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Manzoni mostra particolare attenzione verso gli avvenimenti della rivoluzione francese, poiché sostiene che questo grande evento storico possa influire sulla situazione italiana, diffondendo l’idea della necessità d’unificazione e d’indipendenza. Ecco dunque emergere la figura del grande pensatore, difensore del “liberalismo”, animato da un grande senso di patria. È da precisare che Manzoni ha una visione pessimistica della storia. Gli eventi storici che egli analizza per le sue opere sono intrisi di violenze, soprusi e ingiustizie (vedi I Promessi sposi, l’Adelchi). Ma questo pessimismo può risolversi in due modi: la Provvidenza divina può riscattare gli umili perché dal dolore e dalle sventure può nascere la salvezza; inoltre, rievocando il passato, gli uomini possono riflettere sul presente per agire in direzione del bene comune. Proprio la conoscenza della storia poteva guidare gli italiani nel raggiungimento dell’unità nazionale e dell’indipendenza.
Manzoni sostiene che per la costruzione di un paese unitario sono fondamentali i concetti di “Dio, Patria e Famiglia”. Le speranze del Manzoni per una Patria libera ed indipendente si rifecero vive quando il 30 marzo 1815, durante l’avventura napoleonica dei Cento giorni, Gioacchino Murat, re di Napoli e cognato del Bonaparte, lanciò da Rimini un proclama a tutti gli Italiani perché si unissero a lui nel disegno di realizzare l’unità e l’indipendenza della Nazione: «Italiani, l’ora è venuta che debbono compiersi gli alti destini d'Italia. La Provvidenza vi chiama infine ad essere una nazione indipendente. Dall’Alpi allo Stretto di Scilla odasi un grido solo: l’indipendenza d’Italia». Ma gli Italiani non si mossero: essi diffidavano più dei Francesi che degli Austriaci. Il Manzoni fu uno dei pochi a credere alla buona fede del Murat ed alla possibile realizzazione della sua impresa, e compose “Il Proclama di Rimini”, una canzone che l’esito rovinoso della campagna militare intrapresa dal Murat contro gli Austriaci, troncò nel bel mezzo, al verso 51.
Forse infecondo di tal madre or langue
il glorioso fianco? o forse ch'ella
del latte antico oggi le vene ha scarse?
o figli or nutre, a cui per essa il sangue
donar sia grave? o tali a cui piú bella
pugna sembri tra loro ingiuria farse?
Stolta bestemmia! eran le forze sparse,
e non le voglie; e quasi in ogni petto
vivea questo concetto:
liberi non sarem se non siam uni:
ai men forti di noi gregge dispetto,
fin che non sorga un uom che ci raduni.
Il patriottismo di Manzoni emerge nel coro della tragedia Adelchi. L’Adelchi fu composto fra i 1820 e il 1822 e uscì, con la dedica alla moglie Enrichetta, presso l’editore milanese Ferrario, insieme al discorso sui Longobardi. Prima di scrivere l’opera Manzoni compì studi accurati riguardo il periodo storico che vide lo scontro tra i Longobardi, che allora dominavano l’Italia, e i Franchi che vi giunsero chiamati dal Papa per sconfiggere i Longobardi. Prima di compiere tali studi Manzoni era convinto che i Longobardi non fossero oppressori stranieri dell’Italia, ma avessero difeso gli italiani dall’invasione dei Franchi. Tuttavia Manzoni cambiò idea al riguardo e giunse alla conclusione che sia i Longobardi sia i Franchi furono stranieri oppressori del popolo italiano. Pertanto la vittoria dei Franchi significò per gli italiani solamente il passaggio da una dominazione straniera all’altra. Manzoni dunque è dell’idea che per liberarsi dai domini oppressivi stranieri, gli italiani dovevano conquistare la libertà con il loro valore e con i loro sacrifici, senza illudersi che un popolo straniero potesse regalare loro la libertà, che è qualcosa che ogni popolo deve conquistarsi con le proprie forze e con il comportamento eroico di tutti gli individui. Questa idea si rivela nel Coro del III atto, dove il poeta invita appunto i Latini (“un volgo disperso che nome non ha”) a non illudersi che i Franchi, cacciando i Longobardi, restituiscano loro la libertà e l’indipendenza, che invece vanno conquistate con la lotta. Nel coro è implicita quell’istanza risorgimentale che si esprime chiaramente nell’ode Marzo 1821 e lo stesso Adelchi, in una prima stesura del dramma, era una figura patriottica, che voleva unire Latini e Longobardi in una nazione sovrana.
