto della consapevolezza del mutato contesto socio-economico e del riconoscimento dell'importante ruolo che può essere svolto dalle agenzie di impiego private ai fini di un buon funzionamento del mercato del lavoro. Un primo colpo incisivo al monopolio del collocamento fu inferto dalla Corte di giustizia CE: secondo la corte, l’ufficio pubblico di collocamento è un’impresa che gode di una posizione dominante, che diventa abusiva quando, non essendo in grado di soddisfare, per tutti i tipi di attività, la domanda esistente sul mercato del lavoro, provoca una limitazione alla prestazione del servizio. Pertanto i divieti posti dalla legislazione italiana all’attività privata, contrastano con la normativa europea.
Accogliendo le indicazioni provenienti dalla corte di giustizia europea, il D. lgs. 469/1997 ammette anche i privati all’esercizio della mediazione della manodopera. L’idea di fondo è quella della sussidiarietà orizzontale, intesa quale redistribuzione delle funzioni amministrative.
Il D.lgs. 276/03 ridisegna tutta l’organizzazione e la disciplina del mercato del lavoro, in un intreccio di norme che coinvolgono, oltre il collocamento, la somministrazione e l’appalto.
Dal 2 giugno 2004 viene istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un apposito albo, articolato in 5 sezioni, in cui vengono iscritti i soggetti (pubblici e privati) autorizzati dallo stesso Ministero (oppure, laddove previsto, dalla regione) a svolgere attività di:
-Intermediazione, ossia attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro (ossia l’attività vera e propria di collocamento, da non confondersi con l’intermediazione di cui alla L. 1369/1960).
-Somministrazione (fornitura professionale di manodopera).
-Ricerca e selezione del personale (attività di consulenza finalizzata alla risoluzione di una specifica esigenza del committente attraverso l’individuazione di candidature idonee a ricoprire una o più posizioni lavorative).
-Supporto alla ricollocazione professionale (attività effettuata su incarico del committente, volta alla ricollocazione nel mercato del lavoro di lavoratori).
Alle 5 sezioni dell’albo corrispondono 5 tipi di agenzie per il lavoro: a-b)agenzie di somministrazione (che poi possono essere generalistiche o specialistiche, a seconda che possano svolgere somministrazione in relazione a tutte le attività indicate dal D. lgs. 276 oppure solo ad alcune specifiche attività); c)agenzie di intermediazione d)agenzie di ricerca e selezione del personale e)agenzie di supporto alla ricollocazione professionale.
Vengono creati anche particolari regimi di autorizzazione per lo svolgimento (solo) dell'attività di intermediazione, cioè mediazione tra domanda e offerta a favore di università, fondazioni universitarie, comuni, camere di commercio, associazioni di datori di lavoro e di prestatori di lavoro ecc. L'esercizio non autorizzato delle suddette attività è punito con sanzioni penali di natura contravvenzionale (D.lgs. n. 276/2003, art. 18, 1°comma).
Al requisito dell'esclusività dell'oggetto sociale la riforma del 2003 sostituisce solo in due casi (per le agenzie di somministrazione c.d. generaliste e per quelle di intermediazione) il requisito della prevalenza, disponendo così solo che una attività sia l'attività predominante per l'agenzia.
Il D.lgs. n. 276/2003 riafferma il principio di gratuità per i lavoratori delle prestazioni rese dai soggetti autorizzati e lo sorregge con sanzione penale in caso di violazione ma contemporaneamente lo rende parzialmente derogabile dalle parti sociali: i contratti collettivi possono infatti stabilire che tale principio non trovi applicazione per specifiche categorie di lavoratori.
4. Le modalità di assunzione e gli adempimenti successivi.
La caduta del principio vincolistico del collocamento comincia nel 1984 per poi trovare nel 2003 definitiva sistemazione.
Il collocamento, a partire dal periodo corporativo fino agli anni ’90, era considerato come un procedimento amministrativo di avviamento al lavoro, in cui un insieme di atti, successivi e autonomi, ma collegati tra loro, precedevano la fase di stipulazione del contratto di lavoro, limitando la libertà contrattuale. Lo scopo della natura vincolistica del sistema di collocamento era quello di distribuire equamente i posti di lavoro tra i disoccupati.
Protagonisti del procedimento erano: gli uffici di collocamento statali, per i quali dovevano passare le richieste di assunzione; i datori di lavoro, che dovevano rivolgersi a tali uffici per assumere; ed i lavoratori, che avevano l’onere di premunirsi del libretto di lavoro e richiedere agli uffici l’iscrizione nelle liste di collocamento (ordinaria o speciali) per poter essere assunti.
La regola generale per le assunzioni (seppur con numerose eccezioni) era quella della richiesta numerica (oggi sopravvissuta per il collocamento dei disabili), che non contemplava la scelta del lavoratore da parte del datore di lavoro, il quale richiedeva all’ufficio solo un certo numero di lavoratori in possesso di determinati requisiti professionali, la cui individuazione avveniva ad opera degli uffici in base alle graduatorie delle liste di collocamento.
Nel ’91 cade la regola della richiesta numerica e viene generalizzata la chiamata nominativa che consente al datore di lavoro di richiedere agli uffici di collocamento solo il nulla osta preventivo per l’assunzione di un determinato lavoratore, già individuato dallo stesso datore.
Con la generalizzazione dell’assunzione diretta, nel 2003, la scelta è lasciata alla più totale discrezionalità del datore di lavoro, che può stipulare un contratto di lavoro subordinato con un lavoratore senza passare per il tramite degli uffici e a prescindere dalle graduatorie. Nel 2003 è infatti prevista l’abrogazione della gran parte delle liste di collocamento e del libretto di lavoro. La preferenza può cadere su qualunque lavoratore, purché ciò avvenga nel rispetto delle precedenze previste dalla legge, dalle norme antidiscriminatorie e da quelle a garanzia della riservatezza individuale.
Restano le preferenze assolute nel caso di assunzione di personale da parte di determinati datori di lavoro: a)a favore dei lavoratori licenziati per riduzione di personale o messi in mobilità, rispetto alle loro ex-ditte che avanzino richieste entro sei mesi dal licenziamento; b)a favore dei lavoratori che rimangano disoccupati a seguito di trasferimento d'azienda rispetto all'acquirente, affittuario o subentrante che effettuino assunzioni entro un anno dal trasferimento o un periodo maggiore stabilito dagli accordi collettivi (art. 47, 6° comma, L. n. 428/1990).
Con riferimento ai contratti a tempo determinato la legge affida ai contratti collettivi nazionali di lavoro l'individuazione di un diritto di precedenza nell'assunzione presso la stessa azienda da esercitarsi entro un anno dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Per ciò che riguarda i lavoratori a tempo parziale il D.lgs n. 276/2003 demanda la previsione di un diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo pieno alla pattuizione individuale.
L'art. 8, D.lgs. n. 61/2000, prevede specificamente la sanzione in caso di violazione da parte del datore del diritto di precedenza: si riconosce al lavoratore il diritto al risarcimento del danno in misura corrispondente alla differenza tra l'importo della retribuzione percepita e quella che gli sarebbe stata corrisposta a seguito del passaggio a tempo pieno nei sei mesi successivi a detto passaggio (risarcimento del danno da responsabilità contrattuale, quantificato attraverso la valutazione equitativa del giudice ai sensi dell'ex art. 1226 c.c.).
