Leopardi dialogo della natura e di un islandese

Leopardi dialogo della natura e di un islandese

 

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

Leopardi dialogo della natura e di un islandese

GIACOMO LEOPARDI

VITA

Il poeta della giovinezza
Nasce a Recanati nel 1798 e muore a Napoli nel 1837

Deriva da una famiglia nobile, ma decaduta. Passa tutta la sua vita a studiare, sempre rinchiuso nel suo palazzo, senza contatti con l’esterno. La sua infanzia fu così triste e solitaria che riscontrerà delle malformazioni fisiche

I FASE - Dell’erudizione - 1809-1816 Età dell’adolescenza
Si dedica solo ed esclusivamente allo studio e si crea una cultura

II FASE --> dall’erudizione al bello – 1816-1822
Scopre la poesia che diventerà il suo unico modo per trasmettere i propri sentimenti e le proprie emozioni

III FASE --> dal bello al vero – 1822-1837
Scopre la filosofia

PENSIERO

  • Concezione laica e materialista della vita
  • Concezione meccanicistica della natura (vede la natura come un meccanismo perfetto)
  • Concetto di felicità --> la felicità non esiste. La vita dell’uomo è solo sofferenza. L’unica forma di felicità possibile è o la mancanza di sofferenza o l’attesa della felicità.
  • Concetto di giovinezza --> la giovinezza è l’unico periodo felice della vita in quanto si è pieni di speranza
  • Elaborazione del pessimismo -->
    • Pessimismo personale --> pensa che il suo pessimismo sia dovuto alla sua vita e alla sua esperienza
    • Pessimismo storico --> estende il suo concetto di infelicità a tutti gli uomini (l’uomo si è distaccato dalla natura)
    • Pessimismo cosmico --> la natura e l’universo sono i responsabili dell’infelicità, in quanto si muovono secondo precisi meccanismi
      • Concezione della natura --> la vede come una matrigna, una forza inesorabile che nel suo manifestarsi arreca sofferenza all’uomo. Essa non ne è consapevole. È indifferente all’uomo, in quanto esso è insignificante rispetto all’universo.
      • Rifiuto di qualsiasi consolazione o illusione di carattere religioso, politico o scientifico --> leopardi guarda con coraggio, lucidità e rassegnazione la condizione umana
      • Filosofia del solido nulla --> lui non crede a nulla
      • Solidarietà e fratellanza umana --> davanti alla sofferenza la soluzione è l’unione di tutti gli uomini.

 

OPERE

Prosa:  - Epistolario     Opere non destinate alla pubblicazione

  • Zibaldone     Raccolta di lettere, appunti che documentano le sue esperienze biografiche
  • I Pensieri

    Operette morali         opera filosofica tramite la quale esprime la sua filosofia
    • trattati o dialoghi

 

Poesia: 3 fasi o stagioni (i tre momenti della sua vita)

I Fase:  1816-1822

  • Poesie di ispirazione classicista      trattati
  • Piccoli idilli: sonetti                        dell’erudizione

Scrive le operette morali e fugge da Recanati

II Fase:  1828-1830

  • i grandi idilli --> canzoni

Tanto più grande era il suo dolore tanto più belle erano le sue opere

III Fase: 1833

  • ciclo di Aspasia (5 fasi)
  • La finestra --> poesie d’amore, rappresenta il suo testamento morale e un invito alla solidarietà e alla fratellanza umana

Idillio --> leopardi vede nell’amore l’ultima speranza di felicità, ma questo aggrava la sua situazione

Idillio--> piccolo quadro che rappresenta un piccolo paesaggio naturale. descrizione della poesia lirica che nasce dalla contemplazione della natura soggettiva

Grandi idilli --> poesie più lunghe (sabato del villaggio, a Silvia)
Piccoli idilli --> sonetti (alla luna, l’infinito)

TEMATICHE

  • Pessimismo
  • Concezione dell’esistenza umana
  • Concetto di felicità
  • Giovinezza
  • Concezione della natura
  • Rappresentazione nel paesaggio la vita di Recanati
  • Immensità e infinito
  • Ricordo e le rimembranze

