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ITALIANO
IL ROMANTICISMO
Il Romanticismo è un movimento culturale che si sviluppa tra la fine del 700 e il 1860.
Assume caratteri diversi a seconda dei luoghi in cui si manifesta e a seconda dei periodi.
Dal punto di vista storico questo periodo è caratterizzato dal Congresso di Vienna del 1815 durante il quale viene restaurata la fisionomia politica dell’Europa. Inoltre in alcune zone cominciano i fermenti che porteranno alle unificazioni nazionali.
Il Romanticismo può essere definito STORICO se si ritiene che sia localizzato nel tempo o PERENNE se si pesa che si ritrovi nelle mentalità culturali anche precedenti, come caratteristica eterna dell’animo umano. In questo caso certe caratteristiche tipiche del Romanticismo come la prevalenza del sentimento sulla ragione si può ritrovare anche in autori di altri momenti.
Il termine Romanticismo nasce alla fine del 600 per definire i poemi cavallereschi con una trama particolarmente intrigata, per spiegare in senso negativo qualcosa che andava contro i temi classici, per sottolineare un andamento non lineare.
Poi invece assume un significato che vuole delineare un paesaggio che rifletta un particolare stato d’animo. Come nella Nouvelle Heloise di Rousseau dove nelle descrizioni dei paesaggi si sentono concetti di natura romantica: il paesaggio tende ad interiorizzarsi, a riflettere lo stato d’animo del personaggio.
Il Romanticismo nasce in Germania nel 1798 con il movimento dello STURM UND DRANG, tragedia di Kliger e con un manifesto pubblicato dai fratelli Schlegel sulla rivista Atheneum.
In Inghilterra si sviluppa invece dal 1797 con una prefazione alle Ballate liriche di Coleridge e con la diffusione del romanzo gotico e della poesia sepolcrale.
In Italia il Romanticismo assume caratteristiche completamente diverse e si incarnerà nella figura di Manzoni.
Con Foscolo si può parlare di Neoclassicismo romantico perché si ritrovano concetti sul passare del tempo, sul fatto che il passato avesse caratteristiche migliori rispetto al presente e quindi la consapevolezza della fine di un mondo che non tornerà. Questa malinconia è tipicamente romantica. Il sentimento romantico è alla ricerca di qualcosa che non si può raggiungere.
Il movimento in Italia nasce tardi, nel 1816, con la pubblicazione di un articolo di Madame de Stael sulla “Biblioteca italiana” nel quale si esprime la necessità si svecchiare la letteratura italiana introducendo le traduzioni delle opere straniere. Questo articolò ha suscitato una forte polemica e si è aperto un dialogo tra chi come Berchet e Di Breme erano a favore o chi come Giordani e Leopardi che erano contrari. In realtà Leopardi scrive una lettera che però non sarà mai inviata.
In Italia il Romanticismo porta più una concezione liberale e democratica che si riflette come libertà dallo straniero e per questo si lega ai moti per l’unificazione nazionale.
In Germania lo spirito romantico fa tornare ai tempi passati, si ricercano le radici, i vecchi miti che danno origine a un forte senso della nazione. Si rivalutano le origini scavando soprattutto nel Medio Evo visto come periodo in cui regnavano la spontaneità e l’ingenuità.
Il progresso scientifico e la rivoluzione industriale avevano permesso una maggiore vivibilità e una migliore condizione di vita, ma nasce la volontà di cercare qualcosa di inesplorato. Ci si rivolge quindi all’interno alla ricerca dell’io e della metafisica.
Si crea dunque il contrasto tra l’io e il mondo: l’artista si sente un isolato, un incompreso e si chiude in un individualismo legato alle esperienze del soggetto.
Si perde quindi il senso di universalità e si passa da un’ottica oggettiva a un’ottica soggettiva che si libera dagli schemi in nome della libertà, dando sfogo alla creatività individuale.
Si privilegia quindi lo scrittore spinto dall’ispirazione diretta, impegnato socialmente, che vive in prima persona quello di cui parla.
In campo artistico può assumere due caratteri:
una ribellione di carattere eroico, una sorta di titanismo in cui l’artista è incapace di vivere in una società e cerca di comunicare con il mondo esterno ma non riesce;
un carattere sociale in cui l’arte assume un significato pedagogico e di esaltazione del popolo.
In questo caso l’adesione al Romanticismo inserisce anche elementi politici.
C’è una forte contrapposizione tra la natura e la società che genera un gusto per il primitivo e uno sguardo attento al popolo e alle origini nazionali.
L’amore romantico conduce all’idealizzazione della donna vista in modo positivo che può condurre ad unì conflitto con la realtà sociale. Le convenzioni sociali impedivano i matrimoni tra persone di diversa levatura sociale, per cui si mette in scena un amore drammatico che lotta contro la società.
Schlegel ribadisce il concetto di poesia filosofica, come poesia dei moderni, del desiderio non appagato e poesia di immaginazione che è tipica degli antichi e che esalta la felicità raggiunta.
La poesia romantica è una poesia di introspezione, di tensione verso l’infinito che si può trovare solo in un’altra vita. E’ la poesia del desiderio.
Si fa poi un’altra distinzione tra poesia degli antichi che contempla il presente e quella dei moderni che è rivolta al passato, tende a ricordare anche cose spiacevoli, perché si pensa che un ricordo amaro sia più dolce di un dolore presente.
Secondo Schiller la poesia degli antichi era fortemente legata alla natura che era percepita come qualcosa al di fuori di sé, che non era conosciuta e quindi temuta. I moderni invece la conoscono e se ne staccano; la natura è utilizzata come descrizione del proprio stato d’animo, l’arte romantica è lontana dall’ordine classico in quanto sente la volontà di esprimere sentimenti contrastanti
In Italia prevale la poetica del vero e del realismo: l’oggetto della poesia è il vero (Manzoni).
Il Romanticismo è legato alle idee risorgimentali in quanto tende a liberarsi dagli schemi stilistici e metrici, ma allo stesso tempo mantiene alcuni caratteri dell’Illuminismo come l’idea di uguaglianza intesa qui in senso religioso.
Manzoni nella “lettera sul romanticismo” parla di un valore educativo delle opere e per esempio dell’esclusione della mitologia perché fuori dai valori cristiani.
Un caso a parte è rappresentato da Leopardi che opera una distinzione tra poesia ingenua e sentimentale, la prima legata alla natura e la seconda invece slegata dalla stessa.
Contesta lo spiritualismo religioso e l’idea di umanità che tende al progresso; è contrario all’idea di un Dio che provvede all’uomo, anzi crede che l’uomo sia in balia delle forze della natura.
Saggio è colui che conosce la condizione fragile dell’uomo e divulga l’arido vero. (Operette morali: discorso di Tristano e un amico).
Un problema di divisione tra classici e romantici è il tema della bellezza:
per i classici la bellezza ha determinati caratteri ed è eterna; mentre per i romantici ha un valore storico e soggettivo.
I romantici prediligono la creatività e l’originalità e quindi rifiutano le regole classiche; i classici invece propongono un ricorso alla mitologia e a canoni già codificati.
Anche il pubblico è diverso: i classici si riferiscono agli studiosi e agli eruditi, mentre i romantici al popolo inteso come borghesia.
Per quanto riguarda il linguaggio i classici prediligono la lingua colta, mentre i romantici quelle parlate, anche dialettali per dare dignità alle radici e alle tradizioni locali.
Berchet nella lettera semiseria utilizza un criterio ironico per mettere in evidenza le idee romantiche seguendo l’esempio di un pedagogo che parla delle idee romantiche per screditarle ottenendo l’effetto contrario. La lettera semiseria accompagna la traduzione di due ballate dello scrittore Burger.
Secondo Berchet tutti gli uomini hanno una tendenza alla poesia : il poeta in senso attivo, mentre gli altri in senso passivo.
La popolazione viene divisa in tre categorie:
OTTENTOTTI che non hanno neanche la tendenza passiva;
PARIGINI che non si lasciano commuovere perché troppo sofisticati;
BORGHESI (popolo) che sono coloro che possiedono questa disposizione all’arte.
I poeti costituiscono una categoria a parte; proprio in questo periodo nasce l’idea del genio come colui che ha un conflitto con la società e non è compreso. (Tasso).
I romantici per Berchet imitano direttamente la natura, mentre i classici imitano i poeti dell’antichità che a loro volta imitarono la natura e per questo è un’imitazione sterile.
I romantici prediligono il Medioevo perché è visto come periodo primitivo, spontaneo, creativo, ma è una visione antistorica.
Si prendono ad esempio i poeti cortesi come esempio di poesia semplice e spontanea, ma in realtà la poesia trobadorica è estremamente elaborata e segue canoni precisi.
La letteratura deve essere spontanea e in attinenza con i tempi, mentre la poesia dei classici e “poesia dei morti” perché recupera qualcosa che ormai è morto.
Berchet affronta anche il problema della storicità dell’arte, cioè gli autori antichi furono romantici nella loro epoca, come chi contò l’epopea di alcuni popoli.
Inoltre i romantici scrivono sotto l’impulso di un’ispirazione diretta.
ALESSANDRO MANZONI
Manzoni nasce a Milano nel 1785 dal conte Pietro Manzoni e da Giulia Beccaria, figlia del noto Cesare Beccaria. Questo matrimonio si sciolse presto e la madre si recò a Parigi con Carlo Imbonati.
Manzoni divenne presto insofferente sia della vita collegiale sia dell’educazione ricevuta e si schierò con le file giacobine.
Nel 1805 raggiunse la madre a Parigi e fece amicizia con Fauriel. Nel 1808 si sposa con la sedicenne Enrichetta Blondel dalla quale avrà dieci figli.
Nel 1810 avvenne la conversione grazie al miracolo di San Rocco, e da questo momento rifiuta tutta la sua produzione precedente.
Manzoni abbraccia la corrente giansenista, una dottrina che non era più in vigore ma che tiene alla disciplina morale.
Nel 1833 muore la moglie e lui riscrive in suo onore l’Inno Sacro del Natale.
Manzoni accentua la sua crisi nervosa, vivendo appartato entro le mura domestiche e ricevendo solo alcuni amici.
Il suo periodo più produttivo è tra il 20 e il 26 quando scrive gli Inni Sacri, 2 tragedie e le Odi civili.
Poi non scrive più perché è ossessionato dal vero storico, e non riesce ad accordare la poesia con il fatto che bisognasse riportare solo ciò che è storico.
All’inizio della sua produzione Manzoni scrive i Sermoni, sul modello delle satire oraziane che poi rinnega dopo la conversione.
Gli Inni Sacri dovevano essere 12 ma ne compose solo quattro; tra questi il più interessante è la Pentecoste perché ha uno stile più dinamico e meno frammentario.
Nelle Odi civili Manzoni tenta di conciliare l’idea cristiana con l’Illuminismo. Riprende i temi dell’uguaglianza che vengono qui letti come giustizia ricercata nell’al di là.
Per Manzoni esiste una coralità di tutti i cristiani e i dogmi non vanno analizzati solo da un punto di vista teologico, ma in base agli effetti che hanno sull’uomo.
Nelle Odi Manzoni fa capire che ogni uomo deve rivendicare la libertà della propria patria. La nazione è tale per questione di cultura, lingua, storia...
Per quanto riguarda le tragedie queste rompono con la tradizione classica in quanto vengono abolite le unità di luogo e di tempo, rimane solo quella di azione.
Lo sfondo è sempre storico, per l’Adelchi è la storia medioevale, la vittoria dei Franchi sui Longobardi.
Il coro assume una funzione di momento di riflessione del poeta, ha quindi una finalità etica e educativa, ma deve anche commuovere.
Le ultime opere di Manzoni sono saggi sulla lingua italiana come la relazione del 1868 “Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla”.
Lettera al signor Chauvet
Il critico e letterato francese Chauvet scrisse una recensione sull’opera di Manzoni “Il conte di Carmagnola” nella quale si criticava la mancanza delle unità di tempo e di luogo.
Manzoni gli risponde con una lettera in francese nella quale sostiene i principi fondamentali della sua poetica, quegli elementi che informano le sue opere di poesia.
Ci si sofferma sulla questione delle unità di spazio e tempo nella tragedia ma anche su come creare una poesia di contenuto storico senza però sopprimere l’invenzione.
Lo storico ha il compito di raccogliere i fatti e interpretarli, mentre il poeta con uno sfondo storico inventa ciò che è intimo dei personaggi. Nell’Adelchi Carlo Magno ripudia Ermengarda, ma è un evento storico marginale, ma il poeta ne fa argomento per una tragedia.
Il personaggio di Adelchi è lacerato dalla volontà di comandare e dall’altra parte dalla convinzione che non si può essere re senza essere disonesti.
L’invenzione non deve contrastare con la realtà storica.
Per il Manzoni è importante mettere al primo posto l’utilità pratica e critica la centralità della poesia e dell’arte tipica del romanticismo.
L’arte quindi non deve essere slegata dalla morale, non deve essere solo espressione del sentimento.
Dalla “Lettera sul Romanticismo al marchese Cesare D’Azeglio”
La lettera è composta da due sezioni: una parte distruttiva in cui Manzoni descrive i meriti del Romanticismo di aver distrutto le regole imposte dal neoclassicismo, e nello stesso tempo critica l’uso della mitologia non per ragioni letterarie, ma dal punto di vista etico e religioso perché vista come idolatria. Nella parte costruttiva nonostante i limiti che pone al Romanticismo ribadisce il concetto di arte realistica, ma critica il sentimento patetico e irrazionale.
Manzoni non accetta il concetto di arte per l’arte perché secondo lui l’arte deve avere un carattere didattico, sociale, morale e pratico e non deve essere uno sfogo di passioni. Rigetta quindi le caratteristiche del romanticismo più autentico, ma fa diventare la poesia una ricerca del vero, basata sulla realtà.
Adelchi
Adelchi è il figlio del re longobardo e la situazione è la guerra tra Franchi e Longobardi che nasce dopo il ripudio di Ermengarda sorella di Adelchi da parte di Carlo Magno, re dei Franchi.
Gli italiani sperano che questa guerra li liberi dalla schiavitù longobarda ma non sanno che cadranno nelle mani dei Franchi.
Manzoni vuole proprio paragonare questa situazione con quella che si sta verificando nell’Italia del suo tempo, soggiogata agli austriaci. Calca quindi sul sentimento di identità nazionale.
La tragedia si basa quindi su una verità storica anche se il carattere dei personaggi è inventato e vengono loro attribuiti caratteri eroici.
Si perdono qui le unità aristoteliche di tempo e luogo, ma rimane quella di azione.
La presenza del coro è un aspetto importante perché rispetto alla tragedia greca questo elemento cambia funzione. In Manzoni non serve più a narrare la storia che non appare sulla scena, ma diventa la sua voce, per commentare, per esternare le sue sensazioni.
Il linguaggio è aulico, altamente poetico con riferimenti al mondo classico e al linguaggio biblico.
Testi: “Dagli atrj muscosi”
“La morte di Ermengarda”
ORIGINE DEI PROMESSI SPOSI
La prima elaborazione del romanzo avviene tra il 19 e il 20, il periodo di maggior produzione di Manzoni. Dopo un suo viaggio in Francia dove riceve il concetto di romanzo e legge in traduzione il romanzo di Scott, elabora un progetto di romanzo con ambientazione diversa. Non più il Medio Evo, gotico e fantasioso, ma il ‘600. L’ambientazione storica è supportata dallo studio dei testi storici di Melchiorre Gioia e di Ripamonti.
Inoltre frequenta l’Archivio si Stato a Milano per avere informazioni su situazioni come la peste, il lazzaretto....
Nel ’23 esce la prima edizione del romanzo intitolato “Fermo e Lucia” in 4 tomi.
Dal ’24 in poi segue la fase di revisione del romanzo: Manzoni modifica sia la struttura che la lingua. Abolisce le digressioni, gli elementi romantici, passionali, gotici, come per esempio la storia della Monaca di Monza e del delitto che commette con Egidio.
Nella edizione del ’27 con il titolo “Gli sposi promessi” sembra non ci sia spazio per le passioni e i personaggi sono meno incisivi.
Già in questa seconda edizione c’è una revisione della lingua anche se Manzoni non si è ancora avvicinato al fiorentino. Vengono tolti i motivi aulici, i lombardismi alla ricerca di una lingua di uso più comune.
La edizione del ’27 è in 3 tomi ed è evidente anche da questo che si sono state parecchie cesure.
Da questa edizione Manzoni rielabora ancora il romanzo ma non tocca né l’ideologia né la struttura.
Cerca però di uniformare la lingua del romanzo al fiorentino in uso nelle classi colte.
L’argomento del romanzo trae spunto dalle vicende storiche accadute a Milano tra il 1628 e il ’30, l’ambientazione è lombarda anche perché la situazione della Lombardia del ‘600 era simile a quella dell’800. Già nelle due tragedie Manzoni aveva ribadito il concetto di unità nazionale, di un’Italia soggiogata dallo straniero che cerca la libertà e l’indipendenza.
La scelta del ‘600 è politica e va a colpire il malgoverno spagnolo. Manzoni sottolinea un periodo di irrazionalità e di ignoranza che sono la causa di fatti negativi.
Gli stessi personaggi sono ignoranti e analfabeti e vengono opposti a personaggi colti di una certa classe sociale. Accanto ai personaggi storici ci sono anche caratteri inventati che rappresentano quel modo di vedere degli umili che non avevano mai avuto spazio nei romanzi precedenti.
L’artificio del manoscritto fa apparire due narratori: l’anonimo del ‘600 e il narratore moderno che è onnisciente, perché conosce già tutta la storia e si pone al di sopra dei personaggi.
Il Fermo e Lucia è diviso in quattro tomi; l’impianto è rigido, si parla di un personaggio alla volta, procede per blocchi compatti senza mai intrecciare le vicende dei vari personaggi.
Questo tipo di narrazione permette l’inserimento di digressioni di vari argomenti come : l’amore nella letteratura, la vicenda della monaca di Monza, la critica della società che costringe alla monacazione....
Vengono abbandonati gli elementi passionali, gotici che potevano accomunare Manzoni alla letteratura inglese e tedesca.
I personaggi dei Promessi Sposi sono più problematici, incarnano o il bene o il male.
L’edizione definitiva è divisa in 38 capitoli, diviso in blocchi narrativi. C’è simmetria tra i personaggi per esempio tra clero cattivo e clero buono e popolani cattivi e popolani buoni.
C’è distinzione tra tempo della storia, cioè della vicenda narrata e tempo del racconto. Si ha uno stile analitico se questi due tempi non coincidono e quello del racconto è più dilatato; è sintetico se invece coincidono.
Testi dal “Fermo e Lucia”: “Il conte del Sagrato”
“L’epilogo”
Dalla lettura della parte conclusiva dell’opera emerge che l’esperienza di Renzo è formativa, è una presa di coscienza. Renzo ora sa quello che si deve fare e quello che invece porta solo guai.
Secondo Gramsci il Manzoni è paternalista e reputa sbagliato ogni intervento degli umili, perché i giudizi giusti provengono solo dall’alto. Il popolo non può decidere.
L’esperienza di Lucia è diversa; lei asserisce che non ha mai cercato i guai ma loro le sono capitati, questo significa che la condotta migliore non assicura dai guai ma la fede in Dio aiuta a sopportarli.
In conclusione il romanzo non è idillico, ma aperto. L’unica cosa certa è che il credente può sopportare il dolore con serenità.
La provvidenza è vista dalla critica degli anni ’60 come la vera protagonista ed è una cosa che l’uomo può sondare ma non può prevedere. Secondo Raimondi la provvidenza è una categoria della coscienza; non è un’entità storica ma è l’agire a seconda del personaggio.
GIACOMO LEOPARDI
I temi principali della poesia e della prosa di Leopardi sono il rapporto con la natura, la condizione artificiale dell’uomo nella società del tempo, i meccanismi della società borghese del tempo, il bisogno e la ricerca di solidarietà umana.
La poesia leopardiana è conosciuta anche dai lettori contemporanei, mentre la prosa viene riscoperta solo negli anni ’50 da W. Binni, così come il pensiero filosofico.
Il pessimismo cosmico di Leopardi, l’utopia del bisogno di stringere rapporti con gli altri uomini, vengono rivalutata dalla critica sociologica. La società è formata da un insieme di rapporti socio-economici che sono la sua struttura e da una sovrastruttura che è la letteratura, la cultura ed è lo specchio della struttura.
E’ apprezzato chi riesce a legare società con economia e con natura.
Leopardi vive in condizioni difficili e per questo elabora una particolare concezione della vita. Nasce a Recanati nel 1798, una zona periferica rispetto ai centri culturali, da una famiglia nobile.
La sua formazione culturale è solida. Studia fino a 12 anni sotto la guida di un precettore che si accorge del suo genio e riconosce che non ha altro da insegnare. Dai 12 anni in poi iniziano i “sette anni di studio matto e disperatissimo” durante i quali studia da autodidatta.
Questo studio sarà l’origine del suo dolore fisico e morale perché il pessimismo è il frutto della sua deformità.
Leopardi era ateo, dichiarava l’assenza della divinità e pensava che fosse inutile illudersi che esistano un Dio e un progetto sull’uomo.
La critica vuole che questi pensieri siano dettati dalla sua deformità, ma anche se lui ha sempre negato, non è una soluzione da escludere in quanto fa parte della sua esperienza.
La sua riflessione verte sul suo dolore che viene generalizzato fino a diventare una condizione universale, cosmica e non solo personale.
Gli anni tra i 12 e i 20 anni Leopardi li trascorre tra studi, scritture e interventi in questioni letterarie.
In particolare si distingue nel campo della filologia e gli viene chiesto di commentare il II^ libro del De Repubblica di Cicerone ritrovato dal cardinale Angelo Mai.
Queste attività lo allontanano dai suoi coetanei; Leopardi sembra invidiare le altre persone che si divertivano, ma poi si accorge che queste persone non sono felici e che in ultima analisi la felicità non esiste. Secondo il pensiero leopardiano il giovane ha delle aspettative che certamente verranno deluse, ma a differenza del giovane il vecchio non ha neanche queste aspettative e quindi si deve preferire la morte alla vecchiaia.
Leopardi attraversa due fasi: una prima durante la quale conosce il bello degli antichi e una seconda in cui passa dal bello al vero. E’ qui che nasce la concezione filosofica nichilista che ha come principi la non esistenza di Dio, l’uomo che non è nulla, la Terra come pianeta periferico senza importanza che non è guardata da nessuna forza divina ed è prevalsa da una natura ostile. Questo è l’ARIDO VERO.
Per questo suo messaggio Leopardi può essere considerato un poeta moderno anche se le idee e il linguaggio sono classici.
Il pensiero leopardiano non è coerente, né sistematico né originale. La sua filosofia si lega all’idea di progresso e al pessimismo. Questo pessimismo passa attraverso varie fasi, è nichilista ma allo stesso tempo portatore di un messaggio. Non è un pessimismo fine a sé stesso, ma è un solidarismo universale, cioè una solidarietà dell’uomo con l’uomo. Leopardi parte dal fatto che l’uomo sia sottoposto alla natura e cerchi di unirsi ad una catena umana che ha la forza di riconoscere l’esistenza del male e ammetterlo. E’ una forma di titanismo.
Secondo Leopardi pensare di poter sfruttare la natura è una SUPERBA FOLA.
La figura della madre non è mai presente nelle sue opere diversamente da Foscolo e Manzoni. Il suo rapporto con la madre è edipico, la descrive come una persona inumana, intimamente orrida.
La madre lo considerava matto perché dedicava tutto il suo tempo allo studio e non pensava a risanare le sorti economiche della famiglia.
Il 1816 è un anno importante perché segna la sua conversione letteraria che passa dall’erudizione ad un particolare valore artistico. E’ però anche l’anno di una profonda crisi esistenziale e di una meditazione sul suicidio. Si rende conto di aver perso le gioie della gioventù, si sente diverso, superiore di ingegno, ma invidia la gente comune che gode di gioie semplici.
Matura qui la prima fase in cui il pessimismo diventa storico e compone le canzoni del suicidio.
Nel 1817 inizia una corrispondenza con Giordani che lo incoraggia a continuare la sua operazione letteraria. Si innamora di una cugina, ma Leopardi è innamorato del concetto di amore. Scrive quindi un’elegia intitolata “Primo amore”.
Nel 1819 tenta la fuga da Recanati perché vuole recarsi a Roma. Nel 1822 finalmente può andare a Roma ma rimane deluso da questo soggiorno. L’unica esperienza positiva è la visita alla tomba del Tasso. Insieme a Tasso e Petrarca Leopardi è ritenuto un poeta del pianto.