Sopravvivono poi regole particolari che limitano la discrezionalità datoriale per l’assunzione nelle pubbliche amministrazioni e per alcuni sopravvissuti collocamenti speciali (disabili).
Oggi restano in vigore solo la lista speciale di collocamento prevista per la gente di mare, per i lavoratori dello spettacolo, la lista di mobilità e la lista dei disabili ai fini del collocamento obbligatorio.
Restano in vigore la chiamata nominativa, il nulla-osta preventivo per l'assunzione e l'obbligo di iscrizione nella lista speciale di collocamento per i lavoratori italiani che si rendono disponibili a svolgere attività di lavoro all'estero in paesi extracomunitari. E ciò per garantire un controllo generale ed omogeneo relativo alle condizioni di sicurezza del lavoro e al trattamento economico-previdenziale applicato al lavoratore, mentre non esistono norme speciali per il collocamento dei lavoratori per attività da svolgersi in stati membri dell'UE.
In seguito all’assunzione, sorgono in capo al datore di lavoro degli obblighi di comunicazione agli uffici e degli obblighi di informazione al lavoratore. Tali obblighi adempiono ad una funzione generale di trasparenza nella costituzione del rapporto di lavoro. L’attività di comunicazione agli uffici risponde anche all’esigenza degli uffici pubblici di monitorare il mercato del lavoro ed i flussi occupazionali.
L'obbligo di comunicazione deve essere assolto entro cinque giorni dall'assunzione, ma quando il D.lgs. 297/2002 sarà a pieno regime, la comunicazione dovrà essere contestuale all'assunzione.
I datori di lavoro (siano essi soggetti privati o pubblici) sono tenuti a dare comunicazione al centro per l’impiego competente dei dati anagrafici del lavoratore, della data di assunzione, della data di cessazione del rapporto (se a tempo determinato), della tipologia contrattuale e del trattamento economico. Essi devono inoltre, all’atto di assunzione, consegnare ai lavoratori una dichiarazione sottoscritta contenente i dati di registrazione effettuata nel libro matricola nonché i dati essenziali del contratto di lavoro, quali l’identità delle parti, la tipologia contrattuale, la qualifica, il trattamento economico e normativo.
In tal modo viene implicitamente imposta la forma scritta al contratto di lavoro, ma non a pena dell’invalidità del contratto, né per la sua prova, bensì soltanto a pena di una sanzione amministrativa.
5. Il collocamento mirato dei disabili.
Il collocamento c.d. obbligatorio dei disabili, per quanto oggetto anch’esso di un’attività di riforma, resta tuttavia fortemente caratterizzato da una disciplina fortemente vincolistica, consistente nell’obbligo imposto a certi datori di lavoro di assumere lavoratori considerati deboli sul mercato del lavoro. Dunque la L. n. 68/1999 appare in controtendenza rispetto alla generalizzata liberalizzazione delle assunzioni. Nonostante presenti ancora elementi di rigidità la L. n. 68/1999 è ispirata ad una logica diversa rispetto alla l. n. 482/1968, muovendosi verso un maggiore coordinamento tra politiche attive del lavoro, inserimento lavorativo e politiche formative. La sua ratio non è più meramente assistenziale e consiste nella promozione dell'inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro, così da poter realizzare la propria personalità.
Il collocamento obbligatorio è rivolto: a) alle persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e ai portatori di handicap intellettivo, che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%; b)alle persone invalide del lavoro con un grado di invalidità superiore al 33% accertata dall'INAIL; c)alle persone non vedenti o sordomute; d)alle persone invalide di guerra, invalidi civili di guerra e invalide per servizio. Inoltre il legislatore prevede l'applicazione marginale del collocamento obbligatorio anche verso soggetti che disabili non sono ma appartengono a categorie ritenute nel passato meritevoli di tutela (es. orfani e coniugi superstiti di coloro che siano deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio).
I datori di lavoro sono tenuti ad assumere lavoratori appartenenti alle categorie protette quando raggiungono determinate soglie dimensionali. Essi sono obbligati ad assumere: a)il 7% dei lavoratori occupati, se occupano più di 50 dipendenti; b) due lavoratori, se occupano da 36 a 50 dipendenti; c) un lavoratore, se occupano da 15 a 35 dipendenti.
Tuttavia vi sono delle eccezioni agli obblighi sancite dalla L. n. 68/1999 e D.P.R. n. 333/2000 che per conciliare le esigenze dei datori con la ratio della legge di protezione dei disabili ammette la compensazione territoriale, per cui i datori di lavoro possono essere autorizzati ad assumere in un'unità produttiva un numero di lavoratori superiore portando le eccedenze a compenso del minor numero di lavoratori assunti in altre unità produttive
I soggetti appartenenti alle categorie protette che risultino disoccupati e aspirano ad una occupazione conforme alle loro capacità lavorative, si iscrivono nell’apposito elenco con una graduatoria. Per ogni persona viene stilata una scheda che indica le capacità lavorative, le abilità, le competenze e le inclinazioni, nonché la natura ed il grado della minorazione.
I datori di lavoro devono presentare richiesta d’assunzione entro 60 giorni dal momento in cui sorge l’obbligo (ossia da quando il rapporto tra lavoratori normodotati e disabili sia sceso sotto il limite suddetto). Le assunzioni obbligatorie possono avvenire sia mediante richiesta inviata dai datori di lavoro obbligati all'ufficio competente sia mediante convenzioni stipulate dagli stessi datori con l'ufficio competente.
Con una scelta anacronistica, la richiesta numerica rappresenta ancora la regola nell’ambito del collocamento obbligatorio dei disabili, anche se la richiesta nominativa è esplicitamente ammessa in diversi casi.
Le convenzioni rappresentano uno strumento di grande flessibilità e ammorbidimento dell'obbligo poiché consentono di concordare i tempi e le modalità delle assunzioni obbligatorie che il datore di lavoro si impegna ad effettuare. Tra i benefici spiccano l'ampliamento della facoltà di scelta nominativa, lo svolgimento di tirocinio con finalità formative o di orientamento, nonché l'assunzione con contratto di lavoro a termine. Nella vigenza della L. n. 482/1968 si era posta la questione della compatibilità del collocamento obbligatorio con contratti di lavoro c.d. flessibili. La L. n. 68/1999 rimette in discussione le soluzioni suddette in quanto, pur contemplando la possibilità di assumere i disabili con tipologie contrattuali diverse da quella a tempo indeterminato e pieno, lo fa all'interno delle convenzioni e quindi ingabbiando la flessibilità in una rete di precise tutele.
La violazione della disciplina in tema di collocamento obbligatorio dei disabili è sanzionata non penalmente ma amministrativamente. Sono inoltre previste diverse misure ulteriori volte a spingere i soggetti obbligati ad ottemperare all’obbligo spontaneamente, pena l’esclusione da benefici (ad esempio la partecipazione ad appalti pubblici).