 

Linguaggio semplice e colloquiale (quotidiano)
Nella II diventa più aspro e difficile da comprendere

IL SABATO DEL VILLAGGIO

La donzelletta vien dalla campagna
in sul calar del sole,
col suo fascio dell'erba; e reca in mano
un mazzolin di rose e viole,
onde, siccome suole, ornare ella si appresta
dimani, al dí di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
su la scala a filar la vecchierella,
incontro là dove si perde il giorno;
e novellando vien del suo buon tempo,
quando ai dí della festa ella si ornava,
ed ancor sana e snella
solea danzar la sera intra di quei
ch'ebbe compagni nell'età piú bella.
Già tutta l'aria imbruna,
torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
giú da' colli e da' tetti,
al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno
della festa che viene;
ed a quel suon diresti
che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
su la piazzuola in frotta,
e qua e là saltando,
fanno un lieto romore;
e intanto riede alla sua parca mensa,
fischiando, il zappatore,
e seco pensa al dí del suo riposo.

Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
e tutto l'altro tace,
odi il martel picchiare, odi la sega
del legnaiuol, che veglia
nella chiusa bottega alla lucerna,
e s'affretta, e s'adopra
di fornir l'opra anzi al chiarir dell'alba.

Questo di sette è il più gradito giorno,
pien di speme e di gioia:
diman tristezza e noia
recheran l'ore, ed al travaglio usato
ciascuno in suo pensier farà ritorno.

Garzoncello scherzoso,
cotesta età fiorita
è come un giorno d'allegrezza pieno,
giorno chiaro, sereno,
che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo'; ma la tua festa
ch'anco tardi a venir non ti sia grave.

A SILVIA
Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi? 
Sonavan le quiete
stanze, e le vie d'intorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all'opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menare il giorno. 
Io gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d’in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch’io sentiva in seno. 
Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? perché di tanto
inganni i figli tuoi? 
Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce lode or delle negre chiome,
or degli sguardi innamorati e schivi;
né teco le compagne ai dì festivi
ragionavan d’amore. 
Anche perìa fra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
anche negaro i fati
la giovinezza. Ahi come,
come passata sei,
cara compagna dell’età mia nova,
mia lacrimata speme!
Questo è il mondo? questi
i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi,
onde cotanto ragionammo insieme?
questa la sorte delle umane genti?
All’apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano.
LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA

Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Che rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato.
L’ artigiano a mirar l’ umido cielo,
Con l’ opra in man, cantando,
Fassi in su l’uscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell’ acqua
Della novella piova;
E l’ erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero.
Ecco il sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
Apri terrazzi e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passeggier che il suo cammin ripiglia.
Si rallegra ogni core.
Sì dolce, sì gradita
Quand’ è, com’ or,la vita?
Quando con tanto amore
L’ uomo a’ suoi studi intende?
O torna all’opre? o cosa nova imprende?
Quando de’ mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d’ affanno;
Gioia vana, ch’è frutto
Del passato timore, onde si scosse
E paventò la morte
Chi la vita abborria;
Onde in lungo tormento,
Fredde, tacite, smorte,
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
Mossi alle nostre offese
Folgori, nembi e vento
O natura cortese,
Son questi i doni tuoi,
Questi i diletti sono
Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
È diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta
Nasce d’ affanno, è gran guadagno. Umana
Prole cara agli eterni! assai felice
Se respirar ti lice
D’ alcun dolor: beata
Se te d’ogni dolor morte risana.

