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La vita di Alessandro Manzoni
1. La formazione
Alessandro Manzoni nacque a Milano il 7 marzo 1785 da Giulia Beccaria, figlia del celebre economista e filosofo del diritto, Cesare Beccaria, e fu riconosciuto come figlio legittimo dal conte Pietro Manzoni. Quasi certamente era invece figlio naturale di Giovanni Verri, fratello di Pietro Verri, intellettuale di punta dell'illuminismo lombardo. La sua infanzia fu segnata dal distacco dalla madre, che nel 1792 si separò dal marito e si stabilì a Parigi col conte Carlo Imbonati. Dall'età di sei anni, il giovane Alessandro crebbe presso il collegio dei padri Somaschi poi presso i Barnabiti, fino al 1801.
Le suggestioni libertarie e razionalistiche ricevute dalla famiglia materna maturarono rapidamente in senso giacobino, anche per reazione contro il carattere angustamente tradizionalistico dell'educazione impartitagli in collegio.
Quello che sarebbe diventato il maggiore scrittore cattolico italiano dell' '800 a 16 anni, nel poemetto Del trionfo della libertà, raffigurava l'allegoria della Tirannide abbracciata a quella della Religione per far guerra alla Libertà.
La formazione politica continuò poi, unita ad un crescente interesse per la poesia, negli anni tra il 1801 e il 1805, negli ambienti più colti di Milano.
In quegli anni Manzoni conobbe Francesco Lomonaco e Vincenzo Cuoco, i due patrioti napoletani esuli a Milano dopo il fallimento della rivoluzione del 1799.
Attraverso Cuoco, Manzoni superò l'iniziale giacobinismo avvicinandosi a posizioni moderate; venne avviato alla lettura di Vico, di Gravina e di Machiavelli; iniziò a coltivare l'interesse per la storia e a confrontarsi con il problema dell'unità nazionale.
Nel 1805, Manzoni raggiunse la madre a Parigi: il desiderio del ricongiungimento, reso acuto dalla lunga separazione, e la morte di Carlo Imbonati saldarono il legame affettivo tra madre e figlio, i quali non si separarono più fino alla morte di lei. Le amicizie parigine di Giulia Beccaria furono fondamentali per la formazione intellettuale del ventenne Manzoni. Tramite la madre, fu introdotto nel salotto di Sophie de Condorcet, allora legata al grande erudito Claude Fauriel, con il quale strinse una profonda amicizia, mantenuta anche dopo il ritorno in Italia attraverso una fitta corrispondenza. Nel medesimo ambiente conobbe il gruppo di intellettuali aristocratici (Cabanis, Garat, Destutt de Tracy) che, con termine spregiativo, venivano chiamati "Idéologues". Tramite gli "Idéologues", Manzoni lesse gli illuministi francesi e maturò la riflessione sui concetti di libertà, uguaglianza e giustizia sociale, superando la prospettiva nazionalistica ereditata da Vico e da Cuoco.
Del 1805 è il carme In morte di Carlo Imbonati, che traccia un ritratto di paternità ideale nella figura del conte, presentato come "giusto solitario", sdegnato contro la corruzione del mondo. Al periodo parigino risale la composizione del poemetto mitologico Urania (1809) e dei versi sciolti A Parteneide (1809-10), che costituiscono le ultime prove di ispirazione neoclassica. Nella conversazione con Fauriel, infatti, Manzoni aveva progressivamente maturato il distacco dalla poetica del neoclassicismo, per accostarsi alla poesia popolare e alle problematiche della rappresentazione artistica del "vero storico".
2. Il matrimonio. La conversione.
Nel 1808, Manzoni sposò la calvinista Enrichetta Blondel, appartenente ad una famiglia della ricca borghesia ginevrina. Negli anni seguenti, la moglie si avvicinò al cattolicesimo seguendo la guida spirituale dell'abate Eustachio Degola e del vescovo Luigi Tosi, entrambi sensibili al rigore morale del giansenismo. L'esperienza religiosa della moglie e la conoscenza dei due ecclesiastici contribuì ad approfondire la meditazione sui temi teologici che da qualche tempo Manzoni andava conducendo. Quando, nel 1810, la Blondel aderì ufficialmente al cattolicesimo e volle regolarizzare il matrimonio secondo il rito romano, anche il marito era ormai giunto ad un definitivo ritorno alla fede cattolica.
Le opere degli anni immediatamente successivi al ritorno a Milano (1810) sono incentrate sulla celebrazione della fede ritrovata; documentano il mutamento gli Inni Sacri, il primo dei quali, la Risurrezione, risale al 1812, e l'opera apologetica (cioè di difesa della religione) Osservazioni sulla morale cattolica (1819). Nella stessa epoca Manzoni si dedicò alla lettura del teatro di Shakespeare e delle opere dei romantici tedeschi e francesi (Schlegel, Goethe Lessing, Schiller e madame de Stael), e frequentò il gruppo di intellettuali milanesi che dava vita in quegli anni al Conciliatore. Tali influenze lo spinsero a rivolgere il proprio interesse alla tragedia e a superare il giudizio di immoralità pronunciato sugli spettacoli teatrali dai suoi grandi maestri, Nicole e Bossuet. Risultato di questa evoluzione, furono le due tragedie, Il Conte di Carmagnola (1816-19) e l'Adelchi (1820-22), in cui le tematiche religiose si congiungono agli interessi storici e civili. Alla stessa attenzione per la storia, intesa anche come luogo in cui agisce in modo misterioso ma reale la mano di Dio, sono ispirate le odi Marzo 1821, inneggiante ai moti antiaustriaci, e Il cinque maggio, dedicata alla morte di Napoleone. Entrambe sono del 1821, scritte nell'immediata attualità dei fatti. Del '22 è la redazione definitiva dell'ultimo degli Inni sacri, La Pentecoste, che chiude idealmente il periodo dell'intensa produzione lirica.