Nel periodo tra il 1817-18 Leopardi è influenzato dall’Illuminismo e affronta il tema dell’infelicità umana che non ha origine nella natura, una natura che anzi è positiva perché produce illusione che permette di sopportare la vita e sperare in una vita dopo la morte.
La civiltà distrugge la natura rendendo la vita per l’uomo insopportabile; l’uomo ha scoperto gli schemi della natura mostrando l’arido vero e quindi rendendo l’uomo infelice perché privato delle sue illusioni.
L’infelicità non è dunque un dato ontologico, ma storico, dovuto all’accadere di determinati fatti.
Secondo Leopardi gli antichi erano capaci di illusione , i moderni invece no.
Queste illusioni si possono recuperare attraverso l’azione e l’eroismo.
Nelle canzoni civili Leopardi vuole recuperare i valori e i modi degli antichi e sostiene i classici.
Si inserisce quindi il discorso della propria infelicità, la natura è vista come benefica per gli altri, ma ostile a lui che si identifica con Saffo.
C’è una sorta di Titanismo, cioè di volontà di opporsi al fato attraverso il suicidio.
Tra il 1819 e il 1823 il pensiero delle illusioni entra in crisi a causa di un’adesione da parte di Leopardi alla corrente del sensismo illuminista che porta una svolta materialista tesa al meccanicismo. La causa dell’infelicità ora è ritrovata nel bisogno di essere felice, felicità che gli viene negata.
Nasce la teoria del piacere: l’uomo tende al piacere che però è sempre superiore a quello che può conseguire. Il desiderio è illimitato e destinato ad essere deluso.
L’uomo cerca una felicità illusoria, cerca nell’illusione la felicità e cerca di raggiungerla o nel futuro o nell’immaginazione.
Il compito dell’uomo è quello di conoscere la situazione reale, il suo stato fragile e considerarlo e rendersi conto che non esistono motivi di conforto. L’unica cosa che può fare è creare l’utopia solidaristica.
LO ZIBALDONE è un insieme di pensieri e appunti della più svariata natura, scritti a partire dall’estate del 1817 e durò per quindici anni.
Il nome stesso significa proprio mescolanza confusa di cose diverse, anche se sembrerebbe che Leopardi la considerasse come un’opera autonoma.
Nello Zibaldone Leopardi tratta molti temi tra i quali il tema del piacere e della felicità, quello della poesia come creatrice di un’illusione che non è possibile pensare a livello razionale.
Inoltre difende la mitologia dicendo che non ha significato se è riferita alle cose moderne, ma è convincente nella poesia degli antichi. Gli antichi e solo loro erano in grado di creare l’illusione.
In un altro passo Leopardi tratta della scrittura polemizzando sulla posizione di Berchet.
Leopardi ha una concezione classica della scrittura, il Romanticismo privilegia l’aspetto istintivo che non si esprime sempre con mezzi puramente poetici. Secondo Leopardi la letteratura classicista obbliga all’attenzione, alla meditazione e alla riflessione, per cui la scrittura è un’operazione elaborata che prevede una preparazione; invece il romanticismo porta solo momentanee impressioni.
Nella lettera al Giordani del 1818 Leopardi chiarisce il suo stato, si rende conto di aver rovinato gli anni migliori e il suo aspetto fisico con lo studio.
Il momento dei pensieri sul suicidio viene superato perché Leopardi trova una ragione di vita nella poesia, nell’impegno poetico che lui si assume anche componendo opere civili.
Questo aspetto del suicidio si ritrova nell’”Ultimo canto di Saffo”, quando Saffo decide di uccidersi perché per il suo aspetto fisico viene abbandonata da tutti e anche dalla natura.
ULTIMO CANTO DI SAFFO
Leopardi scrive quest’opera nel periodo in cui si stacca dal cristianesimo e aderisce al materialismo.
Tra il 1818 e il 1822 compone le Canzoni civili, liriche impegnate sia per il contenuto che per il linguaggio e la sintassi difficili, i Piccoli Idilli che rientrano nella poesia sentimentale, e da ultimo le Canzoni del suicidio: Ultimo canto di Saffo e Bruto minore.
Nell’opera dedicata a Saffo si ritrova una riflessione filosofica sul suicidio visto in un problema esistenziale (nel Bruto sarà un problema politico). Vengono toccati i rapporti uomo - uomo e uomo - natura, quest’ultimo assume proprio una caratteristica di contrapposizione tra Saffo e la natura che la circonda, tra lei brutta e la natura armoniosa.
Il discorso è fittizio e sotto il personaggio di Saffo si nasconde lo stesso Leopardi.
Il periodo rientra nell’ultima fase del pessimismo storico leopardiano, infatti viene messo in crisi il concetto di felicità nel senso che ci si chiede se esista la felicità. Nasce il pessimismo cosmico che coinvolge tutti gli uomini.
La poesia è composta quindi nel 1822 in breve tempo; Saffo è una poetessa greca che vive tra il VII e il VI secolo a.C. Durante il Romanticismo questa leggenda è nota, perché si privilegiano i personaggi che arrivano ad atti estremi.
Il lessico e la struttura sono classici, l’elaborazione formale è sottile.
Anche questa lirica si apre con un paesaggio notturno e con una serie di vocativi emotivi.
Vengono descritti gli elementi positivi della natura ma si precisa che sono solo apparenza come lo è il corpo deforme di Saffo; ma l’apparenza è importante per gli uomini.
La natura poi si trasforma in una descrizione che è più in sintonia con lo stato d’animo di Saffo.
Saffo viene esclusa dalla natura e diventa elemento di disunione. C’è questa forte contrapposizione tra la natura positiva (BELLO IL TUO MANTO) e la realtà di Saffo (DOLOROSO AMMANTO).
Gli interrogativi al verso 37 sono di carattere esistenziale e come tali senza risposta.
Il destino è ignoto a tutti, l’unica realtà è il dolore e l’uomo può comprenderne l’essenza.
Da questo deriva il titanismo che assume un carattere di protesta consapevole dei propri limiti (Alfieri non aveva questa consapevolezza).
Chi ha belle sembianze possiede l’eterno regno, mentre chi di bello ha solo l’anima è destinato a essere rifiutato anche dalla stessa natura.
Saffo decide allora di abbandonare il corpo e di uccidersi.
In questa strofe si intuisce il passaggio di Leopardi da un pessimismo storico ad un pessimismo cosmico; cioè si passa da una concezione di pessimismo personale legata anche al periodo storico, ad una situazione di sofferenza comune.
Il suicidio è visto come una protesta, il risarcimento dell’errore crudele del destino.
Il titanismo si sviluppa soprattutto negli autori tedeschi e inglesi: è la lotta senza riuscita da parte del singolo (come personaggi mitologici: prometeo, atlante...).
Leopardi passa da un titanismo alfieriano, dove l’eroe in lotta contro il destino soccombe ma non ha la coscienza della situazione, ad un titanismo più romantico, dove si prevede l’inutilità della lotta.
Dal titanismo Leopardi passa alla protesta, che è un tentativo anche se utopistico di lottare contro il destino. La consapevolezza del destino avverso è per Leopardi un senso di forza e virilità.
GLI IDILLI
L’idillio è una descrizione, una piccola immagine. E’ un componimento che risale ai greci: Teocrito contrappone la vita della campagna a quella di città e crea il mito dell’Arcadia, più volte ripreso dalla letteratura successiva.
In epoca preromantica lo svizzero Gessner compone alcuni idilli con ambientazione naturalistica, ma che prevedeva riflessioni di altro carattere.
Leopardi scrive i “piccoli” idilli in concomitanza con le Canzoni e in seguito i “grandi” idilli.
Il paesaggio diventa occasione per una riflessione di carattere filosofico ed esistenziale.
Leopardi scrive sull’idillio: “situazioni, affezioni, avventure storiche del mio animo”. Il paesaggio quindi è solo un pretesto per parlare di sé. Il contenuto è quindi lirico e soggettivo.
Il linguaggio è piano, comune; il metro è l’endecasillabo sciolto che meglio si adatta alle forme confidenziali e liriche.
L’infinito
C’è un passo dello Zibaldone in cui Leopardi spiga questo idillio e il tema della percezione dell’infinito nel tempo. Leopardi dice che l’antico non è infinito, ma rispetto al presente è poetico perché permette all’uomo di immaginare molti secoli. Produce nell’uomo l’idea di tempo infinito.
Di primo impatto potrebbe trattare di un tema prettamente romantico che si accompagna ad un senso di misticità.
Leopardi però fa un ulteriore passo avanti, cioè inserisce un elemento di razionalità nel tema romantico. Il poeta è cosciente, immagina ma è un processo razionale.
L’idea di infinito nel tempo e nello spazio lo porta ad un concetto di immensità che provoca un’immensa dolcezza.
Nei primi versi si nota una ricerca fonica che dà un senso forte di musicalità grazie all’utilizzo di consonanti liquide. Anche la ricerca formale è accurata: di Leopardi si hanno tante varianti, cioè correzioni apportate dall’autore tra una edizione ed un’altra.
C’è un contrasto tra i limiti della realtà e gli orizzonti del pensiero.
Il verbo “mi fingo” dà proprio l’idea di una immaginazione portata avanti da un senso di razionalità.
(vedi fotocopia)
La sera del dì di festa
Il paesaggio è notturno. Il poeta tratta la tematica del pessimismo storico: la natura benigna è estranea al poeta che soffre e si sente l’unica vittima della natura. C’è una sorta di vittimismo misto a ribellione. Il contrasto forte è tra la natura quieta e il tormento interiore del poeta.
Questo provoca riflessione e ricordo.
Il tema della sofferenza, della negatività e dell’infelicità è visto da Leopardi in un’ottica soggettiva: lui è l’unico essere con cui la natura è ostile, mentre è benefica con gli altri.
Nelle Operette morali la natura è vista ostile a tutti gli uomini, non in modo volontario ma perché seguendo il suo corso la natura è spesso ostacolo per l’uomo.
Già nel primo verso si nota un forte equilibrio dal punto di vista formale sottolineato dall’uso di bisillabi con accenti regolari.
L’atmosfera è rasserenante, è presente l’elemento della luna che si ritrova spesso nella poesia romantica perché porta alla sfumatura dei contorni.
La “donna mia” è probabilmente un’astrazione della figura femminile che è in contrasto con l’io del poeta. Questo contrasto è rappresentato da pronomi personali che hanno funzione enfatizzante.
Nel verso 7 sembra che Leopardi invidia la sorte degli altri che godono delle cose semplici.
Il giorno festivo è la rappresentanza dell’attuarsi della speranza che porta tristezza e noia, mentre l’aspettativa è elemento positivo.
La punteggiatura spesso vuole far soffermare l’attenzione del lettore sulla situazione del poeta.
Si passa poi da una prospettiva personale alla riflessione sulla caducità delle cose umane, che è un tema di origine classico. La meditazione ha come oggetto il destino dei popoli e Leopardi invita l’uomo a non credersi importante, perché non lo è; anzi la grandezza dell’uomo è riconoscere la sua fragilità.
Nell’ultima fase della lirica è presente la componente del ricordo dell’infanzia. La poesia della ricordanza segue l’idea che il ricordo sia sempre dolce e positivo anche se si ricordano episodi tristi.
L’impressione è di una malinconia di carattere consolatorio.
La struttura della lirica non è omogenea: si passa da una prospettiva personale ad una prospettiva che abbraccia tutti gli uomini fino ad abbracciare il ricordo.
OPERETTE MORALI
Leopardi scrive le Operette morali in un momento di riflessione sul materialismo, sul pessimismo, contro la società borghese e cattolica, cioè contro le ideologie correnti.
Queste opere vengono infatti criticate al tempo e vengono rivalutate solo nella seconda metà del ‘900. Il modello è quello delle satire di Luciano, autore greco di età ellenistica.
La prosa è asciutta tanto che vengono poi tradotte in liriche.
Il linguaggio però è moderno, anche se filosofico.
Dialogo della natura e di un islandese
In quest’operetta si rivela il pessimismo cosmico del Leopardi della seconda fase in cui riflette sul senso della natura che viene vista come maligna verso l’uomo.
In realtà la natura è vista come un organismo che segue delle leggi determinate ed è indifferente all’uomo perché non è né benigna né maligna.
Un altro concetto espresso è quello dell’inutilità dell’Universo e della vita umana. L’uomo non è oggetto della cura divina, come nessun altro essere vivente.
Anzi per Leopardi è importante riconoscere lo stato di fragilità dell’uomo e creare una solidarietà tra gli uomini per essere uniti contro la natura.
In un passo dello Zibaldone si riprende il tema della sofferenza universale, la sofferenza assume un carattere che non è proprio dell’uomo ma di tutte gli esseri viventi.
La Natura è personificata come una enorme donna sempre pronta ad imperversare.
L’islandese fugge la natura e si aspetta di trovarla in luoghi solitari e invece la natura è ovunque.
L’islandese è paragonato a Leopardi, perché vive in un posto dove la mancanza di persone porta alla noia. Contro la noia Leopardi propone in un’altra Operetta morale delle attività rischiose.
Ma la natura è ostile all’uomo anche se questo vive isolato e si accontenta. La natura però dice che il mondo non è fatto per gli uomini e non si accorge del dolore dell’uomo. Questo a causa della sua indifferenza determinata proprio dal fatto che la natura deve seguire regole fissate.
L’uomo è innocente di fronte alla natura ma deve subire comunque la forza della natura stessa.
L’islandese si illude che la creazione sia un atto di volontà di una divinità. In realtà Leopardi è ateo anche se la critica cattolica di Getto vorrebbe paragonare il concetto di vita come sofferenza e quindi priva di significato al concetto cattolico di vita come sacrificio per una ricompensa ultraterrena.
Il finale del dialogo è ironico. L’islandese viene soppresso dalla natura ma non si sa precisamente come e questo sottolinea ancora una volta la poca importanza dell’uomo.
La figura della mummia è simbolo della ricerca vana di una risposta ai perché della vita.
Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie.
Federico Ruysch era un medico studioso olandese di anatomia che fu celebre per l’imbalsamazione dei cadaveri. La situazione presentata da Leopardi nell’Operetta è paradossale, perché le mummie si risvegliano alla mezzanotte dell’anno grande e matematico e hanno la facoltà di parlare pere un quarto d’ora rispondendo alle domande dei vivi.
Per quanto riguarda i contenuti del dialogo che si instaura tra il medico e le mummie emerge un’idea positiva della morte, vista come fine dei tormenti terreni. Leopardi vuole sottolineare come l’esistenza del vivo e quella del morto siano parimenti infelici.
L’Operetta si apre con un coro intonato dalle mummie nel quale la morte è vista come il solo principio immutabile e eterno nel funzionamento dell’universo.
La condizione dei morti è vista in modo negativo, circondata dalla noia e priva di ricordi; quindi sia la condizione del vivo sia quella del morto sono infelici, ma con la differenza che i morti sono privi di passioni e desideri.
Al termine del coro inizia il dialogo vero e proprio che assume una forma colloquiale.
Leopardi non crede in una vita dopo la morte e descrive attraverso le mummie la vita del mondo vista come un cerchio, come un ciclo dopo il quale tutto ricomincia. Questa teoria presa dagli antichi serve al poeta a giustificare l’idea dell’anno grande e matematico.
Alla domanda del medico che vuole sapere cosa si prova nel momento della morte le mummie rispondono che la morte è simile al sonno e quindi che non ci si accorge del momento in cui avviene.
La morte non è un sensazione ma la perdita delle sensazioni. Questo concetto Leopardi lo riprende dalla filosofia antica.
Viene sviluppata poi la tendenza materialista di Leopardi quando il medico chiede se l’anima viene strappata dal corpo violentemente e la mummia risponde che l’anima non è unita al corpo da alcuna membrana.
In conclusione Leopardi asserisce che come il sonno anche la morte arriva per gradi e che la vita non è altro che una preparazione progressiva alla morte.
Grandi Idilli
Dopo la composizione delle Operette morali Leopardi attraversa il periodo che lo porta alla riflessione sui Grandi idilli ossia i componimenti pisano recanatesi.
Queste composizioni seguono una linea intimistica, soggettiva, descrittiva, non lontana dalla riflessione filosofica.
La critica precedente il 1947 aveva preferito interpretare le opere con un occhio per la liricità senza riguardi al pensiero filosofico.
Per Leopardi questi sono anni felici e questo è testimoniato dalla lettera del 1827 alla sorella a cui dice che la causa della sua felicità è il suo soggiorno pisano. E forse proprio questa felicità lo porta alla poesia che aveva abbandonato per la sua convinzione che non era possibile ottenere una poesia paragonabile a quella degli antichi.
Ma nel 1828 il soggiorno pisano si interrompe e Leopardi deve tornare a Recanati.
A Silvia
Silvia è probabilmente la figlia del cocchiere di casa Leopardi che muore di tisi molto giovane. Il nome non è quello vero della giovane ma Leopardi lo utilizza forse con reminiscenze tassesche.
Questo canto è un canto del ricordo: Leopardi ricorda Silvia nella loro gioventù. I due hanno aspettative per il futuro, ma Silvia muore lasciando il poeta privo di speranze.
Il poeta si ribella a questa morte accusando la Natura di rendere l’uomo infelice.
Il metro è la strofe libera di endecasillabi e settenari con alcune rime saltuarie e non stabilite.
Si avverte nella prima strofe una riflessione sulla gioventù che è bella perché ricca di speranze e aspettative per un futuro che per Silvia non verrà. La vita di Silvia è descritta come semplice e tipica delle donne del tempo.
La descrizione del paesaggio caratterizza lo stato d’animo del poeta.
La quiete dopo la tempesta
In questo idillio viene privilegiato il tema del piacere e del suo fondamento negativo.
L’unico piacere per l’uomo è la cessazione momentanea del dolore.
La lirica è ricca di dettagli realistici e di musicalità.
Secondo la critica del Sapegno non bisogna isolare in questa poesia i momenti di ispirazione lirica da quelli di riflessione filosofica.
L’ambientazione è quella di un paese che sembra rinascere dopo una tempesta; quindi il sentimento iniziale è quello di un ritorna alla tranquillità dei lavori quotidiani. La prima strofe infatti presenta delle descrizioni rasserenanti sia del paesaggio, sia della ripresa dei mestieri.
Questa tranquillità viene turbata dalla riflessione sulla gioia che viene definita come cessazione momentanea del dolore (piacer figlio d’affanno).
Leopardi riferisce questa riflessione non solo a se stesso ma a tutta l’umanità. Inoltre ha un obiettivo polemico contro le concezioni provvidenzialistiche che credono in una Natura benigna.
Il sabato del villaggio
Anche questa lirica descrive una situazione realistica e basata sulla osservazione della vita quotidiana, ma qui Leopardi vuole verificare un altro aspetto della teoria del piacere. Il piacere non è attuale ma si trova nell’illusione di una gioia futura.
Il sabato è il presunto bene che svela il carattere illusorio che induce poi alla noia. Il futuro indefinito si presta alla capacità immaginativa e quindi all’illusione.
Tutti sono felici nell’attesa del giorno festivo e addirittura si lavora fino a tarda sera perché il giorno successivo deve essere dedicato alla felicità.
Ma il giorno festivo sarà pieno di noia e non di felicità.
Leopardi si rivolge allora al fanciullo ammonendolo di godere della sua età giovane ricca di attesa e di speranza per il futuro, perché quando giunge l’età adulta essa è piena di tristezza e di noia e non porta mai le gioie sperate.
La poetica del canto sostiene che tra i vari generi della poesia l’unico che si addice ai moderni è la lirica. La lirica persiste nel tempo e attraverso essa i moderni si avvicinano agli antichi. Inoltre è un genere adatto per la poesia di meditazione su problematiche che l’uomo si pone.
Il genere epico e il dramma invece non sono possibili perché l’età moderna è priva di eroi e nazionalismi, ma è ricca di illusioni e rimembranze.
C’è un legame soprattutto il questo canto tra Leopardi e lo studio della filosofia antica, infatti Leopardi ravvisa nel mondo antico già elementi di infelicità.
Nel titolo il pastore è definito errante nel senso sia di colui che vaga sia di colui che sbaglia, ma questa seconda idea si trova in contraddizione con il termine pastore che significa guida.
Per comporre questo canto Leopardi si ispira ad un articolo riportato poi nel quaderno dello Zibaldone di un barone che racconta di un viaggio in Asia e nel quale descrive i pastori orientali che improvvisano canti notturni rivolti verso la luna.
La rima è caratterizzata dalla presenza della finale in –ale alla fine di ogni strofe, che dà al canto un senso di cantilena.
Il canto si apre con una serie di domande retoriche, di quesiti metafisici che rimangono irrisolti e questo è ben esplicitato dall’aggettivo “silenziosa”.
L’apostrofe iniziale alla luna si ritrova anche nell’Idillio Alla luna.
La vita del pastore viene paragonata alla ciclicità della luna e vengono attribuiti al pastore due azioni che si ripetono SORGE e MOVE. L’infelicità del pastore è infatti determinata dalla perdita di speranza e quindi del piacere perché per lui il futuro è uguale al presente e al passato.
Nella seconda strofe si trova l’immagine del vecchio che dopo tante fatiche cade nell’oblio. Questa immagine ripresa da un sonetto petrarchesco richiama la concezione della vita di Leopardi.
La luna è detta Vergine perché non toccata dalla miseria umana ed inoltre si riferisce alla figura mitologica di Artemide adorata come Selene con la caratteristica della verginità.
Nella terza strofe Leopardi si identifica ormai con il pastore e porge delle domande all’ordine della natura che è responsabile dell’inganno della nascita e quindi della sofferenza dell’uomo.
Più avanti la riflessione si sposta da una prospettiva umana ad una universale e si passa a domande sul significato dei singoli fenomeni naturali.
Il pastore sente un senso di nullità di fronte alla luna che sicuramente conosce la risposta alle sue domande.
Ritorna come nell’Idillio giovanile l’idea di infinito come qualcosa che si allarga oltre la capacità visiva dell’uomo.
Poi il pastore si rivolge al suo gregge che a differenza dell’uomo riposa senza paura del tedio, che per Leopardi è la condizione di mancanza sia di piacere che di dolore e quindi di eterna insoddisfazione.
Nell’ultima strofe il pastore immagina che l’ideale della felicità possa essere la possibilità di volare fino alle stelle, ma subito si ricrede perché per tutti la vita è sventura e il giorno della nascita è funesto.
Scritto nel 1833 è l’ultimo canto della stagione fiorentina.
Nella forma di colloquio con se stesso il poeta invita il suo cuore a riposarsi, perché il mondo non è degno del suo palpitare, ma solo di disprezzo.
La prima invocazione segna la caduta dell’ultima illusione e quindi una sensazione di disperazione. L’idea di immobilità del cuore porta il pensiero della morte.
Nel secondo appello al cuore il poeta dice appunto che il mondo è fango e quindi non è degno neanche della sofferenza dell’uomo, ma solo del disprezzo e infine il poeta asserisce che l’unico dono del destino è la morte, perché ormai disprezza se stesso, la natura il male onnipotente.
Ultima opera di Leopardi è il suo testamento poetico.
Vengono sviluppati in questa lirica parecchi dei temi trattati nelle altre opere, ma in particolar modo si ritrova la polemica contro lo spiritualismo e al sua cultura antropocentrica. Inoltre si risolve anche il pessimismo grazie alla trattazione della tematica solidaristica.
La lirica viene rivalutata nel 1947 grazie alla critica del Luperini “Leopardi progressivo” e del Binni “Nuova poetica leopardiana”
La ginestra è un fiore che cresce a cespugli in zone aride ed alle pendici del Vesuvio è considerata l’unica forma di vita. E’ una figura partecipe alla distruzione dell’umanità e si piega alla natura che imperversa divenendo monito per la superbia umana.
In apertura viene riportato un versetto del Vangelo di San Giovanni, ma in modo polemico. Per Leopardi la luce è il pensiero risorto dopo la barbarie del Medioevo. Si sente in questa concezione la forte ascendenza dell’Illuminismo sulla cultura leopardiana.
Il Vesuvio è simbolo di distruzione e questa immagine viene ripresa da una epistola di Volteire che parla del terremoto a Lisbona utilizzato come dimostrazione dell’impotenza dell’uomo davanti alle calamità naturali.
La descrizione non è certo idilliaca, ma scabra e arida. La desolazione del paesaggio contrasta con la grandezza della passata Roma.
La grandezza creata dall’uomo viene distrutta in un attimo dalla natura e quindi la superbia umana è inutile.
