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GIACOMO LEOPARDI
(1798, Recanati -1837, Napoli)
Tutta la sua poetica è legata al suo sviluppo biografico. Tra il 1809 ed il 1816 ha avuto sette anni di studio 'matto e disperatissimo' (fase dell'erudizione). Soffriva inoltre per l'autoritarismo della famiglia, per il modo in cui il suo genio veniva coltivato e protetto, come in una ' gabbia familiare', ammirato ed esaltato, ma anche oppresso da una morale gretta ed arcigna.
Sentiva il mondo antico come un mondo glorioso e vigoroso, tanto diverso dagli angusti spazi del presente: provava un senso di infelicità e insieme il desiderio di qualcosa di grande ed assoluto che le sue condizioni parevano negargli sempre. Leopardi avvertiva la società contemporanea come corruttrice e nemica dei valori autentici della natura; questa posizione viene di solito definita come pessimismo storico. Il mondo contemporaneo si oppone a quelle che per lui sono le autentiche manifestazioni della virtù e non si cura affatto della gloria. Il pessimismo storico vede nella natura una fonte di vitalità, produttrice di illusioni, a cui si oppone l'arido vero, fondamento delle moderne società.
Tra il 1815 ed il 1816 l'insoddisfazione ed il bisogno di nuove esperienze lo spinsero ad una più diretta immersione nell'attività letteraria (la cosiddetta conversione letteraria). Leopardi, nella sua conversione letteraria, investe le sue energie nella letteratura e nella poesia.
Nel 1818 si compie il suo distacco definitivo dalla religione e la sua adesione ad una filosofia sensistica e materialistica (la cosiddetta conversione filosofica). Leopardi si accosta ad un meccanicismo materialistico.
La prima vera uscita da Recanati fu possibile solo nel 1822, con un viaggio a Roma: questo soggiorno produsse in Leopardi una nuova delusione, poiché la vita romana gli apparve meschina, l'ambiente letterario mediocre, chiuso nell'esercizio di un'erudizione priva di respiro e di ogni problematicità. Il suo pessimismo lo portò verso un rifiuto dell'impegno e della partecipazione politica e ad una definitiva scoperta del carattere negativo della stessa natura (il cosiddetto pessimismo cosmico). Con il pessimismo cosmico, la natura appare come una forza cieca, ostile all'uomo; alla vanità delle illusioni si oppone la necessità di approfondire la conoscenza del vero, dell'infelicità costitutiva della condizione umana.
Viaggiò anche a Bologna, Milano, Firenze e Napoli. I maggiori contatti con il mondo portano Leopardi a rendersi sempre più conto del dissidio che separa la sua condizione umana ed intellettuale dalla società contemporanea.
Muore a Napoli di colera.
Leopardi si stacca da ogni atteggiamento retorico e formalistico, ponendosi in un'ottica a cui si adatta molto bene la definizione di 'primitivismo classico': l'imitazione dei classici viene difesa in quanto essi sono più vicini alla natura. Il giovane Leopardi vede un'opposizione radicale tra natura e incivilimento: il rapporto con la natura è fonte di una forte capacità di sentire, stimola l'immaginazione, produce illusioni capaci di dare un senso alla vita; il mondo antico trova la sua suprema espressione in una poesia che sa illudere e dilettare imitando la natura. Il mondo moderno invece ha spento la facoltà dell'immaginare e dell'illudersi, trovando la sua suprema espressione nella filosofia e nella scienza. Tra i generi poetici, la lirica appare quello più spontaneo e originario, più vicino all'espressione della natura: la lirica può dar voce alle sensazioni più indefinite e inafferrabili, non fissate in disegni corposi e in limiti precisi; il suo ambito è quello del vago, dell'indeterminato, dell'infinito, della memoria e del ricordo. La poesia genera grandi illusioni: mentre i processi naturali rivelano aspetti negativi, meccanici, assolutamente estranei e ostili all'uomo, la poesia appare come l'ultima forza capace di far resistere le illusioni vitali, anche al di là della negatività della natura. Giungendo al pessimismo cosmico, Leopardi rovescia la sua originaria opposizione tra poesia e filosofia e afferma la necessità di una poesia filosofica che sia insieme voce del vero, analisi e smascheramento delle illusioni, entusiasmo della ragione, sentimento e conoscenza, comunicazione affettuosa e critica impietosa.
Lo Zibaldone e il pensiero leopardiano.