 

Quiete = fine delle sofferenze
Tempesta = sofferenza della vita
Concetto di felicità = attesa della felicità
Sabato = giovinezza, che è piena di speranze, illusioni e aspettative
Domenica = età adulta, con il crollo delle speranze

DIALOGO TRA LA NATURA E UN ISLANDESE

Un Islandese, che era corso per la maggior parte del mondo, e soggiornato in
diversissime terre; andando una volta per l'interiore dell'Affrica, e passando sotto la linea
equinoziale in un luogo non mai prima penetrato da uomo alcuno, ebbe un caso simile a
quello che intervenne a Vasco di Gama nel passare il Capo di Buona Speranza; quando il
medesimo Capo, guardiano dei mari australi, gli si fece incontro, sotto forma di gigante,
per distorlo dal tentare quelle nuove acque. Vide da lontano un busto grandissimo; che da
principio immaginò essere di pietra, e a somiglianza degli ermi colossali veduti da lui,
molti anni prima, nell'isola di Pasqua. Ma fattosi più da vicino, trovò che era una forma
smisurata di donna seduta in terra, col busto ritto, appoggiato il dosso e il gomito ad una
montagna; e non finta ma viva; di volto mezzo tra bello e terribile, di occhi e di capelli
nerissimi; la quale guardavalo fissamente; e stata così un buono spazio senza parlare,
all'ultimo gli disse.
Natura. Chi sei? Che cerchi in questi luoghi dove la tua specie era incognita?
Islandese. Sono un povero islandese, che vo fuggendo la Natura; e fuggitala quasi tutto il
tempo della mia vita per cento parti della terra, la fuggo adesso per questa.
Natura. Così fugge lo scoiattolo dal serpente a sonaglio, finché gli cade in gola da se
medesimo. Io sono quella che tu fuggi.
Islandese. La Natura?
Natura. Non altri.
Islandese. Me ne dispiace fino all'anima; e tengo per fermo che maggior disavventura di
questa non mi potesse sopraggiungere.
Natura. Ben potevi pensare che io frequentassi specialmente queste parti; dove non
ignori che si dimostra più che altrove la mia potenza. Ma che era che ti moveva a
fuggirmi?
Islandese. Tu dei sapere che io fino nella prima gioventù, a poche esperienze fui
persuaso e chiaro della vanità della vita, e della stoltezza degli uomini; i quali
combattendo continuamente gli uni con gli altri per l'acquisto di piaceri che non dilettano,
e di beni che non giovano; sopportando e cagionandosi scambievolmente infinite
sollecitudini, e infiniti mali , che affannano e nocciono in effetto; tanto più si allontanano
dalla felicità, quanto più la cercano. Per queste considerazioni, deposto ogni altro
desiderio, deliberai, non dando molestia a chicchessia, non procurando in modo alcuno
di avanzare il mio stato, non contendendo con altri per nessun bene del mondo, vivere
una vita oscura e tranquilla; e disperato dei piaceri, come di cosa negata alla nostra
specie, non mi proposi altra cura che di tenermi lontano dai patimenti. Con che non
intendo dire che io pensassi di astenermi dalle occupazioni e dalle fatiche corporali: che
ben sai che differenza è dalla fatica al disagio, e dal vivere quieto al viver ozioso. E già
nel primo mettere in opera questa risoluzione, conobbi per prova come egli è vano a
pensare, se tu vivi tra gli uomini, di potere, non offendendo alcuno, fuggire che gli altri
non ti offendano; e cedendo sempre spontaneamente, e contentandosi del menomo in
ogni cosa, ottenere che ti sia lasciato un qualsivoglia luogo, e che questo menomo non ti
sia contrastato. Ma dalla molestia degli uomini mi liberai facilmente, separandomi dalla
loro società, e riducendomi in solitudine: cosa che nell'isola mia nativa si può recare ad
effetto senza difficoltà.
Fatto questo, e vivendo senza quasi verun'immagine di piacere, io non poteva
mantenermi però senza patimento: perché la lunghezza del verno, l'intensità del freddo, e
l'ardore estremo della state, che sono qualità di quel luogo, mi travagliavano di continuo;
e il fuoco, presso al quale mi conveniva di passare una gran parte del tempo, m'inaridiva
