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LE SOSPENSIONI DEL RAPPORTO DI LAVORO.
1.Fattispecie e tipologie
La sospensione è annoverata tra le vicende del rapporto di lavoro. Vi sono ricomprese una serie di ipotesi eterogenee (sciopero, malattia e infortunio, gravidanza, permessi e aspettative, sospensioni determinate da crisi aziendali, ecc.), che presentano un elemento comune: la sospensione totale o parziale dell’obbligazione di lavoro e degli obblighi indispensabili per il suo adempimento, non necessariamente di altre posizioni giuridiche accessorie (es. l’obbligo di fedeltà o la retribuzione). La sospensione quindi non è riferibile al rapporto nel suo complesso, ma all’obbligazione e prestazione di lavoro.
Una ricorrente classificazione distingue tra sospensioni per fatto del lavoratore e sospensioni dipendenti dall’impresa. La diversità della causa sospensiva si riflette in differenze di trattamento, soprattutto riguardo alla garanzia del reddito. In caso di sospensione dipendente dall’impresa, è di regola riconosciuta al lavoratore l’intera retribuzione, mentre in caso di sospensione per fatto del lavoratore, la garanzia riconosciuta è solitamente quella di un’indennità previdenziale, e solo in mancanza, la retribuzione o parte di essa secondo la legge o i contratti collettivi.
Il diritto del lavoro contiene in questi casi principi speciali rispetto alle regole generali dei contratti di scambio, ispirati a intenti protettivi del lavoratore, rispetto a due interessi fondamentali: la conservazione del lavoro e del reddito.
Nei casi di possibilità della prestazione (non imputabile) la regola generale del diritto civile è che il rapporto si estingue automaticamente se l’impossibilità è definitiva oppure se dura tanto da far venir meno l’interesse del creditore alla prestazione. Viceversa, nei casi previsti dagli artt. 2110-2111, l’impossibilità temporanea non estingue ma sospende il rapporto di lavoro ed al lavoratore è garantita la conservazione del posto.
Mentre nei normali contratti a prestazioni corrispettive la sospensione dell’obbligazione di una parte comporta la sospensione della controprestazione, il diritto del lavoro prevede il mantenimento dell’obbligo retributivo in capo al datore in svariate ipotesi.
Si tratta in sostanza di deroghe alla disciplina prevista dal diritto civile, volte a tutelare il lavoratore. Per quanto riguarda la portata e l’estensione di tali regole, si ritiene che siano ammissibili solo allorché specificamente previste dalla disciplina legislativa o contrattuale, e che dunque siano tassative.
Sospensioni per cause inerenti al prestatore di lavoro.
1.Gli artt. 2110-2111 c.c.
I casi più rilevanti di sospensioni per fatto del lavoratore sono quelli trattati dagli artt. 2110 e 2111 (malattia, infortunio, gravidanza, puerperio, servizio militare).
Tra le previsioni comuni vi è il diritto del lavoratore alla conservazione del posto, per il periodo stabilito dalla legge, dai contratti collettivi, dagli usi o secondo equità (c.d. periodo di comporto). Ciò implica che il potere di recesso sia sospeso per tutto il periodo del comporto (salva la sussistenza di un fatto che integri gli estremi della giusta causa). L’eventuale recesso deliberato dal datore si ritiene non nullo, bensì inefficace o ad efficacia differita alla fine della malattia o del periodo di comporto (eccettuato però il caso della lavoratrice in stato di gravidanza o puerperio).
I periodi di assenza vanno computati a tutti gli effetti nell’anzianità di servizio.
Oltre alla conservazione del posto, l’art. 2110 prevede la conservazione del reddito, stabilendo che, in mancanza di forme previdenziali equivalenti, il lavoratore ha diritto alla retribuzione, per il periodo e nella misura stabiliti dalla legge, dal contratto collettivo, dagli usi o secondo equità (la regola deve ritenersi estesa al richiamo alle armi, ma non al servizio di leva).
2. Malattia e infortunio.
Nei casi di malattia e di infortunio, la protezione del lavoratore- già costituzionalmente garantita dagli art. 32 e 38- è stata progressivamente rafforzata dalla contrattazione collettiva.
La nozione lavoristica di malattia ricomprende le sole affezioni morbose che comportano un’incapacità al lavoro.
La conservazione del posto è garantita per periodi variabili, di solito a seconda dell’anzianità di servizi del lavoratore e con esclusione dei dipendenti in prova. In caso di infortunio la conservazione del posto perdura fino alla guarigione certificata dall’Inail.
Quanto alla conservazione del reddito, la disciplina legale (R.D.L. n. 1825 del 1924) prevede che gli impiegati abbiano diritto al mantenimento della retribuzione a carico del datore di lavoro (integrale per un certo periodo di tempo e parziale per il periodo successivo), mentre gli operai ricevono un’indennità previdenziale posta a carico dell’Istituto pubblico competente (l’Inps per la malattia e l’Inail per l’infortunio), ma anticipata dal datore di lavoro.
