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ALESSANDRO MANZONI (1785-1873)
OPERE
Questi poemetti sviluppano una serie di miti religiosi che mostra Dio in un duplice modo:
Risente dell’influsso del giansenismo francese. La contrapposizione tra eletti e dannati è vicina all’idea medievale di predestinazione alla salvezza o alla dannazione (contrapposizione netta tra bene e male)
Marzo 1821
Teodoro Koerner è il patriota tedesco morto a Lipsia, che permette di esaltare tutti i patrioti che lottano per la patria.
Le strofe sono particolari, perché formate da 8 versi decasillabi, di cui il quarto è tronco. Questo metro rende il ritmo ripetitivo perché gli accenti cadono sempre in 3ª, 6ª e 9ª posizione. È lo schema imitato da Berchet e usato per il coro del “Conte di Carmagnola”.
Manzoni immagina che i soldati piemontesi abbiano varcato il Ticino e siano pronti a combattere gli Austriaci: si immagina che qui facciano un giuramento. Ci sono affermazioni ed esclamazioni nette e forti: è una retorica patriottica.
Manzoni afferma che se qualcuno vorrà impedire ai fratelli lombardi di unirsi ai fratelli piemontesi, dovrà fare una cosa impossibile, e cioè mandare a ritroso le acque degli affluenti del Po.
La figura retorica che dice che dovrà succedere qualcosa di impossibile prima che accada un’altra cosa si chiama “Adýnaton”.
Manzoni fa un accenno polemico sul fatto che l’Italia, sia nel presente che nel passato, ha aspettato vanamente l’aiuto di qualche popolazione straniera.
Vi è anche un accenno alla figura divina, che è il Dio biblico, vendicatore, che aiuterà gli Italiani a liberarsi dai dominatori, come fece per due volte con il popolo di Israele.
Chi non parteciperà a quelle imprese eroiche si rammaricherà di non averlo fatto quando le sentirà raccontare dagli altri.
Nell’ultima strofa c’è un auspicio del riscatto nazionale. Santi colori = tricolore italiano
Il “Giuramento di Pontida” di Berchet, si rifà invece ad un episodio medievale, cioè il patto stretto dai comuni della lega lombarda contro l’imperatore tedesco Federico Barbarossa (1167)
Nella tragedia greca classica il coro era fondamentale, poiché pronunciava battute sull’azione tragica, o forniva indicazioni sulla trama.
Nelle tragedie alfieriane non c’è traccia di coro, ma Manzoni lo ripropone come una specie di intermezzo poetico che ha una funzione analoga a quella che aveva nella tragedia classica (dice che si era ritagliato un cantuccio come autore, in cui poteva dire la sua).
Il coro è un componimento con lo stesso metro di “Marzo 1821”, quindi formato da strofe di 8 versi decasillabi: è la rappresentazione della battaglia, che viene condannata aspramente come una lotta fratricida fra Italiani e Italiani.
Attraverso il coro Manzoni svolge il discorso nell’ambito della politica risorgimentale; il coro può essere accostato alla lirica patriottica.
Adelchi è un personaggio anti-tragico in realtà, poiché non si presenta come eroe: è molto remissivo, tormentato da dubbi, ansie e che incarna le ragioni della morale religiosa contro le leggi della ragione di stato.
Anche Adelchi afferma che le due cose non sono conciliabili: la sua visione è più esplicita e pessimistica rispetto a “Il conte di Carmagnola”.
Adelchi, dice al padre cose che mai avrebbe detto un eroe tragico, e cioè di non essere troppo in pena per lui, perché muore in grazia di Dio. Dice anche di rallegrarsi di non essere più re, perché così non è più obbligato a compiere ingiustizie verso gli altri uomini.
Morale dell’inazione: non è possibile fare del bene per chi porta la corona (si possono fare solo ingiustizie, oppure subirle se si è esclusi dal potere).
Vi è l’orizzonte della religione, della consolazione, che si può avere solo dopo la vita terrena.