6. L'avviamento al lavoro degli extracomunitari.
La normativa che regola l’ingresso ed il soggiorno per motivi di lavoro degli stranieri extracomunitari è stata riordinata e razionalizzata dalla L. 40/1998 (legge Turco-Napolitano), successivamente confluita in un Testo Unico (TU) approvato nel 1998 e modificato successivamente dalla L. 189/2002 (legge Bossi-Fini). Anche dopo la riforma del Titolo V, parte II della Costituzione le materie dell'immigrazione, dell'asilo politico e e della condizione giuridica dei cittadini extracomunitari, rimangono di competenza esclusiva dello stato.
L'art. 1 del T.U. si applica agli stranieri intesi quali cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea e agli apolidi. Per i lavoratori comunitari infatti vige il principio della libera circolazione all’interno dei Paesi membri. Peculiare resta la condizione giuridica dei cittadini appartenenti a otto dei dieci stati entrati formalmente nell'UE il 1 maggio 2004 a conclusione del processo di allargamento. Mentre per i cittadini della repubblica di Cipro e della repubblica di Malta si applica immediatamente il principio della libera circolazione, per gli altri cittadini c.d. neo-comunitari che vogliono prestare attività di lavoro subordinato in Italia si applicano ancora per due anni (c.d. moratoria) le norme per l'ingresso degli extracomunitari, seppur con vistose aperture.
La disciplina è incentrata sulla netta differenza di trattamento tra:
-Stranieri che intendono entrare nel nostro Paese, per i quali vengono considerate legittime le misure limitative al loro ingresso, per motivi superiori di ordine pubblico, che si concretizzano nel controllo dei flussi d’ingresso e nella predisposizione di quote massime in entrata;
-Stranieri che ormai regolarmente soggiornano nel nostro Paese, ai quali, una volta ottenuto il permesso di soggiorno per motivi di lavoro si riconosce parità di trattamento e piena eguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani.
Per l'assunzione di stranieri già soggiornanti in Italia e in possesso di un regolare permesso di soggiorno non si incontrano particolari difficoltà.
Una procedura burocratica lunga e complessa si ha invece quando un datore di lavoro italiano o straniero, regolarmente soggiornante in Italia, intende instaurare un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, determinato o stagionale con uno straniero residente all'estero. La procedura amministrativa è imperniata su due discipline distinte ma con pesanti indifferenze: l'una, di ordine pubblico relativa all'ingresso e soggiorno in Italia (rilascio del visto d'ingresso e del permesso di soggiorno) di competenza dell'autorità diplomatica o consolare italiana nel paese di origine e delle questure una volta in Italia; l'altra, di natura lavoristica, connessa all'accesso al mercato del lavoro in cui i datori interessati devono effettuare agli uffici competenti le richieste numeriche di lavoratori iscritti in apposite liste o nominative di nulla osta al lavoro (art. 18, L. n. 189/2002).
Condizioni per il rilascio del nulla osta al lavoro sono: l'impegno del datore di lavoro nei cfr. dello stato italiano al pagamento delle spese di ritorno dello straniero nel paese di appartenenza; l'esibizione agli uffici della proposta di contratto di soggiorno; l'impegno all'applicazione al lavoratore extracomunitario di trattamenti non inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi applicabili; l'indicazione delle modalità di alloggio; l'impegno a comunicare ogni variazione concernente il rapporto di lavoro (art. 5bis T.U.; art. 18 L. n. 189/2002). Lo straniero che richiede il permesso di soggiorno a rilievi fotodattiloscopici. Il permesso di soggiorno per motivi di lavoro è rilasciato solo a seguito della stipula del contratto di soggiorno e per la durata di questo, ma non può comunque superare i tetti massimi previsti dalla legge (art. 5 T.U.). Il contratto di soggiorno è una figura tipica di contratto di lavoro nel quale sono obbligatoriamente presenti, a pena di nullità, la garanzia abitativa e l'obbligazione di apprestare i mezzi necessari al rimpatrio dello straniero.
7. Le politiche attive del lavoro e le misure per combattere la disoccupazione.
L'intervento pubblico sul mercato del lavoro deve promuovere e sostenere l'occupazione mediante una politica attiva che stimoli e incrementi la domanda di lavoro al fine di agevolare le assunzioni. Vi sono quattro grandi aree in cui si fanno ricadere le politiche attive del lavoro: informazione e orientamento, incontro tra domanda e offerta di lavoro, promozione dell'occupazione e sostegno ai soggetti deboli. Il D.lgs n. 469/1997 aveva messo al centro dell'azione pubblica decentrata l'auspicata integrazione tra servizi all'impiego, politiche attive del lavoro e politiche formative.
In concorrenza, coesistenza e collaborazione con i servizi pubblici all'impiego, anche le agenzie private per il lavoro, possono svolgere attività di politica attiva in senso lato, con attività si supporto alla ricollocazione professionale, attività volte all'inserimento lavorativo dei disabili e delle fasce svantaggiate, nonché mediante la stipulazione di convenzioni con le pubbliche istituzioni.
Alcune forme di agevolazione alle assunzioni sono quelle per i lavoratori iscritti nella lista di mobilità; quelle per l'assunzione dei giovani con contratti a contenuto formativo e altre misure di primo inserimento al lavoro. Nella prospettiva della promozione di nuova occupazione si inseriscono anche gli incentivi alla diffusione del contratto a termine, a orario modulato, ridotto o flessibile, nonché dei contratti di solidarietà, cioè di quei contratti collettivi aziendali stipulati dai sindacati che realizzano forme di solidarietà fra lavoratori, tramite riduzioni d'orario, parzialmente o totalmente a loro carico. Tali contratti sono stati introdotti dalla L. n. 863/1984 e successivamente novellati dalle LL. n. 236/1993 e n. 608/1996. Nel contratto di solidarietà di tipo difensivo (comportante una riduzione d'orario giornaliera, settimanale o mensile, per evitare una riduzione della manodopera occupata) lo stato interviene con la cassa integrazione straordinaria (CIGS). Viceversa, nel contratto di solidarietà di tipo espansivo (comportante una riduzione d'orario definita con perdita della retribuzione) lo stato interviene con agevolazioni economiche alle imprese che assumo nuovo personale.
Tra gli strumenti di agevolazione alle assunzioni ricordiamo anche il contratto di reinserimento (art. 20, L. n. 223/1991) con il quale il datore di lavoro può ottenere agevolazioni contributive e normative assumendo solo lavoratori che beneficiano del trattamento speciale di disoccupazione da almeno 12 mesi, in pratica quelli del settore edile ed affini. L'appetibilità di questo strumento è determinata dalla previsione di una consistente riduzione sulla contribuzione previdenziale ed assistenziale.
I lavori socialmente utili (LSU) risultano disciplinati da diversi interventi normativi (da ultimo D.lgs. n. 468/1997). Nella pratica il LSU sono serviti a tamponare emergenze occupazionali, ma senza innescare un circolo virtuoso di espansione dell'occupazione, piuttosto determinando effetti perversi e nutrendo le aspettative di lavoratori socialmente utili di entrare nel pubblico impiego. Sono previsti benefici economici per datori di lavoro che assumono a tempo indeterminato lavoratori socialmente utili. Ai lavoratori che svolgono attività socialmente utili viene erogato da parte dell'Inps un assegno mensile. Il legislatore, tra gli strumenti per combattere la disoccupazione e promuovere il lavoro regolare, prevede incentivi, anche sotto forma di sostegno diretto per promuovere le assunzioni e l'emersione del sommerso.