L'indennità è nella misura del 60% della retribuzione normale; decorre a partire dal 3° o 4° giorni dopo l'inizio della sospensione (cosiddetta carenza) e persiste per un periodo variabile a seconda dell'anzianità, facendo carico al datore di lavoro di integrare, in tutto o in parte, quanto corrisposto dagli enti previdenziali agli operai.
Più controverso è il trattamento dei primi giorni di malattia (per gli operai). La regola del non pagamento dei primi 3 giorni (c.d. carenza), giustificata dall’esigenza di limitare l’onere economico per gli Istituti previdenziali e di scoraggiare fenomeni di assenteismo, è stata progressivamente corretta dalla contrattazione collettiva, che ha imposto al datore di integrare in parte o in tutto la retribuzione agli operai fin dal primo giorno di malattia.
In proposito la L. n. 638/1983 ha imposto ai lavoratori l’obbligo di reperibilità in determinate fasce orarie(10-12; 17-19), salvo giustificato motivo, ai fini della sottoposizione a visita medica, pena la decadenza dei lavoratori da ogni trattamento economico fino a 10 giorni e la riduzione dello stesso alla metà per l'ulteriore periodo. Mentre la prima parte della disposizione è stata confermata dalla Corte Costituzionale, la perdita del 50% dell'indennità per l'ulteriore periodo è stata ritenuta incostituzionale in quanto contraria all'art. 38 della Costituzione, nella parte in cui non prevede una seconda visita medica di controllo prima della decadenza di tale diritto.
Al fine di permettere i controlli in esami il lavoratore deve comunicare tempestivamente al datore di lavoro le cause dell'assenza: immediatamente nel caso di infortunio, entro 2 giorni nel caso di malattia, trasmettendo al datore di lavoro l'attestazione sull'inizio e la durata presunta della malattia e all'INPS il certificato di diagnosi, entrambi redatti dal medico curante (art. 2 L. n. 33/1980 e art. 5 L. n. 155/1981). L'inosservanza di tali obblighi comporta la perdita dell'indennità INPS per i giorni di ritardo, salvo che il ritardo sia giustificato da ragioni serie ed apprezzabili.
Per quanto riguarda le malattie brevi e reiterate, invece, la fattispecie trova sovente disciplina nella contrattazione collettiva, con la determinazione, accanto al comporto c.d. secco (relativo ad un unico episodio morboso), di un comporto per sommatoria o improprio, riferito alle malattie reiterate: il licenziamento viene ritenuto legittimo, se i vari episodi di malattia verificatisi entro un determinato periodo (di solito pari alla durata del contratto collettivo), sommati insieme, superino il periodo di comporto per sommatoria.
La contrattazione collettiva non ha fissato il comporto per sommatoria ed è quindi compito del giudice determinarlo secondo equità. Notevole interesse poi, desta la questione dello svolgimento di attività lavorativa per conto proprio o di terzi, in periodo di dichiarata e certificata malattia. La Suprema Corte a riguardo nega “ la generalizzazione teorizzante il divieto di espletamento di attività lavorative durante il periodo di malattia”, dovendosi valutare l'incidenza dell'attività espletata sul pronto recupero delle energie psico-fisiche ed eventuali aspetti simulatori del denunziato stato morboso.
3.Gravidanza, puerperio e congedi parentali.
Le donne lavoratrici sono beneficiarie di una speciale tutela legislativa nel corso della gravidanza e del puerperio, volta ad assicurare alla madre e al bambino quella speciale protezione costituzionalmente sancita (art. 37).
L’attuale disciplina è contenuta nel testo unico (TU) in materia di tutela della maternità e paternità (d. lgs. 151/2001). Il decreto segna un’importante tappa nell’evoluzione legislativa della materia. L’obiettivo è sempre quello di proteggere la salute e la vita della madre e del bambino, ma con una rinnovata attenzione per le esigenze fisiologiche ed altresì relazionali ed affettive di cura del figlio ad opera di ambedue i genitori lavoratori. Da ciò l’estensione della disciplina ad adozioni ed affidamenti, con conseguente abbandono del tradizionale concetto puramente fisico di maternità e la quasi totale equiparazione del lavoratore padre alla lavoratrice madre.
Solo alla lavoratrice madre naturale (in ragione dell’esigenza di tutelarne la gestazione) è imposta la fruizione del c.d. congedo di maternità pre-parto, con conseguente divieto del lavoro:
-nei 2 mesi precedenti la data presunta del parto.