Carlo Magno qui non è idealizzato, ma visto come un re calcolatore, cinico per certi aspetti, e che utilizza la ragion di stato per calpestare gli altri.
Sua moglie Ermengarda, è sorella di Adelchi, dunque figlia di Desiderio; ella viene ripudiata per poter fare la guerra contro i longobardi
IL CORO DELL’ATTO TERZO (Adelchi)
È il primo coro importante, che descrive la discesa dei Franchi in Italia, e quindi la sconfitta dei Longobardi.
È un ritmo cadenzato, simile quasi ad una marcia militare. Manzoni esorta gli italiani a prendere in mano il proprio destino e a sollevarsi contro gli stranieri. Non si parla di Italiani, ma di latini (popolazione dell’Italia del tempo). I latini si illudono che i nuovi dominatori siano giunti per liberarli, ma non sarà così.
Il regno di Carlo Magno è descritto in decadenza: l’Italia è un regni in cui ci sono atri muscosi, i fiori sono cadenti, le fucine sono stridenti, ma anche arse, e i sono bagnati di sudore servo. Il popolo dell’Italia del tempo è descritto come una plebaglia dispersa che non ha nemmeno un volto: questo volgo si desta per il suono della battaglia illudendosi.
I Franchi sono descritti come “cani sciolti” e i longobardi come “trepide fiere”, piene di paure, perché cacciate dai Franchi. È illusorio per i latini pensare che il premio dei forti (Franchi) è quello di porre fine alle loro pene.
Le rovine sono “superbe” perché appartengono ad un antico e meraviglioso splendore. I Longobardi furono sconfitti, ma quelli aristocratici rimasero nei loro insediamenti, semplicemente passando da un regnante all’altro (quindi al servizio di Carlo Magno).
Manzoni fa un’esortazione ai patrioti del suo tempo di non aspettare l’aiuto straniero, ma di pensarci da se (anche i “Sepolcri” in un certo senso anticipano questo tema).
Ermengarda morente è la protagonista del secondo coro. Il Carlo Magno del Manzoni è sempre molto attento a dare di sé un’immagine pietosa: fa portare Adelchi morente al padre. Ma Adelchi lo smaschera e lo rivela per il personaggio che è, cioè che non esita a fare azioni meschine.
Nei “Promessi Sposi” non c’è più la morale dell’inazione,ma solo la politica del potere, oppure l’incapacità di chi è al potere, come il Ferrer. Lo stesso Ferrer parla con lingua doppia: parla al popolo dicendo di non uccidere il vicario di provvisione, e intanto dice qualcosa in spagnolo per non farsi comprendere. Si rivela poi solo quando il vicario è in salvo nella sua vera forma.
Dopo i “Promessi Sposi”, Manzoni, ritiene che il compito dello scrittore non sia tanto quello di inventare vicende, ma solo quello di ricostruire la realtà storica: abbandona la letteratura propriamente detta e abbraccia la storiografia. Tra le sue opere più importanti di questo periodo c’è “Storia della colonna infame”, un trattato in cui descrive minuziosamente il processo agli untori. La colonna di cui si parla è quella che fu costruita sulle rovine della casa di uno degli untori a ricordo della sua infamia. Si parla in particolare di due personaggi accusati di essere untori, cioè di essere coloro che intenzionalmente diffondono la peste usando particolari unguenti. Questi venivano accusati, nonostante le autorità fossero praticamente sicure che non esistevano gli untori: solo avevano bisogno di un capro espiatorio (il popolo era realmente convinto della loro esistenza).
Manzoni vuole denunciare la condanna degli innocenti per motivi politici (è una posizione generale). È simile alla critica posta dallo stesso Verri, con cui però entra in polemica perché Verri prende ad esempio gli untori che sotto tortura hanno ammesso la loro colpevolezza. Manzoni invece afferma che anche con la tortura (che allora era legalmente ammessa) si poteva dimostrare che gli untori sono innocenti: intende sottolineare la disonestà di chi, come i giudici, aveva potere sugli altri.
Fonte: http://firemusic.altervista.org/appunti/lett/03-manzoni.doc
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