Lo Zibaldone, iniziato nel 1817, è una raccolta di pensieri che toccano diversi argomenti, da quelli filosofici, letterari e linguistici a quelli legati alla sua esperienza personale e a problemi etici o di comportamento sociale. Il pensiero di Leopardi può essere definito come una sorta di filosofia asistematica; poiché per il poeta sia poesia che filosofia sono modi convergenti per capire il senso della situazione dell'uomo nel mondo, per rispondere a domande fondamentali che dovrebbero riguardare ogni essere umano, e che concernono la struttura del vivere, i rapporti degli individui con la società, con la storia, con la natura.
L'iniziale esaltazione della natura e delle illusioni si inserisce in una visione sensistica che mette in primo piano il problema della felicità: l'azione delle illusioni sull'uomo deriva da una catena di condizioni date dai sensi e si spiega attraverso la teoria del piacere. Secondo questa teoria, ogni comportamento umano è guidato da un'aspirazione al piacere che però non riesce mai a realizzarsi totalmente. Il desiderio è sempre infinito e ciò spiega l'inclinazione dell'uomo per l'immaginazione come possibilità di concepire le cose che non sono. Leopardi constata l'inesistenza del piacere presente, visibile solo come provvisoria sospensione del dolore. Con il pessimismo cosmico Leopardi si rende conto che la natura non dà la vita (intesa come vitalità, forza di sentire e di illudersi) ma solo l'esistenza (il cieco svolgersi del ritmo biologico) che tende verso il nulla. Il vivere è dominato dalla noia e la sofferenza è una minaccia che incombe in ogni momento sui singoli individui. La natura tende solo a conservare se stessa, assolutamente indifferente ai patimenti ed ai desideri degli uomini. L'uomo ha un bisogno inappagato di affetto, di solidarietà, di comunicazione: all'uomo può toccare solo il lucido e impietoso esercizio della verità, l'impegno a scavare nel vuoto dell'esistenza, a svelare la negatività di questa condizione. Ciò porta ad un rifiuto delle false illusione e ad una visione della morte come suprema liberazione da tutti i mali naturali e sociali.
Gli idilli, composti intorno al 1819, sono componimenti in endecasillabi sciolti che seguono lo svolgersi di sensazioni, ricordi, sentimenti all'interno dell'io, riducendo al minimo i riferimenti storici e culturali. Per Leopardi il termine 'idillio' indica, più che un genere preciso, una forma poetica molto sfumata, non vincolante, capace di dar voce a sensazioni indefinite, a quei piaceri dell'immaginazione su cui proprio in quegli anni egli andava riflettendo.
→ L'infinito. In questo idillio vi è un immergersi dell'io nella sensazione dell'infinito, che si pone come un supremo piacere dell'immaginazione. Il paesaggio è una sorta di limite esterno, da cui nella mente del poeta prende avvio l'immaginazione di spazi e profondità temporali incommensurabili: la mente pare affondare nell'immensità.
Le prime due canzoni, composte nel 1818, si aprono ad una più ricca tematica filosofica, legata alle inquiete interrogazione a cui il suo pessimismo sottopone gli stesi valori naturali. L'elaborazione delle canzoni è sorretta così dall'ostinata indagine che il poeta viene svolgendo sul senso e sulla giustificazione delle illusioni della vita naturale, storica, intellettuale: è il progressivo svelamento della loro vanità che porterà a una definitiva scoperta dell'arido vero e dell'ostilità della natura. Nelle canzoni da voce a personaggi dell'antichità, atteggiati come esempi estremi di virtù. Si inseriscono tracce sempre più frequenti di segreta malinconia, sommesse manifestazioni di disperato dolore.
→ Ultimo canto di Saffo. Composto nel 1822, il canto è affidato alla voce di Saffo, che si uccise disperata per la propria bruttezza fisica e per l'infelice amore per Faone. Dal confronto intensissimo tra l'assoluto splendore della natura e l'infelice condizione di Saffo, esclusa da quella bellezza, sorgono vibranti interrogazioni sul senso dell'esistere, sull'opposizione tra i desideri umani e i disegni della natura, sulla condanna degli uomini al dolore.
Attorno al 1824, all'affermarsi del suo pessimismo materialistico, Leopardi inizia a scrivere le Operette morali. In questi testi in prosa si servì di miti filosofici, capaci di offrire immagini vive dell'infelicità dell'uomo: era un modo per approfondire la conoscenza della radicale negatività della condizione umana attraverso l'immaginazione letteraria, l'elaborazione dei miti. Tra i temi fondamentali c'è l'indagine sulla felicità e sull'infelicità, lo svelamento dell'estraneità e dell'ostilità della natura, l'irrisione delle dottrine che mettono l'uomo al centro dell'universo.
→ Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare. Questo dialogo appare come una risposta all'impossibilità di raggiungere il piacere e al dominio del dolore e della noia.