-se il parto avviene oltre tale data, nel periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto (art 16 T.U.);
-l’interdizione dal lavoro deve essere anticipata in caso di complicanze della gravidanza o quando le condizioni di lavoro o ambientali possano essere pregiudizievoli per la salute della gestante e del nascituro (art. 17 T.U.).
È previsto poi un congedo di maternità post-parto, che impone alla lavoratrice madre di astenersi dal lavoro:
-nei 3 mesi successivi al parto;
-negli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga prima della data presunta.
Nel complesso dunque, la donna gode di un congedo di maternità pari a 5 mesi. L’inosservanza di tali disposizioni è punita penalmente con l'arresto fino a sei mesi (art. 18 T.U.).
Ferma restando la durata complessiva del congedo, le lavoratrici hanno comunque la possibilità di goderne secondo una modulazione diversa, astenendosi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei 4 mesi successivi al parto ove il medico specialista del S.S.N e il medico competente per la sicurezza su lavoro lo autorizzino (art. 20 T.U.). Durante il congedo di maternità, le lavoratrici hanno diritto ad un’indennità giornaliera pari all’80% della retribuzione normale. L’indennità è a carico dell’INPS, anche se di regola grava sul datore l’obbligo di anticiparla.
I periodi di congedo obbligatorio vanno computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti. Gli stessi periodi sono considerati come attività lavorativa ai fini della progressione di carriera.
Gli interventi legislativi succedutisi in materia attestano come il fondamento della protezione sia ormai sempre più nitidamente ricondotto alla maternità in quanto tale e non più, come in passato, al solo svolgimento di un’attività lavorativa subordinata. Infatti il trattamento di maternità è stato esteso anche alle lavoratrici autonome e alle libere professioniste. Inoltre leggi nazionali prevedono spesso un assegno di maternità ed un assegno unico per il nucleo familiare, per la madre che non svolga alcuna attività lavorativa ed appartenga ad una famiglia con limitate risorse economiche.
È nullo il licenziamento intimato alla lavoratrice nel periodo che va dall’inizio della gravidanza fino al compimento di 1 anno di età del figlio, salvo casi eccezionali (colpa grave, cessazione dell’attività aziendale).
In questo periodo anche le dimissioni sono guardate con sospetto, siccome possibile strumento per mascherare un licenziamento. Per questo è stato contemplato un meccanismo di convalida delle dimissioni presso il servizio ispettivo della direzione provinciale del lavoro, nonché una tutela economica (con tutte le indennità previste per il licenziamento). Tali disposizioni si estendono anche al lavoratore padre che abbia usufruito del congedo di paternità.
Al termine del congedo, la lavoratrice madre (o il lavoratore padre) gode del diritto al rientro. Il diritto al rientro comporta la conservazione del posto, il diritto al mantenimento delle precedenti mansioni o di altre equivalenti e, salvo espressa rinuncia, il diritto a rientrare nella stessa unità produttiva (o in altra nello stesso comune) ed a permanervi fino al compimento di 1 anno del bambino.
Il congedo post-parto per i primi 3 mesi di vita del bambino (con le stesse tutele, pure contro il licenziamento, e lo stesso trattamento economico) si estende pure al padre, ma limitatamente ad alcuni casi tassativi (morte o grave infermità della madre, affidamento esclusivo al padre), nei quali il venir meno dell’assistenza della madre rende necessaria una presenza sostitutiva dell’altro genitore.
Il congedo di paternità si differenzia però da quello di maternità:
-è facoltativo.
-può essere esercitato solo in alternativa alla madre.
-è rigido, poiché non prevede flessibilità di sorta, essendo consentito al padre di assentarsi solo nei primi 3 mesi di vita del figlio.
Al fine di agevolare l’ingresso del bambino nella famiglia, un congedo di 3 mesi può essere chiesto dalla madre (o in alternativa dal padre) che abbia adottato o abbia ottenuto in affidamento un bambino. Il congedo va fruito nei 3 mesi successivi all’ingresso del bambino nella famiglia (art. 26 e 31 T.U.).
Nell'intento di consentire ad entrambi i genitori di conciliare il lavoro con la cura dei figli, sono poi previsti dei congedi parentali, spettanti a ciascun genitore e per ciascun bambino, nei suoi primi 8 anni di vita. I genitori possono usufruire del congedo sia separatamente che contemporaneamente. I congedi parentali non possono eccedere il limite complessivo di 10 mesi, ma il diritto è esercitabile da ciascun genitore per un periodo (continuativo o frazionato) non superiore a 6 mesi (qualora vi sia un solo genitore, egli può godere di un periodo non superiore a 10 mesi).
Il limite complessivo di 10 mesi, è tuttavia elevato ad 11, qualora il padre eserciti il proprio diritto di astensione dal lavoro per un periodo non inferiore a 3 mesi (ciò allo scopo di incidere sulla tradizionale distribuzione dei ruoli in famiglia, nel tentativo di modificarne la direzione).
