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Il rapporto di lavoro pubblico rientra nell’ampia categoria dei rapporti di lavoro speciali trattandosi di una relazione che intercorre tra lo Stato o un ente pubblico non economico e un soggetto privato.
La specialità del rapporto di lavoro trova la sua origine storica, oltre che nella natura pubblica del datore di lavoro, nella piena connessione tra la prestazione lavorativa del pubblico dipendente e la cura dell’interesse generale, da cui conseguivano obblighi accessori di fedeltà, diligenza e comportamento adeguato anche nella vita privata.
In pratica nella figura dell’impiegato pubblico era ravvisato un duplice profilo:
L’interazione tra i due momenti indusse a dare maggiore importanza alla funzione pubblica, derivandone così:
La normativa speciale del pubblico impiego è risalente al DPR 30 giugno 1957, n. 3 - Testo unico degli impiegati civili dello Stato - in cui continua a prevalere sul rapporto di servizio il Rapporto Organico, con la conseguente attrazione del PI nella sfera pubblicistica e la determinazione di notevoli differenziazioni rispetto all’impiego privato quali:
Le peculiarità del pubblico impiego trovano conferma nella stessa Cost. che dedica numerose disposizioni a tale rapporto, tra cui in particolare:
A partire dagli anni ‘70 il legislatore – sollecitato anche dalle forti pressioni delle organizzazioni sindacali (dirette a rivendicare uno spazio maggiore alla negoziazione sindacale) e dalla esigenza di perseguire meglio che in passato obiettivi di efficienza della pubblica amministrazione - intraprende un primo tentativo di riforma del pubblico impiego, dapprima con interventi di settore, in seguito con l’emanazione della legge n. 29 marzo 1983, n. 93 – legge quadro sul pubblico impiego – che riconosce il ruolo della contrattazione collettiva nella disciplina di quegli aspetti del pubblico impiego non soggetti alla riserva di legge o agli atti unilaterali di organizzazione della PA.
Il modello è tuttavia ancora lontano da quello del lavoro privato in quanto la fonte negoziale per spiegare i propri effetti necessita di un apposito atto legislativo di recepimento (un DPR) mediante una complessa procedura: in pratica, mentre nel lavoro privato il contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni sindacali costituisce fonte diretta di disciplina del rapporto di lavoro, nel pubblico impiego esso era produttivo di effetti solo nella misura in cui fosse stato recepito da un provvedimento avente natura ed efficacia regolamentare posto in essere unilateralmente dalla PA.
In ogni caso la legge quadro del 1983 pone importanti principi che sarebbero, poi, stati accolti ed implementati dal successivo d.lgs. 29/1993: il principio dell’efficienza nel settore pubblico, quello della perequazione e della trasparenza del trattamento economico, il riassetto del profili professionali.
A distanza di un decennio dalla legge quadro, dopo un elaborato dibattito dottrinale, la disciplina del lavoro pubblico ha conosciuto la più importante opera di riforma caratterizzata da una serie di interventi legislativi.
In realtà, si è trattato di un vero e proprio “processo riformatore” realizzato in due distinti momenti, con due leggi delega ed una serie di decreti legislativi di attuazione.
Con l’emanazione delle legge 23 ottobre 1992 n. 421 e del d.lgs. 29/1993 e ss. Modifiche, è stata realizzata la c.d. Privatizzazione del pubblico impiego, espressione con la quale si designa:
Successivamente l’art. 11 della legge n 59/1997 ha conferito al governo la delega ad emanare, entro il 31/12/1998, disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 29/1993: sono stati emanati il d.lgs. 396/1997 in materia di contrattazione collettiva, il d.lgs. n. 80/1998 in materia di organizzazione in materia di rapporti di lavoro e di giurisdizione nelle controversie di lavoro e il d.lgs. n. 387/1998 che modifica il 29/1993.