L’espressione “le magnifiche sorti e progressive” è tratta dalla “Dedica agli Inni sacri” di Terenzio Mamiani.
Il poeta poi accusa il secolo in cui vive di aver abbandonato la via del Rinascimento. Leopardi si oppone così alle teorie sostenute da Manzoni, Rosmini e Gioberti.
La natura diventa matrigna, perché attraverso la ragione esaltata nell’Illuminismo l’uomo ha scoperto i suoi limiti e quelli dell’universo.
Leopardi polemizza anche sull’autoinganno dell’uomo, cioè sul fatto che l’uomo pesi ad un mondo creato in modo perfetto e per l’uomo.
Ma la vera grandezza dell’uomo è riconoscere la sua fragilità. Nasce allora l’idea del solidarismo, cioè di una utopia che prevede l’unione degli uomini contro la natura, unica colpevole e una pace tra gli uomini stessi che sono sciocchi se si fanno guerra, perché questo comportamento accresce il dolore umano.
Viene analizzato anche il tema della pietà nei confronti della natura umana, per l’uomo che non sa distinguere il vero dal falso e che ha perso l’uso della ragione.
Dopo una nuova descrizione paesaggistica sempre più lontana dall’idillio Leopardi si domanda che cos’è l’uomo di fronte alla grandezza dell’Universo. Fa quindi un paragone tra l’uomo e l’immensamente grande. Al verso 192 Leopardi polemizza contro le credenze cristiane e la superbia dell’idea di far scendere la divinità sulla terra e farla conversare con gli uomini.
Descrivendo il Vesuvio Leopardi paragona le rovine di Pompei a quelle prodotte in un formicaio dalla caduta di una mela. Il paragone con le formiche è presente anche in una novella del Verga.
La natura non ha rispetto per l’uomo e tanto meno per la formica.
La presenza della natura è costantemente in agguato e l’uomo è spaventato dagli eventi naturali. Anche le persone colte non possono ignorare questa presenza. Leopardi si pone così contro le teorie progressiste che hanno carattere consolatorio.
C’è un riferimento agli scavi di Pompei iniziati nel 1748 che fa rinascere il gusto per la rovina, per l’architettura del passato.
Il linguaggio di Leopardi è classicheggiante e si rifà sia a modelli classici come Petrarca sia ai modelli neoclassici come Alfieri, Parini e Monti. Nonostante questo la lingua leopardiana è moderna perché egli ritiene che esistano delle profonde differenze tra la lingua parlata e quella scritta, perché il parlato antico contiene dei caratteri che il parlato non ha.
Foscolo riteneva che quando il tempo avrà distrutto tutto rimarrà solo la poesia, mentre leopardi dice proprio il contrario, cioè neanche le opere dell’uomo sono eterne.
La forza dell’uomo è la mancanza di vigliaccheria, l’uomo deve solo accettare il destino.
REALISMO E NATURALISMO
Esistono due linee di tendenza: la poesia che si sviluppa dopo Baudelaire nelle forme del simbolismo, e la narrativa che si ispira al realismo producendo per di più romanzi.
Le due linee sembrano opposte perché il romanzo è legato al realismo e quindi ha interesse nelle questioni sociali, mentre la poesia tende al simbolismo e quindi diventa ermetica e adatta a pochi.
Nel 1849 cessano i moti rivoluzionari, ma anche dopo l’Unità d’Italia non mancano i problemi sociali e politici. Con il 1870 si assiste ad uno sviluppo economico e nascono le teorie che puntano sul progresso dell’uomo.
Il positivismo dei narratori punta proprio ad utilizzare i metodi della scienza anche per la letteratura.
Si tende quindi a scoprire quei meccanismi che regolano i sentimenti e le reazioni degli uomini.
I narratori come Zola si inseriscono anche in una battaglia sociale. La sua opera “Germinale” tratta proprio delle rivendicazioni dei minatori che lavorano in miniera di carbone per avere una vita migliore e maggiori sicurezze sul lavoro.
Zola inoltre fa quel lavoro di analisi dei personaggi per esempio nel romanzo “Teresa Raquin”, che parla della vita di questa donna che arriva fino al suicidi. L’analisi verte proprio sui sentimenti della donna visti come se fossero elementi scientifici. L’autore ricerca la presenza di determinismo nei sentimenti umani.
A metà dell’800 il Romanticismo è ancora presente ma degenera in forme sdolcinate e viene detto Romanticismo minore. Contro questa corrente si scaglia la Scapigliatura milanese e Carducci.
La scapigliatura è un movimento che assume caratteri trasgressivi, gli artisti vivono ai margini della società, ma è un fenomeno limitato nel tempo e nello spazio.
Le loro opere sono interessanti come fenomeno, perché prendono una posizione di protesta contro un certo tipo di letteratura, ma la produzione è scadente.
Prosegue inoltre la produzione di romanzi storici con autori come Grossi, D’Azeglio e Tommaseo.
In Francia dal 1849 si distinguono due grandi autori: Flaubert per la narrative e Baudelaire per la poesia. Sono fondamentali perché anticipano il realismo.
La prima fase economica positiva permetta la nascita di tendenze filosofiche che danno fiducia alla scienza. Tra la fine dell’800 e il 1910 si sviluppa la II^ rivoluzione industriale,che dà un impulso all’industria e alla tecnica.
In Italia questo tipo di progresso arriva in ritardo e si ferma al Nord; il Sud è ancora dominato da una economia agricola. Questa è una delle principali differenze tra Nord e Sud che fa parte della cosiddetta questione meridionale.
L’Italia risulta quindi spaccata in due parti: una che si sviluppa economicamente vicina agli stati stranieri, una più arretrata.
Dalle due linee romantiche del realismo di Manzoni e della linea lirica di Coleridge si sviluppano rispettivamente il naturalismo e il simbolismo.
Nel naturalismo viene meno la partecipazione nei confronti dei destini e è maggiore l’interesse per la scienza. L’autore non è partecipe delle vicende dei protagonisti, il narratore scompare e sospende il suo giudizio. Vengono descritti i meccanismi sociali.
Nel simbolismo questo processo di estraneità si evidenzia con una specializzazione linguistica che fa delle poesie un linguaggio difficile che deve essere decifrato dagli specialisti e quindi dai poeti “che volano più in alto degli altri”.
Lontano dal Romanticismo che assumeva un aspetto didattico, il simbolismo prevede il culto dell’arte per l’arte, di un’arte fine a se stessa, senza un messaggio umano e sociale.
Le due linee francesi si trovano a breve distanza l’una dall’altra e si sviluppano tra il 1865 e il 1890. In Italia il periodo è più breve: 1878-90 e il punto culminante è la pubblicazione nel 1881 dei Malavoglia di Verga.
Il simbolismo ha il suo manifesto nel 1876 quando Mallarmè pubblica “Il pomeriggio di un fauno”.
La poetica del simbolismo si basa dunque su simboli che rimandano a qualche altro concetto, ma che solo il poeta, grazie ad un’intuizione, può decifrare. I simboli sono intuiti ma non compresi.
L’intuizione apre a un modo di sentire moderno, e sarà vicina al simbolismo anche la poesia di Pascoli.
In seguito il naturalismo viene meno perché si perde la fiducia nelle capacità razionali dell’uomo.
Verso la fine dell’800 la linea simbolista confluisce nel decadentismo, che a differenza del simbolismo che è una poetica, è una tendenza della società.
Il manifesto del decadentismo è del 1884 con il romanzo “A rebours” di Huysmans. Questo romanzo sarà spunto per D’Annunzio e O. Wilde.
Il Piacere sarà pubblicato nel 1889 in concomitanza al “Mastro don Gesualdo” di Verga.
Nel 1891 viene pubblicato il lavoro di Pascoli “Mirycae” che assume l’aspetto di documento del decadentismo italiano.
Il decadentismo implica un’idea negativa di decadenza di un momento conclusivo di una civiltà. Si privilegia l’ellenismo e il barocco proprio perché segnano un momento di decadenza.
All’inizio il termine viene usato per indicare la decadenza della borghesia liberale e positivista e quella del romanticismo. La condanna del decadentismo verte contro l’irrazionalismo e le tendenze alla corruzione morale.
Oggi non ha più implicazione negativa ma assume un aspetto importante per la mancanza di positività e del nesso deterministico causa – effetto.
Alcune correnti estendono il decadentismo anche ai primi decenni del ‘900 come Pirandello, per la sua sfiducia totale nell’uomo.
La tendenza al realismo percorre tutto il secolo a partire dalla fine del romanticismo, ma è presente in tutti i tempi perché mette in luce l’aspetto comico e il linguaggio basso: è una rappresentazione concreta del mondo.
Il realismo nasce in Francia con la rivista “Realisme”.
Nel 1865 i fratelli De Goncourt pubblicano il romanzo “ Germinie Lacerteux” ispirato al realismo.
In Italia si riprendono le tendenze francesi attraverso la scapigliatura e gli scritti del giovane Verga, che scrive romanzi che prendono in considerazione la società borghese.
Nel 1858 il positivista TAINE prospetta una nuova poetica di impianto scientifico e il carattere sistematico e ciclico del romanzo.
Gli individui sono determinati da tre cause: la razza o eredità, l’ambiente e il momento storico.
Anche Zola prende in considerazione questi fenomeni anche se nella sua produzione posteriore li critica giudicandoli troppo ristretti.
Zola fa sue le teorie di Bernard sulla medicina sperimentale e elabora romanzi cicliciche fanno parte del ciclo dei Rougen-Macquart, che indica come le leggi dell’ereditarietà condizionino tutti i componenti della famiglia. Zola dedica un romanzo ad ogni componente.
Nel 1877 si riunisce un gruppo id naturalisti che nel 1880 pubblicano sei racconti.
Nel 1977 Zola pubblica il “Romanzo sperimentale” nel quale esprime i punti fondamentali del naturalismo:
La narrazione si basa su un’impostazione scientifica, sull’osservazione e la sperimentazione.
Cambiano le tecniche narrative: discorso indiretto libero, regressioni…
Il primato è dato al genere romanzesco.
La prefazione a “Germinie Lacerteux” pag.1145.
In Italia il naturalismo si fa sentire negli ambienti della scapigliatura che assimila e accetta alcuni principi.
Nel 1878 viene pubblicata la novella di Verga “Rosso Malpelo” e nel 1879 “Giacinta” di Capuana.
Anche la critica vede di buon occhio le prime opere veriste.
Il verismo assume alcuni caratteri del naturalismo.
Alcuni critici come De Sanctis consideravano Zola positivamente, come possibile influsso nella letteratura italiana. Il naturalismo francese può infatti liberare la letteratura italiana dalle sdolcinatezze dell’ultimo romanticismo.
Capuana vede nella letteratura francese la possibilità di influenza sulla letteratura italiana sul metodo di scrittura. Si omologa infatti il linguaggio alla classe sociale di cui si sta parlando.
Verga per esempio modella la sintassi e lo scritto sul parlato e sul dialetto.
Mastro don Gesualdo tratta di personaggi di un livello sociale più alto e di conseguenza anche il linguaggio si adatta alla nuova situazione.
C’è un’omologia tra livelli sociali e livelli formali.
Il verismo italiano è diverso dal naturalismo, infatti riduce la dottrina del naturalismo ad un metodo di scrittura, viene abbandonata la teoria della scienza.
E’ minore nel verismo l’impegno sociale, tutti i narratori italiani appartengono ad una classe sociale alta e non vivono in prima persona le rivendicazioni sociali.
I veristi in modo indiretto considerano la questione meridionale, ma mai esplicitamente.
In Verga si ritrova anche un pessimismo che non gli fa accettare il processo scientifico, Queste idee fataliste dell’impossibilità del cambiamento del progresso sono viste in un’ottica meccanicistica.
Verga e Capuana elaborano le loro teorie a Milano e a contatto con la scapigliatura.
Un’altra esponente del verismo è M.Serao che analizza la realtà napoletana.
Un’eco del verismo si ritrova anche nell’opera “L’esclusa” di D’Annunzio che analizza la società siciliana.
Il verismo vive un periodo breve tra il 1878 e il 1889, quando viene pubblicato “Il piacere” di D’annunzio e nel 1891 “Myricae” di Pascoli.
Verga nasce in Sicilia nel 1840 e muore nel 1920 sempre in Sicilia dove torna quando la corrente del verismo si spegne.
Verga rovescia il modello del romanzo manzoniano, cambia il punto di vista narrativo che ora coincide con il punto di vista dei personaggi a seconda della classe sociale.
Tra il 1869-72 è a Firenze e tra il 1872-93 a Milano dove si compie la sua maturazione più importante.
A Catania ancora giovanissimo scrive un romanzo “Amore e patria” dove è ancora forte il culto della restaurazione. Negli anni ’60 invece scrive il romanzo storico “I carbonari della montagna” che tratta del popolo calabrese contro gli invasori francesi.
La fase in cui Verga acquista successo presso il pubblico è quella di Firenze quando scrive romanzi di gusto romantico come “Storia di una capinera”.
Nel 1874 c’è una svolta che avvicina verga al verismo. Scrive infatti il bozzetto siciliano “Nedda” che tratta della storia di una raccoglitrice di olive in un ambiente rusticano; si sente da parte dell’autore una denuncia alle condizioni di vita dure della donna.
Non si può parlare di opera verista perché la descrizione della situazione viene dall’alto e il narratore è ancora presente.
Nel 1877 giunge a Milano Capuana che contribuisce alla formazione di un gruppo di critici che vogliono creare un romanzo moderno secondo i canoni del naturalismo.
Nel 1878 avviene la pubblicazione della novella “Rosso Malpelo” e la bozza di un romanzo “Padron ‘Ntoni”.
La raccolta di novelle “Vita nei campi” esce nel 1880 e il romanzo “I Malavoglia” nel 1881.
In queste opere si nota già il pessimismo di Verga che prende le distanze dal positivismo, ma che vede ancora nel mondo rurale la possibilità di riscatto. Questo mondo ha ancora dei valori positivi come la famiglia, la terra… (teoria dell’ostrica)
Nella seconda fase di Verga il pessimismo diventa più cupo, perché egli vede anche nella società bassa la prevalenza dell’ottica economica, è il caso del romanzo “Mastro don Gesualdo” e della raccolta “Novelle rusticane.
Verga aveva il progetto del ciclo dei vinti che prevedeva cinque romanzi che analizzassero ognuno una particolare classe sociale. Verga ne scrive solo due poi abbandona il progetto forse proprio perché non riesce a risolvere questo pessimismo.
Verga scrive diverse dichiarazioni di poetica come per esempio in Amore e patria, uno dei romanzi giovanili che risentono ancora dello stile della scapigliatura, ma che sono importanti per comprendere la sua produzione posteriore.
Un altro romanzo importante è Eva e nella sua prefazione c’è un’accusa diretta del mito del benessere e della borghesia. Verga prende le distanze dalla nuova società responsabile della corruzione e idealizza il mondo umile.
L’autore coinvolge il lettore nel giudizio sul romanzo e quindi sulla società, perché il romanzo è come una fotografia della società.
Nel gesto di sdegno verso il romanzo però la colpa non deve essere data all’arte, perché l’arte greca era manifestazione della civiltà.
La borghesia del ‘700 aveva animato la rivoluzione francese, quella dell’800 è portavoce dei valori conservatori.
Nella prefazione all’Amante di Gramigna c’è l’accenno al compito della nuova letteratura che deve usare la scienza per un’indagine delle passioni umane attraverso un metodo scientifico.
Questa novella scritta nel 1878 segna la svolta al verismo di Verga, una scelta meditata perché l’autore si rende conto che scrivendo in un certo modo non ottiene successo presso il grande pubblico.
Nel 1880 pubblica la raccolta Vita nei campi che contiene 8 novelle tra le quali anche “L’amante di Gramigna” che contiene la spiegazione della sua svolta al verismo.
In queste novelle Verga mette in primo piano le passioni. Verga ha fiducia nella classe sociale popolare perché la vede come portatrice dei buoni valori. Questo si perde con la raccolta Novelle rusticane, dove prevale l’ottica economica.
Rosso Malpelo è un minatore delle cave di zolfo. Il contenuto della novella verte quindi sul dramma del lavoro minorile sul quale Verga si documenta attraverso l’inchiesta di Franchetti e Sonnino.
Non c’è però da parte di Verga una denuncia sociale esplicita.
In coerenza alla corrente letteraria Verga attua l’ottica della regressione che consiste nell’eclissi del narratore tanto che la novella sembra farsi da sé. Non esiste l’ottica dell’autore, perché il narratore si identifica con l’ottica della gente.
Il narratore inoltre non è depositario della verità. Nella seconda parte della novella, il punto di vista del narratore coincide con quello di Malpelo.
Malpelo è consapevole della negatività della vita e si adatta per sopravvivere, capisce che per vivere bisogna essere forti.
La lingua cerca di adattarsi al parlato della gente e si adatta anche sintatticamente al dialetto.
Verga utilizza anche la teoria dello straniamento, cioè fa apparire strane ciò che è normale.
I rapporti di Malpelo con la madre e la sorella sono conflittuali, viene trattato con sospetto e violenza. La sua reazione è ovviamente violenta.
Si ritrovano molte similitudini e aggettivi che riguardano il mondo animale, paragoni zoomorfi.
Il linguaggio di Verga a volte diventa tecnico, elemento che verrà ripreso anche da Pascoli.
Utilizza anche il discorso diretto libero, ricostruisce un discorso fatto dai personaggi con le loro parole.
Malpelo sente l’ingiustizia della vita, ma non può ribellarsi perché chi si scosta dalla propria terra e dal proprio lavoro finisce male.
Viene poi evocato il momento della morte del padre nella cava dove è visto come un fatto di ordinaria amministrazione.
La tragedia della morte colpisce chi rimane in vita, in quanto si è persa una fonte di reddito e sostentamento. Malpelo accoglie questa morte con rabbia e dolore e verga ci presenta questo come un’anomalia, per il principio dello straniamento.
Secondo malpelo la morte è la fine delle sofferenze, egli è consapevole di non poter cambiare la propria posizione e di non potersi ribellare. Per questo è violento con l’asino.
Malpelo prende a proteggere un ragazzo debole, Ranocchio, verso il quale dimostra un affetto particolare che si esplica con la violenza.
Questo atteggiamento ha il fine di far capire al ragazzo che per sopravvivere bisogna esser forti.
Verga non descrive i personaggi, ma individua alcuni elementi che lo richiamano alla memoria.
L’autore vuole sottolineare l’attaccamento di quella gente alla roba, un’ottica economica esasperata che diventa oggetto poi del romanzo Mastro don Gesualdo.
Quando Ranocchio muore Malpelo si sente in colpa e dinanzi alle cure della madre prova un’invidia inconscia e paragona la sua condizione ritenendola migliore.
La morte finale di Malpelo è vista come un ricongiungimento con il padre.
La critica psicoanalitica va a interpretare i rapporti di Malpelo con gli altri componenti della famiglia e in modo particolare con la madre e la sorella.
Il rancore contro la madre genera malvagità e senso di colpa. Il tentativo di salvare il padre e di scavare nella sabbia è una ricerca di comprensione, un gesto di riparazione come se si sentisse in colpa. La madre ha nome Santa, nome ricorrente ma scelto apposta da verga perché in realtà la donna era cattiva.
Malpelo odia la madre, ma sente anche dei forti sensi di colpa e crede di riparare portando la paga che però è sempre misera.
Malpelo prova gelosia verso la sorella che lo picchia e lui sente come rivale dell’amore della madre.
L’unico rapporto limpido è quello con il padre.
Il vero desiderio di Malpelo è di diventare diverso, di svolgere un’altra attività.
L’amore funge da riparatore, ma è dimostrato in modo strano. Prima verso gli arnesi del padre e i vestiti, poi verso gli animali come il cane e l’asino e infine verso Ranocchio.
Verso di sé ha un atteggiamento di odio-amore che si traduce nei rapporti con gli altri.
Una sorta di masochismo morale porta Malpelo a punirsi perché il rapporto con sé è sofferente e quello con gli atri è lo stesso.
Quando Ranocchio muore non ha più ragioni di vita; l’odio verso di sé si traduce in autodistruzione.
E’ ancora aperta la discussione sulla datazione di questa novella che si presume del 1879, ma dove non è ancora presente la svolta al verismo, infatti è assente la regressione del narratore.
L’autore infatti descrive la sua situazione, il suo mondo e dove si trovano descrizioni del mondo rurale in termini bassi ma idealizzato come portatore dei buoni valori.
La novella narra di un viaggio del narratore con una nobildonna che vedendo dal treno il paese di Aci Trezza vuole fermarsi ma rimane solo due giorni. Vengono presentati i personaggi dei Malavoglia.
E’ presente una polemica che si trasforma in denuncia della disparità sociale tra la donna e la realtà.
C’è un riferimento all’immagine del formicaio nella Ginestra di Leopardi.
La lotta per la sopravvivenza è la stessa sia tra le persone che tra le formiche. Anche se la vita è sofferenza c’è la volontà di sopravvivere e di popolare ancora quei luoghi. Ma per capire questo concetto è necessario regredire.
Viene spiegato anche l’ideale dell’ostrica: tutti rimangono dove sono nati e fanno il lavoro che hanno sempre fatto: ogni miglioria è vista in modo negativo.
Il romanzo viene pubblicato dall’editore Treves nel febbraio del 1881. Il progetto in realtà è più antico e risale al ’75 con il bozzetto marinaresco “Padron ‘Ntoni”
Nel ’78 Verga elabora un progetto di un ciclo chiamato prima La marea e poi il ciclo dei vinti che doveva comprendere 5 romanzi che studiassero le passioni umane partendo dalla classe bassa della società per poi elevarsi.
Nel titolo si vede già l’ottica culturale e linguistica dei personaggi. Viene utilizzato il cognome in modo antifrastico.
Tra il ’78 e l’81 Verga prende posizione sulla sua conversione al verismo come volontà di superare il romanzo manzoniano; questo manifesto si ritrova nella prefazione alla novella “L’amante di Gramigna”, nella novella “Fantasticheria” , nella prefazione ai Malavoglia e in alcune lettere mandate a Capuana e all’editore.
Verga sente la necessità di creare una forma inerente all’oggetto. Il modo di descrivere la situazione si adatta alle diverse classi sociali, infatti il linguaggio e la sintassi è diverso nei due romanzi.
L’autore diventa voce narrante oppure diverse voci (coralità). Cadono artifici del romanzo manzoniano come il narratore onnisciente, presentazione dei personaggi.
Ora le descrizioni vengono dall’interno e i personaggi si riconoscono da quello che dicono.
Verga ricerca nuove soluzioni linguistiche, come proverbi, metafore zoomorfe, similitudini dal mondo popolare….
Il romanzo è diviso in 15 capitoli dove vengono narrate vicende tra il 1863 e il ’77.
Nei primi 4 capitoli il tempo del racconto viene dilatato e si raccontano le vicende della Provvidenza.
Nei capitoli tra 5 e 10 vengono presentati due personaggi Padron ‘Ntoni e Campana di legno l’usuraio, che rappresenta le leggi dell’utile, della modernità e dell’immediatezza.
Il vecchio ‘Ntoni parla per proverbi ed è il simbolo della tradizione , della staticità.
Il romanzo nasce dalla questione del debito. Padron ‘Ntoni intraprende un lavoro che non è il suo e si mette nell’affare dei lupini.
Quella di Verga è una critica verso un certo tipo di società, che nasce dal pessimismo. Crede che non possa esserci progresso e che tutto ciò che neghi l’immobilismo è negativo.
Negli ultimi cinque capitoli il protagonista è il giovane ‘Ntoni che è il simbolo dei rischi della modernità.
I temi sociali presentati sono l’usura, il contrabbando e l’amministrazione pubblica.
Nel capitolo 7 verga tratta della rivoluzione delle donne contro la tassa sulla pece e sul sale.
Verga nella prefazione ai Malavoglia riassume le posizioni teoriche assunte dall’autore, soprattutto nei suoi rapporti con il naturalismo francese.
Il motivo per il quale non scrive gli altri tre romanzi previsti nel ciclo dei vinti non è noto, ma si presuppone che le preferenze del pubblico andassero in direzioni differenti.
Secondo Verga i vinti si ritrovano in tutte le classi sociali e sono soprattutto gli intrusi che vogliono appartenere ad una determinata classe.
Verga crede nell’importanza dell’educazione all’interno delle diverse classi sociali; ed è per questo che utilizza un linguaggio omologo.
Il romanzo è una descrizione come se fosse una fotografia e quindi pretende una esattezza formale.