Il limite di questa disciplina risiede tuttavia nell’esiguità del trattamento economico spettante ai genitori durante il congedo. Essi hanno infatti diritto ad un’indennità (corrisposta dall’INPS) pari al 30% della retribuzione fino al terzo ano di vita del bambino e per un periodo complessivo massimo di 6 mesi; mentre dal terzo anno di vita fino all’ottavo, e comunque per il periodo residuo di astensione facoltativa, l’indennità è dovuta solo se il reddito individuale del genitore sia inferiore ad una certa sogli minima (art. 33 T.U).
Anche i periodi di congedo parentale devono essere computati nell’anzianità di servizio e devono essere considerati come attività lavorativa ai fini della progressione di carriera.
La lavoratrice madre o in alternativa il lavoratore padre di minore con handicap grave hanno diritto al prolungamento fino a tre anni del congedo parentale a condizione che il bambino non sia ricoverato presso istituti specializzati. I riposi giornalieri sono fruibili, soltanto nel primo anno di vita del figlio o, quando si tratti di adozione o affidamento. Questi riposi non spettano alla lavoratrice madre autonoma o libera professionista. In caso di parto plurimo, i riposi giornalieri sono raddoppiati, indipendentemente dal numero dei gemelli. Entrambi i genitori, ma alternativamente, hanno diritto di assentarsi dal lavoro per le malattie del figlio, previo certificato medico (per i primi 3 anni di vita del figlio per tutta la durata della malattia, mentre dal terzo all’ottavo anno del figlio per un massimo di 5 giorni l’anno).
Il rifiuto, l'opposizione o l'ostacolo all'esercizio dei diritti suddetti sono puniti con sanzioni amministrative. È altresì nullo il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore.
4.Servizio militare.
La garanzia del posto di lavoro e il decorso dell’anzianità ai vari effetti (salvo il tfr) sono riconosciuti in caso di servizio di leva, di servizio civile e di richiamo alle armi. La garanzia del reddito, invece, è prevista solo per il caso di richiamo alle armi. Va tuttavia ricordato che il reclutamento obbligatorio delle Forze Armate è stato sospeso a partire dal 1 gennaio 2005, sancendosi così la sostituzione dei militari in servizio obbligatorio di leva con volontari di truppa e con personale civile del Ministero della difesa (L. n. 226/2004).
5.Altri casi di sospensione.
Oltre ai casi già riportati, esistono altre ipotesi, di origine legale o contrattuale, caratterizzate dalla temporanea interruzione dell’obbligazione lavorativa, con diritto alla conservazione del posto, e talvolta anche del reddito.
Di alcune di esse ci siamo già occupati o ce ne occuperemo successivamente: pause di lavoro e riposi; permessi ed aspettative per l’adempimento di cariche sindacali, o per l’espletamento del mandato sindacale da parte di dirigenti di rsa; congedi familiari (non retribuiti) per morte o malattia di parenti prossimi o per il matrimonio; congedi formativi; permessi per motivi di studio.
La sospensione del rapporto può anche risultare da un accordo individuale tra le parti, nel qual caso sarà lo stesso accordo a stabilire i diritti e doveri derivanti dal rapporto sospeso (si ritiene infatti che la materia rientri nella disponibilità dei contraenti).
Sospensioni dipendenti dall'impresa.
1. La Cassa Integrazione Guadagni: l'evoluzione normativa.
La cassa integrazione guadagni rappresenta un’integrazione previdenziale versata a favore del lavoratore sospeso o ad orario ridotto fino all’integrale ripresa della produzione nella grande impresa privata. Si tratta di una forma di intervento pubblico sul mercato del lavoro, atta a garantire la sopravvivenza dell’impresa, nonché la salvaguardia dell’occupazione e del reddito dei lavoratori durante episodi di contrazione dell’attività aziendale. Essa rappresenta inoltre un’ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro per fatti inerenti all’impresa.
Se si applicasse il diritto comune dei contratti, l’imprenditore sarebbe esonerato dall’obbligo retributivo solo laddove la sospensione della prestazione fosse dovuta ad un’impossibilità sopravvenuta a lui non imputabile (art. 1218 e 1256 c.c.). Ma, a parte la difficoltà di accertare la non imputabilità all’imprenditore di una certa situazione aziendale, il ricorso a tale soluzione non garantirebbe una adeguata soddisfazione degli interessi in gioco. Da un lato esporrebbe il datore alle pretese creditorie dei lavoratori; dall’altro penalizzerebbe gli stessi lavoratori per i riflessi negativi che una contrazione dell’attività aziendale avrebbe sui rapporti di lavoro.
Da qui l’introduzione della Cig, con funzioni sia di sostegno all’impresa, sia di garanzia del reddito e dell’occupazione.