L’adozione di detti provvedimenti di integrazione o abrogazione, successivi al d.lgs 29 del 1993, ha reso necessaria un’opera di riordinamento e completamento della disciplina del pubblico impiego anche in un’ottica di generale semplificazione della normativa, previste della legge Bassanini.
A tal fine è stato adottato il d.lgs. 30 marzo 2001 n 165 recante “norme generali sull’ordinamento del lavoro alla dipendenze della amministrazioni pubbliche”.
In realtà, il d.lgs. 165 del 2001 assolve solo in parte allo scopo di Testo Unico del pubblico impiego, poiché ha natura sostanzialmente compilativa ed offre solo un riassetto ed una migliore sistemazione delle originarie norme del d.lgs n. 29 del 1993 .
Il d.lgs n. 165 del 2001 costituisce oggi il testo normativo di riferimento per la disciplina dei pubblici uffici e del lavoro nelle P.A.
Il d.lgs 165 del 2001 è così articolato:
Nonostante il processo di privatizzazione operato dal Legislatore della riforma, il rapporto di lavoro pubblico conserva alcuni tratti di disciplina speciale contenuti nel d.lgs 165/2001, stante la natura del datore di lavoro che rimane pubblica.
In conformità al dettato costituzionale dell’art. 97, il d.lgs 165/2001 stabilisce che l’assunzione nelle Pubbliche Amministrazioni avviene:
Il d.lgs. 165 riconosce alle pubbliche amministrazioni la facoltà di avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal Codice Civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa (art. 36).
A titolo esemplificativo, nella norma si fa riferimento al contratto a tempo determinato, al contratto di formazione e lavoro, agli altri rapporti formativi e al lavoro temporaneo (cui anno aggiunte altre tipologie contrattuali quali il telelavoro e il lavoro a tempo parziale), demandando alla contrattazione collettiva il compito di integrarne la disciplina adattandola alle specificità del lavoro pubblico.
Diversamente dal privato, nel lavoro pubblico tali rapporti flessibili non possono essere mai convertiti automaticamente in rapporto a tempo indeterminato, neanche in caso di violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte della Pubblica Amministrazione.
In tale ipotesi, tuttavia il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno, derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative, e le amministrazioni hanno l’obbligo di rivalsa nei confronti dei dirigenti eventualmente responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave di questi.
Sul tema del rapporto di lavoro flessibile è recentemente intervenuto il legislatore italiano che, con la legge 27 dicembre 2008, n. 244, (legge finanziaria per il 2008) ha adottato una politica volta ad affrontare il fenomeno del precariato nei seguenti due modi:
Su quest’ultimo fronte, la legge finanziaria per il 2008 ha operato su un doppio binario a seconda che gli interventi fossero riconducibili alle tipologie contrattuali di tipo subordinato o a quelle di lavoro autonomo.
Con riferimento all’applicazione dei contratti flessibili, l’art. 3, commi 76-79 della citata legge finanziaria, ne riduce l’ambito di applicazione attraverso i seguenti strumenti:
Inoltre, viene precisato che la disciplina non si applica agli uffici di diretta collaborazione del Ministro, agli uffici di supporto agli organi di direzione politica degli enti locali, nonché ai contratti relativi agli incarichi dirigenziali o alla preposizione ad organi di direzione, consultivi e di controllo delle pubbliche amministrazioni.
Per quanto attiene invece gli incarichi individuali che potranno essere affidati solo a soggetti di comprovata professionalità o specializzazione universitaria, la legge finanziaria per il 2008, ha disciplinato l’obbligo di pubblicità delle assegnazioni, prevedendo che i contratti di consulenza sono efficaci dalla data di pubblicazione sul sito istituzionale dell’amministrazione interessata del nominativo del consulente, del suo incarico, e del suo compenso.
Tra le peculiarità che contraddistinguono il lavoro pubblico rileva anche un regime di incompatibilità tra tale rapporto e altre attività di lavoro (c.d. dovere di esclusività del dipendente pubblico).