La definizione di progresso separa l’idea di Verga da quella dei naturalisti. Il progresso qui è visto in prospettive lontane e può essere grandioso, ma nel momento preciso è frutto di sofferenza.
La legittimità del progresso coincide con la sua necessità.
E’ evidente il riflesso del darwinismo sociale.
Il pessimismo porta Verga a pensare che il reale non è modificabile perciò ogni intervento è vano.
La funzione della letteratura è lo studio della realtà.
Il tempo storico è quello che coincide con l’ambientazione storica del romanzo. In questo capitolo intercorrono due anni. Il tempo mitico è invece scandito dal ritmo delle stagioni, dalle feste religiose, dai proverbi, è il tempo di Aci Trezza.
In questo capitolo c’è la presentazione dei personaggi che verga nomina senza né descrivere né dire chi sono. Bastianazzo non è descritto, ma ci sono riferimenti precisi che provengono dai concittadini.
La politica non interessa Padron ‘Ntoni fino a quando non viene coinvolto personalmente per la partenza per la leva del nipote.
C’è un accenno polemico al sistema della leva militare che è un danno per le famiglie.
La questione dei lupini si inserisce in una situazione in cui ‘Ntoni è partito per la leva militare, Mena deve contrarre un matrimonio…
Sembra che l’autore faccia propria la prospettiva di padron ‘Ntoni verso le donne che non hanno la possibilità di dare un’opinione.
Dopo la partenza della Provvidenza nascono nuove chiacchiere in paese.
I personaggi si dividono in tre gruppi: quello degli uomini sui gradini della Chiesa, quello dei notabili e quello delle donne.
Il mare viene descritto come un uomo.
E’ accennato l’idillio tra Alfio e Mena che è fatto di parole non dette; Mena infatti deve sposarsi per volontà del nonno con un altro uomo. Le nozze sono finalizzate a un’ottica economica e Mena accetta la volontà del nonno.
Mena conosce il motivo della tristezza di Alfio ma i due non si dichiarano.
Viene presentato un nuovo personaggio positivo che sposerà Alessi, Nunziata, che invita Alfio a dichiarare il suo amore.
Verga descrive il momento della notte dopo la partenza della Provvidenza usando un punto di vista basso per regredire nell’ottica delle persone che descrive.
Quando si viene a sapere della disgrazia dei Malavoglia nei commenti del paese si sovrappongono visioni di carattere economico ai sentimenti.
Verga descrive la visita di consolo. Era usanza fare visita alla famiglia in lutto per esprimere le proprie condoglianze. Durante la visita i personaggi esprimono commenti su vicende di carattere economico: viene nominata la tassa sul sale e il telegrafo visto come causa della scarsezza della pioggia. La rappresentazione del dolore dei Malavoglia contrasta con la grettezza dei concittadini.
Lo stile utilizzato è quello del discorso libero (Erlebte Rede).
Tutto viene ricondotto alle semplici dinamiche di carattere economico, la morte del marito è una disgrazia perché è la fonte di sostentamento della famiglia.
Si parla anche della tassa di successione introdotta dal nuovo stato che viene identificato con la persona di Vittorio Emanuele.
Gli interessi si spostano sulla casa del nespolo, vengono valutati i vari beni dei Malavoglia.
La ragione morale spinge padron ‘Ntoni ad accettare la ragione economica, ma lo fa con ragioni di carattere etico. Il dolore per la morte di Bastianazzo è legato al debito dei lupini.
Capitolo XI
In questo capitolo comincia a diventare evidente la scontentezza di ‘Ntoni, che lavora con poca voglia causando dolore sia alla madre che al nonno, il quale gli ricorda che chi lascia la casa è come se morisse. E’ presente l’idea del fatalismo, come impossibilità di cambiare il proprio destino.
Ci sono degli intercalari del chiodo fisso di ‘Ntoni tra gli indovinelli dei ragazzi.
Anche Mena interviene direttamente esprimendo i valori etici della famiglia Malavoglia.
Il nonno nota la tristezza della Longa e decide di parlare con il nipote.
‘Ntoni enuncia anche concetti positivi, come la modernità e l’idea di migliorare la sua condizione, ma vengono banalizzati dallo scopo per cui egli vuole diventare ricco.
L’interesse di Verga è quello di parlare degli emarginati, di quelli che “si staccano dallo scoglio”.
Quella di padron ‘Ntoni è l’idea immobilistica come valore supremo rafforzato nel discorso diretto con metafore naturali.
Viene descritta anche la epidemia di colera che colpisce il paese nel 1867 e che porta via la Longa.
Questo capitolo comprende parecchi anni dal 1872 al 1877 e si tirano le somme delle varie situazioni: le nozze di Alessi, la rinuncia di Mena al matrimonio con compare Alfio e il ritorno di ‘Ntoni. Il proverbio rimane una caratteristica del nonno anche se ora sono detti a sproposito secondo le persone del paese, ma in realtà sono azzeccati per la famiglia Malavoglia.
Si profila un carattere economico e la legge del benessere.
Si nota ancora le tecnica dello straniamento nel fatto che i compaesani ridano di padron ‘Ntoni e la tecnica della descrizione della Nunziata che è fatta dal basso.
Mena rinuncia al matrimonio con compare Alfio perché dice di essere vecchia, ma in realtà il vero motivo è il disonore che Lia ha portato nella famiglia.
Viene utilizzata anche la tecnica del sommario, cioè vengono accennati alcuni avvenimenti che solo in seguito vengono ampliati.
Alessi e la Nunziata si sposano e riscattano la casa del nespolo. In realtà il tempo della storia viene in certi casi ristretto e in altri dilatato.
C’è anche il ritorno di ‘Ntoni che vuole però ripartire anche se il fratello lo invita a rimanere.
Capisce la necessità di ripartire e grazie alle sue esperienze sa che quel mondo è perduto per sempre, ha coscienza di aver rotto qualcosa nella famiglia.
La conoscenza di ‘Ntoni porta ad un distacco così come nella mitologia la conoscenza deriva da una discesa per esempio agli inferi che dà l’idea di distacco.
Ci sono varie interpretazioni del finale dei Malavoglia. Il filone storicistico di Russo vede nella conclusione la celebrazione della sacralità della famiglia e il senso di continuità.
Il Luperini considera invece la fine negativa, come dispersione della famiglia dove la nota dominante è la nostalgia e il rimpianto.
Il distacco di ‘Ntoni dal mondo antico è lo stesso di Verga dal mondo romantico che viene visto con un’ottica diversa nel Mastro don Gesualdo dove il sentimento viene annullato dall’ottica economica.
Il successo dei romanzi del ciclo dei vinti viene successivamente a quello dei romanzi Eros, Tigre reale, Storia di una capinera, che durante i primi decenni del ‘900 hanno un successo particolare.
I malavoglia si configurano come un romanzo sperimentale e prevedono un’attenzione maggiore da parte del lettore. Anche Mastro don Gesualdo non ha inizialmente molto successo perché è brutale nella sua sostanza come le Novelle Rusticane.
Pirandello scrive nel 1920 un discorso nel quale definisce Verga uno scrittore di cose, il capostipite della letteratura del ‘900.
Un altro pregio che gli viene riconosciuto è la capacità di aver narrato senza mediazioni ideologiche. La stessa componente mitico-lirica e realista si trova nella tragedia di D’Annunzio del 1903 “La figlia di Iorio”. Anche De Roberto è influenzato da Verga nel suo romanzo “I viceré”.
Dopo la critica romantica si sviluppa quella idealistica di Benedetto Croce che influenza i filoni di critica seguenti. Croce distingue la poesia dalla non poesia isolando gli aspetti poetici e considerando retorica il resto. Croce predilige i Malavoglia perché in alcuni passi hanno una componente poetica.
Sempre Croce nel 1923 stacca Verga dal verismo e lo definisce scrittore primitivo abbandonando i motivi teorici che Verga stesso propone.
Il romanzo di verga nasce quindi dalla nostalgia dell’infanzia e della terra natia come una sorta di mistificazione della Sicilia.
La critica del Russo presente in un saggio su verga del 1919 considera l’adesione di Verga al verismo come spinta liberatrice per la sua anima lirica.
L’interesse per Verga nel secondo dopoguerra è quello della critica marxista che vede in verga un socialista. In realtà era un reazionario e questo è evidente nella novella “Libertà”; inoltre crede che la società non abbia possibilità di miglioramento.
Questa è la critica di Sapegno e Petronio che presenta una forzatura ideologica.
Dopo la critica neorealista di Vittorini, tra il 1965 e il 1975 si sviluppa la critica neo marxista di Luperini, Asor Rosa e Masiello che mettono in luce l’aspetto anti idillico del Mastro don Gesualdo e quello capitalista dei Malavoglia. La critica marxista parte da presupposti politici e sviluppa una divisione della società in struttura e sovrastruttura, cioè un certo tipo di società sviluppa un’arte che ha determinati caratteri.
Esiste una critica psicoanalitica di De Benedetti, mentre le critiche attuali badano alle strutture formali, ad un’analisi linguistica e filologica.
Il tema delle Novelle Rusticane sono situazioni e non personaggi particolari. Si fa molta attenzione ai rapporti di carattere economico anche se l’interesse si sposta a volte su vicende politiche.
Questa novella prende spunto dai fatti di Bronte dove scoppia una rivolta contadina perché dopo l’impresa di Mille i contadini reclamavano la loro parte di terra.
La rivolta si accanisce contro i potenti e i ricchi e finisce in una strage. All’arrivo di Nino Bixio si fa giustizia sommaria e poi la situazione ritorna come in precedenza.
Per verga la rivoluzione non può dare frutti perché la vita è scandita dalla lotta individuale del singolo contro gli altri. Non c’è né socialità né solidarietà di classe.
Sciascia parla di mistificazione che consiste nell’aver taciuto l’esistenza e la morte di un avvocato, Lombardo, che si era aggregato ai rivoltosi.
La violenza con cui Verga descrive le scene indica come nel popolo secondo lui sia insita una violenza inaspettata.
La novella è divisa in tre parti: la prima è caratterizzata da una forte carica espressiva nel descrivere la lotta; la seconda è più oggettiva e nella terza sono presenti gli avvenimenti successivi. I sentimenti di Verga si alternano tra pietà e ironia.
In Italia la corrente del Decadentismo è rappresentata da Pascoli e D’Annunzio.
D’Annunzio assorbe meglio le influenze provenienti dall’estero. La sua produzione varia a seconda della situazioni in cui si trova. Subisce una censura negli anni posteriori alla guerra.
D’Annunzio è una fonte necessaria per arrivare alla poesia contemporanea, per esempio Montale. Nel 1896 Montale afferma che la sua maturazione poetica passa attraverso D’Annunzio.
D’Annunzio ha avuto molti imitatori, soprattutto nell’ambiente della prosa.
Le novelle della Percosa risentono dell’influenza verista anche se è presente una tensione erotica e sensuale che non è presente in Verga.
Nel 1889 viene pubblicato “Il piacere” romanzo che subisce le influenze del decadentismo francese, ricerca il bello raffinato ispirandosi al romanzo “A ritroso” del 1884.
La volontà degli esteti è di allontanarsi sia dalla massa che dalla borghesia.
SIMBOLISMO E ESTETISMO
I movimenti del simbolismo e dell’estetismo si sviluppano in Francia in concomitanza ad altre correnti letterarie. Nel 1857 c’è la pubblicazione de “I fiori del male” di Baudelaire che segna l’inizio della poesia moderna, poesia che è un prodotto della società, basata sull’artificio.
Non ha più valore pedagogico ma comunica un senso di ribellione impotente, un senso di fastidio del poeta.
Nel 1861 viene pubblicato il Manifesto degli scapigliati che assorbono l’insegnamento proveniente dall’estero con risultati, però, modesti.
Carducci attraversa un primo periodo giacobino, poi prende le parti del regime.
Dopo la morte di Leopardi si sviluppano un Romanticismo minore (Aleardi) e la poesia risorgimentale.
Carducci sperimenta vari stili fino alla scapigliatura trasgressiva.
La poesia moderna parla di una volontà di estraniarsi da questo mondo. La fuga è l’unico mezzo perché l’artista non è più l’eroe romantico che non può cambiare il mondo.
Il poeta denuncia la sua posizione ai margini della società oppure esalta la sua attività poetica di carattere oracolare. Il poeta diventa veggente, non dal punto di vista razionale. Intuisce le cose e si esprime attraverso simboli e un linguaggio ermetico destinato a pochi e non alle masse.
Solo il poeta può comprendere le corrispondenze fra i simboli e la realtà. L’arte assume un valore assoluto.
Il decadentismo nasce in Francia e predilige il Barocco come degenerazione del rinascimento e l’ellenismo della tarda classicità romana che presenta la contaminazione tra mondo classico e cristiano.
Le certezze offerte dal positivismo vengono meno e si apre una crisi.
Nasce anche la psicanalisi, autori come Svevo leggono Freud che dà un’importanza notevole all’inconscio.
Gli unici rappresentanti del decadentismo in Italia sono D’Annunzio e Pascoli che sono influenzati dal classicismo e dall’umanesimo che sono costanti nel tempo.
Corrispondenze Baudelaire
Il poeta ravvisa nella natura una serie sconfinata di simboli e corrispondenze; la chiave per decifrare tutto è in mano al poeta.
Il poeta si sente l’unico decifratore, è declassato dalla società borghese che ha interessi nei confronti del denaro e dell’imprenditoria e non dà spazio alla cultura e all’arte.
Esistono corrispondenze tra colori, profumi, suoni…
La sinestesia è una figura retorica molto usata ed è l’accostamento di due termini appartenenti a due sfere sensoriali differenti.
Il poeta comprende intuitivamente certe relazioni e le scrive con parole ermetiche.
La natura è un tempio. Gli alberi sono pilastri viventi che lanciano messaggi all’uomo. Tutto quello che ci appare è simbolo di qualcos’altro.
D’Annunzio a differenza di Pascoli che vive una vita chiuso nel suo nido tra i suoi studi e la carriera di professore prima liceale e poi universitario, procede in maniera differenza. Frequenta Roma, città brillante, scrive su un giornale mondano ed è spesso protagonista di scandali. Si sposa giovane e intrattiene relazioni con donne fatali come la Leone ed Eleonora Duse.
Nel 1900 scrive Il romanzo “Il fuoco”, autobiografico, nel quale è raccontata una storia d’amore tormentata
D’Annunzio è impegnato dal punto di vista politico prima con la destra, con gli interventisti agli inizi della I^ guerra mondiale, perché come molti sente un riscatto dell’Italia grazie alla guerra.
Negli ultimi anni si ritira a Gardone in riviera a causa dei suoi rapporti poco chiari con il fascismo.
D’Annunzio instaura con il suo pubblico un rapporto particolare, è un esteta e aderisce al parnassianesimo francese, mettendo l’arte sopra ogni cosa. L’arte viene liberata da tutti i vincoli etici e educativi e primeggia il culto della bellezza e della forma ricercata.
D’Annunzio si fa interprete di queste idee e si sente superiore alla borghesia parlando di grigiore democratico, omologazione e banalità.
Crea quindi una moda e gli autori successivi come i crepuscolari propongono in contrapposizione un modello basso borghese .
Il suo rapporto con il popolo e la borghesia è sprezzante e antitetico, perché tende all’avvicinamento
Dell’ideale del superuomo.
D’Annunzio scrive per tutti, non solo per i colti però i romanzi sono più diffusi rispetto alle poesie.
Per il pubblico borghese D’Annunzio è un modello da imitare, il pubblico si immedesima nel superuomo e si sente appagato.
E’ un autore che può assomigliare agli autori moderni che scrivono per il pubblico, ma nello stesso tempo è conservatore di certi elementi come il classicismo carducciano.
Il romanzo “Le vergini delle rocce” deriva dalla lettura di Nietzsche il quale scrive per metafore e viene sfruttato dal nazismo per avere una base filosofica.
D’Annunzio fa sua l’idea del superuomo e nel romanzo immagina un uomo che cerca una donna per avere un erede che sia il Principe di Roma.
Tutti i protagonisti dannunziani alla fine saranno perdenti. Questo apre la strada ai personaggi inetti della letteratura europea dell’inizio del secolo.
La produzione poetica subisce un influsso da parte della poesia francese. C’è una volontà di mediare tutte le tendenze straniere, per cui D’Annunzio ripropone tutti i procedimenti formali tipici del simbolismo.
E’ una poesia per i sensi che ripropone una sensibilità di tutto ciò che è materiale.
Ci sono delle fasi in cui l’autore sente il bisogno di un riscatto, di bontà.
LA PIOGGIA NEL PINETO.
La poesia fa parte della raccolta Alcyone, uno dei libri delle Laude e ha dato adito a molte parodie tra le quali quella di Montale del 1969 pubblicata nella raccolta Satura del 1971.
Si immagina una passeggiata con una donna e il poeta ha la volontà di parlare. Il linguaggio è elevato e specifico nella varietà di vegetali ricercati.
D’Annunzio cerca la musicalità con rime interne e c’è l’idea di una natura che si umanizza e nello stesso momento avviene la trasformazione dell’uomo e della donna in vegetali.
Non c’è nessun concetto espresso ma solo panismo, cioè immedesimazione con la natura.
CANTO NOVO
La prima edizione risale al 1882 e risente di una forte influenza carducciana; la seconda edizione è del 1896 e viene modificata grazie all’influsso della filosofia di Nietzsche, cioè si aggiunge l’idea del super uomo.
“Al mare, al mare, Lalla” pag. 150
IL PIACERE
Il questo romanzo è evidente la caratteristica dannunziana di assorbire tutte le influenze provenienti dall’estero, è chiaro il riferimento a Huysmann che aveva aderito al naturalismo, poi all’estetismo e alla fine allo spiritualismo.
Il romanzo è stato scritto nel 1888 e pubblicato dall’editore Treves nel 1889 nello stesso anno del Mastro don Gesualdo di Verga.
Il grande pubblico borghese che non ha aspirazioni vede nei personaggi di D’Annunzio un mito.
E’ ambientato a Roma , Andrea Sperelli abita nel palazzo Zuccari. D’Annunzio ci rappresenta la Roma barocca , quella delle fontane e dei palazzi che contiene caratteri di decadenza.
Il protagonista, Sperelli, è un esteta che si circonda di belle cose e la sua ossessione sono l’eros e le donne. Rievoca la donna amata attraverso la tecnica del FLASHBACK.
In alcuni momenti il personaggio sente il desiderio di allontanarsi da queste situazioni e il momento di riscatto è dato dall’altra donna, Maria, della quale si innamora.
L’esteta non si oppone alla democrazia e alla borghesia, ma si chiude in un atteggiamento di disprezzo.
La crisi si nota nel rapporto con le donne: Elena è la donna fatale, Maria invece è una donna pura, l’occasione del riscatto. Sperelli si immagina di sostituire la vecchia amante con un’altra donna. Questo conduce Andrea al tradimento finale quando confonde le due donne.
Andrea rimane solo e abbandonato: è un perdente. Il personaggio è un alter ego del poeta, infatti egli aveva una relazione con Beatrice Leone e quindi trasferisce la propria personalità nel personaggio.
Il personaggio è un nobile, è unico nel suo genere. E’ antidemocratico: si definisce rappresentante di una razza intellettuale e superiore.
La sua formazione intellettuale è diversa da quella delle parsone comuni e in questo traspare il rimpianto da parte di D’Annunzio che avrebbe voluto avere la stessa esperienza.
L’arte e la vita diventano un tutt’uno.
La morale diventa l’energia necessaria per dominare se stessi e la forza di distruggere un legame per intarprenderne un altro.
Il padre gli insegna che la parte estetica del vivere è primaria e che l’ideale estetico non deve avere vincoli di tipo morale.
Il motto del padre è “avere non essere posseduti”, ma Andrea si lascerà dominare dalle passioni.
Non c’è spazio per i sentimenti e il rimpianto.
Si sottolinea quindi nel romanzo la personalità fragile del personaggio che diventerà poi il soggetto preferito dei narratori novecenteschi: l’inetto.
Andrea ha un atteggiamento bugiardo nei confronti di sé e questo lo porterà alla disfatta.
L’autoinganno verrà ripreso anche da Pirandello.
Segue poi la descrizione della Roma amata da Sperelli: non la Roma dei Cesari, ma quella delle ville e delle fontane.
POEMA PARADISIACO
Composto nel 1893 in tre sezioni, manifesta la stanchezza dei sensi da parte del poeta
Consolazioni
Questa lirica celebra un momento in cui il poeta ritorna agli affetti materni e sente un desiderio di purificazione e di ritornare all’affetto familiare.
Tutto questo assume però un senso di falsità e di esteriorità.
D’Annunzio è attratto da tutto ciò che è esteriore. Questo si manifesta anche nel suo approccio alla religione: non c’è profondità di sentimento o volontà di bontà, ma solo atti estetici.
LAUDI
Il progetto delle laudi era di sette libri che avessero il nome delle Pleiadi, ma solo tre libri sono stati completati: Maya, Electra e Alcyone.
Alcyone è stato completato tra il 1899 e il 1903 e è composto da cinque sezioni. Questo libro è un momento di meditazione dopo due opere che si ispirano al superuomo. Il poeta è attratto dal paesaggio delicato dell’estate. Ogni sezione è dedicata ad un aspetto dell’estate e separate dalle altre con un DITIRAMBO, un componimento che in Grecia aveva come soggetto Dioniso.
Si apre con testo intitolato LA TREGUA che raccorda il libro con i primi due che trattavano l’impegno eroico del superuomo, mentre in Alcyone c’è un abbandono nella natura e nel mito.
Nella lirica TERRA VALE viene rivalutato il mito di Glauco che diventa Dio marino, il poeta diventa quasi divinità.
Nella poesia IL FANCIULLO c’è una celebrazione della poetica che è metamorfosi tra natura e uomo. Le persone diventano creature verdi come nella PIOGGIA NEL PINETO. La metamorfosi non è realizzabile per tutti, ma solo per le creature elette come il poeta e il fanciullo.
Il PANISMO è la metamorfosi completa.
La prima parte considera il periodo di Giugno e l’ambientazione è la zona di Fiesole e Firenze. Hanno forma di Laude (componimento sviluppato nel Medio Evo) e riprende la visione francescana della natura usando stilemi e modi del sentire francescano in un contesto per niente religioso.
La seconda sezione rievoca l’inizio di Luglio, l’inizio dell’estate e sono una ventina di testi ambientati in Versilia e celebrano il rapporto panico con la natura.
Per esempio nella lirica VERSILIA la ninfa diventa albero.
La terza fase è quella di luglio, dell’estate piana e si celebra il potere panico del superuomo.
La quarta sezione rappresenta la fine di agosto con i primi presagi autunnali. Sono presenti il senso di morte, abbandono, disfacimento, tristezza, malinconia, inquietudine…
Il quarto ditirambo tratta della caduta di Icaro.
La quinta sezione è quella di Settembre e inizia con la lirica TRISTEZZA che recita l’impossibilità di resuscitare il mito del mondo moderno.
Al termine il libro si chiude con il COMMIATO dove è presente un saluto e una dedica a Pascoli, perché anche questo poeta manifesta un forte amore per la natura e viene visto come continuazione di Virgilio.
La sera fiesolana
Scritto nel giugno del 1899. Presente in un Taccuino di appunti aveva annotato un pellegrinaggio con Eleonora Duse del 1897 ad Assisi.
L’ambientazione ricorda lo stile dei preraffaelliti, una corrente pittorica che si sviluppa in Inghilterra con Rossetti che inaugura una pittura che riprende i tratti del primitivismo letterario e religioso. Si parla di estetismo con caratteri di misticismo.
Nella lirica sono presenti tre modi di vedere la sera.
Nella prima edizione ogni strofa era introdotta da un titolo esplicativo: “La nascita della luna”, “La pioggia di giugno”, “Le colline”.
Non viene descritto il paesaggio ma si esprime lo stato d’animo attraverso sensazioni musicali.
La ricerca musicale evoca sensazioni e colori con valore sinestetico.
La presenza dell’uomo è ridotta al minimo, ma tutto è inserito nella situazione naturale.
E’ presente la lezione carducciana del colore che si richiama alla corrente pittorica dei Macchiaioli.
Meriggio
Fa parte della seconda sezione scritta forse nel 1902.
Il poeta è solo nella natura, non c’è nessuna donna.
Nelle prime due strofe il poeta descrive il paesaggio marino alla foce dell’Arno, mentre nelle ultime due il poeta smarrisce la propria identità umana e si divinizza. Si trasforma in momento, cioè in meriggio e si perde nella natura diventando creatura divina.
