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POESIA IN ITALIA NEL PRIMO ‘800
Durante il romanticismo italiano la poesia lirica è piuttosto mediocre (vi sono solo esponenti come Berchet, Manzoni, il giovane Leopardi e Mercantini).
LIRICA PATRIOTTICA
à Tommaso Grossi (milanese), anche autore di novelle in versi, cioè poesie in genere di argomento amoroso e patetico, che hanno un intento narrativo; a volte hanno anche un intento sociale: per questo rientrano nella lirica patriottica
LIRICA DIALETTALE: tale lirica è scritta appunto in dialetto: è una scelta originale e coraggiosa. Ebbe buon successo, ma non una diffusione altissima.
à Carlo Porta (milanese), fu molto versatile e scrisse un po’ di tutto, cimentandosi anche in un abbozzo di traduzione dell’ ”Inferno” in milanese. Fu autore anche dell’ EPICA POPOLARE, cioè poemetti dedicati a raccontare disavventure di personaggi popolari (polemica anticlericale).
à Giuseppe Giocchino Belli (romano), fu quasi esclusivamente poeta: scrisse oltre 2000 sonetti all’insegna di una comicità e una satira grottesca (polemica antinobiliare e anticlericale). Vi è in lui anche una rappresentazione satirica dell’aldilà cristiano. Ebbe più volte, prima di morire, la tentazione di bruciare le sue opere, ma non lo fece. Si ispirava vagamente alle “Pasquinate”, cioè versi satirici che comparivano attaccati ad un monumento romano, ilcui probabile autore si chiamava Pasquino
Giuseppe Giusti (romano), fu autore di satira poetica contro il Granduca di Toscana: usava spesso metafore tratte dal mondo animale: lo faceva per non incappare nella censura.
SECONDA GENERAZIONE DI POETI ROMANTICI
A cavallo tra la prima e la seconda metà del secolo, si diffonda la poesia di gusto “decadente”: è una poesia minore, di un Romanticismo minore e di maniera (si rifà in modo molto banale alla poesia romantica (si parla quasi di un’ “Arcadia romantica”).
GIACOMO LEOPARDI (1798-1837)
PENSIERO
Leopardi fu un pensatore sistematico e coerente: non scrisse vere e proprie opere di filosofia. Il suo pensiero va rilevato da una serie di scritti che non hanno un corpus organico. A differenza dei critici dell’ ‘800, che svalutavano il suo pensiero, quelli odierni gli danno molta importanza. Nel prima parte del ‘900 Benedetto Croce diceva che il suo pensiero andava assolutamente svalutato.
Questa visione si manifesta soprattutto nelle “Operette morali”, scritte nel ’24 e pubblicate nel ’27, in cui traspare una sapienza molto scettica e disincantata. Ha una debole speranza nella società umana: se gli uomini sono destinati alla sofferenza, questi devono coalizzarsi per far fronte alla nature (non c’è “misantropia” in Leopardi, me emerge sempre la positività del contatto umano).
Titanismo leopardiano: estrema protesta che Leopardi porta avanti contro forze più grandi di lui, come la natura ( > titanismo alfieriano, eroi romantici).
Bisogna recuperare l’immaginazione: la poesia deve aiutare l’uomo a coltivare le proprie illusioni, ma ciò può avvenire solo tramite lo studio dei classici.
OPERE
Tra le poesie giovanili ci sono le canzoni civili, le prime due delle quali sono petrarchesche:
C’è un contrasto netto fra la grandezza degli antichi e la servitù politica dell’Italia del tempo. Mostra una visione ingenua, priva di ogni contatto con la realtà: sogna una sorta di riscatto individuale per la patria (è una visione molto classicista). Lo stile formale è molto vicino alla poesia classica, il linguaggio è solenne, diverso da quello snello, moderno e più semplice dei canti successivi.
“Alla primavera”
Leopardi affronta ancora il rapporto uomo-natura (passaggio verso il pessimismo cosmico). Tema delle illusioni e felicità di cui erano capaci gli uomini antichi: sorta di esaltazione delle popolazioni che allora si credeva vivessero ancora in condizioni primitive. Esaltazione della vita rustica e campestre.