Tale principio trova la sua ratio nell’originaria concezione di pubblici dipendenti, che l’art. 98 cost. sancisce essere “al servizio esclusivo della nazione”.
Questo principio di esclusività ha dato luogo ad un’ampia normativa ancora vigente e richiamata dall’art. 53 del d.lgs. 165, in materia di incompatibilità e cumulo di impieghi.
Tuttavia da una interpretazione rigida del canone di esclusività si è passati ad un approccio più permissivo. Le disposizioni in materia di incompatibilità, infatti non si applicano ai dipendenti pubblici in regime di tempo parziali (avvocati no) con prestazioni lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno, ai quali viene così concesso l’esercizio di un’ulteriore attività lavorativa subordinata o autonoma anche di natura non professionale, che non sia in conflitto con gli interessi dell’amministrazione di appartenenza.
CUMULO DI INCARICHI: è possibile che al dipendente pubblico siano attribuiti incarichi retribuiti ulteriori rispetto a quelli rientranti nei relativi compiti e doveri di ufficio.
Contratto collettivo: la determinazione delle condizioni di lavoro può aversi, eccezionalmente, per atto dell’Autorità (es mediante legge), ma normalmente essa avviene per accordo diretto tra le parti, mediante contratto. Il contratto a sua volta può essere individuale, cioè tra singolo datore e singolo prestatore di lavoro oppure collettivo, se stipulato tra le associazioni (sindacali) dei datori di lavoro e dei lavoratori. Non si tratta di due forme contrattuali alternative e autonome in quanto il contratto collettivo, è strettamente funzionale al contratto individuale il cui contenuto economico e normativo è di regola informato a quello del contratto collettivo.
La contrattazione collettiva, con la quale si compongono le vertenze e i conflitti di interesse fra datori di lavoro e lavoratori rappresenta la maggiore espressione dell’autonomia sindacale e costituisce nello stesso tempo il compito fondamentale dei sindacati.
Definizione: il contratto collettivo di lavoro viene definito dalla dottrina come l’accordo tra un datore di lavoro (o un gruppo di datori di lavoro) ed una organizzazione o più di lavoratori, allo scopo di stabilire il trattamento minimo garantito e le condizioni di lavoro alle quali dovranno conformarsi i singoli contratti individuali stipulati sul territorio nazionale.
Il processo di ravvicinamento del pubblico impiego al rapporto di lavoro privato ha trovato la sua massima espressione e realizzazione nella nuova disciplina della contrattazione collettiva introdotta ad opera del d.lgs. 29/93 e sue successive modifiche.
La nuova normativa ha abolito la complessa procedura prevista dalla legge 93/1983. Essa subordinava l’acquisto di efficacia del contratto collettivo al recepimento dello stesso in un atto a carattere collettivo (DPR), facendo assurgere la contrattazione collettiva a ruolo di fonte primaria e diretta della disciplina del rapporto di pubblico impiego, analogamente a quanto avviene nel settore privato.
L’art. 40 del 165 stabilisce che la contrattazione collettiva interessa tutte le materie attinenti al rapporto di lavoro e alle relazioni sindacali e si sviluppa su due livelli:
La contrattazione nazionale si fonda in via principale sui contratti collettivi di comparto, cioè settori omogenei o affini, determinati mediante appositi accordi tra l’ARAN (Agenzia per la rappresentanza negoziale per la pubblica amministrazione) e confederazioni sindacali maggiormente rappresentative.
La contrattazione collettiva disciplina, alla stregua del settore privato, la durata, sia dei contratti nazionali sia di quelli integrativi, la struttura contrattuale e i rapporti tra i diversi livelli.
Alla contrattazione collettiva è riservata la competenza esclusiva in materia di trattamento economico dei dipendenti pubblici (art. 45 del 165).