In tali casi dunque l’INPS assicura ai dipendenti di imprese industriali, con qualifica di operaio, impiegato e quadro, un’indennità pari all’80% della retribuzione globale di fatto che ad essi sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate.
La Cig, introdotta nell’industria dalla contrattazione collettiva corporativa nel secondo dopoguerra, è stata poi recepita dalla legge (D.lgs. n. 788/1945 e n. 869/1947) che l'ha quantificata in una percentuale della retribuzione, versata dall’ente pubblico (INPS) all’operaio sospeso o messo ad orario ridotto a seguito di un’involontaria e breve interruzione dell’attività aziendale. Ciò con l’obiettivo di rispondere al coincidente interesse del dipendente e dell’azienda alla conservazione del rapporto fino alla prevista piena ripresa produttiva ed occupazionale. Infatti in entrambi i casi di integrazione salariale vi deve essere la prospettiva della cessazione dell’evento sospensivo e quindi della ripresa produttiva (sebbene nell’intervento straordinario tali prospettive sono più incerte).
L’evoluzione normativa dei successivi decenni tuttavia ha traviato la natura originaria della Cig, attraverso una graduale evoluzione dell’istituto che ha attraversato quattro fasi principali:
A mezzo del 1991 viene emanata la L. n. 223 con la quale la Cassa Integrazione Guadagni va incontro ad un riforma. Le modifiche riguardano l'intervento ordinario (Cigo), nel senso di renderlo più omogeneo rispetto a quello straordinario, ma soprattutto toccano l'intervento straordinario (Cigs) al fine di ricondurlo alle sue finalità originarie, di sostegno temporaneo all'impresa e alle sue esigenze di trasformazione anziché di funzione sostitutiva del trattamento di disoccupazione dei lavoratori. In tale ottica la Cassa Integrazione non dovrebbe essere più l'anticamera dei licenziamenti collettivi, né dovrebbe giustificare la corresponsione dell'integrazione salariale ai lavoratori con un rapporto di lavoro fittizio.
A fronte di una perpetuazione della logica delle proroghe e degli interventi “a pioggia” di tipo assistenziale, si registrano recenti impulsi di riorganizzazione del sistema degli ammortizzatori sociali, in coincidenza con una nuova visione del mercato del lavoro quale opportunità e crocevia di passaggio per la maggior parte dei lavoratori, mobili e in crescita professionale. In tale prospettiva assume rilevanza la rete di protezione sociale apprestata dallo Stato per sostenere il lavoratore in cerca di occupazione. Tale rete si concentra sulla formazione professionale, sui servizi all'impiego, sull'indennità di disoccupazione e su quella di mobilità, assottigliando sempre di più le sue trame con riguardo all'integrazione salariale che dovrebbe rappresentare un sussidio solo eccezionale ed assolutamente temporaneo per superare le crisi transitorie d'azienda e di mercato.
La proposta di riforma degli ammortizzatori sociali mira a razionalizzare gli attuali istituti, superando sprechi ed inefficienze, e a collegare strettamente integrazioni al reddito, servizi di orientamento, formazione come altre misure di inserimento nel mercato del lavoro, anche attraverso gli organismi bilaterali. La prospettiva è quella di un nuovo sistema di tutele attive, volto ad incoraggiare e ad assistere il lavoratore nel processo di reinserimento nel mercato del lavoro.
2.L'intervento ordinario e straordinario: “cause integrabili”, ambito applicativo, durata e misura dell'integrazione.
L’intervento ordinario si presenta alla stregua di strumento “micro”, di supporto ad un calo produttivo riconducibile ad un evento temporaneo, congiunturale, senza un impatto durevole. Mentre l’intervento straordinario si presenta come mezzo “macro”, di ammortizzo di un ridimensionamento produttivo, ricollegabile ad un processo lungo, strutturale, con effetto duraturo. Tale differenza si riflette in vari aspetti della disciplina.
Le cause eleggibili sono le cause che provocano delle interruzioni o contrazioni dell’attività aziendale, con conseguente sospensione dal lavoro o riduzione di orario ammessi all’integrazione.
Per l’intervento ordinario sono date da: a)situazioni aziendali dovute ad eventi transitori e non imputabili all’imprenditore o agli operai; b)situazioni aziendali determinate da situazioni temporanee di mercato (L. n. 164/1975).
Per l’intervento straordinario sono invece costituite da: a)ristrutturazione (mutamento di tecnologie), riorganizzazione (mutamento dell’organizzazione aziendale) o riconversione aziendale (mutamento dell’attività stessa); b)crisi aziendale individuata sulla base di criteri ministeriali, in relazione alle situazioni territoriali e dei settori (L. n. 675/1977, come modificata dalla L. n. 223/1991).