V55 E il premio sperato, promesso a quei forti,
sarebbe, o delusi, rivolger le sorti,
d’un volgo straniero por fine al dolor?
Tornate alle vostre superbe ruine,
all’opere imbelli dell’arse offcine,
ai solchi bagnati di servo sudor!
Il forte si mesce col vinto nemico,
col novo signore rimane l’antico;
l’un popolo e l’altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti;
si posano insieme sui campi cruenti
d’un volgo disperso che nome non ha.
"Una d'arme, di lingua, d'altare, di memoria, di sangue, di cor." Questa è la più celebre frase del Marzo 1821, la poesia che scrisse Manzoni in occasione dei moti carbonari piemontesi, quando sembrava probabile che i soldati avrebbero varcato il Ticino per entrare in Lombardia. Il desiderio del poeta milanese però non si avverò, ed egli dovette nascondere questa magnifica lirica, ripubblicata solo nel 1848 in occasione delle cinque giornate di Milano. In questa elencazione (le armi, la lingua, la religione, la storia, il sangue e la passione), il Manzoni racchiude tutti gli elementi fondativi e caratteristici di una Nazione. L'importanza dell'"arme", dell'esercito, di un senso di unità nazionale che si spinge fino all'estremo dono della propria vita per il paese, ha fatto sorgere la coscienza comune di un paese diviso fino all'unificazione. L’ode si apre con una dedica al poeta tedesco Theodor Koerner (caduto nel 1813, combattendo contro Napoleone), simbolo della lotta di liberazione di un popolo. Nel componimento Manzoni si rivolge agli austriaci, sostenendo che la loro lotta contro l’invasione di Napoleone è tradita dall’oppressione che essi esercitano a loro volta sugli italiani. Il poeta espone la propria concezione di libertà e di nazione, che è tale quando un popolo condivide le tradizioni linguistiche, culturali, religiose, etniche. La libertà va conquistata e tutto il popolo deve partecipare a questa missione, senza delegare ad altre potenze (come era avvenuto con la Francia di Napoleone) la sua liberazione. Il motivo patriottico-politico è, infine, inserito in una prospettiva religiosa: Dio, «Padre di tutte le genti», tutela il diritto alla libertà di tutti i popoli, che è pertanto sacro. Il convincimento, poi, che la liberazione dell’Italia dagli austriaci e la sua unificazione debbano essere realizzate dal popolo italiano stesso, e non con l’aiuto di potenze straniere («Dio rigetta la forza straniera»), è un motivo del Risorgimento, ribadito dallo scrittore anche nei cori delle due tragedie, che, composti all’incirca negli anni delle odi, presentano la stessa ispirazione civile
41. O stranieri, nel proprio retaggio
torna Italia, e il suo suolo riprende;
o stranieri, strappate le tende
da una terra che madre non v' è.
Non vedete che tutta si scote,
dal Cenisio alla balza di Scilla?
non sentite che infìda vacilla
sotto il peso dé barbari piè ?
73. Cara Italia! dovunque il dolente
grido uscì del tuo lungo servaggio;
dove ancora dell' umano linguaggio
ogni speme deserta non è;
dove già libertade è fiorita,
dove ancor nel segreto matura,
dove ha lacrime un'alta sventura
non c' è cor che non batta per te.
81. Quante volte sull' Alpe spiasti
l'apparir d'un amico stendardo!
quante volte intendesti lo sguardo
né deserti del duplice mar!
ecco alfin dal tuo seno sboccati,
stretti intorno à tuoi santi colori,
forti, armati dé propri dolori,
i tuoi figli son sorti a pugnar.
è importante capire, da questi versi, che la vera unità di una nazione sta nella consapevolezza di lavorare tutti insieme per un futuro comune. Eccolo il "cor" per l'Italia unita.
Al problema della lingua poi, contribuì il Manzoni stesso, quando andò "a sciacquare i panni all'Arno" durante la stesura del suo capolavoro, "I promessi sposi". Egli affrontò la questione della lingua in un primo tempo per ragioni artistiche e religiose, e in un secondo tempo per ragioni civili e patriottiche. Le ragioni artistiche e religiose sono connesse alla composizione dei Promessi Sposi. Accingendosi a scrivere il romanzo, Manzoni si pose il problema di un linguaggio che fosse in armonia con la sua poetica, la quale, facendo dell’opera d’arte un mezzo di elevazione morale e di apostolato delle verità cristiane in mezzo al popolo, esigeva l’uso di un linguaggio chiaro, semplice, facile, accessibile a tutti, popolare.