L’onda pag. 200
Stabat nuda Aestas
Questa poesia rientra nella terza sezione e la sua datazione è ignota.
Il titolo è preso da un passo di Ovidio del secondo libro delle Metamorfosi.
L’estate è qui personificata in un’immagine di donna dai capelli fulvi; il poeta la riconosce, la insegue, la chiama e lei gli appare nella sua nudità.
E’ possibile vedere un’affinità tra questa poesia e un poemetto di Rimbaud e una poesia di Pascoli scritta tra il 1872 e il 1880 “Patutit dea”.
Il poeta acquista maggiore capacità nel sentire le cose impercettibili per l’uomo come il rumore della resina o la presenza di un serpente intuita dall’odore acre. Il poeta si pone quindi come superiore agli altri uomini riprendendo l’idea del superuomo.
La sabbia del tempo
Il gesto ozioso del poeta di far passare la sabbia nel palmo della mano gli ricorda la brevità del giono e la fuggevolezza del tempo.
Questa poesia è inserita nell’ultima sezione e quindi celebra la fase finale dell’estate dove è presente l’idea di disfacimento, di impossibilità di far rivivere i miti passati.
D’Annunzio utilizza la tecnica del passaggio analogico che verrà sfruttata anche dai poeti moderni successivi; in questo caso la sabbia della clessidra diventa la sabbia del tempo.
Il poeta ha la capacità di intuire e di sentire nel cuore e ilo cuore diventa lo strumento di misura dal passare del tempo che genera inquietudine.
Anche le ombre si fanno più lunghe e sono come gli aghi delle meridiane.
Nella balletta
La balletta è la fanghiglia e il termine usato è di derivanza dantesca.
Questa lirica ambientata alla fine di agosto fa presumere già il procedere dell’autunno, stagione della malinconia.
La poesia è ambientata nella palude, in un’atmosfera di decadimento e di morte.
Il componimento è un madrigale e è caratterizzato dalla presenza di versi franti.
GIOVANNI PASCOLI
Pascoli è contemporaneo di D’Annunzio ma le loro vite sono completamente diverse. D’Annunzio era al centro delle cronache mondane e della vita culturale, un poeta che ha bisogno del consenso e tenta con vari stili di accontentare il pubblico. La sua vita è divisa tra donne fatali, impegno politico e civile. E’ amante del lusso e dell’esteriorità.
Pascoli nasce nel 1855 e muore nel 1912. Trascorre la sua vita rinchiuso nel suo nido familiare inteso come unione dei componenti della famiglia originaria e non di una famiglia creata con il matrimonio.
Per questo motivo Pascoli si presta ad una lettura psicoanalitica.
La sua vita è segnata da avvenimenti luttuosi. Nel 1867 muore il padre, ucciso da sconosciuti per un motivo ignoto, e da questo episodio prendono il via altre morti che si susseguono, quella della madre e di alcuni fratelli.
L’animo di Pascoli è solcato da questi avvenimenti e deve anche smettere gli studi iniziati presso i padri scolopi. Infatti si laurea in letteratura greca piuttosto tardi, a 27 anni.
Il suo stato d’animo dopo la morte del padre lo porta a pensare che esista un’ingiustizia insanabile.
Dal punto di vista politico si avvicina al socialismo di Andrea Costa e si mette contro il ministro della pubblica istruzione perdendo anche la borsa di studio oltre ad essere incarcerato per tre mesi.
La sua adesione al socialismo così come quella al cattolicesimo evangelico hanno carattere velleitario, cioè non arriva ad una soluzione e non hanno aspetto positivo.
Quando si laurea discute una tesi su un poeta greco, Alceo, concentrandosi sugli elementi di metrica. Inizia la sua carriera di insegnante nei licei come Carducci. Quando comincia a insegnare si stabilisce a Castelvecchio con le due sorelle Ida e Maria. La casa fu acquistata da Pascoli dopo aver venduto i le tredici medaglie d’oro vinte al Premio di poesia latina a Amsterdam.
Il legame con Ida si spezza quando questa decide di sposarsi. Le nozze sono viste dai fratelli come un tradimento al loro morboso legame.
Il poeta rifiuta l’amore e l’eros, perché crede che l’unico amore sia quello fraterno, legato al passato. In questo senso rimane bambino.
L’amore verso una donna lo attrae e nello stesso tempo lo respinge. Nel GELSOMINO NOTTURNO, poesia scritta per le nozze di un amico, si sente escluso dall’esperienza dei due sposi.
L’esperienza erotica lo attrae, ma lo respinge contemporaneamente.
La chiusura sentimentale lo porta a chiudersi nel nido familiare. Sono molto frequenti quindi simboli che indicano la chiusura come il nido e la siepe. La siepe a differenza di quella leopardiana è un elemento rassicurante che separa il poeta dal mondo.
Il poeta viene poi chiamato a ricoprire la cattedra di letteratura italiana a Bologna, scoperta dopo la morte di Carducci. Pascoli rimane lusingato, ma ha timore del contatto con altri.
Rifiuta la storia e la scienza, perché è convinto che la scienza abbia fallito e sia portatrice di male.
Decade tutto ciò che il positivismo aveva esaltato. Questo si ritroverà anche il Svevo e Pirandello.
Pascoli si rinchiude nel mondo naturale contro quello della storia. Non partecipa alla vita politica e quando loi fa ha una visione distorta della storia e ella politica, come quando abbraccia l’imperialismo perché lo vede come espansione del nido familiare.
Pascoli è un innovatore per quanto riguarda il linguaggio, la metrica e la sua interpretazione del simbolismo.
Pascoli è poco legato al positivismo, ma da questo prende la precisione nella terminologia.
Utilizza il correlativo oggettivo, cioè un procedimento per cui un oggetto diventa un simbolo. Viene usato anche da Montale e da Eliot.
Per esempio il nido è simbolo della casa, della famiglia e indica protezione e chiusura.
Pascoli di fronte al male dell’Universo rimane attonito, impaurito e non ha il titanismo leopardiano. Il mondo è visto come un atomo opaco del male.
Pascoli cerca di non vedere ciò che gli sta intorno ed è ossessionato dai morti.
Nella poesia di apertura della raccolta Myricae, IL GIORNO DEI MORTI, rivede i morti del cimitero, stretti fra loro per farsi coraggio. Il ricorda provoca felicità perché rievoca il nido integro.
Alcune figure come i fiori assumono un significato diverso rispetto alla letteratura precedente. Per esempio in Ariosto i fiori indicano la verginità e sono legati all’eros, mentre Pascoli li intende come ornamento delle tombe, oppure come simbolo di morte (Digitale purpurea).
Il poeta ha paura della storia, di relazionarsi con gli altri e questo lo induce ad attaccarsi al nido familiare e ai morti che ritornano continuamente quasi chiamassero il poeta.
Il poeta si lega continuamente a ciò che gli dà sicurezza.
Il pensiero dei morti rievoca l’antica felicità: il poeta cerca di ristabilire un nido che però è incompleto.
Nella poesia IL GIORNO DEI MORTI l’immaginare è paragonato al vedere. Il poeta rivede la famiglia che piange e che sta insieme anche dopo la morte.
Margherita è la sorella maggiore morta pochi mesi prima della madre; attraverso le sue parole il poeta rivede la sua azione materna nei confronti degli altri fratelli.
Vengono ripetute immagini che si riferiscono alla morte, come il dormire con le braccia al petto.
La poesia è in terzine e rievoca spesso forme e terminologie dantesche. Per esempio l’espressione “vergine sorella” è ripresa dal discorso di Piccarda Donati nel Paradiso e anche “soave e piana” rievoca la figura di Beatrice.
Si ricorda poi la morte del padre avvenuta tragicamente senza motivo apparente e senza sapere il nome degli omicidi. Il poeta immagina le parole del padre e i suoi pensieri nel momento del trapasso.
Spesso si rivolge alla divinità o utilizza simboli cristiani, ma la sua adesione alla religione non fu mai profonda, ma assunse sempre caratteri laici.
Il termine illacrimata è ripreso dalla terminologia foscoliana e il continuo utilizzo della parola VEDERE dà la sensazione di una visione della situazione da parte del poeta.
L’attività del Pascoli non fu rivolta solo alla poesia, ma anche alla critica, soprattutto a quella dantesca.
Dà la stessa importanza alle sue attività principali cioè la letteratura italiana, la letteratura latina e la critica letteraria.
Oltre alle raccolte di poesie Pascoli compone Odi e Inni che sono difficili dal punto di vista linguistico.
La raccolta MYRICAE fu pubblicata nel 1891, ma ha avuto un iter compositivo complesso.
Il titolo deriva dall’inizio della quarta egloga virgiliana “PAULA MAIORA CANTAMUS….”
Le tamerici sono arbusti di poca importanza.
I canti di Myricae sono dedicati al padre, mentre i Canti di Castelvecchio alla madre.
E’ presente il legame del poeta con la natura, presente anche nei Primi poemetti.
I canti di Myricae sono bozzetti descrittivi scritti con una tecnica novecentesca sinestetica.
Sotto gli elementi della natura vengono inseriti sentimenti o situazioni. Per esempio l’aratro diventa simbolo dell’abbandono e della solitudine.
E’ presente quindi la poetica degli oggetti che da un lato assume un carattere di precisione per quel che riguarda il lavoro e le piante, e dall’altra gli stessi oggetti assumono un significato simbolico.
Novembre
Novembre è il mese dei morti e il mese in cui la natura perde la sua bellezza.
Ma l’aria è limpida e il sole è chiaro e quindi si ha l’illusione che sia ancora primavera. La realtà è ben diversa: le foglie cadono, il silenzio fa pensare all’estate fredda dei morti.
L’aggettivo gemmea è coniato dal sostantivo gemma ed è una sinestesia.
Il prunalbo è il biancospino, ma qui viene identificato con precisione.
C’è una contrapposizione tra la primavera apparente dell’estate di S. Martino e l’autunno che è reale.
E’ quindi un contrasto tra la vita e la morte. La prima strofa riporta elementi positivi ma la congiunzione avversativa MA propone una revisione.
Il cielo è vuoto perché manca il canto degli uccelli e l’immagine del sottosuolo riporta ancora l’idea insistente dei morti. Altre illusioni simboliche alla morte sono il silenzio e l’ipallage del cadere fragile delle foglie.
Le foglie danno poi il senso della caducità della vita.
Queste liriche sono quadretti impressionistici cioè il poeta attraverso immagini di colore trae le sue impressioni. E’ una tecnica che prevede l’uso della sinestesia.
Pascoli utilizza però anche un linguaggio estremamente preciso e dà una valorizzazione simbolica del paesaggio di carattere esistenziale.
Pascoli ha però anche una sensibilità espressionista, cioè usa aggettivi e connotazioni violenti con caratteri incisivi e grotteschi.
Il lampo
Lo scenario è inquietante e tragico, con una violenza espressionista.
C’è un riferimento particolare al momento della morte del padre. Pascoli cerca di rappresentare ciò che il padre può aver visto nell’ultimo istante di vita.
Questo si sa grazie ad una passo di prosa dove Pascoli rievoca la morte del padre.
Il simbolo più inquietante è quello dell’occhio che rimane aperto nel momento della morte e esterrefatto perché il padre non si aspetta la fucilata.
Lo stesso si troverà nella lirica X AGOSTO dove il padre rimane con gli occhi sbarrati additando al cielo lontano le bambole.
Lavandare
Questa poesia si trova nella sezione Ultima passeggiata. Il poeta si immagina di passare in autunno in un campo arato da poco dove si trova un aratro dimenticato.
Lo stesso aratro si troverà nell’ultima strofa negli stornelli marchigiani cantati dalle lavandaie e diventa simbolo di abbandono e di solitudine.
L’uomo è minacciato continuamente, è abbandonato, la divinità è lontana e l’uomo spaurito si rinchiude nel suo nido.
L’atto di lavare è sottolineato dalla rima interna che ha valore onomatopeico.
Il verbo nevicare è usato transitivamente e indica le foglie che cadono come se fossero neve.
La solitudine e l’incomunicabilità si trovano anche nella narrativa e nel teatro contemporaneo: Pirandello, Svevo…
Arano
Questa lirica è stata composta nel 1885 e rappresenta una scena impressionista caratterizzata dal momento autunnale e dai suoi oggetti, dalla precisione con cui descrive gli oggetti di lavoro, così come fa per alberi, animali…
Il linguaggio di Pascoli è stato oggetto di studio per molti critici; si può parlare infatti di bilinguismo perché Pascoli conosce e utilizza il latino come se fosse la sua lingua madre.
Infatti Pascoli spesso fa annotazioni in latino oppure conia vocaboli latini per indicare elementi moderni, come la macchina da scrivere.
Lo stesso D’Annunzio viene influenzato dal linguaggio immediato e dall’atmosfera pascoliana, anche se la critica dannunziana si ferma solo alla trattazione della natura da parte di Pascoli senza accennare alla simbologia nascosta da questa apparente semplicità.
La poesia di Pascoli è dettata infatti dalla sua tormentata psicologia.
Pascoli è attento alle cose piccole della natura seguendo quella che è la poetica del fanciullino. Il poeta deve regredire all’infanzia, addirittura allo stato prenatale e deve focalizzare la propria attenzione su cose che colpiscono la sua sensibilità, vedendo le cose come se fosse un bambino.
Da una parte riprende la poetica degli oggetti che vengono visti e deformati dagli occhi del fanciullino.
Nella poesia in questione sembra che il poeta si metta dalla parte del passero.
Pascoli riproduce i rumori della natura con espressioni onomatopeiche che a volte sono esagerate, ma fanno parte del linguaggio preletterario o addirittura agrammaticale.
L’assiuolo
L’assiolo è un uccello notturno definito in modo popolare chiù.
La descrizione è quella di un paesaggio serale che attraverso le iterazioni del verso dell’uccello richiama lo stato d’animo di angoscia del poeta e forse richiama ancora la perdita del padre.
Lo stupore si esprime nella domanda del primo verso. Molta poesia a partire dai romantici è ambientata di notte .
Pascoli utilizza sensazioni visive e uditive come La luce perlacea che viene accennata anche da D’Annunzio.
L’impressionismo linguistico si esprime attraverso sinestesie come i “soffi di lampi” o il “nero di nubi” che ricavano la qualità dall’oggetto.
Il poeta non descrive una tragedia ma inserisce immagini che evocano sensazioni di dolore, angoscia e morte. E’ quindi una poesia evocativa.
Anche il verso degli uccelli si carica di significato simbolico soprattutto del mistero e dell’arcano.
Il mare è un’immagine consolatrice che ricorda l’infanzia e le cure materne.
L’espressione “eco di un grido” si riferisce forse al grido del padre al momento della morte. E’ un immagine chiaramente rivissuta dato che il poeta non era presente al momento della morte.
A questo punto il verso chiù diventa un singulto. Il chiù è simbolo di male e di morte.
Sistri ricorda il mito di Iside con la sua idea di morte e resurrezione.
Le Porte indicano la morte, perché sono chiuse e i morti non possono più tornare. In realtà nella vita di Pascoli i morti ritornano insistentemente.
Il poeta di fronte alla morte è scettico, perplesso…la vita gli fa paura e la morte gli provoca un sentimento di incertezza.
Il linguaggi di Pascoli è definito pargoleggiante; è ricco di onomatopee ed è un linguaggio fonosimbolico cioè un suono rimanda ad un oggetto che a sua volta è un simbolo.
Pascoli usa spesso anche lingue speciali o gerghi e crea nuovi linguaggi mischiando per esempio l’inglese con il toscano per meglio descrivere la lingua degli emigrati italiani in America.
Anche il latino è molto utilizzato, ma non come lingua morta; Pascoli la arricchisce di varianti linguistiche e la fa rivivere.
Anche i contenuti della poesia latina non sono quelli classici, ma solo gli stessi della poesia italiana.
X agosto
Questa poesia è stata composta nel 1896 e rievoca la morte del padre avvenuta il 10 agosto 1867.
Le stelle cadenti tipiche di questa notte diventano lacrime , come se il cielo piangesse sulla terra e il cosmo partecipasse al dolore dell’uomo.
Qui Pascoli affronta temi di carattere metafisico: il male e il dolore che è inflitto a persone innocenti come il padre e la rondine.
Di fronte al male che genera dolore anche il nido del poeta si disperde, infatti la morte del padre genera una serie di sciagure.
La lirica è simmetrica. C’è un’inversione nell’utilizzo della parola tetto e nido utilizzate la prima per la rondine e la seconda per il padre.
La costruzione latineggiante ricorda in alcuni tratti il parlato.
Il nido è il rifugio del poeta, ha una forma protettiva ed è nascosto dagli altri.
Il verbo UCCISERO è lapidario evoca l’ingiustizia del fatto.
Ci sono immagini che evocano l’ambito cristiano (croce), Cristo crocefisso per l’ingiustizia dell’uomo.
C’è l’accostamento tra il verme e il cielo che è lontano; tra la terra e il cielo che sono elementi inconciliabili.
La terra nell’ultimo verso è descritta come l’atomo opaco del male, che è una presenza costante e rivela nel poeta un pessimismo simile a quello leopardiano.
L’occhio aperto ed esterrefatto è presente anche ne IL LAMPO.
La morte della rondine e dell’uomo si definiscono in un quadro cristiano: la rondine è come in croce e l’uomo dice Perdono.
Nei poemetti latini Pascoli riprende l’etica cristiana e la inserisce nella decadenza del mondo romano. In realtà le due religioni si sovrappongono e ne escono caratteri comuni ad entrambi.
Pascoli è attratto dal cristianesimo, ma dice che la morte del padre non è stato motivo di redenzione, infatti non parla di una vita dopo la morte.
L’adesione alla religione è quindi incompleta.
PRIMI POEMETTI
Sono liriche più lunghe, scritte in terzine, che seguono ancora la linea di Myricae, riprendendo il tema della campagna come rifugio. Cambia il linguaggio che diventa più difficile o più semplice a seconda del componimento. Si perde però il carattere frammentario tipico di Myricae.
Nei Poemetti esprime anche un’idea politica rivolta al socialismo inteso come ideale di vita proiettato verso l’uguaglianza e la giustizia.
L’attenzione di Pascoli è rivolta alla piccola proprietà depositaria dei valori tradizionali, semplicità e saggezza, da contrapporre alla realtà.
Viene chiamata Utopia regressiva questo consiglio di ritirarsi in campagna contro il male, protetto dalla siepe e dagli affetti familiari.
Digitale purpurea
In questa lirica riprende la simbologia floreale. La digitale è una fiore rosso violaceo con delle macchie che vengono interpretate da Pascoli come dita spruzzate di sangue.
Il fiore diventa simbolo di una sessualità ambigua, tormentata. Pascoli non ha voluto fare esperienze al di fuori della famiglia: il suo nido è quello di origine.
Si avvicina alla sfera sessuale come un bambino è contemporaneamente attratto e respinto.
Nel Pascoli il fiore o è fiore di morte, depositato sulle tombe o rimanda al sesso inteso però come morte, cioè come perdita di qualcosa tipica dell’infanzia.
Questa lirica si ispira a un episodio vissuto dalla sorella Maria nel convento insieme ad un’amica, quando avvicinandosi alla digitale una suora le rimprovera dicendo che il profumo del fiore è venefico.
Le due amiche Maria e Rachele (forse la sorella Ida) si incontrano dopo tanti anni e rievocano l’esperienza. Rachele confessa però a Maria di aver fatto quell’esperienza e l’altra rabbrividisce al racconto di Rachele.
Rachele dice di aver fatto un’esperienza dolce tanto che porta alla morte, perché ha perduto l’innocenza e l’amica ha un brivido perché questo racconto l’attrae.
Le due donne sono descritte in modo diverso Maria è esile e bionda, per cui pura, mentre l’altra è bruna e questo dà l’idea di un carattere sensuale.
Nella poesia decadente è molto forte questa differenza tra donna angelo e donna vampiro. L’attrazione per una donna affascinante si spiega con il fatto che questa porta in sé i germi della decadenza.
L’aspetto del candore e del bianco dei conventi è invece tipico della poesia crepuscolare, dove si crea l’immagine di una donna anti dannunziana inserita in un contesto piccolo borghese.
L’orto chiuso del convento dà l’idea di un luogo escluso dal mondo dove però è presente anche il male rappresentato dal fiore.
Nella seconda parte le amiche rivivono il passato e questo flashback è espresso dal verbo vedere.
Le parole innocenza e mistero sono in contrasto e sottolineano che nel convento c’è qualcosa di misterioso.
L’ospite caro può essere o un parente che visita le ragazze o Cristo ricevuto nella comunione.
Il bianco indica la purezza e la sanità delle ragazze ed è in contrasto con il colore del fiore.
Nella terza parte c’è la confessione di Rachele e Maria alla trasgressione reagisce con un brivido.
Tristo e pio fanno riferimento al V^ canto dell’Inferno.
Il fiore velenoso ha un fascino inebriante ed è un motivo tipico decadente.
La siepe
Questa lirica è un inno alla proprietà rurale. Anche la donna assume un carattere di proprietà.
La proprietà terriera è un allargamento del nido. Pascoli rinnega tutto ciò che lo circonda chiudendosi in un momento alternativo alla vita.
Verso la fine dell’800 la proprietà terriera subisce un arresto a favore del capitalismo di altro genere.
Pascoli vuole tornare a qualcosa che ormai non si può più recuperare.
Sia la siepe reale sia quella metaforica creano un sorta di eden all’interno che si contrappone al pericolo e alla morte.
La campagna acquista un carattere positivo e idillico.
Gli aggettivi utile e pia danno l’idea di sacro e inviolato.
L’anello è un cerchio, figura di perfezione e fedeltà.
C’è un linguaggio ambiguo: la piaga indica l’amore, qualcosa che produce dolore. L’amore è visto con carattere di violenza, di morte.
La terra è feconda e fedele come la donna.
La siepe dà sicurezza contro i ladri, ma dà anche ricovero ai nidi e nutre le api.
La siepe viene rinforzata al crescere della famiglia ed è generosa perché cede le bacche al passeggero che ha sete, ma preserva le piante all’interno.
Il cane ha funzione protettiva.
NUOVI POEMETTI
Chiù
Rievoca un momento doloroso: il matrimonio della sorella Ida nel 1895 che viene percepito come un tradimento dai due fratelli.
Le due sorelle nella lirica si chiamano Viola (Maria) e Rosa (Ida). Viola è turbata dall’avvenimento e immagina la prima notte di nozze.
L’eros è visto in modo doloroso e distruttivo.
Per Viola è morto qualcosa in lei e nella sorella, perde interessi perché la sorella l’ha lasciata sola.
Il cuore che batte diventa una presenza inquietante.
Nella seconda strofe si rievoca il matrimonio e la prima notte di nozze. Viola è in tensione perché crede che la sorella sia rimasta sola.
La perdita della verginità è vista come un piaga tenera perché avviene in un momento d’amore e mortale perché porta la perdita dell’innocenza.
Il poeta è estraneo all’esperienza, l’amore è visto come un momento di crisi e turbamento.
L’ultima notte passata in casa è particolare perché si svegliano tutti più tardi come per rifiuto alle nozze.
CANTI DI CASTELVECCHIO
Pubblicati nel 1903, dedicati alla madre. Vengono definite dal poeta come Myricae autunnali.
Nella prefazione il poeta invita alla natura come rifugio per il dolore; si riprende l’aspetto delle cose umili della natura.
Si focalizza l’attenzione sulle cose piccole che sfuggono all’occhio umano: si riprende la teoria del fanciullino che rimpicciolisce le cose grandi e ingrandisce le piccole.
Pascoli lavora a più opere contemporaneamente e si parla di rapsodismo, continua aggiungere opere alle varie raccolte.
L’elemento naturalistico si riempie di un contenuto famigliare evocando i lutti e i morti.
Viene meno il frammentarismo, le liriche sono più estese e questo è dato anche dal titolo che rievoca i canti leopardiani.
Il modello è il Poema paradisiaco di D’Annunzio e i simbolisti francesi, che si avvicinano ai crepuscolari.
Il gelsomino notturno
Lirica scritta per le nozze di un amico, evoca la prima notte di nozze accennando a due vicende: il ciclo naturale della fecondazione dei fiori e la vicenda che avviene in casa trattata in termini allusivi.
Ci sono numerose sinestesie che richiamano l’atto della fecondazione.
Nella prima redazione Pascoli è più esplicito nel comunicare la fecondazione dei fiori, qui è più allusivo.
La lirica si apre con una congiunzione come se continuasse un discorso.