A cavallo tra le politiche assistenziali (c.d. di welfare) e le politiche attive del lavoro ( c.d. di workfare) si pongono anche i c.d. fondi strutturali per promuovere e sostenere l'occupazione. Più interessanti e ricchi si stanno rivelando i fondi strutturali dell'UE, in particolare il Fondo Sociale Europeo. Esistono poi i fondi c.d. bilaterali, di natura sindacale, che, con la vigilanza del Ministero del Lavoro, promuovono interventi e misure di carattere previdenziale, o formativo, nel quadro delle politiche stabilite nel contratto collettivo.
8. L'informazione sul mercato del lavoro, l'orientamento e la formazione professionale.
Nei primi anno '80 si è giunti alla consapevolezza che una politica attiva del lavoro debba dedicare grande cura sia ad una informazione tempestiva e significativa sulla struttura e dinamica della domanda e dell'offerta, sia all'orientamento e alla formazione professionale dell'offerta medesima. Per quanto riguarda l'informazione vi sono una serie di strutture pubbliche che controllano e monitorano i flussi di lavoratori in entrata e in uscita dai mercati del lavoro e cercano di studiarne caratteristiche e tendenze (es. Istat, Cnel, Ministero del lavoro ecc.).
Nell'ottica della realizzazione di un sistema di strumenti diretti a garantire la trasparenza nel mercato e una migliore circolazione delle informazioni, dapprima il D.lgs. n. 469/1997 e successivamente il D.lgs. n. 276/2003 si occupano di istituire una rete informatica (network). Ideato nel 1997 e battezzato come “Sistema Informativo Lavoro” (SIL), si rinnova nel 2003, cambiando nome e struttura. Nasce così la “Borsa continua nazionale del lavoro”, sistema basato su una rete di nodi regionali facilmente consultabile sia dai lavoratori che dalle imprese. Severi limiti all'acquisizione, al trattamento e alla divulgazione dei dati personali sono predisposti per la tutela della riservatezza dei lavoratori e per evitare il perpetrarsi di trattamenti discriminatori. La conduzione della Borsa del Lavoro resta ben salda nelle mani dello stato, mentre la sua gestione viene in gran parte demandata alle regioni.
Al fine di agevolare l'inserimento al lavoro e l'incontro tra domanda ed offerta, il SIL e la Borsa del Lavoro, hanno dato vita ad una banca dati informatizzata dei lavoratori in cerca di impiego, chiamata “elenco anagrafico” e una “scheda professionale”, che vanno a sostituire rispettivamente le liste di collocamento e il libretto di lavoro ormai abrogati. Lo scopo è sia quello di favorire l'assunzione e l'accesso, sia quello di controllare e monitorare le professionalità con una costante vigilanza dello stato sull'andamento dei mercati regionali del lavoro.
L'orientamento professionale è un'attività volta ad informare ed indirizzare il soggetto verso una collocazione professionale che tenga conto delle sue aspirazioni, delle sue competenze e delle richieste del mercato, con la conferma del rafforzamento della competenza regionale. Quanto alla formazione professionale essa costituisce il momento di raccordo tra l'istruzione e il lavoro, tra il diritto allo studio e il diritto al lavoro, tra il significato culturale e l'aspetto produttivistico dell'istruzione.
Se la formulazione originaria dell'art. 117 della Costituzione affidava alle regioni la materia della formazione professionale nell'ambito delle norme quadro poste dalla legislazione statale (competenza legislativa di tipo attuativo), il novellato art. 117 Cost. (L. cost. n. 3/2001) affida ora alle regioni potestà legislativa primaria in materia di formazione professionale. I servizi pubblici all'impiego, relativamente all'orientamento e alla formazione, dovranno convivere e concorrere con le agenzie private per il lavoro, le quali dovranno operare nel quadro delle disposizioni regionali previste in materia ed ottenere l'apposito accreditamento.
La somministrazione di lavoro 
1. Dal divieto di interposizione di manodopera all'ammissibilità della somministrazione di lavoro.
Per più di quarant'anni il diritto del mercato del lavoro dell'Italia repubblicana è stato regolato da due leggi, la L. n. 264/1949 e la L. n. 1369/1960.
Inquadriamo innanzitutto il fenomeno di interposizione di manodopera. Si tratta di un’antica prassi, volta a liberare i datori di lavoro dalla propria responsabilità giuridica ed economica nei confronti dei lavoratori, scaricandola su altri soggetti (intermediari o interposti) così da potersi assicurare manodopera in maniera meno costosa e più flessibile. Questo fenomeno (merchandage du travail) è definita nel linguaggio del legislatore del 1960 come interposizione. Si possono individuare dunque due rapporti giuridici; quello tra l’interposto ed i lavoratori da questo assunti; e quello tra il committente e l’interposto, il quale da in affitto la propria manodopera al committente. La cattiva immagine lasciata nella storia dai raggiri e dagli abusi di intermediari e reclutatori hanno spinto il legislatore italiano per via della compressione della tutela dei lavoratori e per la mercificazione della loro essenza a porre un divieto di interposizione. La legge n. 1369/1960 vietava la realizzazione di una fattispecie complessa, a schema triangolare (triangolazione), in cui un committente si rivolge ad un altro soggetto (detto interposto), per richiedere la fornitura di un certo numero di lavoratori (assunti e retribuiti dallo stesso interposto). L'interposto detto anche caporale si rivela un fantoccio che, privo di garanzie di solidità econimico-finanziaria, lucra sull'attività interpositoria anche facendo pagare un prezzo ai lavoratori. La fattispecie vietata era quindi quella della fornitura di manodopera. La sanzione civile stabiliva che, eliminato lo schema dell'interposto, i lavoratori fossero considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dirette di chi ne avesse effettivamente utilizzato le prestazioni, tutelando gli interessi individuali, personali e patrimoniali del lavoratore coinvolto nella fattispecie intepositoria. Con la sanzione penale (contravvenzione) si garantiva l'interesse pubblico all'inderogabilità delle norme protettive poste a tutela del lavoratore subordinato.
La L. n. 1369/1960 è volta a contenere e regolarizzare il fenomeno del decentramento e del precariato. Decentrare vuol dire scorporare o commissionare a terzi, pezzi del processo produttivo necessario per produrre il bene o servizio proprio dell'attività di una certa impresa: sia che questo avvenga verso l'esterno (con ricorso ad altra azienda o a lavoro a domicilio), sia che questo abbia luogo all'interno (con l'utilizzo di di un'altra azienda la quale porta dentro la prima il proprio personale). L'intervento attuato dalla suddetta legge da un lato mira a impedire il decentramento fittizio (sgravando la titolarità del rapporto lavorativo per ridurre costi e responsabilità), dall'altro, disincentivare lo stesso decentramento genuino, rendendo più onerosa la scelta di procedere ad appalti  d'opera e di servizi pienamente legittimi.
Tuttavia le istanze di flessibilizzazione e decentramento, fattesi sempre più pressanti a partire dagli anni '80 (per via dello cambiamento del quadro socio-economico e del modello fisiologico di decentramento dato dall'emergere di una piccola e media impresa che valorizza la combinazione fra elevate professionalità e tecnologie leggere) hanno portato ad una rivisitazione dei fenomeni di interposizione di manodopera.