Le ragioni civili e patriottiche si imposero in un secondo tempo, quando via via che si formava l’unità d’Italia, egli si pose il problema di una lingua comune, unica e unificante: che favorisse l’unità spirituale degli Italiani.
Ponendosi il problema della lingua, Manzoni faceva un confronto tra gli Italiani e gli altri popoli. Egli notava, per esempio, che mentre nella Spagna, in Francia, in Inghilterra la lingua letteraria era assai vicina a quella parlata, c’era un abisso, invece, in Italia, tra la lingua scritta e quella parlata. Considerando poi la lingua scritta degli Italiani, il Manzoni notava che essa era antiquata, aulica, dotta, retorica, difficile e incomprensibile per gli ignoranti. Lo scrittore italiano era perciò condannato o ad usare una lingua vicina a quella parlata, per essere vivace e moderno, col rischio però di dare un’impronta dialettale alla sua opera e di confinarla nell’ambito della sua regione, oppure ad usare la lingua letteraria della tradizione, col rischio però di vedere la sua opera compresa solo dai dotti di tutte le regioni italiane, ma naturalmente ignorata dal popolo. Occorreva perciò una lingua che fosse nello stesso tempo moderna ed unitaria: per essere moderna, occorreva che fosse una lingua parlata, per essere unitaria occorreva scegliere e avere come modello una particolare lingua parlata. Per il Manzoni la lingua unitaria degli Italiani doveva essere il fiorentino, ma non quello scritto della tradizione letteraria, caro ai puristi, ma quello parlato dalle persone colte di Firenze, nei bisogni della vita pratica.
Si trattava di una rivoluzione vera e propria, perché la teoria manzoniana abbatteva finalmente lo steccato che da secoli si era alzato in Italia tra la lingua dei letterati e quella del popolo, e, uniformandosi ai postulati del romanticismo, diffondeva l’uso di una lingua semplice, chiara, spontanea, popolare.
Anche il contesto storico dei Promessi sposi allude ai temi patriottici già evidenziati nelle tragedie e nelle odi. Fortissimo è l’amor di patria e la denuncia sociale in un opera di alto impegno civile e d etico di un autore che, pur permeato dal pessimismo storico, si rifugia in una Fede profondissima.
Il Male domina la Storia, ad esso si può contrapporre quel po’ di Bene che possiamo, se riponiamo fiducia in Dio e nella Provvidenza, che guida dall’alto la vicenda umana garantendo un lieto fine al romanzo.
Inoltre, nel clima di dominazione austriaca a Milano, la libertà di parola e di espressione erano fortemente limitate e la scelta del Manzoni di scrivere un romanzo di argomento storico ambientato in Lombardia era molto rischiosa poiché gli austriaci avrebbero potuto accusarlo di patriottismo: da qui nasce l’idea del Manzoni di comporre un’Introduzione al romanzo, nella quale escogita l’espediente letterario di ambientare il romanzo storico nel 1600, a Milano, sotto la dominazione spagnola, fingendo di aver ritrovato un manoscritto di un autore anonimo come fonte per la composizione del racconto. In questo modo, da una parte gli austriaci non avrebbero potuto accusarlo di patriottismo; dall’altra, i lettori del romanzo, attraverso l’allusione alla dominazione spagnola del 1600, avrebbero potuto trovare argomenti utili per comprendere anche la situazione politica contemporanea, cioè relativa all’occupazione austriaca di inizio 1800.
Ricapitolando i principi della patria attraverso l’elenco del verso di Marzo 1821:
l’arme: un esercito unito che possa morire per la patria;
lingua: lingua unitaria delle persone colte di Firenze usata nei bisogni pratici;
altare: la religione, Dio e la Provvidenza divina;
memoria: conoscenza della storia per un progetto di vita comune;
sangue: appartenenza ad un unico popolo di origine comune
cor: passione e amore di tutti per il bene di tutti
Fonte: http://www.atuttascuola.it/collaborazione/megna/files/manzoni%20e%20la%20patria.doc
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