Altra novità introdotta dal d.lgs. 23/93 è l’ARAN che ha il compito di rappresentare le PPAA in tutte le trattative sindacali a livello nazionale si tratta di un organismo dotato di personalità giuridica nonché di autonomia organizzativa e contabile nei limiti del proprio bilancio (art. 50).
L’ARAN se richiesto può assistere le PPAA anche in sede di contrattazione integrativa.
Per i lavoratori negoziano i delegati delle associazioni sindacali dotate di maggiore rappresentatività. (artt. 41 …)
Il rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazione si svolge nei limiti di quanto previsto nei contratti. Il lavoratore svolge le mansioni che siano previste dal contratto.
Non può essere adibito a mansioni inferiori.
Può essere adibito a mansioni superiori in casi tassativamente previsti dalla legge, quali:
In questi casi, solo per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore. Qualora non sussistano i presupposti in esame è nulla tale assegnazione, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che abbia agito con dolo o colpa grave risponde del maggior onere.
Il processo di privatizzazione del pubblico impiego ha interessato anche l’area della dirigenza inizialmente esclusa da tale processo sulla base del convincimento che solo un regime rigorosamente pubblicistico avrebbe potuto garantire l’applicazione del principio di buon andamento e imparzialità sancito dall’art. 97 cost.
La dirigenza è stata oggetto di intervento riformatore al fine di raggiungere una maggiore managerialità ed efficienza dell’azione amministrativa. La normativa contenuta negli artt. 13-29 del 165 è stata oggetto successivamente di nuovo intervento normativo ad opera della legge n. 145 del 2002.
Il principio generale a cui si è ispirata la riforma si fonda sulla netta separazione tra funzioni di indirizzo politico amministrativo e funzioni dirigenziali di gestione amministrativa, distinguendo così tra organi di governo e organi di direzione amministrativa di pubblici uffici.
Ai primi spettano le funzioni di indirizzo e di definizione degli obiettivi e dei programmi da realizzare tassativamente elencati all’art. 4 del d.lgs.165/2001.
Ai dirigenti si rimette invece ogni competenza in materia di gestione finanziaria, tecnica e amministrativa e di organizzazione delle risorse umane: adozione di atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, atti di gestione del personale con relativo esercizio dei poteri datoriali, di direzione, controllo e disciplinare.
L’art. 19 del d.lgs. 165/2001 prevede che per i dirigenti di base l’intera vicenda del rapporto –atto di conferimento dell’incarico, oggetto, obiettivi e durata dell’incarico, trattamento economico individuale - venga disciplinata dal contratto individuale; per i dirigenti generali, invece, il conferimento dell’incarico resta affidato ad un provvedimento amministrativo mentre con il contratto individuale vengono definiti l’oggetto, la durata e gli obiettivi dell’incarico, nonché il trattamento economico individuale.
La durata degli incarichi prevista dell’art. 19 modificato dal d.lgs 145/2002 è fissata nel massimo di tre anni per i dirigenti generali e cinque per i dirigenti di base e non prevede alcuna durata minima dell’incarico (prima fissa in due anni).
Altra novità introdotta dal 145 è la modifica all’art. 19 comma 8 che prevedeva la possibilità per il nuovo governo di revocare, modificare, o rinnovare gli incarichi di direzione degli uffici dirigenziali entro 90 giorni dal voto di fiducia, per cui decorso tale termine gli incarichi per i quali non si fosse provveduto si intendevano confermati fino alla loro naturale scadenza (cd spoil system).
A seguito della modifica all’art. 19 viene sancito un meccanismo di cessazione automatica dell’incarico per cui decorsi 90 giorni dal voto di fiducia gli incarichi di funzioni dirigenziali si considerano cessati in ogni caso non ricorrendo alcun onere di motivazione per il Governo.
Fonte: http://www.uniroma2.it/didattica/MetModperl'orgelages/deposito/Il_personale_pubblico.doc
Sito web da visitare: http://www.uniroma2.it
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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