C’è un invito esplicito all’amore legato alla morte e viene collocato di notte, tempo in cui si pensa ai propri lutti.
Il poeta focalizza l’attenzione su due particolari: il momento dell’apertura del fiore e l’apparizione delle farfalle notturne.
Il gelsomino ha un profumo che rievoca le fragole mature, rosse: il colore rievoca il sangue. C’è una sinestesia perché si accostano un colore e un profumo.
E’ interessante l’immagine della Chioccetta, che è il nome dialettale della costellazione delle Pleiadi. Il cielo diventa un’aia azzurra e le stelle pigolano. Questa è un’analogia, cioè la sovrapposizione dei sensi. L’insistenza del profumo rievoca allusivamente l’atto d’amore, così come i puntini di sospensione danno l’idea che il poeta assista dall’esterno.
La parola urna richiama le ceneri dei morti, ma anche l’ovario del fiore.
Questo è molle perché coperto di rugiada e segreto perché si trova in una posizione interna e protetta come il ventre femminile.
Nebbia
Il poeta in questa lirica esprime la paura per tutto quello lo circonda e trova la pace e la tranquillità nel suo piccolo nido.
Il problema è costituito dalle cose lontane ed è un problema irrisolto così come l’eros che ha un carattere conflittuale . Queste cose vanno rimosse.
La nebbia è un elemento che allontana, che rinchiude il nido.
Il discorso del nido famigliare si allarga al nido nazionale, l’Italia deve rimanere isolata e deve proteggere i suoi cittadini.
Usa il suono onomatopeico.
Pascoli usa un linguaggio che è allo steso modo determinato e indeterminato: infatti è tecnico e preciso in alcune cose (due peschi, due meli…) , mentre il resto è sfumato.
I lampi notturni e le aeree fiamme sono forse gli sgomenti notturni come quelli dei bambini che sono spaventati da presenze inquietanti.
I morti come fantasmi turbano i sonni dei vivi. (Il bacio del morto in Myricae).
Attrazione e repulsione nei confronti della morte: è chiara la richiesta alla nebbia di nascondere ciò che è morto.
Ciò che è sicuro è ciò che è concreto: mura.
La presenza della valeriana può alludere al bisogno di quiete e di oblio. Dormire significa non voler affrontare una situazione.
L’attrazione della morte è espressa dal bianco della strada che il poeta immagina di fare accompagnato dal suono delle campane. Il cipresso è l’albero che ricorda la morte.
Il fanciullino
Per Pascoli il fanciullino è presente potenzialmente in ogni uomo, è la parte poetica dell’uomo.
Solo il poeta, che è superiore agli altri, è capace di farlo rivivere perché sa scorgere il significato delle piccole cose.
Anche per Pascoli come per D’Annunzio il poeta è vate, profeta, veggente.
La centralità del poeta viene meno soprattutto dopo la I^ guerra mondiale, quando il poeta diventa colui che non sa e che si chiede che cosa sia la poesia.
Nel fanciullino si può parlare ancora di simbolismo pascoliano, che indica la via che viene dalla comprensione alogica della piccole cose.
Solo il poeta può vedere il significato nelle piccole cose ma non lo può comprendere. Non vede corrispondenze tra le cose ma vede significati profondi nel particolare. (positivismo).
La poesia ha ancora una funzione morale e sociale tipica del romanticismo.
La poesia ha ancora la capacità di sedare i contrasti sociali e ha il ruolo di consolatrice.
Nella prima parte il poeta è visto come un fanciullino che è capace di entrare in rapporto con il mistero che è nelle cose attraverso una capacità intuitiva arazionale.
Cebes è un personaggio del Fedone di Platone per il quale la mancanza di paura della morte è dovuta alla perdita del fanciullino.
Quando si è piccoli il fanciullino si nasconde dietro il bambino, mentre man mano si cresce il fanciullino rimane piccolo.
Il fanciullino rappresenta la capacità poetica di meravigliarsi di fronte a piccole cose.
Il nuovo desiderare si rifà alla sfera dell’eros.
Anche nella prosa utilizza suoni onomatopeici.
Pochi sono in grado di far emergere il fanciullino e di solito sono le persone mature e non i giovani.
Nella terza parte il poeta dà un aspetto politico alla poesia. L’esistenza del fanciullino è garanzia di fratellanza.
Gli uomini si sentono fratelli in virtù del fatto che fanno emergere il fanciullino: è chiaramente un’idea utopistica.
Il fanciullino vede nel buio o crede di vedere e qui si inserisce la poesia come ricordo, è come se il fanciullino rivivesse ciò che non ha mai visto.
Il fanciullino è capace di invenzione e fantasia e consiste nell’aspetto arazionale che è all’interno di tutti noi.
Anche l’amore è inteso come puro e infantile, in senso erotico invece è un misto di paura e attrazione.
La parola poetica ha valore di invenzione assoluta come Adamo che mette nome alle cose.
I concetti classici di proporzione e armonia vengono capovolti, il linguaggio crea una poesia anti classica.
Prende in considerazione i personaggi di diverse classi sociali: si parla di socialismo umanitario.
Nella quinta parte la sapienza del fanciullino è originaria, egli conosce le verità antiche e non gli importano quelle nuove.
E’ attratto dall’antico come il Leopardi (Zibaldone).
Questo atteggiamento dà ragione alla poesia latina. Esprime il passato, i dolori passati in quella lingua che si adatta alla situazione.
Nella XIV parte si parla della poetica degli oggetti e della necessità di dare nomi specifici alle cose.
Questi testi aiutano a ricostruire la poetica del Pascoli attraverso le dichiarazioni di intenti.
Il poeta ha la capacità di vedere e insieme di comunicare.
Il poeta come il fanciullino fa attenzione a quello che incontra.
Il poeta sceglie e inventa il nome delle cose cercando di essere preciso ma non scientifico, usando un linguaggio adatto all’occasione, anche un linguaggio popolare.
Il linguaggio pascoliano è quindi preciso e nello stesso tempo indeterminato.
La grande proletaria si è mossa
E’ un discorso scritto e pronunciato a Barga nel 1911 in occasione della guerra di Libia.
Il questo discorso Pascoli è favorevole all’impresa coloniale che per attuarsi necessità di violenza e di schiavizzare un popolo.
Questo appoggio si spiega come esaltazione della nazione all’interno della quale si devono concludere odi e conflitti.
Pascoli crede che la conquista di popoli una volta soggetti alla dominazione romana sia giusta, così come la dominazione di paesi ricchi su paesi poveri.
Tutto questo per ampliare il nido degli italiani, cioè per estendere il nido famigliare al nido nazionale.
Il linguaggio si avvicina all’oratoria dannunziana.
L’Italia è vista come povera e umile come il paese dei proletari, che diventa grande attraverso sacrifici.
La progressiva ascesa personale si attua attraverso la volontà ed è evidente nella lirica La piccozza.
Il questo discorso il socialismo utopico si coniuga con il nazionalismo tanto che la rinascita italiana è legata al risorgimento.
Parete della critica sottolinea l’appoggio di Pascoli alla piccola borghesia e l’esaltazione della piccola proprietà terriera.
LUIGI PIRANDELLO
Pirandello è l’autore italiano più conosciuto all’estero soprattutto per il metateatro che viene rappresentato sia a Roma che a Milano che a Londra e a New York.
Infatti l’autore si proietta verso tematiche che si avvicinano alla sensibilità di autori stranieri.
Pirandello nasce in Sicilia nel 1867 e muore nel 1936: è contemporaneo di D’Annunzio ma i due caratteri e le due formazioni sono profondamente diversi.
Fino al 1892 la formazione di Pirandello è influenzata da tre componenti:
La Sicilia rimane in alcune ambientazioni di romanzi e si sente l’influenza di Verga e De Roberto.
Il padre era garibaldino e dirigeva una miniera di zolfo. Non vede di buon occhio gli studi del figlio e Pirandello prova un senso di inettitudine nei confronti del padre. E’ un rapporto conflittuale, lui si sente inferiore al padre.
Tra il 1887 e il 1889 e dopo il 1891 vive a Roma, studia lettere e ha contatti con Capuana.
Per problemi con dei professori lascia Roma e si trasferisce a Bonn dove si laurea con un tesi intitolata “Suoni e sviluppo dei suoni del dialetto di Girgenti”.
Le sue prime opere sono poesie. Nel 1889 pubblica “Mal giocondo” e nel 1891 “La pasqua di Gea”.
Nel 1892 torna a Roma e vi rimane per 10 anni dedicandosi all’insegnamento e alla letteratura.
Nel 1894 si sposa con un matrimonio combinato. La moglie dopo il disastro famigliare provocato dall’allagamento di una solfatara, impazzisce e viene rinchiusa in manicomio.
La sua pazzia si manifesta attraverso una ingiustificata e potente gelosia.
Pirandello studia i sintomi della pazzia e della sanità fino a chiedersi chi sia veramente il pazzo.
Nel 1893 scrive il romanzo “Marta Ajala” pubblicato nel 1901 con il titolo “L’esclusa”.
Questo romanzo è ambientato in Sicilia, in ambiente piccolo borghese. La protagonista è un’insegnante accusata dal marito di tradimento. Viene allontanata dal paese e ha un rapporto con l’uomo con il quale viene accusata di adulterio proprio quando il marito si convince della sua innocenza.
Nel 1895 scrive “Il turno”, un romanzo breve, ambientato sempre in Sicilia.
Sciascia parla di sicilianità a proposito di Pirandello perché nei suoi romanzi c’è poco dinamismo e c’è fatalità…
Nel 1903 avviene il disastro finanziario e iniziano gli squilibri della moglie.
Nel 1904 viene pubblicato “Il fu Mattia Pascal” che apre la narrativa umoristica.
Nel 1908 Pirandello inserisce alcuni scritti in un saggio “Umorismo” e pubblica il romanzo “Il vecchio e il giovane” e le “novelle per un anno”.
Dal 1916 al 1925 Pirandello si dedica al teatro del grottesco. Le sue opere teatrali vengono raccolte nel libro “Maschere nude”.
Del 1921 è l’opera “Sei personaggi in cerca d’autore” e del 1922 “Enrico IV”.
Nel 1924 Pirandello si iscrive al partito fascista e fa parte del Manifesto dei letterati fascisti.
In realtà l’autore vede nel movimento una sorta di pensiero rivoluzionario che possa rompere gli schemi di una società borghese che egli sente con fastidio. Si sente imprigionato dagli schemi, dalle falsità, dai modi di fare stabiliti…
Forse nel fascismo trova uno spiraglio per rompere questi schemi.
In realtà Pirandello non segue il partito e nelle sue opere non ci sono interventi politici.
Quello che interessa Pirandello è la condizione esistenziale dell’uomo.
Tra il 1926 e il 1936 si ha la stagione del surrealismo con l’opera “I giganti della montagna” del 1930 e il romanzo “Uno, nessuno, centomila” del 1925.
Nell’ultima parte della sua vita Pirandello ha una fiducia mistica nella natura, si libera dagli schemi pere unirsi alla natura.
Privilegia il mondo dei miti contro la società.
Nel 1934 riceve il Premio Nobel per la letteratura e muore nel 1936 durante le prove di un suo dramma.
L’opera che apre al nuovo Pirandello è “Il fu Mattia Pascal” che subisce un’influenza importante dal Positivismo e dal verismo. La sua adesione al positivismo non è totale e ottimistica.
La scienza non è concepita ottimisticamente.
Verso gli inizi del secolo approda a un soggettivismo novecentesco: prima il soggetto conosceva la realtà ora è messo in rilievo che questa concezione non è possibile.
Pirandello è attratto dai fenomeni della psiche e dalla parapsicologia.
Gli studi psicologici sono influenzati da Binet con il suo libro “Le alterazioni della personalità” del 1892. Pirandello ritrova concretamente queste alterazioni nella moglie.
Il testo aveva come oggetto la comprensione dei livelli psichici di una persona.
Pirandello critica il simbolismo, l’estetismo e soprattutto D’Annunzio proiettandosi verso l’arte umoristica.
Nel 1893 pubblica un saggio “Arte e coscienza d’oggi” nel quale critica la crisi intellettuale e morale della sua epoca, della sua generazione incapace di individuare nuovi valori tanto da trovare la relatività in ogni cosa.
E’ esplicativo l’esempio della LANTERNINOSOFIA cioè la filosofia dei lanternini.
Un tempo esistevano grandi lanterne che rappresentavano i grandi valori, quando questi si spengono l’uomo è privo di luci e procede nel buio con la propria piccola luce. Vede quindi solo davanti a sé e non conosce né comunica con gli altri.
Si parla di relativismo gnoseologico, cioè ogni conoscenza è relativa, ognuno ha la propria verità.
La poetica dell’umorismo è presente nelle due premesse iniziali del romanzo “Il fu Mattia Pascal” e nel saggio “Umorismo”.
Pirandello oscilla tra una posizione ontologica dell’umorismo che potrebbe essere perenne o storico.
Esamina gli autori umoristici della letteratura come Chervantes e si accorge che l’umorismo può essere un elemento storico o perenne.
Pirandello vede il limite dell’uomo che vive in un Universo privo di senso e si dà un significato della vita attraverso autoinganni. L’umorismo serve proprio a svelare questa contraddizione esistente nell’uomo. Si sente una matrice leopardiana.
Pirandello individua nella caduta dell’antropocentrismo tolemaico la nascita del malessere che induce alla relatività del reale. Si sviluppa così una sorta di nichilismo accentuato dalla disgregazione dei valori ottocenteschi.
L’arte ha valore solo se è arte umoristica e mette in luce le contraddizioni.
Pirandello mette in crisi il positivismo e le ideologie romantiche, contesta nel positivismo il criterio di verità oggettiva, garantita dalla scienza.
Anche il romanticismo è lontano dall’idea di verità soggettiva.
Il soggetto che esprime il senso artistico cade e il soggetto non conosce la verità e all’interno del soggetto si animano conflitti e caos. Non esistono più certi valori e le forme di rappresentazione si discostano da quelle originali.
Un’altra caratteristica della filosofia pirandelliana p il contrasto forma – vita, personaggio – persona.
L’uomo per dare un senso alla propria vita, si organizza secondo le convenzioni e i riti per rafforzare l’illusione di un significato dell’esistenza.
L’uomo riveste forme a cui rimane legato come per esempio le convenzioni e gli usi….
Questi valori illusori sono autoinganni e costituiscono la forma che non è vita.
In alcuni esiste un vitalismo, la volontà di esprimere la propria vitalità. Il soggetto costretto a vivere nella forma sente il desiderio di vivere al di fuori di essa.
L’individuo diventa maschera o personaggio vivendo all’interno della forma.
Il personaggio recita all’interno della società una parte che o sceglie o gli viene imposta.
La società quindi non è formata da eroi o individui, ma da maschere e personaggi.
Il personaggio quindi ha due strade: o l’ipocrisia e l’incoscienza, cioè non si rende conto della sua situazione, oppure l’autoironismo che è una scissione tra forma e vita. L’individuo quindi può trovare uno spiraglio di vera vita. Con la riflessione l’individuo si rende conto della differenza tra quello che fa e quello che è.
Importante è la differenza tra comicità e umorismo: nella comicità non interviene la riflessione.
Il comico è l’avvertimento del contrario, mentre l’umorismo è il sentimento del contrario ed è la capacità, riflettendo, di trovare la contraddizione interna all’uomo.
L’arte umoristica tende alla contraddizione, alla disarmonia perché è espressione della disarmonia dell’universo.
Pirandello è consapevole del fatto che la vita “non conclude” cioè non ha senso, dal punto di vista formale predilige le strutture aperte.
Pirandello si allontana dal genere tradizionale, sceglie un linguaggio quotidiano per comunicare le storture di una esistenza senza senso.
Nei romanzi si trova la destituzione dell’io, l’individuo cessa di essere, il luogo dell’identità si caratterizza per spinte contrastanti.
La ragione non è un mezzo per spiegare la vita, ma l’irrazionalità del reale.
L’arte umoristica rifiuta la concezione classica, il romanticismo e il decadentismo.
IL FU MATTIA PASCAL
Il romanzo è stato scritto nel 1903-04 e pubblicato a puntate sulla rivista “Nuova Antologia” e nel 1910 pubblicato da Treves.
Il romanzo inizia con due premesse: una al romanzo e una filosofica.
Le vicende che portano il personaggio a considerarsi forma sono già avvenute. Il protagonista arriva alla consapevolezza di essere forma.
La struttura del romanzo è tradizionale. La prima parte si svolge a Miragno paese in Liguria dove vive Mattia Pascal. Il nome del protagonista ricorda il cognome del filosofo francese del ‘700 che mette in luce l’inadeguatezza della ragione che dà spazio al sentimento. Mattia invece ricorda matto.
La giovinezza di Mattia Pascal è tranquilla, il padre gli lascia un’eredità, ma la madre incapace di gestire il patrimonio lo mette nelle mani di un amministratore che se ne approfitta.
La spiegazione a certi comportamenti hanno origine famigliare. Anche nelle novelle Pirandello rappresenta protagonisti con vite famigliari e lavorative insopportabili.
Mattia conosce Romilda per conto di un amico troppo timido, ma si innamora della ragazza che aspetta un figlio da lui.
L’amministratore si offre di fare da padre al figlio di Romilda e Mattia fa la corte alla moglie dell’amministratore, Olivia.
Olivia rimane incinta e Malagna è contento perché voleva un erede. Intanto Mattia si sposa con Romilda che non lo ama più e si porta in casa la suocera (vedova Pescatore).
La sua vita famigliare è ricca di liti e insofferenze che portano Mattia a escogitare la fuga.
Mattia è impiegato in un biblioteca di scarso valore e quando il fratello gli invia dei soldi parte. La sua fuga si ferma a Montecarlo dove vince al casinò. Decide così di tornare a casa ma apprende di essere morto, cioè si ripesca dal fiume un suicida irriconoscibile e si pensa che sia lui.
Mattia Pascal si sente libero e assume un’altra forma, recita la parte di un altro personaggio Adriano Meis, ma non ha identità e non può possedere nulla.
Giunge a Roma, città importante per il decadentismo ma descritta qui come città grigia, fatta di uffici pubblici e di quotidianità.
Decide di andare a pensione in una casa modesta, di un certo Paleari, un vecchio esperto di spiritismo.
All’interno di questa casa sono presenti altri personaggi: Adriana, la figlia del vecchi Paleari, verso la quale Mattia nutre interesse; una maestra di pianoforte e Terenzio Papiano, un imbroglione, genero di Paleari.
Durante una seduta spiritica Mattia prova a dichiararsi ad Adriana ma Terenzio gli ruba tutti i soldi.
Inizia una situazione di crisi. Mattia non può sposare Adriana perché non ha un’identità e pensa di suicidarsi. Lo fa con la forma di Adriano Meis.
Ritorna così alla sua forma originaria e torna a Miragno; però apprende che la moglie si è sposata con un amico e che nessuno lo riconosce.
Va a vivere quindi nella sua casa famigliare e si impiega nella vecchia biblioteca affidando il suo caso alla scrittura.
Racconta la sua vita al capo della biblioteca e continua a visitare la tomba del “fu” Mattia Pascal.
Il romanzo si apre con due premesse. Nella prima Mattia preme sull’importanza di avere un’identità, mentre nella seconda si riprende il discorso della perdita dell’importanza dell’antropocentrismo.
L’ambientazione è una biblioteca disordinata e questa allude alla perdita dell’autocoscienza umana. Pirandello usa l’aspetto ironico per svelare la contraddizione del reale.
Viene messo in crisi anche il significato di arte. L’arte del ‘900 mette in luce la non utilità della poesia che serve solo a dare l’idea della disarmonia della realtà.
Dimostrando che l’uomo non è al centro dell’universo l’uomo ha un posto insignificante nel mondo.
Lo stesso concetto si ritrova in una delle Operette morali di Leopardi.
Quando l’uomo considerava che la terra fosse ferma aveva una forte autocoscienza e era pervaso di ottimismo. Aveva una vera e propria dignità; la letteratura poteva avere determinati caratteri e serviva anche per intrattenere.
Ora l’universo invece è privo di senso, così come nella Ginestra di Leopardi la terra è vista come un granello di sabbia. Inoltre si riprende l’immagine dell’eruzione vulcanica.
Così come l’universo anche la vita umana è priva di senso.
Il narratore avverte la crisi di coscienza.
In alcuni momenti l’uomo si distrae e crede ancora di essere al centro dell’universo, così si sente investito di importanza e se la prende anche per delle sciocchezze.
Nel libro Mattia Pascal scrive come arriva alla consapevolezza di non vivere.
Non è un romanzo di formazione ma si vuole comunicare l’esistenza di un problema.
Il romanzo è diverso da quello verista, non segue un percorso cronologico.
Capitolo 9 Menzogna e solitudine
Il capitolo si intitola “Un po’ di nebbia” ed è ambientato in un’atmosfera autunnale che sottolinea la malinconia del personaggio che inizialmente è esaltato per la inaspettata libertà e pi si rende conto che non avendo più identità non può instaurare rapporti sinceri.
Il personaggio di Tito Lenzi, che si vanta di essere un dongiovanni, viene visto con compassione da Mattia Pascal.
Questa filosofia prevede la perdita di ogni valore, c’è uno scarto tra essere e sembrare: ognuno può esser uno per sé, ma altro per gli altri. Questa è la spiegazione al relativismo.
Questa è la dissociazione cui l’uomo è vittima.
C’è una sproporzione tra forma del personaggio e le sue parole. Sembra sempre mentire.
Mattia Pascal prova invidia verso gli altri personaggi perché si rende conto dei limiti della sua libertà: gli altri possono scegliere se mentire o no mentre per lui la menzogna è necessaria.
Ognuno è condannato in quella forma imposta dagli altri che presuppone la creazione di un personaggio.
Il fatto di mentire fa cadere la possibilità di avere amici.
Il fatto di uscire dalla forma aveva dato euforia al personaggio che però ora va cadendo.
Le persone si vedono vivere e quando la coscienza interviene ci si conosce e questo significa morire.
La condizione di Mattia Pascal gli impedisce di avere valori sicuri.
Viene preso anche in considerazione l’aspetto negativo della città: il progresso porta caos e alienazione. Pirandello quindi critica il positivismo e il lavoro che spersonalizza.
C’è anche il momento di distrazione nel quale l’uomo si crede ancora al centro dell’universo.
In questo capitolo quindi si mettono in pratica i concetti della premessa filosofica.
Mattia sente la necessità di vivere, acquisire una forma e un’autenticità.
Capitolo 12 Lo strappo nel cielo di carta ( da L’occhio e Papiano)
Nel capitolo è presente una critica della consistenza dell’io e dell’oggettività della realtà. Ognuno ha la sua verità, per cui la Verità assoluta non esiste.
Viene proposta la tragedia di Oreste di Sofocle. Paleari mostra come questa tragedia sia inattuale perché in questa società non ci sono ideali come in quella antica.
Inoltre scompaiono le certezze presenti nel mondo antico. Oreste nella tragedia è sicuro del proprio atto, se fosse intervenuta una qualsiasi crisi, la sua volontà di vendicarsi non sarebbe più stata certa ma sarebbero sorti dei dubbi.
Il dubbio era l’elemento caratteristico della tragedia shakespeariana . Oraste è paragonato ad Amleto
Ora l’uomo dubita perché non è guidato da valori e non sa cosa fare. Le marionette vengono definite beate perché non hanno dubbi.
Da Copernico in poi l’uomo ha perso ogni certezza.
Papiano è un uomo senza scrupoli per cui non è sottoposto a lacerazione.
Adriano Meis ha la coda di paglia perché non può reagire e mostra il proprio stato di inferiorità.
Mattia Pascal è irritato dalla sua posizione, è una condizione di impotenza perché non può avere rapporti di amicizia o sentimentali.
NOVELLE PER UN ANNO
Questa è una raccolta in cui sono comprese anche novelle scritte in gioventù.
Il progetto vorrebbe una novella per ogni giorno dell’anno, in realtà esse vogliono mettere in luce la disarmonia dell’uomo e della vita.
Alcune sono ancora rusticane con un’ambientazione siciliana, altre sono ambientate in città, dove c’è alienazione e necessità di fuga da una situazione lavorativa o famigliare ossessionante.
Questa fuga avviene attraverso atti assurdi che esprimono il bisogno di vivere veramente.
Per esempio nella novella Tu ridi, l’uomo per sfuggire alla realtà nel sogno ride.
Le ultime novelle sono di carattere surrealista.
La carriola
Questa novella è stata scritta nel 1928. Si può dividere in tre sequenze: un prologo nel quale si accenna all’atto, il racconto della vicenda e la riflessione del personaggio.