→ Dialogo della Natura e di un Islandese. L'Islandese, convinto della vanità della vita e della stoltezza degli uomini, ha sempre cercato di vivere appartato, lontano da ogni desiderio, ma è stato ugualmente perseguitato dagli infiniti mali creati dalla natura. Il suo incontro con la figura inquietante della Natura si risolve nell'affermazione dell'assoluta indifferenza di questa nei confronti delle sofferenze umane.
→ Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie. Le mummie hanno un breve tempo di capacità di parola. Il dialogo è una inquieta indagine sull'assenza di sensazioni in cui si risolve il morire, sulla difficoltà di definire la morte con i parametri della vita.
→ Cantico del gallo silvestre. Si presenta come trascrizione del canto mitico di un antico animale sospeso tra il cielo e la terra: al sorgere del dì il gallo ricorda a tutti i viventi la suprema infelicità del vivere, il processo di distruzione che muove tutta l'esistenza. <<Pare che l'essere delle cose abbia per suo proprio ed unico obbiettivo il morire...la massima parte del vivere è un appassire.
Leopardi presta nuova attenzione agli affetti e ai sentimenti, esprimendo un nuovo bisogno: seguire il flusso delle emozioni e delle sensazioni che costruiscono una parte ineliminabile della stessa condizione naturale dell'uomo. La poesia deve esprimere il volgersi del sentimento dell'anima verso la rimembranza, verso il recupero di immagini che sono state e che non sono più. Il più profondo carattere della poesia sta nel vago, legato alla cosiddetta doppia vista, che fa vedere il mondo da una parte con i sensi dall'altra con l'immaginazione. La sensibilità poetica attribuisce alle cose un valore più profondo di quello che hanno realmente, un valore che si richiama a qualcosa di lontano e perduto, che ci rivela il consumarsi della vita. La capacità di provare emozioni induce a scoprire nelle cose il segno struggente di quanto è andato perduto; non si cerca più una consolazione vitale, ma si approfondisce il rimpianto per una giovinezza e una gioia visibili ormai come qualcosa di consumato e distrutto.
→ A Silvia. La canzone concentra l'attenzione alla più semplice realtà quotidiana, riflette sul rapporto tra uomo e natura. Il componimento si configura come colloquio con una fanciulla, Silvia (il cui nome è preso dall'Aminta di Tasso). Questo colloquio si pone come ricordo di una vita giovanile troncata, di cui sopravvive solo un'eco di suoni e sguardi.
L'ultimo soggiorno a Recanati, dal 1828 al 1830, segna una stagione di infelicità e solitudine. Questi canti vengono di solito indicati come grandi idilli, per sottolineare la loro continuità con i precedenti idilli.
→ 'La quiete dopo la tempesta' e 'Il sabato del villaggio'. La più dimessa realtà quotidiana, colta nel momento di calma che segue la tempesta e in quello di vibrante attesa collettiva che precede il giorno festivo, riconduce alla riflessione leopardiana sull'impossibilità del piacere. I due canti dimostrano come una vera gioia sia comunque negata all'uomo, che può trovare le sole parvenze del diletto nel guardare al dolore passato e nelle sue pause (La quiete) o nel guardare, aspettandola, alla felicità futura (Il sabato).
→ Canto notturno di un pastore errante dell'Asia. Il colloquio diretto con la Luna, nella solitudine notturna, di una voce non segnata da alcun carattere sociale o storico, vuole esprimere una pura e primitiva essenza umana.
→ A se stesso. Registra la caduta dell'ultima illusione del poeta e afferma l'aspirazione a una totale e definitiva aridità di sensazioni.
→ La ginestra. Scritta nel 1836, la polemica del Leopardi contro le ideologia spiritualistiche e progressiste trova uno scatto vigoroso, specchiandosi nelle immagini suscitate dal paesaggio del Vesuvio, nell'inesorabile violenza della natura. La ginestra è segno di una tenera resistenza della vita di fronte alla distruttiva natura, di una umanità indifesa e cosciente della propria infelice condizione. La visione del paesaggio più volte devastato dal vulcano smentisce le illusioni degli uomini che hanno pensato che un Dio sia sceso per loro sulla terra. Leopardi vede l'Illuminismo come capaci di guardare in faccia alla realtà della condizione naturale, all'assoluta marginalità dell'uomo e della sua storia nell'ordine del cosmo. La luce diviene aspirazione a una lotta collettiva contro la natura; lotta che solo un'umanità liberata da illusioni potrebbe condurre. La ginestra è anche il simbolo supremo di un carattere eroico, nel rifiuto di solidarietà illusorie: delicata ma allo stesso tempo tenace.
Fonte: http://www.fefe2lam3lety.altervista.org/alterpages/files/GiacomoLeopardi.pdf
Sito web da visitare: http://www.fefe2lam3lety.altervista.org
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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