Leopardi non propose mai il suicidio come mezzo per porre fine alle proprie sofferenze: meglio vivere e testimoniare il vero per aiutare gli altri
È anche il periodo in cui elabora il pessimismo cosmico.
Sono le uniche poesie di questo periodo di crisi interiore: visione della natura matrigna del pessimismo cosmico.
Si dedica alla prosa delle “Operette morali”, pubblicate per la prima volta nel ’27: sono brevi opere filosofiche scritte quasi tutte nel ’24. L’ultima edizione è quella postuma del ’34.
Descrive dialoghi che avvengono tra personaggi storici realmente esistiti, e a volte tra personaggi del mito.
In questa opera Leopardi è molto ironico e disincantato e sarcastico: non si creano illusioni e suggestioni particolari, ma viene semplicemente presentata la realtà agli uomini.
Il ’27 è l’anno della prima pubblicazione dei “Promessi sposi”, che si può considerare agli antipodi delle “Operette morali”.
T2 à L’ infinito (pag.525)
L’ ”Infinito”, scritto nel 1819 a Recanati, fa parte di un gruppo di poesie, chiamato “Piccoli idilli”, che sono di argomento per lo più pastorale di tradizione greca.
Quelle curate dall’amico Ranieri sono nell’ordine che probabilmente voleva Leopardi, ma non certo in quello cronologico, a causa di ragioni tematiche.
È composto da 15 endecasillabi sciolti: descrive il momento in cui si trova sul monte Tabor, con una siepe di fronte che pone un limito visivo, che lo spinge a fantasticare su ciò che potrebbe esserci aldilà; ciò
Questo istinto dell’uomo a immaginare cose infinite nello spazio e nel tempo è una caratteristica dell’uomo che lo usa per supplire alla sua infelicità. Si può immaginare non l’infinito, ma che oltre il limite oggettivo ci sia qualcosa di oggettivo. Tendenza dell’uomo a immaginare cose che non vede e non conosce. La capacità dell’immaginazione può essere riscoperta dall’uomo tramite la poesia.
La scienza e la tecnica ha fatto si che l’uomo moderno sappia più cose rispetto al passato, quindi che sia limitato nella capacità dell’immaginazione.
L’infinito per Leopardi è qualcosa di molto diverso dai Romantici: non è Dio, o qualcosa di trascendente, ma qualcosa di comunque materiale. C’è una chiara componente filosofica e un linguaggio più semplice e lineare rispetto a quello precedente. Svecchia il linguaggio della poesia, e si avvicina ad una certa normalità.
Nel v.8, cioè a metà, Leopardi passa dall’infinito spaziale a quello temporale: parte da un contrasto tra il rumore di queste piante e il silenzio di quel infinito. Lo stordimento di queste riflessioni è dolce e piacevole.
La lingua è più moderna rispetto alle “Canzoni civili” e agli “Inni”: il discorso è comunque elaborato dal punto di vista retorico.
Sono numerosi gli enjambements, importanti per dare una certa continuità. Usa delle espressioni volutamente vaghe: espressioni più vaghe, corrispondono a una maggiore espressione poetica (questo fa si che il lettore immagini e venga suggestionato da ciò che legge). Alcune parole creano suggestione al di là del loro significato.
Il riconoscere il valore evocativo è tipico della visione ottocentesca e romanticista, che in qualche modo anticipa la poesia di fine ‘800.
SCHEDA à pensieri numerati tratti dallo “Zibaldone”
Tali pensieri, del 1820, si riferiscono all’ “Infinito” e alle sue tematiche. L’uomo immagina ciò che non esiste, o ciò che esiste, ma sotto una forma diversa (varietà delle cose). Non avrà sempre questa concezione dell’infinito, in modo particolare nel periodo del pessimismo cosmico. L’infinito rientra nella sua visione meccanicistica del mondo.
T4 à A Silvia (pag.534)
Il suo vero nome della protagonista è Teresa Fattorini: le ha cambiato il nome perché Teresa le sembrava poco poetico, e trae Silvia dall’ “Aminta” del Tasso. Non c’è nulla di realmente biografico nel testo: probabilmente la conobbe appena ed alla morì giovanissima di tisi. Ciò gli permette di fare un discorso più generale sulla natura matrigna. Leopardi fa un parallelo tra la vicenda di Silvia e la propria: anche lui non ha raggiunto la felicità che sperava.