L’atto a cui si allude verrà spiegato alla fine della novella, il suo scopo è quello di liberare il personaggio dalla forma.
Il protagonista non si riconosce più e si accorge di non vivere veramente. Si intravede uno spiraglio di vita ma poi si ritorna alla situazione precedente.
Il tema della pazzia è caro a Pirandello anche per la situazione della moglie.
La pazzia, l’atto gratuito, non è pazzia se si analizza la situazione del personaggio.
La prima sequenza quindi parla di quell’atto che se venisse scoperto lo rovinerebbe perché il personaggio ha una serie di incarichi ed è una persona di un certo tipo.
Ad un certo punto il protagonista incontra la vita e si accorge del suo essere forma, imposta dagli altri.
Il personaggio è assorbito nella sua professione e non può concedersi distrazioni.
In questo caso Pirandello descrive un personaggio di una classe alto borghese, invece predilige descrivere situazioni basso borghesi, come gli impiegati.
Nel momento del viaggio però riesce a distrarsi.
Il paesaggio dolce e rilassante gli apre una prospettiva di nuova vita.
Non si può liberare dalla forma ma deve trovare un modo per uscirne.
Dopo aver immaginato una nuova vita il ritornare alla vita solita gli provoca noia, alienazione, sdoppiamento dell’identità.
Egli vede sé stesso ma non si riconosce ( questo può condurre a pazzia).
Si sente quindi estraneo alla sua stessa vita.
La sua vita è una forma imposta da altri.
La coscienza che fa intuire la vita diversa non è da tutti. Non è la cultura a provocare questa coscienza ma le situazioni circostanti.
La convenzionalità e la falsità circondano anche la sfera degli affetti.
Il sonno è il rifugio psicologico contro ogni problema.
Il vedersi vivere è la discordanza tra la forma e la vita. Quando si vede la forma non si può più vivere d’accordo con lei, per cui conoscersi vuol dire morire.
Non c’è soluzione a questo dramma umano.
La libertà di vita si raggiunge allora con l’atto che potrebbe sembrare pazzia, è l’unico mezzo per sopportare la forma.
Questo atto consiste nel far fare la carriola al proprio cane, il quale rimane sbalordito perché proprio lui, uomo rigido e posato fa una cosa del genere che risulterebbe normale fatta da uno dei figli.
Il treno ha fischiato
Questa novella è precedente, è del 1914 e si trova nel quarto volume intitolato Uomo solo.
L’autore sembra essere un conoscente del protagonista per cui conosce i motivi dell’apparente follia.
Ancora prima di dare la spiegazione del fatto premette che questo farneticare è un’inevitabile conseguenza di una vita insopportabile.
Usa termini molto precisi inerenti alla vita d’ufficio.
L’impiegato preso di mira che cova al suo interno una insoddisfazione che deve sfogare è una condizione che si trova anche in Svevo e Kafka.
E’ presente la critica alla meccanicizzazione della società e il tema dell’uomo ridotto a essere una macchina e incapace di vivere.
L’autore non è sorpreso dalla pazzia del protagonista perché è a conoscenza della situazione.
Viste le premesse perciò la coda di mostro che rappresenta la pazzia è naturalissima.
La descrizione della vita famigliare è un tipico esempio di umorismo.
Il motivo del sonno presente anche in altre novelle è il rifugio dalla vita insopportabile.
Per l’autore è meglio la follia che la forma orribile e la vita squallida. Questo si ritrova anche nell’opera teatrale Enrico IV.
Il treno che fischia porta il protagonista lontano dalla sua vita impossibile.
Sei personaggi in cerca d’autore
Quest’opera teatrale viene rappresentata per la prima volta a Roma dove non riscuote molto successo, ma viene presto riconosciuta soprattutto all’estero.
Il teatro pirandelliano riassume le tematiche dei romanzi e delle novelle, ma in questo caso va oltre: il problema è quello di rappresentare il teatro.
Pirandello si chiede quale sia il senso della rappresentazione teatrale.
Si parla quindi di metateatro, cioè l’autore si interroga sulla capacità di fare teatro.
Uno dei temi forti in quest’opera è l’incomunicabilità che si traduce sulla scena con il caos.
Il dramma consiste in una scena in allestimento; una compagnia teatrale prova un dramma di Pirandello quando compaiono i sei personaggi, nati vivi dalla fantasia dell’autore, ma rifiutati dall’autore stesso.
Sono un padre, una madre, un figlio, una figliastra, un giovane e una bambina, che chiedono al capo comico di rappresentare il loro dramma. Il dramma consiste nella famiglia composta dalla madre, dal padre e dal figlio che si sfalda; la madre sposa un altro uomo dal quale ha altri tre figli. Quando quest’uomo muore la famiglia cade in una crisi economica e la figliastra è costretta a prostituirsi nel negozio di madama Pace. A questo punto arriva il padre al negozio e sta per avere un rapporto con la figliastra quando arriva la madre e blocca il possibile incesto.
Da questo punto in poi la figliastra vivrà con il senso di vendetta e il padre con il rimorso.
L’opera si conclude con il suicidio della bambina e del giovane.
Cade quindi il confine tra scena e spettatore che viene chiamato a riflettere. Pirandello si interroga sulla necessità del teatro.
Nella prefazione all’opera Pirandello stesso spiega che questi sei personaggi si sono presentati spontaneamente alla sua fantasia, sono nati vivi dalla sua fantasia.
Si distacca da un impianto naturalista che si limita alla registrazione oggettiva dei fatti.
Secondo l’autore questi personaggi devono avere un senso non solo all’interno della loro vicenda, ma un senso universale, per tutti. Devono rappresentare una situazione umana. Pirandello quindi si identifica tra gli scrittori di natura filosofica.
Non trova però un senso in questi sei personaggi per cui non li mette in scena.
Per questo i sei personaggi si sentono rifiutati, perciò ricercano all’esterno una loro rappresentazione, proprio in un teatro.
Gli attori sono però incapaci di rappresentare il loro dramma .
E’ presente il contrasto tra la vita e la forma che è cristallizzata.
I personaggi si ripropongono continuamente alla fantasia dell’artista.
La rappresentazione è un misto tra tragico, per via della vicenda, e comico.
I personaggi litigano tra di loro, impongono la loro posizione e vivono il loro dramma.
Vengono descritti vari conflitti: quello tra vita e forma, che nella rappresentazione è fissa.
La figliastra e il padre vivono la lacerazione del fatto di essere forma.
La madre invece è un personaggio naturale, che vive il suo dramma senza la ragion d’essere e la coscienza di essere forma.
E’ priva di spirito, però ha il compito di rivelare il valore della forma artistica.
Il giovane e la bambina sono solo presenze.
La rappresentazione quindi consiste nel vano tentativo di cercare un autore.
Pirandello accoglie i personaggi, ma rifiuta il loro dramma.
Gli attori provano a recitare il dramma ma non riescono, perché non corrisponde alla verità della vicenda che i sei personaggi continuano a vivere.
ITALO SVEVO
Svevo nasce a Trieste nel 1861 da una famiglia di genitori ebrei, commercianti.
Viene avviato a una carriera lontana dalla letteratura della quale si interessa e coltiva ambizioni.
Conosce la lingua tedesca, studia in Baviera e poi conclude gli studi commerciali a Trieste.
Si appassiona alla musica e suona il violino.
Ha delle esperienze come impiegato che saranno importanti per i suoi romanzi.
L’élite israeliana a Trieste viene presto a conoscenza di nuove teorie come l’opera di Freud.
Legge però anche romanzi francesi e i classici italiani. Inoltre scrive alcune commedie.
Per quanto riguarda la filosofia legge Schopenauer, Darwin e aderisce in parte al socialismo.
Si possono dividere tre fasi letterarie:
I suoi tre romanzi sono :
Una vita e Senilità che si ricollegano ancora al positivismo e La coscienza di Zeno che si riallaccia invece alle nuove teorie della Psicoanalisi.
Con Svevo abbiamo la nascita del romanzo di avanguardia, che mette in scena inetti, perdenti e si propone di raccontare una storia interiore. Ha carattere terapeutico.
Dopo il matrimonio Svevo decide di non scrivere più, ma coltiva in segreto la sua passione per la letteratura e elabora mentalmente il suo romanzo.
Nella sua cultura letteraria confluiscono autori posivisti, il marxismo e il pensiero negativo di Schopenauer e Nietzsche. Inoltre studia il pensiero di Darwin e di Freud così da usare mezzi scientifici per la conoscenza di sé e dell’umanità.
Respinge però l’ottimismo e rifiuta la presunzione di poter spiegare tutto.
Nel 1887 pubblica sulla critica sociale il saggio La tribù nel quale riflette il suo marxismo.
La Coscienza di Zeno si apre con il rifiuto da parte del protagonista della cura psicoanalitica. La sanità consiste nella normalità che a un certo punto diventa omologazione.
Il medico pubblica le confessioni di Zeno.
Tutti i romanzi di Svevo contengono personaggi inetti, fallimentari. Se Zeno si curasse potrebbe diventare normale anche se perderebbe alcuni dei suoi impulsi.
Si rende conto di essere inetto e ironicamente preferisce l’inettitudine alla sanità.
Anche il momento della morte del padre mette a confronto la sua inettitudine con la sanità paterna.
I tre romanzi sono pubblicati nel 1892 Una vita, nel 1898 Senilità e nel 1923 la Coscienza di Zeno.
L’uomo si crea autoinganni, svela gli alibi morali che nascondono pulsioni inconsce.
I romanzi sono svolti con una focalizzazione interna, cioè l’autore e il narratore coincidono e commentano la situazione non dall’esterno.
I primi due romanzi sono influenzati dal verismo e dal naturalismo nella descrizione degli ambienti e dei personaggi.
Nella Coscienza di Zeno invece la struttura narrativa viene demolita. Il narratore è in prima persona e la tecnica del flusso di coscienza porta sfasamenti temporali.
Il romanzo Una vita, il cui titolo originale era Un inetto, racconta di Alfonso Nitti, un copista che ha una predisposizione letteraria. Il protagonista tenta il riscatto corteggiando la figlia del proprietario della banca.
La ragazza vuole scrivere un romano con lui, ma Nitti se ne va. Quando torna la ragazza è fidanzata con il suo rivale, lui non sa approfittare delle situazioni. Si sente fallito e si suicida, conclude in modo tradizionale la sua vita.
Senilità che aveva titolo originale Il carnevale di Emilio è un romanzo equilibrato. Ci sono infatti due personaggi inetti Emilio e la sorella Amelia che vivono un’esistenza grigia , una vecchiaia interiore.
Gli altri due sono invece personaggi solari, capaci di vivere: Angiolina dalla quale Emilio si innamora e Stefano Balli del quale si innamora invece Amalia.
La stia è quella di Emilio impiegato di 35 anni che vive con la sorella scialba, zitella, dall’apparenza senile. Sogna un’avventura facile e breve quando incontra Angiolina della quale pensa di approfittare ponendo delle premesse.
Di fatto la sua inettitudine lo porta a un atteggiamento duplice.
Amelia si innamora segretamente del Balli.
La vicenda di Emilio è un sogno ad occhi aperti a livello del subconscio, è una vicenda fallimentare.
L’elemento freudiano è il principio del piacere e della realtà. Ognuno è portato al piacere come i bambini che poi vengono educati. Il principio di realtà pone dei vincoli come la morale.
In Emilio il principio di realtà soffoca quello di piacere, vorrebbe vivere, avere un’avventura ma il principio di realtà , la famiglia la carriera glielo impediscono.
Emilio è desideroso di vivere ma reagisce nel sogno. Quando incontra Angiolina vive in una situazione che non è reale.
Un amore prudente
Il romanzo si apre quando Emilio e la ragazza si conoscono, si incontrano e passeggiano. Il perbenismo e l’incapacità di vivere portano Emilio a crearsi degli autoinganni che lo fanno vivere nel sogno.
Decide di iniziare una relazione impostata sulla prudenza, nascondendosi dietro la famiglia, la carriere che sono menzogne per non coinvolgersi troppo.
Da una parte c’è brama di piacere, dall’altra la debolezza del suo carattere.
Si culla nella sua vita monotona, rendendosi conto di non vivere e di non essere in grado di vivere.
Si crea delle maschere: non è se stesso e non è in grado di valutare intorno a lui.
Si ritiene una macchina ancora in costruzione e non ancora attiva. Ha bisogno di ancorarsi ai valori borghesi.
Angiolina è descritta come una ragazza bella ma ignorante. E’ semplice ma piena di salute interiore.
Emilio vorrebbe fare il dongiovanni ma non è capace perché si innamora della ragazza.
Secondo la teoria di Schopenauer l’uomo ha la volontà di smontare i propri autoinganni.
E’ una specie di monologo interiore di Emilio.
Angiolina non si crea problemi e per questo è ritenuta sana, ma questo tipo di sanità viene rivista da Svevo perché la salute è normalità e omologazione con gli altri, uno stato di non problematicità.
Per distruggere la malattia è necessario distruggere l’Universo Intero.
I romanzi sono ambientati a Trieste descritta come una città grigia.
La donna e il romanzo
Emilio rompe con Angiolina e torna alla sua vita di inetto, ricominciando a scrivere ma senza risultati. Così preso dalla sua storia non si accorge che la sorella sta vivendo un dramma per l’amore non corrisposto di Stefano Balla Si accorge quando non c’è più niente da fare.
Emilio incontra Angiolina l’ultima volta e intanto la sorella si suicida.
Si sovrappone l’esigenza di tornare alla normalità, Emilio è convinto di essersi liberato e invece associa continuamente la ragazza alla vita.
Emilio mente e per questo lascia anche la scrittura. Non è in grado di riproporre dal punto di vista letterario la sua vicenda con Angiolina.
Si riconosce la stessa esperienza dell’autore.
LA COSCIENZA DI ZENO
Dopo il silenzio letterario Svevo scrive questo romanzo che viene immediatamente apprezzato da Joyce e Montale, il quale fa un commento e un sunto dell’opera nel 1976.
La trama è la storia rivissuta di Zeno che entra in analisi e poi la rifiuta. Il medico per vendetta pubblica i suoi appunti.
Il romanzo si apre con una prefazione e un preambolo che sono seguiti da varie sezioni.
Nella prefazione la voce narrante è quella del dottore. Si individuano i tre temi fondamentali dell’opera: il primo è quello della malattia, il secondo è quello della scrittura come cura e il terzo è quello della resistenza alla cura.
Zeno è consapevole che salute e malattia non esistono, ma esiste solo una malattia cosmica debellabile con la distruzione dell’universo.
Le parole del medico ci portano a un rancore verso di lui in quanto pubblica gli appunti per vendetta.
Ci porta a un giudizio negativo verso il medico e verso la psicoanalisi.
Le parole del dottore non godono di credibilità.
Il preambolo è costituito da una risposta alla prefazione.
La presbiopia citata da Zeno è un difetto ottico degli anziani, chi è vecchio quindi dovrebbe saper vedere bene da lontano e quindi essere in grado di ripercorrere la propria vita.
Ma a ostacolare la vista ci sono alte montagna, che sono gli anni.
Svevo nella narrazione utilizza molti germanismi che in varie edizioni vengono tolti per questione di stile.
Zeno fa un’operazione di auto ipnosi che finisce nel sonno, durante il quale crede di aver visto qualcosa che non ricorda.
Secondo Freud tutte le perversioni hanno origine nell’infanzia, così cade l’idea che l’infanzia sia un periodo di sanità.
Il proposito di ricordare la propria infanzia è uno dei tanti propositi che Zeno fa ma non rispetta.
Ci sono due opposizioni: quella tra vecchio e infanzia che si collega a quella tra malattia e salute.
Vedere l’infanzia significa recuperare la salute, ma Zeno scopre che l’infanzia è malata essa stessa e così arriva alla conclusione che la psicoanalisi è inutile.
Il fumo.
Per Zeno il fumo è un vizio come l’incapacità di amare una donna sola o fare un’attività seria.
È considerato un alibi che gli serve per giustificare una mancata attività. Fa quindi una serie di propositi legati all’ultima sigaretta che poi non mantiene.
La malattia di Zeno è frutto di un attaccamento morboso alla madre e del fallimento della figura paterna che avrebbe dovuto essere il mediatore tra le due figure.
Il padre è visto come un antagonista, colui che bisogna imbrogliare. Solo al momento della sua morte Zeno mostra il suo affetto, anche se il padre sul letto di morte sentendosi soffocare e credendo che la causa fosse il figlio, gli dà una sberla.
L’inizio del racconto è quindi legato al fumo.
Il fumo giustifica il furto. Quello del fumo sembra quasi un rito, qualcosa di dovuto, una necessità.
È presente anche nell’infanzia l’elemento della menzogna e la capacità di simulare. La colpa della mancata innocenza nell’infanzia di Zeno viene attribuita al padre.
Zeno da anziano commenta la sua gioventù.
Zeno è come Emilio in Senilità quando si sente sul punto di produrre qualcosa, ma è solo un alibi per nascondere l’inettitudine.
L’ultima sigaretta viene sempre associata a date, eventi e ricordi: sono limiti che Zeno si pone ma che trasgredisce.
Il tempo di Zeno è quello che vive nella coscienza: il passato si confonde con il presente. (viene influenzato dalla teoria della relatività di Einstein).
La morte del padre
È l’avvenimento più importante perché causa numerosi sensi di colpa.
Il rapporto padre – figlio è un rapporto di diffidenza, di incomunicabilità.
L’evento culminante è lo schiaffo che il padre sentendosi soffocare e credendo che sia colpa del figlio da a Zeno un momento prima di morire.
Il figlio nel mometno della malattia vuole riscattare il poco affetto.
Questo passo è preceduto da una discussione tra i due sulla religione. Il padre conosce tutte le risposte e questo è sintomo di sanità.
Zeno vecchio ricorda il momento di questa discussione e capisce che è dovuta la poco affetto nei confronti del padre.
Il padre vorrebbe comunicare al figlio la propria sanità, ma quando il figlio è disposto ad ascoltare lui perde le parole.
Zeno è complicato e malato, mentre il padre è semplice e sano.
Zeno chiama il medico nei confronti del quale prova un’antipatia a prima vista che si trasforma in risentimento quando vorrebbe applicare le sanguisughe per prolungare la vita al padre, mentre Zeno lo proibisce perché per non allungare la sofferenza del malato.
Questo viene filtrato dalla coscienza di Zeno in un sogno nel quale Zeno sogna il capovolgimento della situazione.
La descrizione degli stati patologici è ancora tipica dell’uso positivista.
L’atteggiamento del medico è scostante, Zeno si oppone alle sue prescrizioni, e questo verrà filtrato dalla coscienza come colpa di non aver curato il padre.
Il medico lo accusa di voler recidere quel filo di speranza che il padre poteva ancora avere.
A questo punto Zeno per sfuggire alla situazione si abbandona in un sonno senza sogni.
Invece Zeno vecchio ripensando alla situazione di quei giorni rivive il trauma nel sogno, dove si ribalta la situazione . Zeno è consapevole che il suo sogno interpretato contraddice quello che ha asserito in precedenza, cioè di aver superato il trauma per la morte del padre. I sensi di colpa e l’angoscia perdurano.
Curando il padre Zeno sente un’insofferenza che si ripercuote sul padre stesso e diventa poi senso di colpa.
Il padre sicuro nelle sue certezze religiose non ha mai riflettuto sulla morte.
Con lo schiaffo il padre non vuole punirlo, ma Zeno lo interiorizza in questo senso.
Il momento improvviso della morte non permette a Zeno di dimostrare la propria innocenza.
Dalla storia del mio matrimonio: il fidanzamento
Secondo la psicoanalisi Zeno ha bisogno del matrimonio per sostituire la figura paterna con il suocero.
Zeno crede di recuperare la sanità nel matrimonio.
Secondo un saggio di Freud sui malati di nevrosi ossessiva, questi malati hanno bisogno di un antagonista, che deve morire per risolvere la propria malattia.
In questo caso Zeno ha un rivale in amore: Guido e sente il desiderio di ucciderlo.
In casa Malfenti ci sono quattro ragazze: Ada la più grande e la più bella, Augusta, la più brutta, Alberta che è adolescente e colta e Anna che è una bambina.
Zeno si misura con Guido al violino.
L’avventura matrimoniale inizia con un inganno, cioè crede di guarire sposandosi.
Prova prima con Ada che lo rifiuta perché innamorata di Guido, poi con Alberta e infine con Augusta.
Le tattiche adottate da Zeno sono perdenti e ciniche.
Zeno si sposerà con augusta ma il fatto di aver provato con tutte e di essersi accontentato della peggiore sarà un alibi per l’immediato tradimento.
Per ironia della sorte questo matrimonio funzionerà bene a differenza di quello tra Ada e Guido.
Il discorso che fa Augusta mette in agitazione Zeno che può compromettere la sua futura pace familiare.
Quando entra in casa Malfenti il suo proposito è sposarsi per ritrovare la sanità, ma solo attraverso l’innamoramento.
Zeno non decide mai ma lascia ad altri le sue decisioni: questo causa senso di soddisfazione ma è determinato da mancanza di volontà.
Il fatto che la suocera, che lui detesta, pianga gli dà la soddisfazione di aver sciolto per un momento la sua freddezza.
Il romanzo si conclude con la consapevolezza da parte di Zeno che la psicoanalisi non serva contro le malattie, perché la malattia è tipica di tutta l’umanità e può essere risolta solo con l’annientamento dell’umanità stessa.
Solo la distruzione può salvare l’umanità che è malata fin dalle radici.
Anche i personaggi che sembrano sani in realtà sono malati.
IL FUTURISMO
È un movimento di avanguardia letteraria e artistica. Gli intellettuali italiani vogliono l’intervento in guerra vista come volontà di cancellare tutto e ricominciare da capo.
All’arte tradizionale bisogna sostituire le parole in libertà, si tiene conto della velocità e del dinamismo.
Si vuole distruggere tutto ciò che è vecchio, musei, accademie, liberarsi dalla tradizione e dai valori della società borghese.
Il primo Manifesto dei futuristi fu pubblicato nel 1909 sulla rivista francese Figaro, rivista conservatrice.
Questo si accompagna al manifesto tecnico che dice come deve operare e che cosa deve usare il futurismo. In letteratura scompaiono i segni di interpunzione, le maiuscole…
L’obiettivo che tutti riconoscono è fare piazza pulita dei poeti precedenti in particolare Pascoli, D’annunzio e Carducci.
Pascoli è criticato per il suo vittimismo, per la paura di esporsi; D’Annunzio per l’esaltazione del superuomo.
Inoltre alla metrica tradizionale viene sostituito un altro modo di intendere la poesia. Per questo motivo viene scartato anche Carducci perché aveva riproposto i metri tradizionali dei classici e li aveva trasposti in lingua italiana.
I futuristi disprezzano anche alcuni temi come l’amore materno, la donna…..
I principi del futurismo (Marinetti)
È un manifesto strutturato per punti dove risalta la volontà di distruggere l’arte tradizionale esaltando la velocità e la macchina.
Il disprezzo per le donne è espresso verso quelle intese per esempio nel romanticismo.
Alla staticità della cultura tradizionale si oppone il dinamismo e la velocità.
Anche Carducci aveva esaltato il progresso parlando del treno.
Il futurismo vuole la distruzione di tutto ciò che è passato. Sono principi che si legano al clima presente prima della guerra e portano alla divisione tra gli interventisti e chi non vuole combattere.
I futuristi sono sicuramente favorevoli all’entrata in guerra.
Il futurismo si lega a una corrente giovanile. Le operazioni a riguardo della velocità sono anche a riguardo personale.
Le avanguardie sono alla ricerca di nuove espressioni artistiche. Arte diventa tutto quello che non potrebbe sembrarlo.
Il manifesto è un documento che serve a scuotere le coscienze.
Amiamo la guerra (Papini)
Pubblicato nel 1913 sulla rivista Lacerba, una rivista non futurista ma di propaganda politica, è una glorificazione della guerra.
L’entrata in guerra era voluta da molti per riscattare l’Italia dai valori tradizionali.
Tutte le mediocrità e il perbenismo vengono spazzate via.
È evidente un disprezzo per l’umanità che si rivela anche nei confronti degli intellettuali.
Si arriva anche al limite dell’espressionismo, quella corrente di avanguardia nata in Germania che si caratterizza per estrapolare i lati crudeli della realtà.
Il parolierismo /Marinetti)
Pubblicato nel 1912 è il manifesto tecnico del futurismo che segna i metodi di espressione della letteratura futurista e analizza gli aspetti tecnici.