Tale ripensamento ha portato con la L. 196/1997 (Pacchetto Treu) che prevede un'importante deroga al generale divieto di interposizione previsto dalla L. 1369/1960. La L. 196/1997 introduce così nel nostro ordinamento la fattispecie del lavoro temporaneo tramite agenzia, o lavoro interinale. Si tratta di un istituto intermedio fra servizi all'impiego, avviamento e selezione del personale, tipologia flessibile del rapporto di lavoro, alternativa al contratto a termine. Lo schema della fattispecie è ricalcato su quello dell’interposizione di manodopera vietata dalla L. 1369/1960; solo che nei limiti e alle condizioni previste dalla L. n. 196/1996 l'interposizione è autorizzata: si tratta dunque di una fornitura lecita di manodopera. I soggetti sono sempre 3: agenzia fornitrice, utilizzatore e lavoratore e i contratti disciplinati sono 2; uno di fornitura, stipulato tra utilizzatore e agenzia ed uno di lavoro subordinato, stipulato dall’agenzia con il lavoratore.
Il D. lgs. 276/2003 (c.d. Riforma Biagi)poi si è spinto ancora oltre, rivisitando completamente la materia ed introducendo la fattispecie della somministrazione di lavoro. Il decreto stabilisce l’abrogazione della L.n. 1369/1960 e della parte della L. n. 196/1997 nella quale viene introdotto il lavoro interinale. Nonostante l’abrogazione della disciplina sul divieto generale di interposizione di manodopera e sul lavoro interinale, tuttavia, molte di quelle disposizioni sono rifluite nel decreto 276, creando quindi non poche affinità tra il previgente sistema e quello attuale.
La rimozione di tutele, tuttavia, è attuata con una tecnica di c.d. flessibilità normata, visto che sia la L. n. 196/1997 sia il D.lgs. n. 276/2003 richiedono la sussistenza di una serie di requisiti per la valida stipulazione dei contratti di lavoro e di fornitura/somministrazione e sanzionano le eventuali inottemperanze. L'apertura dell'Italia verso una forma trasparente di “lavoro in affitto” (prima lavoro temporaneo e poi somministrazione di lavoro) deriva dalla presa di coscienza di un mutamento socio-economico nonché dai buoni risultati ottenuti dall'applicazione di questo nei paesi che l'avevano da tempo adottato. Tuttavia questa “concessione” è ammessa solo quando vi sia una tutela per i lavoratori e un sistema sanzionatorio per i trasgressori. Se è innegabile la continuità tra la disciplina del lavoro temporaneo e quella della somministrazione di lavoro perché entrambe ricorrono allo schema triangola e poiché entrambe costituiscono una deroga legislativa, le differenze tra i due modelli non mancano: la deroga della somministrazione di lavoro è infatti più ampia rispetto a quella del lavoro temporaneo.
2. Fenomeni interpositori e fattispecie a confine
Lo schema della somministrazione coinvolge, come tutti i fenomeni interpositori, 3 parti (triangolazione):
-l’utilizzatore, che richiede all’agenzia di somministrazione la fornitura di mere prestazioni di lavoro e usufruisce effettivamente dell’opera dei lavoratori;
-l’agenzia di somministrazione, che assume i lavoratori e li mette a disposizione dell’utilizzatore, che potrà usufruirne secondo le proprie esigenze;
-il lavoratore, assunto e retribuito dall’agenzia di somministrazione per prestare il proprio lavoro a favore dell’utilizzatore.
Sin dall’entrata in vigore della L. 1369/1960, si era posto il problema dell’inquadramento giuridico del fenomeno interpositorio, così da poterlo distinguere dal contratto di appalto, ed in particolare dall’appalto di servizi, esplicitamente disciplinato dal Codice civile (art. 1655) e quindi sicuramente lecito.
Se la somministrazione è un'obbligazione di dare, cioè fornire lavoro subordinato altrui, l’appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro (obbligazione di fare).
Di fronte agli appalti di servizi non implicanti l'impiego di un'organizzazione complessa (c.d. a bassa intensità organizzativa) e con la prevalenza di apporto del fattore lavoro piuttosto che di capitale (ad alta intensità di lavoro) la giurisprudenza operava il distinguo accertando chi organizzasse il fattore lavoro, quindi chi esercitasse i poteri tipici del datore di lavoro, verso i dipendenti.
Il processo di smaterializzazione dell'impresa ha portato al progressivo ridimensionamento di quegli elementi (attrezzature, impianti, macchine) che erano ritenuti caratterizzanti l'impresa.
Sulla base della lettura dell’art. 1655 c.c. è dunque possibile identificare facilmente le peculiarità del contratto di appalto e le differenze rispetto alla somministrazione.
Mentre la somministrazione può essere semplicisticamente definita come un “affitto di lavoro”, che si concreta in un’obbligazione di “dare” (prestare il lavoro subordinato dei propri dipendenti all’utilizzatore), l’appalto configura un’obbligazione di “fare”, cioè di realizzare un’opera o un servizio e quindi di fornire un autonomo risultato produttivo. Ed in relazione a questo risultato (all’opus) l’appaltatore assume su di se il rischio d’impresa, cosa che non si verifica nella somministrazione. Il rischio d’impresa rappresenta dunque il primo profilo differenziale tra appalto e somministrazione. Un altro elemento peculiare dell’appalto, che lo differisce dalla somministrazione sta nel fatto che l’appalto presuppone una certa autonomia organizzativa e gestionale dell’appaltatore (il quale si qualifica a tutti gli effetti come un imprenditore). L’appaltatore infatti opera “con organizzazione dei mezzi necessari”. Tale autonomia organizzativa e gestionale è invece esclusa nel caso della somministrazione, nell’ambito della quale la proprietà delle macchine, delle attrezzature e dei capitali è dell’utilizzatore. L’organizzazione dei mezzi è dunque un secondo profilo differenziale tra appalto e somministrazione.
Il contratto di appalto si realizza dunque quando l’appaltante chiede all’appaltatore il compimento di un’opera o di un servizio con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, e non l’utilizzo di mere prestazioni lavorative.
Di fronte agli appalti di servizi che non implicano l’impiego di un’organizzazione complessa e con prevalenza del fattore “lavoro” su quello “capitale” (c.d. ad alta intensità di lavoro), è possibile individuare un altro indice che consente di qualificare tale ipotesi come appalto e non come somministrazione: accertare a chi spetti l’organizzazione del “fattore lavoro”, ossia accertare a chi spetti l’esercizio dei poteri datoriali (direttivi, di controllo e disciplinari). Infatti mentre nell’appalto l’esercizio di tali poteri spetta al appaltatore, nella somministrazione essi spettano all’utilizzatore. L’esercizio dei poteri direttivi è quindi il terzo profilo di differenziazione dell’appalto dalla somministrazione.
Questi 3 elementi discriminanti (assunzione del rischio, organizzazione dei mezzi e esercizio dei poteri direttivi sulla forza lavoro) tra le fattispecie di appalto e somministrazione sono state confermati dal D. lgs. 276/2003. L’appalto ritenuto non genuino, ossia privo di tali 3 requisiti è punito con la stessa sanzione penale (contravvenzione) prevista per la somministrazione non autorizzata (e dunque illecita). Inoltre, analogamente a quanto accade in caso di somministrazione illecita, il lavoratore può chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze del committente che ne ha utilizzato effettivamente la prestazione.