le carni e straziava gli occhi col fumo; di modo che, né in casa né a cielo aperto, io mi
poteva salvare da un perpetuo disagio. Né anche potea conservare quella tranquillità della
vita, alla quale principalmente erano rivolti i miei pensieri: perché le tempeste
spaventevoli di mare e di terra, i ruggiti e le minacce del monte Ecla, il sospetto degli
incendi, frequentissimi negli alberghi, come sono i nostri, fatti di legno, non
intermettevano mai di turbarmi. Tutte le quali incomodità in una vita sempre conforme a se
medesima, e spogliata di qualunque altro desiderio e speranza, e quasi di ogni altra cura,
che d'essere quieta; riescono di non poco momento, e molto più gravi che esse non
sogliono apparire quando la maggior parte dell'animo nostro è occupata dai pensieri della
vita civile, e dalle avversità che provengono dagli uomini. Per tanto veduto che più che io
mi ristringeva e quasi mi contraeva in me stesso, a fine d'impedire che l'esser mio non
desse noia né danno a cosa alcuna del mondo; meno mi veniva fatto che le altre cose non
m'inquietassero e tribolassero; mi posi a cangiar luoghi e climi, per vedere se in alcuna
parte della terra potessi non offendendo non essere offeso, e non godendo non patire. E
a questa deliberazione fui mosso anche da un pensiero che mi nacque, che forse tu non
avessi destinato al genere umano se non solo un clima della terra ( come tu hai fatto a
ciascuno degli altri generi degli animali, e di quei delle piante), e certi tali luoghi; fuori dei
quali gli uomini non potessero prosperare né vivere senza difficoltà e miseria; da dover
essere imputate, non a te, ma solo a essi medesimi, quando eglino avessero disprezzati
e trapassati i termini che fossero prescritti per le tue leggi alle abitazioni umane. Quasi
tutto il mondo ho cercato, e fatta esperienza di quasi tutti i paesi; sempre osservando il
mio proposito, di non dare molestia alle altre creature, se non il meno che io potessi, e di
procurare la sola tranquillità della vita. Ma io sono stato arso dal caldo fra i tropici,
rappreso dal freddo verso i poli, afflitto nei climi temperati dall'incostanza dell'aria,
infestato dalle commozioni degli elementi in ogni dove. Più luoghi ho veduto, nei quali non
passa un dì senza temporale: che è quanto dire che tu dai ciascun giorno un assalto e una
battaglia formata a quegli abitanti, non rei verso di te di nessun'ingiuria. In altri luoghi la
serenità ordinaria del cielo è compensata dalla frequenza dei terremoti, dalla moltitudine e
dalla furia dei vulcani, dal ribollimento sotterraneo di tutto il paese. Venti e turbini
smoderati reggano nelle parti e nelle stagioni tranquille dagli altri furori dell'aria. Tal volta io
mi ho sentito crollare il tetto in sul capo pel gran carico della neve, tal altra, per l'
abbondanze delle piogge la stessa terra, fendendosi, mi si è dileguata di sotto ai piedi;
alcune volte mi è bisognato fuggire a tutta lena dai fiumi, che m'inseguivano, come fossi
colpevole verso loro di qualche ingiuria. Molte bestie salvatiche, non provocate da me con
una menoma offesa, mi hanno voluto divorare; molti serpenti avvelenarmi; in diversi
luoghi è mancato poco che gl'insetti volanti non mi abbiano consumato infino alle ossa.
Lascio i pericoli giornalieri, sempre imminenti all'uomo, e infiniti di numero; tanto che un
filosofo antico non trova contro al timore, altro rimedio più valevole della considerazione
che ogni cosa è da temere.
Né le infermità mi hanno perdonato: con tutto che io fossi, come sono ancora, non dico
temperante, ma continente dei piaceri del corpo. Io soglio prendere non piccola
ammirazione considerando come tu ci abbi infuso tanta e sì ferma e insaziabile avidità del
piacere; disgiunta dal quale la nostra vita, come priva di ciò che ella desidera
naturalmente, è cosa imperfetta: e da altra parte abbi ordinato che l'uso di esso piacere
sia quasi di tutte le cose umane la più nociva alle forze e alla sanità del corpo, la più