La canzone è composta da 6 strofe, ognuna centrata su un momento della riflessione:
La struttura è quasi circolare, in cui la fine rimanda all’inizio, in particolare all’occupazione di Silvia al telaio.
La parola “lieta” è in contrasto con “pensosa”,e “ridenti” con “fuggitivi”: si attenua in tutti e due i casi il significato della prima parola.
“Salivi” è l’anagramma di Silvia: apre e chiude la strofa con Silvia e salivi (ora si pensa che non sia affatto casuale).
La conclusione è cupa e messa in contrasto con quella allegra iniziale; ci sono molti enjambements e un chiasmo al v.62.
T5 à Le ricordanze (pag.538)
(1829) poemetto in endecasillabi sciolti, parla di Recanati, il natio borgo selvaggio, perché abitato da persone che lui disprezzava. Tema delle illusioni: il confronto con il passato è sempre un contrasto. Le descrizioni paesaggistiche sono elevate e vi è aspirazione a ciò che è ignoto e una protesta verso promesse non rispettate. Le immagini sono ancora vaghe e indefinite e aspirano a ciò che è ignoto nella fanciullezza. Anche qui è presente il tema della morte come in “A Silvia”, personaggio quasi rievocato.
L’ultima strofa rievoca una figura di fanciulla e la chiama Nerina (una delle ninfe compagne di Silvia nell’ “Aminta”); viene presentata come una ragazza di gioventù: è stato ipotizzato che si tratti ancora di Teresa. Nerina ha la stessa funzione di Silvia: vi è la rievocazione della fanciulla morta giovane, per spigare la crudeltà della natura, che non mantiene le sue promesse.
T7 à La quiete dopo la tempesta (pag.552)
Fa parte dei canti pisano-recanatesi, e composta nel settembre del ’29, è una canzone libera di 3 strofe dove si alternano versi settenari ed endecasillabi. L’ambiente è campagnolo (è uno sfondo ideale per in discorso filosofico) che riprende a respirare a dopo un fortissimo temporale. Dopo la tempesta c’è la quiete e tutti tornano ad essere sollevati. Apparentemente è un quadretto idillico, e la descrizione del borgo è manierata: non è recanati, ma qualsiasi borgo. Tutto questo fa da sfondo alla tesi filosofica per cui il piacere in sé non esiste, ma esiste in quanto cessazione del dolore: l’uomo si illude di provare piacere quando cessa l’affanno (piacere figlio d’affanno). L’unica cosa che rende definitiva la cessazione dell’affanno è la morte. La protesta contro la natura matrigna è in stile antifrastico: l’antifrasi è la figura retorica in cui si dice una cosa intendendo il contrario.
Allo stesso modo Leopardi finge di rivolgersi alla natura in tre momenti:
Lo stile e la lingua sono poco letterari e molto semplici. Vi sono rime interne (come “tempesta” e “festa”).
Nel v.7 allitterazione della lettera A che indica la luminosità. La parola “fiume” è l’unica in cui la lettera U è in posizione tonica (allo stesso modo il fiume è l’unica macchia scura all’interno della valle).
v.38 aggettivi riferiti alle genti
v.41 sostantivi che sono i motivi che hanno spaventato le genti
Leopardi si rivolge alla natura fingendo di lodarla: l’aggettivo “cortese” della natura si collega per antifrasi a “offese” (rima in contrasto).
T9 à Il sabato del villaggio (pag.558)
Simile per il tema e periodo di composizione alla “quiete dopo la tempesta” (sono anche in posizione vicina nei canti, rispettivamente il 24 e il 25).
Qui la concezione filosofica è un po’ diversa: descrive il giorno e la sera del sabato, in cui sono tutti felici nel prepararsi alla festa della domenica. È un’illusione di felicità che nasce dall’attesa del giorno dopo (che rappresenterà la delusione): la felicità sta solo nell’illusione dell’attesa.
Come il sabato precede la domenica, la fanciullezza precede la giovinezza (che è la festa della vita); e proprio come la domenica non porta gioia, allo stesso modo non lo farà la giovinezza.