Un altro strumento di uso flessibile della forza lavoro che rientra nello schema della triangolazione, ma che è stato considerato generalmente lecito, è quello del distacco. Il distacco prevede un cambio nell’esercizio dei poteri datoriali, comportando che il dipendente di un datore venga dislocato presso un altro datore, con contestuale assoggettamento al comando e al controllo di quest’ultimo. Il distacco (anch’esso disciplinato dal D. lgs. 276\2003) non è altro che un’ipotesi di fornitura lecita di manodopera esercitata non professionalmente ( il requisito della professionalità invece caratterizza la somministrazione). Il distacco è quindi quella somministrazione posta in essere da un datore di lavoro qualunque (non un’agenzia a tal uopo autorizzata). Anche il distacco, allorché illecito, è corredato dalla stessa sanzione civile che accompagna la somministrazione illecita e l’appalto non genuino; l’imputazione del rapporto in capo all’effettivo utilizzatore.
3. La somministrazione di lavoro del D.lgs. n. 276/2003
La riforma del 2003 (D.lgs. n. 276/2003 abrogante la L.n. 1369/1960) stabilisce che il  fenomeno interpositorio continua ad essere vietato, salvo la deroga ammessa dal legislatore.
È pertanto lecita la somministrazione se la triangolazione avviene nei limiti e alle condizioni previste dalla disciplina della somministrazione di lavoro di cui gli artt. 20 e 21 del D.lgs. 276/2003, pena l’imputazione del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore.
Lo schema è il solito: un soggetto, imprenditore o non imprenditore, denominato utilizzatore, si rivolge ad un’agenzia di somministrazione per ottenere una fornitura di manodopera. I lavoratori oggetto della fornitura sono assunti e retribuiti dall’agenzia ma svolgono la loro attività lavorativa per l’utilizzatore.
Quella rappresentata dalla somministrazione di lavoro è una deroga più ampia rispetto a quella della fornitura di lavoro temporaneo (L. n. 196/1997). infatti a differenza della L. n. 196/1997, la fornitura di manodopera (D.lgs. n. 276/2003) può avvenire sia per mezzo di un contratto di somministrazione a tempo determinato, sia a tempo indeterminato. La tecnica usata dal legislatore è quella della casistica tassativa per la somministrazione a tempo indeterminato e quella delle ragioni giustificative (ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo) per la somministrazione a termine, così da limitare sia il controllo giudiziale, sia di ribadire la caduta del requisito della temporaneità previsto invece per il lavoro temporaneo (L. n. 196/1997).
Allo scopo di garantire la trasparenza del mercato del lavoro, per il contratto di somministrazione sono previsti precisi requisiti di forma (l'atto scritto ad substantiam) e di contenuto. Tutte le informazioni inerenti il contratto di somministrazione devono essere fornite dall'agenzia al lavoratore all'atto della stipulazione del contratto e l'utilizzatore ha l'obbligo di comunicare ai sindacati il numero e i motivi del ricorso  alla somministrazione in occasione di ciascuna fornitura e a consuntivo ogni dodici mesi. La somministrazione di lavoro è espressamente vietata: 1)per la sostituzione di lavoratori in sciopero; 2)per le unità produttive e le mansioni interessate, nei 6 mesi precedenti, da licenziamenti collettivi o da integrazioni salariali; 3)da parte di imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.
Secondo il classico schema della triangolazione, accanto al contratto di somministrazione tra agenzia autorizzata  e utilizzatore troviamo il contratto di lavoro subordinato tra agenzia e lavoratore, privo di un necessario collegamento negoziale col contratto di somministrazione. Il contratto di lavoro subordinato tra agenzia e lavoratore può essere stipulato a tempo pieno, parziale, determinato o indeterminato, con diritto del lavoratore, per i periodi di non lavoro in cui resta in attesa di assegnazione, ad una “indennità di disponibilità”.
Il rapporto tra lavoratore e utilizzatore non assume autonoma e diretta veste contrattuale, pur risultando regolato dalla legge. I lavoratori infatti risultano alle dirette dipendenze dell’agenzia, titolare del contratto di lavoro, anche se al contempo essi svolgono la propria attività lavorativa nell’interesse e sotto la direzione ed il controllo dell’utilizzatore.
Sull’agenzia, in quanto datore di lavoro, gravano gli obblighi retributivi e contributivi, previdenziali e assistenziali a favore dei lavoratori, con la previsione di una obbligazione solidale sussidiaria dell'utilizzatore, il quale comunque è contrattualmente tenuto a rimborsare all'agenzia i costi da questa sostenuti per i lavoratori.
Per quanto riguarda l’esercizio dei poteri datoriali, si assiste ad una scissione tra il potere direttivo e di controllo, che spetta all’utilizzatore ed il potere disciplinare, che resta in capo all’agenzia.
L'art. 23, 1° comma, ribadisce la regola della parità di trattamento riconoscendo che il lavoratore somministrato ha diritto ad un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore, a parità di mansioni svolte. L'agenzia di somministrazione deve provvedere ad addestrare i lavoratori e informarli sui rischi generali per la loro sicurezza e salute, mentre un tale obbligo è posto in capo all'utilizzatore per i rischi specifici, cioè quelli relativi alle mansioni a cui verranno adibiti. Gravano sull'utilizzatore nei cfr. dei lavoratori somministrati tutti gli obblighi di sicurezza e protezione individuati dalla legge o dalla contrattazione collettiva.
La disciplina della somministrazione di lavoro (D.lgs. n. 276/2003) costituisce una deroga più ampia rispetto all'interposizione vietata di quanto non lo fosse il lavoro temporaneo (L. n. 196/1997). In definitiva si riscontra una maggiore libertà dell'utilizzatore di scegliere se avvalersi dei lavoratori somministrati da un'agenzia autorizzata o se procedere direttamente ad assunzioni.
Il contratto di somministrazione a tempo indeterminato (c.d. staff leasing) è ritenuto una della novità più importanti della c.d. Riforma Biagi poiché detta fattispecie nel pacchetto Treu non era esplicitamente prevista e dai più era ritenuta vietata. La necessità del requisito della temporaneità prevista dalla L. n. 196/1997 veniva ravvisata nella ratio che questo contratto di lavoro flessibile fungesse da traghetto verso un lavoro stabile alle dipendenze dell'utilizzatore. Un altra differenza tra il modello di fornitura di manodopera ammessa nel 1997 e quello del 2003 è data dal fatto che le sanzioni che presidiano i confini della somministrazione illecita riguardano solo il contratto di somministrazione stipulato tra l'agenzia e l'utilizzatore, mentre non vengono riproposte le sanzioni previste nella L. n. 196/1997 per il caso di violazioni concernenti il contratto di lavoro stipulato tra l'agenzia e il lavoratore.