L’intervento straordinario può inoltre essere richiesto dal responsabile della procedura (curatore, liquidatore, commissario) nei casi di fallimento, amministrazione straordinaria, liquidazione coatta amministrativa o concordato preventivo, in mancanza di continuazione dell’attività d’impresa.
L’intervento della cassa integrazione straordinaria è infine previsto nelle ipotesi di stipulazione di un contratto di solidarietà difensivo, al fine di evitare una riduzione del personale.
Campi d’applicazione
L’intervento ordinario è limitato alle imprese industriali (art. 1 L. n. 164/1975), sebbene successive leggi abbiano provveduto a coprire i settori dell’edilizia e dell’agricoltura.
L’intervento straordinario invece è concedibile solo all’impresa con più di 15 dipendenti. Originariamente riservato alla sola industria, inclusa l’edilizia, è stato successivamente esteso ad altri settori (imprese commerciali, di spedizione e trasporto, nonché delle agenzie di viaggio e turismo con più di 50 dipendenti, delle imprese appaltatrici di servizi di mesa o ristorazione e di servizi di pulizia di imprese industriali in Cig ed altresì delle imprese di vigilanza), nonché alle cooperative di produzione e lavoro (art. 8 L. n. 236/1993).
per le categorie o i settori d impresa esclusi dal campo di applicazione della Cig, nonché per gli enti e le aziende pubblici e privati erogatori di servizi di pubblica utilità, si è stabilito che “in attesa di un'organica riforma del sistema degli ammortizzatori sociali” si attiva il perseguimento di politiche attive di sostegno del reddito e dell'occupazione nell'ambito di processi di ristrutturazione aziendale o per fronteggiare situazioni di crisi. Il legislatore ha così inteso promuovere nuovi tipologie di ammortizzatori sociali, da regolare e gestire per via contrattuale (tramite fondi presso l'INPS, finanziati con il contributo di datori e lavoratori). Si aprono in tal modo spazi per forme di vera e propria previdenza negoziata, così definita per l'intervento della contrattazione e non dello Stato.
Lavoratori aventi diritto
L’intervento ordinario è rimasto a lungo riservato ai soli operai. Tuttavia la L. n. 223\1991 ne ha allargato l’ambito a impiegati e quadri, sì da farlo coincidere con quello dell’intervento straordinario. Quest'ultimo, però, ricomprende anche i soci delle cooperative di produzione e lavoro (ed è di regola subordinato al possesso di un'anzianità lavorativa di almeno 90 giorni: art 8 L. n. 160/1988).
Misura dell’indennità
Sia l’intervento ordinario che quello straordinario corrispondono all’80% della retribuzione altrimenti spettante al lavoratore per le ore non lavorate comprese tra le 0 e il limite orario contrattuale, ma comunque non oltre le 40 ore settimanali. Nel caso di contratti di solidarietà difensivi, l’integrazione salariale straordinaria è pari al 60% della retribuzione perduta in seguito alla riduzione di orario.
Durata dell’integrazione salariale
L’intervento ordinario è previsto per 3 mesi continuativi, con eventuali proroghe trimestrali in casi eccezionali, fino a 12 mesi. I limiti di durata non si applicano in caso di eventi oggettivamente non evitabili. L’intervento straordinario è invece disposto per un tempo diverso, a seconda delle cause integrabili:
-in caso di ristrutturazione, riorganizzazione e riconversione aziendali: per 2 anni, con eventuali altre 2 proroghe, ciascuna non superiore a 12 mesi per programmi di particolare complessità o in ragione della rilevanza delle conseguenze occupazionali;
-in caso di crisi aziendale: per 12 mesi, con eventuale nuova erogazione per la medesima causale solo dopo un periodo pari ai 2/3 di quello relativo alla precedente concessione;
-in caso di procedure concorsuali: per un periodo non superiore ai 12 mesi, prorogabili di altri 6 mesi quando sussistano fondate prospettive di continuazione o ripresa dell'attività e di salvaguardia, anche parziale, dei livelli di occupazione.
Nei contratti di solidarietà difensivi il trattamento può essere corrisposto per 24 mesi, prorogabili per altri 24 mesi (che diventano 36 nel sud Italia).
Per limitare la durata degli interventi Cig la L. n. 223 prevede un tetto cumulativo e un disincentivo economico. Il tetto è di 36 mesi nel quinquennio, mentre per ciò che riguarda il disincentivo economico è stabilito che il contributo addizionale dovuto per ogni cassaintegrato è raddoppiato in caso di proroga del trattamento per ristrutturazioni.
Con l'introduzione di rigidi limiti temporali, la L. n. 223 del 1991 ha voluto porre fine alla deprecabile prassi di utilizzo improprio della Cig, tipica degli anni '70 e '80. Tuttavia, questo meritorio intento ha dovuto fare i conti con decine di deroghe e proroghe (c.d. stillicidio). Ma nonostante ciò la recente previsione di nuovi criteri per la concessione delle proroghe ha dato prioritaria rilevanza alla programmazione di attività formative a favore dei lavoratori in CIGS.