calamitosa negli effetti in quanto a ciascheduna persona, e la più contraria alla durabilità
della stessa vita. Ma in qualunque modo, astenendomi quasi sempre e totalmente da ogni
diletto, io non ho potuto fare di non incorrere in molte e diverse malattie: delle quali alcune
mi hanno posto in pericolo della morte; altre di perdere l'uso di qualche membro, o di
condurre perpetuamente una vita più misera che la passata; e tutte per più giorni o mesi
mi hanno oppresso il corpo e l'animo con mille stenti e mille dolori. E certo, benché
ciascuno di noi sperimenti nel tempo delle infermità, mali per lui nuovi o disusati, e
infelicità maggiore che egli non suole ( come se la vita umana non fosse bastevolmente
misera per l'ordinario); tu non hai dato all'uomo, per compensarnelo, alcuni tempi di sanità
soprabbondante e inusitata, la quale gli sia cagione di qualche diletto straordinario per
qualità e per grandezza. Ne' paesi coperti per lo più di nevi, io sono stato per accecare:
come interviene ordinariamente ai Lapponi nella loro patria. Dal sole e dall'aria, cose
vitali, anzi necessarie alla nostra vita, e però da non potersi fuggire, siamo ingiuriati di
continuo: da questa colla umidità, colla rigidezza, e con altre disposizioni; da quello col
calore, e colla stessa luce: tanto che l'uomo non può mai senza qualche maggiore o
minore incomodità o danno, starsene esposto all'una o all'altro di loro. In fine, io non mi
ricordo di aver passato un giorno solo della vita senza qualche pena; laddove io non posso
numerare quelli che ho consumati senza pure un'ombra di godimento: mi avveggo che
tanto ci è destinato e necessario il patire, quanto il non godere; tanto impossibile il viver
quieto in qual si sia modo, quanto il vivere inquieto senza miseria: e mi risolvo a
conchiudere che tu sei nemica scoperta degli uomini, e degli altri animali, e di tutte le
opere tue; che ora c'insidii ora ci minacci ora ci assalti ora di pungi ora ci percuoti ora ci
laceri, e sempre o ci offendi o ci perseguiti; e che, per costume e per instituto, sei
carnefice della tua propria famiglia, de' tuoi figliuoli e, per dir così, del tuo sangue e delle
tue viscere. Per tanto rimango privo di ogni speranza: avendo compreso che gli uomini
finiscono di perseguitare chiunque li fugge o si occulta con volontà vera di fuggirli o di
occultarsi; ma che tu, per niuna cagione, non lasci mai di incalzarci, finché ci opprimi. E
già mi veggo vicino il tempo amaro e lugubre della vecchiezza; vero e manifesto male,
anzi cumulo di mali e di miserie gravissime; e questo tuttavia non accidentale, ma
destinato da te per legge a tutti i generi de' viventi, preveduto da ciascuno di noi fino nella
fanciullezza, e preparato in lui di continuo, dal quinto suo lustro in là, con un tristissimo
declinare e perdere senza sua colpa: in modo che appena un terzo della vita degli uomini
è assegnato al fiorire, pochi istanti alla maturità e perfezione, tutto il rimanente allo
scadere, e agl'incomodi che ne seguono.
Natura. Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che
nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho
l'intenzione a tutt'altro, che alla felicità degli uomini o all'infelicità. Quando io vi offendo in
qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n'avveggo, se non rarissime volte:
come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto come
credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E
finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne
avvedrei.
Islandese. Ponghiamo caso che uno m'invitasse spontaneamente a una sua villa, con
grande istanza; e io per compiacerlo vi andassi. Quivi mi fosse dato per dimorare una cella
tutta lacera e rovinosa, dove io fossi in continuo pericolo di essere oppresso; umida,
fetida, aperta al vento e alla pioggia. Egli, non che si prendesse cura d'intrattenermi in
alcun passatempo o di darmi alcuna comodità, per lo contrario appena mi facesse