Inoltre, nel passaggio tra il lavoro temporaneo e la somministrazione vi è un indebolimento delle tutele per i lavoratori somministrati rispetto a quelle assicurate ai lavoratori temporanei. In primis, il D.lgs. n. 276 non ripropone il limite posto dalla L. n. 196/1997 al gradimento dell'utilizzatore e consistente nel diritto del lavoratore a prestare la propria opera lavorativa per l'intero periodo di assegnazione anche se sgradito all'utilizzatore. In secundis, il D.lgs. n. 276 pur riproponendo l'obbligo di applicare ai lavoratori somministrati un trattamento economico e normativo non inferiore a quello dei dipendenti dell'utilizzatore di pari livello e a parità di mansioni aggiunge l'avverbio “complessivamente”, non previsto nella L. n. 196/1997. La nuova disposizione ha l'effetto di poter considerare adempiuto l'obbligo di parità di trattamento anche se singoli aspetti del rapporto non vengono disciplinati in modo uniforme tra lavoratori somministrati e dipendenti dell'utilizzatore e rimette il giudizio di ottemperanza all'obbligo di legge alla difficile valutazione (del giudice) se il trattamento riservato nel suo globale (complessivamente) al lavoratore somministrato sia non inferiore a quello riservato nel suo globale al dipendente dell'utilizzatore. In più, viene prevista una espressa deroga alla parità di trattamento per i lavoratori c.d. svantaggiati. Altra diminuzione di tutela per i lavoratori somministrati si deduce dall'esclusione della disciplina dei licenziamenti collettivi: il recesso dell'agenzia non viene qualificato quindi dal legislatore come licenziamento collettivo ma come licenziamento individuale plurimo per giustificato motivo oggettivo, con l'esonero per il somministratore dal contratto effettuato sul licenziamento sia in sede sindacale sia in sede amministrativa in occasione dell'esame congiunto previsto dall'art. 4 della L. n. 223/1991 e dai costi della suddetta procedura.
Il D.lgs. n. 276/2003 rende economicamente più conveniente il contratto di appalto rispetto alla somministrazione di lavoro. Il D.lgs. n. 276/2003 prevede la solidarietà tra agenzia di somministrazione e utilizzatore e la parità di trattamento tra i dipendenti dell'agenzia e quelli dell'utilizzatore solo per la somministrazione, mentre per tutte le ipotesi di appalto si limita a disporre la solidarietà tra committente e appaltatore di far valere entro un anno dalla cessazione dell'appalto medesimo.
Sotto altro profilo sono invece evidenti le convenienze della somministrazione. Per l'agenzia riguardano l'esenzione dalle procedure di licenziamento collettivo. Per l'utilizzatore tali convenienze consistono nella concreta possibilità nei gruppi di impresa di creare una società-figlia dedicata specificamente alla somministrazione di personale per l'intero gruppo e nella possibilità di usare la somministrazione come una lunga prova nei confronti del lavoratore finalizzata ad una eventuale successiva assunzione. 
Gli ammortizzatori sociali e la tutela nel ricollocamento.
1. Gli ammortizzatori sociali.
Un altro profilo dell’intervento pubblico sul mercato è costituito dal come orientare, formare, collocare, rendere mobile l'offerta, nonché dal come sostenere il reddito della manodopera inoccupata, disoccupata e occupata, ma sospesa dal lavoro e dalla retribuzione. Il legislatore parla in tal senso di ammortizzatori sociali, riferendosi a tutta una serie di strumenti di sostegno del reddito profondamente diversi tra loro, ma caratterizzati da uno scopo unico: attutire (ammortizzare) gli effetti negativi che determinate vicende hanno sul reddito dei soggetti.
Si tratta di un universo variegato di istituti in cui, oltre al trattamento di disoccupazione, di cassa integrazione (ordinaria e straordinaria) e di mobilità (che sono forme di sostegno del reddito che intervengono in caso di vicende interruttive e sospensive del rapporto di lavoro), vengono fatti rientrare anche i lavori socialmente utili, i contratti di solidarietà e più in generale tutte le prestazioni spettanti ai cittadini in quanto tali nelle situazioni di bisogno .
Si tratta di una materia che ricopre un ruolo di snodo fra politiche dell'occupazione e politiche assistenziali (di welfare).
In estrema sintesi, l’evoluzione normativa di questa materia si è caratterizzata per aver prestato: A) quasi nessuna attenzione ad una qualsiasi garanzia di reddito per la manodopera inoccupata, cioè priva di una precedente esperienza lavorativa (giovani); B) scarsa attenzione ad una sufficiente garanzia di reddito per la manodopera disoccupata, cioè con alle spalle un’esperienza lavorativa; C) grande attenzione ad una congrua garanzia di reddito e di lavoro per la manodopera occupata (in aziende di certi settori e con certe dimensioni) che, come tale, vanta una maggiore aspettativa rispetto alla continuità della retribuzione goduta (e anche una ben maggiore forza all’interno dell’organizzazione sindacale).
Proprio l’iniqua distribuzione delle tutele è oggi al centro del dibattito che ha portato ad una prospettiva innovativa non più solo assistenziale (di welfare), ma di workfare, capace di proteggere dalle vecchie e nuove forme di insicurezza dei lavoratori sul mercato, senza produrre effetti disincentivanti sull'offerta di lavoro. La riforma del sistema ancora ferma in Parlamento (D.d.l. S/848 bis), vorrebbe realizzare un circolo virtuoso tra sostegno al reddito, orientamento e formazione professionale, reinserimento al lavoro, al fine di eliminare le discriminazioni, con l'auspicio che accanto agli ammortizzatori sociali operi anche un sistema di assicurazioni private.
2. Il sistema della mobilità.
Nella L. n. 223/1991 la mobilità è concepita da posto a mercato e il lavoratore in mobilità non un lavoratore con un'occupazione fittizia, bensì un lavoratore disoccupato che gode di una particolare tutela economica e preferenziale nel ricollocamento.
La strumentazione predisposta per reinserire questi lavoratori disoccupati nell'attività produttiva ruota attorno alla lista di mobilità (art. 6, L. n. 223/1991). L’iscrizione in tale lista conferisce una peculiare posizione giuridica di vantaggio sul mercato del lavoro, e in certi casi anche il diritto all’indennità di mobilità.
Secondo la disciplina originaria (risultante dalla L. 223/1991) nella lista di mobilità possono essere iscritti con diritto all’indennità: a)i lavoratori (operai, impiegati e quadri) licenziati collettivamente da imprese che rientrano nel campo di applicazione della Cassa integrazione guadagni straordinaria (ossia con + di 15 dipendenti); b)i lavoratori licenziati nell'edilizia in casi particolari; c)in via transitoria, a peculiari categorie di lavoratori.
L'iscrizione nella lista è disposta d'ufficio dall'organo competente senza necessità di apposita domanda del lavoratore.
L’emergenza occupazionale successiva alla legge del ’91 ha spinto per un ampliamento dell’ambito di applicazione delle liste di mobilità. Sono dunque stati ammessi alla procedura di mobilità anche i lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo, connesso a riduzione, trasformazione o cessazione di attività da parte di datori di lavoro esclusi dal campo d’applicazione della Cigs (cioè imprenditori con meno di 16 dipendenti). Tali soggetti cui è stata estesa l’applicazione del sistema della mobilità tuttavia non maturano il diritto alla relativa indennità. Essi godono solo dei benefici di natura occupazionale, ai fini di una più agevole ricollocazione lavorativa.
Al fine di promuovere la ricollocazione in attività di lavoro subordinato, sono concessi incentivi sia al lavoratore che al datore di lavoro.