3. (Segue): Procedure, erogazione e finanziamento della Cig.
Per la messa in Cig straordinaria e ordinaria, la legge prevede precisi termini di presentazione della domanda e l'obbligo per l'impresa di esperire le procedure sindacali.
Salvo che per le imprese soggette ad amministrazione straordinaria o a procedure concorsuali la domanda (di concessione o di proroga) va presentata entro 25 giorni dalla fine del periodo di paga in corso al termine della settimana in cui ha avuto inizio la sospensione o la riduzione dell'orario. La fissazione di questo termine (di decadenza) preclude la possibilità di ottenere il trattamento per periodi eccessivamente lontani dal verificarsi della causa integrabile.
L’informazione e la consultazione sindacale è una vera e propria condizione di ammissibilità della domanda di cassa integrazione. La sequenza procedurale è duplice con riguardo all'intervento ordinario:
-nei casi di eventi oggettivamente non evitabili, che rendano non differibile la contrattazione o la sospensione dell'attività produttiva, è prevista una comunicazione successiva alle RSA (o RSU) o, in mancanza, alle organizzazioni sindacali provinciali di categoria più rappresentative, nonché, a richiesta, un esame congiunto (da esaurirsi entro 5 giorni) per sospensioni e riduzioni d'orario superiori alle 16 ore settimanali.
-negli altri casi di contrazione o sospensione dell'attività produttiva è, invece, prevista una comunicazione preventiva alle RSA (o RSU) e alle OO.SS. Provinciali di categoria più rappresentative, nonché, sempre a richiesta, un esame congiunto (da esaurirsi entro 25 o 10 giorni, a seconda che il numero dei dipendenti sia superiore o inferiore ai 50).
Solo nella procedura relativa all’intervento ordinario, è ammessa, in caso di eventi oggettivamente non evitabili che rendano non differibile la contrazione o la sospensione dell’attività produttiva, una comunicazione successiva.
Quanto all'intervento straordinario è previsto in ogni caso un obbligo di comunicazione preventiva da parte dell'imprenditore nei confronti delle RSU o, in assenza, delle OO.SS.; poi a richiesta dell'imprenditore o dei suddetti organismi rappresentativi dei lavoratori, entro 3 giorni dalla comunicazione, può essere richiesto un esame congiunto della situazione aziendale dinanzi all'ufficio regionale competente e allo stesso Ministero del lavoro nel caso in cui l'intervento riguardi unità produttive ubicate in più regioni.
Conclusa la fase di consultazione sindacale, nell'intervento ordinario la domanda di messa in Cassa o di eventuali proroghe si sviluppa presso la sede provinciale INPS.
Nel caso di intervento straordinario, la domanda è inoltrata al Ministero del lavoro (Direzione degli ammortizzatori sociali e incentivi all'occupazione) previo parere della Regione (D.P.R. n. 218/2000). La richiesta deve contenere il programma (mirato al rilancio dell’attività e alla salvaguardia dei livelli occupazionali) che l'impresa intende attuare.
Al Ministero è attribuita la competenza di approvare il programma con decreto e di concedere il trattamento di integrazione salariale (nel termine di 30 giorni dalla ricezione della domanda o di 60 per i periodi successivi ai primi dodici mesi, escluso il caso di crisi aziendale) (art. 8 D.P.R. n. 218/2000).
Una volta concessa, l’integrazione salariale è anticipata dalla stessa azienda, che la recupera con il sistema del conguaglio, trattenendo una somma corrispondente sui contributi sociali da versare all’INPS.
Nell’intervento straordinario però, è possibile, per le imprese beneficiare, in caso di comprovate difficoltà finanziarie, richiedere l’esenzione, con conseguente pagamento diretto da parte dell’INPS.
Il finanziamento dell’integrazione salariale avviene con un contributo ordinario per ogni dipendente (a carico dello stato nell’intervento straordinario e delle imprese nell’intervento ordinario), nonché con un contributo addizionale per ciascun cassintegrato a carico delle imprese. Il contributo addizionale non è dovuto quando la Cig è giustificata “da eventi oggettivamente non evitabili”. Per sovvenzionare il trattamento straordinario, la L n. 407/1990 ha anche introdotto un contributo a carico dei lavoratori, che iniziano così a partecipare finanziariamente al sistema di disoccupazione.
4. (Segue): Criteri di scelta, rientro in azienda, ricollocamento dei lavoratori.
Ai sensi della L. n. 223/1991, i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere- nonché le modalità della rotazione- devono formare oggetto della comunicazione e dell'esame congiunto con i sindacati. I criteri di scelta adottati nella Cig sono diversi da quelli previsti per i licenziamenti collettivi, in quanto i cassaintegrati al termine del periodo “rientrano in azienda”.