Parte con una critica alla sintassi tradizionale favorendo le parole in libertà.
Si prediligono certi accorgimenti:
Palazzeschi CHI SONO?
Palazzeschi si distacca dal futurismo nel momento in cui si dirige verso l’interventismo. L’autore usa un’ironia che lo avvicina di più ai crepuscolari come Gozzano.
Questa lirica può essere introduttiva alla poesia del Novecento.
Fino a questo punto tutti i poeti hanno avuto un’alta opinione della poesia e della posizione del poeta, l’idea del poeta è ancora legata al compito di eternare come in Foscolo. I poeti si sentivano importanti e incisivi come Leopardi o superuomini come D’Annunzio…
Ora invece si parte dall’idea che il poeta non incida nella società.
La poesia non serve per cui deve essere solo divertimento, follia e non senso.
I CREPUSCOLARI
Il crepuscolarismo può essere considerato un’avanguardia e comprende autori come Gozzano e Corazzini, ma anche come Palazzeschi che prima aderiscono al futurismo e poi si spostano qui.
Il carattere principale del movimento è l’opposizione precisa a D’Annunzio: si rifiuta tutta la teoria estetizzante dell’arte.
Si critica la figura del poeta vate, profeta opponendo addirittura la vergogna di essere poeta come asserisce Gozzano.
Il poeta è una figura inutile.
Altro elemento che si oppone al decadentismo è l’accettazione della società piccolo borghese contro una società massificata, che unifica il poeta con gli latri uomini.
Il poeta non è più una figura da imitare, che sta al di sopra e si rivolge alla società massificata, ma fa parte esso stesso della società.
Questa condizione assume un carattere consolatorio.
Ci sono tendenze al crepuscolarismo anche in parte della produzione dannunziana come in Consolazione.
Si celebra un mondo dimesso con un ritorno agli oggetti quotidiani.
C’è una negazione anche di autori come Carducci e Pascoli. Alcuni elementi possono ricordare Pascoli come il fanciullo di cui parla Corazzini. Ma è differente perché il fanciullino pascoliano è una dichiarazione di poetica, è la figura del poeta che ha quel qualcosa in più che gli permette di cogliere nella natura gli elementi che sfuggono agli altri uomini, mentre il fanciullo qui è inteso come una persona indifesa, che piange su se stesso.
Viene rifiutato il pathos lirico, prevale l’ironia che è data dall’accostamento di un linguaggio aulico con un linguaggio dimesso.
Il metro usato è il verso libero.
Il crepuscolarismo riguarda solo la poesia è non c’è una dichiarazione generale che unisca i vari autori. Inoltre è una poeisa che ha vita breve dal 1903 al 1911 perché i due esponenti maggiori muoiono presto.
CORAZZINI
Corazzini nasce nel 1886, è avviato agli studi che però vengono interrotti a causa di difficoltà economiche.
Nel 1904 pubblica Dolcezze, nel 1905 La mano calice e Aurore e nel 1906 Piccolo libro inutile dal quale è tratta la sua dichiarazione di poetica.
Nelle liriche Corazzini esibisce le sue debolezze e la sua malattia che è sia fisica che morale. (muore a 21 anni di tisi).
La sua poesia aspira all’autenticità, che si manifesta come sofferenza e non al sublime.
I dolori provati dal poeta sono comuni a tutti gli uomini a differenza del superuomo.
La poesia è espressione di una situazione della realtà.
Usa un tono dimesso, colloquiale.
Il poeta si sente un uomo sofferente, un bambino che mostra agli altri la sofferenza.
Mostra l’amore per le cose comuni che però è diverso dalla poetica degli oggetti pascoliana.
Il tono della lirica è simile a quello di una preghiera inoltre sono presenti molti riferimenti religiosi.
Il poeta oscilla tra il desiderio infantile di sentirsi piccolo e la consapevolezza della morte.
La malattia non è solo fisica, è una crisi generale.
Il linguaggio è semplice e c’è consonanza tra stile e visione del mondo.
Le strofe sono di lunghezze diverse e di versi liberi.
Nella sua solitudine il poeta instaura un discorso ipotetico.
Le gioie e le tristezze sono elementi comuni, non eccezionali.
L’ingenuità del poeta bambino si contrappone alla grandezza del poeta vate.
Per essere poeta Corazzini ammette che bisogna vivere una vita inimitabile che lui rifiuta.
GOZZANO
Nasce nel 1883 e muore di tisi nel 1916. Trascorre la sua vita diviso tra attività borghese e letteraria. Gozzano denuncia il sentimento di vergogna di essere un poeta.
Alla vita dannunziana si contrappone una vita di un malato sia fisicamente che moralmente.
Anche per quanto riguarda le tematiche all’eccezionalità dannunziana Gozzano preferisce la realtà quotidiana, anche espressa attraverso gli oggetti di cattivo gusto.
Al poeta piace circondarsi di oggetti dimessi, grigi che sono consolatori, anche se questa realtà quotidiana è vista in modo ironico.
La letteratura ha la coscienza di essere alla fine.
Nel 1907 sulla rivista “Nuova antologia” viene pubblicato il poemetto La signorina Felicita ovvero la felicità. Il poemetto descrive l’idillio tra il poeta e una ragazza di campagna, che incarna una vita semplice e si contrappone alle donne fatali di D’Annunzio.
La ragazza si innamora del poeta che ricambia in parte questo sentimento.
Il piccolo ambiente provinciale è visto con ironia, Gozzano sottolinea il distacco tra quel mondo semplice e il mondo in cui vive il poeta. Il poeta capisce di non poter vivere in questo ambiente anche se lo vede come consolazione.
Felicita è una possibile alternativa alla vita sentimentale del poeta che non è appagato ma si convince che i due mondi che conosce sono troppo distanti.
Lo stile di Gozzano è colloquiale, ironico, ci sono vari accostamenti di parole auliche e colloquiali.
Si nota un senso di nostalgia verso un mondo che non gli appartiene.
La semplicità di Felicita è un’attrazione per il poeta.
Nella terza parte si punta l’attenzione sull’aspetto della ragazza che viene descritta come non bella, ma genuina ed è questo ad attirare il poeta.
Felicita è innamorata del poeta e cerca di sedurlo a modo suo, Gozzano è lusingato di piacere a una ragazza così semplice.
Il farmacista è la figura che fa incontrare i due, ma più avanti parlerà male della signorina Felicita chiamandola oca e definendola brutta.
Montale dice che Gozzano produce risultati originali facendo cozzare l’aulico e il prosaico.
Ciò che è consolatore per il poeta sono gli elementi umili; Gozzano modella i suoi versi sui rumori dei piatti dissacrando la composizione poetica.
La parte finale del poemetto è il momento degli addii, Gozzano parte alla ricerca di un luogo dove guarire e fa promettere a Felicita di aspettarlo. È presente un sentimentalismo sdolcinato tipico el romanticismo minore di Prati e Aleardi. Infatti il poeta stesso paragona Felicita a un personaggio di un’opera del Prati, quindi a un personaggio di un’opera di letteratura minore. Questo è un espediente ironico.
Settembre è il mese triste che porta alle riflessioni sulla morte. Si paragona la partenza del poeta con la partenza delle rondini.
La promessa di matrimonio è vana, è infatti inserita in un contesto di una rappresentazione romantica sentimentale.
La ragazza si immedesima nella parte ma il poeta è consapevole della finzione.
Nel testo critico di Montale pubblicato nel 1951 “Gozzano dopo trent’anni”, Montale riconosce in Gozzano il tramite tra D’Annunzio e la nuova poesia. Il merito di Gozzano è di essere riuscito a superare D’Annunzio e a prenderlo in giro, ironizzando su tutto il modello.
I PRIMI DECENNI DEL ‘900
Nei primi due decenni del ‘900 la poesia oscilla tra posizioni di avanguardia e ritorno all’ordine.
Dopo la prima guerra mondiale c’è una forte volontà di tornare all’ordine e di riprendere una linea classica e tradizionale.
Dagli anni Venti in poi i temi tradizionali sono rinnovati dalla lezione dell’avanguardia.
Ungaretti per esempio conosce la letteratura francese e si avvicina all’espressionismo.
Dopo il 1925 il futurismo sopravvive ma si integra con il fascismo.
Il ritorno alla tradizione è un ritorno al simbolismo, la parola viene svuotata del suo significato e viene riempita di un significato nuovo.
Nella prima metà degli anni Venti c’è una canonizzazione della letteratura in tre filoni rappresentati da Ungaretti, Saba e Montale.
In particolare sono importanti le pubblicazioni del “Canzoniere” di Saba nel 1921, di “Allegria” di Ungaretti nel 1923 e nel 1925 di “Ossi di seppia” di Montale.
Saba descrive l’ambiente triestino, è di origine ebraica e durante la sua vita conosce Freud.
Montale si ricollega in parte al simbolismo, poi alle avanguardie ma è influenzato da molte correnti perché ha una lunga produzione poetica.
Ungaretti inserisce nelle poesie elementi di soggettività e l’idea che la parola sia fonte di verità. Dalla sua produzione dipende l’ermetismo italiano che si sviluppa verso gli anni Trenta.
Ungaretti nasce ad Alessandria d’Egitto nel 1888 per cui le sue esperienze ruotano intorno a tre ambienti principalmente: l’Egitto, la Francia e l’Italia.
La sua prima produzione, negli anni Dieci, è piuttosto originale ma poi si evolve in senso classicista e tradizionalista a causa della crisi delle avanguardie e dell’avvento del fascismo.
Nel 1912 studia alla Sorbona e incontra il poeta Apollinaire.
Le sue prime composizioni sono pubblicate sulla rivista Lacerba.
All’inizio della guerra Ungaretti si schiera in favore dell’intervento militare italiano poi dopo la sua esperienza diretta ha modo di cambiare opinione.
È interessato alla poesia barocca perché ricerca da una parte equilibrio e dall’altra tensione.
La prima fase di composizioni è quella dell’Allegria: il poeta raggiunge l’equilibrio e si ritrovano tracce di espressionismo oltre a novità per quanto riguarda la metrica e la sintassi. Infatti sparisce la punteggiatura e le parole vengono poste in posizioni significative scegliendo pause non sintattiche.
Negli anni Venti esce la seconda raccolta Sentimento del tempo che ha un taglio più tradizionale.
C’è però una costante in tutti i componimenti nel culto della parola che acquista un potenziale di rivelazione e viene caricata di nuovi significati.
I tasti che confluiscono nell’Allegria sono datati 1914-19 e hanno come contenuto la registrazione dell’esperienza di guerra e della vita in trincea sul Carso.
Il primo nucleo pubblicato nel 1916 è intitolato Porto sepolto, titolo che deriva da una leggenda egiziana che vuole la presenza di un porto sommerso ad Alessandria. Il porto rappresenta una meta sicura, ma essendo sepolto allude al mistero. La seconda edizione del 1923 è ampliata.
Nel 1919 viene pubblicato un nuovo nucleo intitolato Allegria o I naufraghi, titolo che sottintende il tema della guerra che è un naufragio. Sullo sfondo rimane però possibile una via d’uscita rappresentata dall’Allegria.
Nel 1931 c’è l’ultima edizione con il titolo Allegria.
Le immagini sono tutte di morte ma nascondono una verità profonda che supera la morte stessa. Alla fine viene eliminata la parte negativa e si vede un richiamo alla vita.
La raccolta è organizzata in cinque sezioni:
Ultime sono le più antiche e riportano esperienze così come le liriche contenute in Il porto sepolto del 1915-16. La se<zione Naufragi riporta le esperienze sul Carso dal dicembre 1916 al 31 agosto 1917. La parte Girovago tratta del marzo 1918 e l’ultima sezione intitolata Prime lascia già intravedere un nuovo modo di concepire la poesia. Nel 1919 c’è il passaggio tra Allegria e Il sentimento del tempo.
La poesia di Ungaretti è una poesia soggettiva: l’io del poeta è un parametro di una condizione soggettiva. Si parla quindi di UNANIMISMO cioè il passaggio da soggettività individuale a collettiva.
L’io del poeta è come quello degli altri, è un soldato come tutti gli altri, è uno sradicato.
Però solo il poeta riesce a tradurre l’esperienza comune e riesce a salvarsi attraverso l’espressione poetica.
Ungaretti usa un genere contenutistico e formale innovativi: utilizza versi liberi, senza una rima voluta, senza accenti fissi….
I versi sono detti versicoli per la loro brevità.
La frantumazione del verso risponde a un’esigenza di dare forza e rilevanza sintattica ad alcune immagini che assumono anche un carattere espressionistico.
Cerca di valorizzare in modo simbolista gli oggetti e la parola, che è vista come veicolo di verità.
Vengono aboliti i nessi grammaticali, sintattici e la punteggiatura.
Nell’ultima sezione della raccolta vengono però recuperati alcuni stili tradizionali. Domina la paratassi e ci si sofferma su quei nomi o verbi che assumono un particolare significato.
Viene utilizzato il tempo presente perché lo scrittore si fa carico dell’esperienza collettiva. Il poeta attraverso la poesia recupera la verità e si salva dal naufragio.
Questa lirica è una storia di crisi e di sradicamento. Il protagonista è un amico del poeta che può essere visto come un alter ego di Ungaretti. Il suicidio del protagonista è visto come una crisi di identità, perché egli vive una situazione simile a quella del poeta. Il poeta però è superiore perché è capace di sciogliere questa crisi nella poesia.
Lo stile è lapidario, il poeta si limita a scrivere l’essenziale; si pone l’accento su alcune parole come patria, vivere…
Il protagonista che passa dall’Egitto alla Francia muta nome ma questo non cambia la sua essenza.
C’è concretezza nel raccontare gli avvenimenti, una precisione tipica dei crepuscolari.
La volontà del poeta è quella di ricordare l’amico e il fatto di nominarlo vuol dire consegnare ai posteri la sua vita.
Veglia
Il poeta passa la notte accanto ad un compagno morto, ma questa tragedia è convertita in vitalismo.
La descrizione assume toni espressionisti: usa il participio passato e consonanti dentali e sorde.
Il momento tragico esprime comunque una volontà di riscatto.
Questa lirica è datata 16 agosto 1916. Il poeta che è in guerra si immerge nell’Isonzo e questo gli ricorda i fiumi della sua vita: il Serchio, il Nilo che lo ha visto nascere e la Senna che gli ricorda l’età adulta.
Il poeta in questo modo prende coscienza della sua vita.
L’acqua ha una funzione purificatrice, l’immersione dà l’idea di una presa di coscienza; il poeta può riconoscersi parte dell’universo, visto come armonia. La regressione e il ricordo gli fanno recuperare una dimensione temporale.
Avvengono due processi: uno di antropomorfizzazione, cioè la natura assume caratteri umani e uno di naturalizzazione dell’uomo, entrambi ripresi da un’eredità dannunziana.
La natura è vista come la via d’accesso alla verità, la natura rivela al poeta la verità e il senso. In questo Ungaretti ricorda il simbolismo francese.
Il testo si apre con l’immagine della notte che in modo ciclico passa attraverso il giorno e poi ancora la notte.
Ungaretti utilizza molte consonanze, assonanze e allitterazioni.
Si riscontrano molte analogie come per esempio tra la dolina e il circo, che sono entrambi immagini circolari e che si collegano con l’urna che ha anche un valore sacrale come l’immersione stessa.
C’è una rete analogica cioè una parola rimanda ad un’altra come per le corrispondenze simboliste.
Dopo il bagno il poeta si asciuga al sole e questo ricorda il deserto della sua infanzia.
I panni sudici sono un esplicito rimando alla guerra che oltre a sporcare in modo letterale è anche distruzione.
Chinarsi a ricevere il sole può ricordare il gesto della preghiera islamica.
Il poeta rispecchia la vita di tutti gli uomini: la sua condizione personale è quella degli altri soldati, il destino comune di sofferenza e di morte li rende simili, ma il poeta proprio perché è poeta riesce a essere un tutt’uno con l’universo.
Il sentirsi in comunione con l’universo provoca nel poeta una felicità rara.
La seconda parte si apre con la riflessione (analogie del pronome deittico).
Il Serchio richiama le sue origini campagnole, il Nilo la sua infanzia e la Senna la sua età adulta.
La corolla riporta l’immagine del fiore che si ricollega ancora una volta alla figura circolare e dà l’idea di fragilità.
Il poeta è consapevole del dolore. La vita appare fragile e debole eppure la vita del poeta è come un fiore che aspetta di aprirsi.
Il tema della natura è indicato come il principio di possibilità della conoscenza.
In poeti come Leopardi manca la relazione tra natura e l’uomo, che qui viene contraddetta perché il poeta riesce addirittura a dialogare con la natura stessa.
La natura concede una via d’accesso al significato della natura stessa e della sua identità.
Questa lirica è dedicata al primo editore del Porto sepolto ed è datata 2 ottobre 1916.
È una dichiarazione di poetica. La poesia è ridotta al minimo: è divisa in due strofe di versi liberi.
È presente una prospettiva di carattere unanimista. La poesia è un momento di verità generale.
La seconda parte presenta un motivo lirico.
Si valorizza la parola che acquista significato ed è portatrice di verità.
Per Montale invece la poesia sarà priva di senso e perderà ogni caratteristica tradizionale.
Pellegrinaggio
La lirica è datata 10 maggio 1916 ed è quindi contemporanea a I fiumi.
È presente un carattere espressionista soprattutto nella scelta di immagini crude e dolorose.
Il poeta si inserisce nella lirica.
Lo spettacolo della guerra è presentato attraverso immagini analogiche.
Non sempre nella poesia di Ungaretti che una chiave interpretativa tanto che erroneamente viene definito un ermetico perché utilizza un linguaggio oscuro.
Il poeta si definisce uomo di pena che ha la consapevolezza del dolore. L’illusione si può richiamare al seme calpestato, ma che può ancora fiorire.
L’ultima strofe ricalca un verso di Baudelaire. Anche l’immagine del riflettore è un’illusione, un’apertura, la possibilità di una via d’uscita.
Ungaretti trova corrispondenze nella natura: il poeta arriva a la verità e al senso della vita attraverso le corrispondenze.
Per Montale come lo era per Leopardi la vita non ha senso.
La poesia è linea di collegamento tra individuo e collettività, collega la storia, l’assoluto e la realtà.
Nasce nel 1896 in Liguria: il paesaggio ligure è presente in tutte le opere. Si diploma ragioniere, ma si avvicina alla letteratura e alla filosofia anche grazie agli studi della sorella.
La sua vita si può dividere in alcuni periodi: il primo va dal 1896 al 1926 e sono gli anni della sua formazione.
Nel 1918 partecipa alla prima guerra mondiale e conosce alcuni critici importanti come De Benedetti e Solmi.
Dirige la rivista Primo tempo insieme a Solmi.
Firma il manifesto degli intellettuali antifascisti nel 1925. In questi anni conosce Svevo e ne mette in luce i meriti.
Nel 1927 si trasferisce a Firenze e rimane fino al 1948. Questa città è importante perché è la culla dell’umanesimo, vista in contrapposizione allo stile del fascismo. Dirige un centro culturale chiamato Gabinetto Vieusseux dal 1929 al 1948.
Nel 1948 è a Milano ed è collaboratore nella redazione del Corriere della Sera.
Conosce anche il poeta inglese Eliot e con lui ha uno stretto legame culturale soprattutto per lo studio del correlativo oggettivo e la poesia allegorica legata alla poesia dantesca.
Conosce inoltre Gadda , Vittorini e critici come Contini.
Nel 1939 pubblica le Occasioni dedicate a una donna americana, definita in termini allegorici.
Va a vivere con Brusilla Tanzi, che nelle poesie viene chiamata Mosca.
Pubblica poi prose narrative. Dal 1952 al 1964 ha un periodo di silenzio poetico per motivi esistenziali: è deluso a causa della massificazione, dell’omologazione e del boom economico.
Nel 1964 un anno dopo la morte della moglie ricomincia a scrivere e pubblica La bufera.
Dal 1964 in poi inizia il periodo dei riconoscimenti pubblici.
Nel 1967 gli viene conferita la laurea honoris causa all’università di Cambridge.
Nel 1971 pubblica l’ultima raccolta intitolata Satura.
Nel 1975 gli viene conferito il Premio Nobel e il discorso che pronuncia a Stoccolma è significativo in quanto porta il titolo: E’ possibile la poesia?
Dalla dichiarazione di poetica intitolata Dialogo di Montale sulla poesia, il poeta dice di non appartenere alla poesia non realistica, non romantica e non decadente, ma metafisica.
La poesia metafisica non rinuncia alla ragione ma è l’urto tra la ragione e qualcosa che non lo è.
Montale è convinto che non sia possibile comprendere il reale anche se sente l’esigenza di farlo.
Il poeta si sente vicino a un varco, a una via d’uscita per comprendere le cose che stanno intorno. Questo varco è espresso attraverso correlativi oggettivi come l’anello che non tiene o la rete che si spezza ed è la possibilità di comprendere la realtà.
Montale vive la disarmonia dell’universo che si esprime attraverso un linguaggio scabro e essenziale che ricorda la Ginestra leopardiana.
I temi ricorrenti nella poesia di Montale sono: il male di vivere che è espresso attraverso correlativi oggettivi, che calano in una realtà fisica un concetto di carattere esistenziale, l’impossibilità della poesia di dire qualcosa: il poeta non ha più una missione non ha più messaggi.
C’è una critica verso gli uomini sicuri di sé che credono di avere capito tutto.
L’uomo che crede di avere delle certezze non ha compreso la sua fragilità.
Non chiederci la parola
La lirica è datata 10 luglio 1923. Il poeta rifiuta le parole assolute, ogni certezza, le forme.
L’animo è informe perché incapace dio conoscere e di conoscersi.
Nell’ultimo verso l’espressione SOLO OGGI potrebbe riferirsi all’epoca fascista dove il poeta non può esprimersi; oppure a un senso generale quando il poeta si rende conto della condizione del mondo.
La poesia mette in luce la negatività del reale.
Il poeta dichiara in modo solenne l’incapacità di conoscere. Ogni parola solenne è come un fiore che risalta, ma è perso in un prato polveroso.
L’ombra rappresenta la problematica condizione dell’uomo e l’incapacità di conoscersi.
L’uomo deve rendersi conto della sua fragilità. È presente un collegamento con la filosofia di Schopenhauer, in particolare con la teoria del velo di Maya che è un velo che si interpone tra l’uomo e la realtà. La poesia fa capire la nullità dell’uomo.
Spesso il male di vivere ho incontrato
È presente il contrasto tra bene e male. Il poeta sostiene di aver incontrato il male di vivere che descrive attraverso i correlativi oggettivi.
Attraverso una forte anastrofe viene inserito nella seconda quartina anche il concetto di bene.
Le immagini del bene sono comunque immagini di indifferenza, apatia….
La poesia mantiene caratteri tradizionali, come il metro e la rima.
Le immagini del male sono di impedimento, di aridità e violenza che impediscono la vita.
Il falco e la nuvola sono invece immagini di distanza che indicano l’impossibilità di arrivare al bene. Non si prospetta quindi alcuna possibilità di comprensione, che invece è presente in altre liriche.
Meriggiare pallido e assorto
Il poeta si sente vicino alla comprensione ma c’è qualcosa che non gli permette la comprensione del miracolo.
Il poeta ha l’idea di vivere sotto una campana di vetro che impedisce di arrivare alla comprensione vera. C’è impossibilità che la campana si infranga e quindi che si passi ad avere la conoscenza.
La lirica si apre con un paesaggio arido scelto perché adatto alla riflessione sul male di vivere. Dato che viene descritto un luogo arido dove vengono usati suoni duri e immagini come le serpi già utilizzate da Leopardi.
L’utilizzo del verbo all’infinito dà idea di indeterminatezza e dell’assenza dell’interlocutore.
La differenza con i crepuscolari è che il poeta non trova consolazione nel mondo dimesso.
Viene evocata una immagine attraente del mare che è dall’altro lato repellente.
Il mare può rappresentare un varco: si immagina un tuffo simbolico che porta a qualche verità.
Il poeta sente un destino di solitudine e di male: la muraglia con i cocci indica la solitudine dell’uomo che chiuso in questo male.
Il muro impedisce di passare anche con la fantasia e l’immaginazione.
C’è la speranza di cercare un varco, la ricerca di qualcosa, un mezzo che gli permetta di conoscere qualche verità.
Il varco potrebbe aprirsi, ma poi torna tutto normale e non si ha esperienza del miracolo.
Fonte: http://www.webalice.it/forluca/materials/appunti/ITALIANO.DOC
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