Per il lavoratore è prevista: a)un’indennità di nuova sistemazione se accetta un’occupazione che comporti il cambiamento di residenza; b)la possibilità di ottenere un assegno integrativo mensile nel caso accetti un impiego comportante una retribuzione inferiore alla precedente; c)la possibilità di accettare occasioni di lavoro a tempo determinato o parziale senza perdere l’iscrizione nelle liste di mobilità e con facoltà di cumulare l’indennità di mobilità con la retribuzione, nei limiti del reddito (rivalutato) cui aveva diritto al momento del licenziamento; d)la precedenza, entro 6 mesi dal licenziamento, nella riassunzione da parte della stessa impresa che lo ha licenziato.
Per il datore opera un duplice meccanismo vincolistico e promozionale. Il profilo vincolistico è attuato tramite le precedenze, mentre per quanto riguarda il profilo promozionale, sono previsti degli incentivi economici (sotto forma di sgravi contributivi) per l’assunzione di lavoratori dalle liste di mobilità.
La cancellazione del lavoratore dalla lista di mobilità, con conseguente decadenza dai trattamenti economici, (art 9, L. n. 223/1991) può avvenire per cause fisiologiche (legate all’esaurimento della funzione protettiva) o per cause patologiche, configurandosi come sanzione per certi comportamenti scorretti del lavoratore :il lavoratore infatti è tenuto a collaborare attivamente in funzione del suo ricollocamento. La legge prevede in alcuni casi la possibilità di riscrizione del lavoratore cancellato per motivi fisiologici.
3. (Segue): L'indennità di mobilità.
L’indennità di mobilità (oltre al vantaggio nel ricollocamento, include anche il sostegno economico), istituita dalla L. 223/1991, è fondamentalmente un trattamento di disoccupazione particolare, riservato ai lavoratori licenziati collettivamente in determinati settori produttivi e da imprese di determinate dimensioni.
La domanda va presentata da parte del lavoratore entro 68 gg. dalla cessazione del rapporto (a pena di decadenza). L’indennità è erogata dall’INPS, ma concorrono anche le imprese rientranti nel campo di applicazione della Cigs (cassa integrazione guadagni straordinaria).
Tale indennità sostituisce ogni altra prestazione di disoccupazione, nonché l'indennità di malattia.
L’indennità di mobilità spetta a operai, impiegati e quadri (non ai dirigenti) in caso di disoccupazione derivante da: a) licenziamento durante o alla fine della Cigs; b)procedure concorsuali; c)licenziamento per riduzione del personale senza essere passati dalla Cigs.
Il godimento dell’indennità di mobilità dunque non è sempre preceduto dal godimento di un periodo di Cigs.
Per evitare la simulazione di rapporti di lavoro subordinato al solo fine di godere dell’indennità di mobilità, si richiede che gli operai, impiegati o quadri collocati in mobilità debbano possedere un’anzianità aziendale minima di 12 mesi (requisito soggettivo), di cui almeno 6 di lavoro effettivamente prestato in un rapporto di lavoro a carattere continuativo e comunque non a termine.
Il periodo di fruizione dell’indennità di mobilità può andare da 12 a 48 mesi ed è differenziato in relazione all’età del lavoratore e alla collocazione geografica (48 mesi nel mezzogiorno). L’indennità comunque non può essere corrisposta per un periodo superiore all’anzianità maturata dal lavoratore alle dipendenze dell’impresa. L’importo dell’indennità nei primi 12 mesi è pari al trattamento Cigs; poi si riduce all’80% del trattamento Cigs. Il lavoratore può richiedere la liquidazione anticipata dell'indennità per intraprendere un'attività autonoma o per associarsi in cooperativa.
4. Lo stato di disoccupazione.
Per capire quando la disoccupazione è effettivamente involontaria e definire chi sono i disoccupati nei cui confronti lo stato deve promuovere strategie preventive della disoccupazione giovanile e della disoccupazione di lunga durata, viene emanato il D.lgs. n. 181/2000, successivamente modificato dal D.lgs. n. 297/2002.
Lo stato di disoccupazione è la condizione del soggetto privo di lavoro che sia immediatamente disponibile allo svolgimento e alla ricerca di un’attività lavorativa. I disoccupati di lunga durata sono coloro che, con o senza precedenti lavorativi, siano alla ricerca di un’occupazione da più di 12 mesi o da più di 6 mesi se giovani.
5.L’indennità ordinaria di disoccupazione
Nei confronti dei disoccupati involontari la riforma promette un sostegni generalizzato ed omogeneo con un'indennità di disoccupazione ordinaria. L’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, gestita e finanziata esclusivamente con i contributi posti a carico dei datori di lavoro, rappresenta lo strumento di tutela delle necessità economiche del lavoratore causate dalla mancanza di lavoro nel mercato.
L’evento protetto è la disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro. Dunque ha titolo per ricevere tale trattamento chi risulti essere privo di lavoro per ragioni a lui non imputabili, ma derivanti da oggettive condizioni di mercato; pertanto non godono dell’indennità i non occupati, ossia coloro che devono appena cominciare a lavorare. Sono altresì esclusi i soggetti che godono di un regime di stabilità tale da far ritenere il licenziamento come un evento eccezionale ed alcune categorie di soggetti specificamente nominate (apprendisti, personale artistico, sacerdoti ecc.)
In pratica il sorgere di un rapporto di lavoro subordinato fa sorgere anche il rapporto previdenziale avente ad oggetto l’erogazione del trattamento economico sostitutivo del reddito perduto a seguito della involontaria inattività (quindi non per dimissioni).
L’indennità ordinaria di disoccupazione è riconosciuta per un periodo massimo di 6 mesi, al lavoratore subordinato disoccupato, sempre che sia stato impiegato in passato fino a maturare un certo periodo contributivo (per i lavoratori ultracinquantenni la durata è di 9 mesi).
La domanda va presentata all’INPS entro 68 gg. dalla cessazione del rapporto con allegata una certificazione da cui risulti la disoccupazione e la propria immediata disponibilità allo svolgimento di un’attività lavorativa.
Oggi l'indennità di disoccupazione con requisiti normali è pari al 40% dell'ultima retribuzione percepita prima della cessazione del lavoro. Il governo, anche a seguito dell'intesa del 5 luglio 2002 raggiunta con CISL e UIL (c.d. Patto per l'Italia) ha modificato in parte il D.d.l. n. 848bis/2003, ma senza sciogliere il nodo cruciale: quello delle risorse. Si continua infatti a parlare di riforma “senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello stato”, riproponendo così un'impostazione diversa dall'accordo raggiunto con le parti sociali
Il nuovo sostegno al reddito secondo il D.l. suddetto, dovrebbe durare per un periodo continuativo massimo di 12 mesi, con un meccanismo a scalare che assicuri al lavoratore, per i primi 6 mesi, ben il 60% della retribuzione, per poi scendere gradualmente, nei due trimestri successivi al 40% e al 30%. In cambio, i lavoratori hanno l'obbligo, fra l'altro, di partecipare a programmi formativi, pena la perdita del sussidio.

 

Fonte: https://associazioneetabetagamma.files.wordpress.com/2014/02/il-rapporto-di-lavoro-subordinato.doc

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