C’è un riferimento alle “Ricordanze” per il rimpianto della giovinezza, ma anche al tema affrontato in “A Silvia”.
La canzone libera è formata da 4 strofe in cui si alternano endecasillabi e settenari. Nella strofa iniziale vi sono immagini molto letterarie di personaggi che popolano il borgo di campagna. Contrasto tra la donzelletta e la vecchierella che siede insieme alle vicine a filare in un punto vicino all’occidente (dove il sole tramonta: la vecchietta è verso il finire della vita).
Pascoli, nel commentare questo testo, disse che non poteva avere in mano le rose e le viole, perché fioriscono in diversi periodi dell’anno: a Leopardi interessa solo il fattore simbolico.
Nella seconda strofa c’è l’allitterazione della lettera R, per evidenziare le difficoltà della vita.
L’ultima strofa è un invito al fanciullo a godersi la sua infanzia senza aspettare la giovinezza.
Sono numerose le rime interne.
T6 à Canto notturno di un pastore errante dell’Asia (pag. 544)
Composto fra l’ottobre e l’aprile del 1830, alla vigilia della sua partenza da Recanati. Il tema è quello del pessimismo cosmico, che non colpisce soltanto le persone, ma anche gli animali. Qui la natura è vista come maligna e indifferente ai bisogni dell’uomo. È un componimento molto sentito dal punto di vista emotivo.
Affida il discorso poetico ad un pastore nomade dell’Asia, il quale si interroga sulla ragione della vita umana, sull’infelicità, e sulla natura ostile all’uomo. Leopardi utilizza nella finzione un pastore nomade come protagonista poiché da cronache di viaggi sapeva dell’esistenza di questi uomini, che hanno colpito la sua fantasia: in oriente hanno avuto pochi contatti con la civiltà “evoluta”, quella occidentale, e qui l’autore vuole portare un punto di vista di un uomo il cu stato è molto vicino a quello brado, naturale.
L’uomo rivolge alla luna una domanda, ed essa naturalmente non gli risponde: qui leopardi vuole sottolineare che la natura resta indifferente alle sofferenze dell’uomo. Il tono utilizzato non è antifrastico, bensì lirico e commosso.
Nella seconda parte del componimento, Concetto del tedio: qui leopardi parla della noia di vivere una vita che è sempre uguale, che non fa altro che farlo soffrire. Il pastore afferma che le bestie sono fortunate in quanto non sono mai assalite dalla noia, anche se in un secondo tempo si rende conto che la sofferenza è una peculiarità di tutti gli esseri viventi e che la sua era soltanto un’illusione.
Lo stile è ricco di richiami alla letteratura precedente e di artifici retorici. È una canzone libera formata da sei strofe di endecasillabi e settenari, in cui non c’è uno schema della rima, ma l’ultimo verso di ogni strofa finisce con –ale (funzione di rimando).
Il testo si apre con la domanda del pastore alla luna: vi è una similitudine tra la vita del pastore e della luna in quanto corpo celeste: lei sembra quasi appagata dalla sua vita ripetitiva. Il pastore fa sempre le stesse cose, vede sempre gli stessi paesaggi, e lui come la luna non spera nulla di diverso, tuttavia prova oppressione e tedio per la sua vita.
Molto simile per certi aspetti al “Dialogo tra la natura ed un Islandese”, in cui anche qui la natura è umanizzata, vista sottoforma di donna (visione ironica e dissacrante).
T13 à La ginestra, o fiore del deserto (pag. 578)
Viene composta della primavera del ’36 a Torre del Greco, vicino alle pendici del Vesuvio. Leopardi prende spunto da questo fiore che cresce sulle pendici aride del vulcano. Trae conclusioni sulla fragilità dell’uomo verso la natura, che in un istante può spazzare via la vita ed intere popolazioni. In questo componimento l’autore esorta tutti a prendere atto della situazione dell’uomo e ad allearsi contro la vera nemica, la natura.
Leopardi tendenzialmente prende le distanze dal nascente positivismo del secolo, filosofia improntata, sul progresso e su di un ingenuo ottimismo, che non è molto motivato
Fonte: http://firemusic.altervista.org/appunti/lett/05-leopardi.doc
Sito web da visitare: http://firemusic.altervista.org/
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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