In pratica, seconda la Suprema Corte, in materia operano i seguenti principi: i criteri Cig, fissati dal datore di lavoro o dall'accordo collettivo, devono essere obiettivi e razionali, rispettare i principi di correttezza, equità e buona fede e comunque, deve evitare qualsiasi discriminazione.
La vera novità introdotta dalla L. n. 223\1991 consiste nella rotazione fra i lavoratori sospesi o ad orario ridotto. Va detto che il datore non è assolutamente tenuto alla rotazione, ma eventuali motivi di impedimento al meccanismo di rotazione dovranno essere comunicati alle OO.SS. ed indicati partitamente nel programma di Cig: il Ministro del lavoro, se li riterrà ingiustificati, promuoverà l'accordo fra le parti o, in mancanza, imporrà con decreto il meccanismo della rotazione. Tuttavia, anche l'obbligo imposto con decreto ministeriale è privo di efficacia reale: potrà restare inottemperato, salvo il pagamento a carico del datore del doppio dei contributi addizionali per quei lavoratori che non rientrano nel meccanismo della rotazione.
La L. n. 223\1991 prevede che i lavoratori, al termine del periodo di godimento del trattamento di integrazione salariale, “rientrano in azienda”. Nonostante la laconicità della norma, il rientro, da un lato, deve essere effettivo e la sua efficacia non può essere degradata al mero equivalente economico; dall’altro non fa sorgere un diritto alla stabilità del rapporto, cioè lo stesso lavoratore può, se ne ricorrono i presupposti, essere licenziato (individualmente o collettivamente).
Il legislatore è inoltre esplicitamente intervenuto per fornire ai lavoratori cassaintegrati una peculiare “dote”. Si tratta soprattutto di sgravi contributivi, destinati alle imprese che li assumono, in particolare quelle del Mezzogiorno.
Infine, i fruitori del trattamento di integrazione salariale, se non in possesso dei requisiti per la pensione, hanno diritto alla corresponsione anticipata dell'indennità per l'avvio di nuove attività produttive (art. 1 bis L. n. 483/1994).
Il lavoratore cassintegrato può svolgere attività di lavoro autonomo o subordinato. Deve tuttavia darne preventiva comunicazione alla sede provinciale INPS, con conseguente perdita dell’integrazione per le sole giornate di lavoro effettuate. In mancanza di tale comunicazione il lavoratore decade dal diritto all’integrazione. Il lavoratore decade altresì in caso di mancata frequenza dei corsi di formazione professionale (L. n. 164/1975 ed anche D.L. n. 294/2004).
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Intervento Ordinario |
Intervento Straordinario |
Cause integrabili |
Situazioni aziendali dovute ad eventi transitori e non imputabili; |
Ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale; |
Campi di applicazione |
Imprese industriale (inclusa l’edilizia) |
Imprese industriali (inclusa l’edilizia) e cooperative di produzione e lavoro con più di 15 dipendenti (più estensione ad altre imprese) |
Lavoratori aventi diritto |
Operai, impiegati e quadri (esclusi dirigenti e apprendisti) |
Operai, impiegati, quadri e soci di cooperative di produzione e lavoro |
Misura dell’integrazione |
80% della retribuzione globale di fatto, ma con un massimale |
80% della retribuzione, ma con un massimale |
Durata dell’integrazione |
3 mesi continuativi con eventuali eccezionali proroghe trimestrali fino a 12 mesi, salvo casi oggettivamente non evitabili |
24 mesi (+12 +12) |
Procedura amministrativa |
La domanda va inoltrata all’INPS (sede provinciale) ed è accolta con delibera della commissione provinciale CIG |
La domanda (corredata di programma), previo motivato parere della regione, è inoltrata al Ministero del lavoro, che la approva con decreto ministeriale |
Finanziamento |
Contributo ordinario a carico dell’imprenditore + contributo addizionale a carico dell’imprenditore |
Contributo ordinario a carico dello Stato + contributo addizionale a carico dell’imprenditore |
Modalità di pagamento |
Anticipo da parte dell’imprenditore e successivo conguaglio con l’INPS |
Anticipo da parte dell’imprenditore e successivo conguaglio con l’INPS. |
Informazione e consultazione sindacale |
Comunicazione successiva a RSA (o RSU) o in mancanza alle OO.SS provinciali + rappresentative. È ammessa eccezionalmente la comunicazione preventiva. |
Comunicazione successiva a RSA (o RSU) o in mancanza alle OO.SS provinciali + rappresentative |
Fonte: https://associazioneetabetagamma.files.wordpress.com/2014/02/il-rapporto-di-lavoro-subordinato.doc
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