somministrare il bisognevole a sostentarmi; e oltre di ciò mi lasciasse villaneggiare,
schernire, minacciare e battere da' suoi figliuoli e dall'altra famiglia. Se querelandomi io
seco di questi mali trattamenti, mi rispondesse: forse che ho fatto io questa villa per te? O
mantengo io questi miei figliuoli, e questa mia gente, per tuo servigio? E, bene ho altro
da pensare che de' tuoi sollazzi, e di farti le buone spese; a questo replicherei: vedi,
amico, che siccome tu non hai fatto questa villa per uso mio, così fu in tua facoltà di non
invitarmici. Ma poiché spontaneamente hai voluto che io ci dimori, non ti si appartiene egli
di fare in modo, che io, quanto è in tuo potere, ci viva per lo meno senza travaglio e
senza pericolo? Così dico ora. So bene che tu non hai fatto il mondo in servigio degli
uomini. Piuttosto crederei che l'avessi fatto e ordinato espressamente per tormentarli. Ora
domando: t'ho io forse pregato di pormi in questo universo? O mi vi sono intromesso
violentemente, e contro tua voglia? Ma se di tua volontà, e senza mia saputa, e in
maniera che io non poteva sconsentirlo né ripugnarlo, tu stessa, colle tue mani, mi vi hai
collocato; non è egli dunque ufficio tuo, se non tenermi lieto e contento in questo tuo
regno, almeno vietare che io non vi sia tribolato e straziato, e che l'abitarvi non mi
noccia? E questo che dico di me, dicolo di tutto il genere umano, dicolo degli altri animali
e di ogni creatura.
Natura. Tu mostri di non aver posto mente che la vita di quest'universo è un perpetuo
circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera, che
ciascheduna serve continuamente all'altra, ed alla conservazione del mondo; il quale
sempre che cessasse o l'una o l'altra di loro, verrebbe parimente in dissoluzione. Per
tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento.
Islandese. Cotesto medesimo odo ragionare a tutti i filosofi. Ma poiché quel che è distrutto,
patisce; e quel che distrugge, non gode, e a poco andare è distrutto medesimamente;
dimmi quello che nessun filosofo mi sa dire: a chi piace o a chi giova cotesta vita
infelicissima dell'universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo
compongono?
Mentre stavano in questi e simili ragionamenti è fama che sopraggiungessero due leoni,
così rifiniti e maceri dall'inedia, che appena ebbero forza di mangiarsi quell'islandese;
come fecero; e presone un poco di ristoro, si tennero in vita per quel giorno. Ma sono
alcuni che negano questo caso, e narrano che un fierissimo vento, levatosi mentre che
l'islandese parlava, lo stese a terra, e sopra gli edificò un superbissimo mausoleo di
sabbia: sotto il quale colui diseccato perfettamente, e divenuto una bella mummia, fu poi
ritrovato da certi viaggiatori, e collocato nel museo di non so quale città di Europa.
Presa dalle operette morali (1824 – 1827 )

2 protagonisti -> l’islandese e la natura

dove si svolge --> nel deserto
concezione --> 1. pessimismo cosmico, concetto di natura matrigna indifferenza e inconsapevolezza
2. concezione meccanicistica e materiale della natura
3. l’autore s’interroga sul significato dell’esistenza umana, ma non trova  alcuna risposta

Trama: cammina nel deserto e incontra una donna enorme, che gli chiede chi è e cosa fa. Egli risponde che sta fuggendo dalla natura lei gli dice che l’ha incontrata ora.

 

Fonte: http://itcgramsci.altervista.org/download/italiano/02_giacomo_leopardi.doc

Sito web da visitare: http://itcgramsci.altervista.org

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

Leopardi dialogo della natura e di un islandese

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

Leopardi dialogo della natura e di un islandese

 

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco

www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve

 

Argomenti

Termini d' uso, cookies e privacy

Contatti

Cerca nel sito

 

 

Leopardi dialogo della natura e di un islandese