3. Gli anni del romanzo.
Pur mantenendo il riserbo che gli era proprio, Manzoni prese posizione in merito alle questioni sulle quali era più acceso il dibattito tra classicisti e romantici, nella lettera al marchese Cesare d'Azeglio (1823), pubblicata poi, all'insaputa dell'autore, nel 1848 col titolo di Lettera sul Romanticismo. Ma di interesse forse ancora maggiore è la corrispondenza che lo scrittore intrattiene con alcuni letterati francesi, quali Fauriel, Guizot e Chauvet. A quest'ultimo, che aveva criticato le idee sulla tragedia esposte e attuate nel Carmagnola, Manzoni rispose con la Lettre a M.C*** (monsieur Chauvet) sur l'unitè de temps et de lieu dans la tragdie. Lo scambio di idee con gli amici d'oltralpe testimonia, dunque, l'intensità della riflessione teorica di Manzoni sul problema del rapporto tra realtà e letteratura, tra vero storico e vero poetico.
Ugualmente, la sua attività di scrittore è impegnata nella stessa direzione: l'intenso lavoro di documentazione storica condotto in preparazione dell'Adelchi portò alla pubblicazione, nel '22, del saggio Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica; tra il '21 e il '23 venne ultimato il romanzo Fermo e Lucia, concepito sul modello delle narrazioni a sfondo storico di Walter Scott. Ampiamente rielaborato nella struttura narrativa e nella lingua, il romanzo venne stampato nel 1827 con il titolo I Promessi Sposi; ulteriormente rivisto nelle scelte linguistiche, fu pubblicato a dispense, a spese dell'autore, nella versione definitiva, tra il 1840 e il '42. In appendice a questa edizione dei Promessi Sposi, appare come opera autonoma a carattere storiografico la Storia della colonna infame, rielaborazione di un originario capitolo del Fermo e Lucia. La ricostruzione della vicenda della Colonna infame (la storia di un processo svoltosi realmente a Milano all'epoca della peste) al di fuori del contesto romanzesco testimonia l'evoluzione del pensiero di Manzoni sul romanzo storico. In quegli stessi anni, infatti, egli si andava sempre più persuadendo della inconciliabilità tra "vero storico" e "vero poetico": nel saggio Del romanzo storico e, in genere, de'componimenti misti di storia e d'invenzione, concepito attorno al 1828 ma pubblicato solo nel '50, il romanzo storico viene rigettato perché viene sottoposta a critica la possibilità di fondere in maniera verosimile la storia documentata e la creazione poetica.
Il periodo così intensamente dedicato alla revisione dell'opera maggiore e alla riflessione teorica sul romanzo fu turbato da una lunga serie di lutti familiari e dall'accentuarsi di disturbi nervosi. L'amatissima moglie Enrichetta Blondel morì il 25 dicembre 1833. In sua memoria il poeta tentò di scrivere dei versi ai quali non riuscì a dare forma compiuta, intitolati Il Natale del 1833. Essi rivelano con una potenza scabra, forse insolita nello stile manzoniano, il carattere inquieto e sofferto della fede religiosa dell'autore, mai usata come comodo rimedio antidolorifico. Anche sette dei dieci figli nati da Enrichetta morirono precocemente in quegli anni. Nel 1837 lo scrittore si risposò con Teresa Borri, vedova del conte Stampa.
4. La saggistica, la celebrità, la vecchiaia.
Dopo il 1840, Manzoni si dedicò a studi storici e soprattutto linguistici: tra il 1830 e il '35 aveva iniziato la stesura del trattato "Della lingua italiana"che rielaborò in cinque redazioni diverse fino al 1859; la lettera a G. Carena Sulla lingua italiana è '45; numerosi altri interventi di argomento linguistico comparvero nel corso degli anni '60, tra cui la relazione al ministro per la pubblica istruzione Dell'unità della lingua e dei mezzi per diffonderla.
Furono pubblicati postumi il trattato di osservazioni linguistiche Sentir messa e il saggio storico La rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859.
Frattanto, l'autore dei Promessi Sposi era divenuto ormai celebre; la borghesia liberale e moderata che guidava il Risorgimento italiano vedeva in lui la figura che meglio aveva espresso i valori familiari, patriotici, religiosi e civili che essa propugnava. Nel 1860 Manzoni venne nominato senatore del Regno d'Italia ed onorò la nomina con coraggiose prese di posizione poco gradite ai settori più reazionari della vita politica; nel 1872 ricevette la cittadinanza onoraria di Roma, divenuta ormai capitale d'Italia.
Morì nel 1873; per celebrarne la memoria Giuseppe Verdi scrisse la Messa da Requiem che fu eseguita nel primo anniversario della morte dello scrittore.
Fonte: https://quattrosecoli.files.wordpress.com/2012/07/manzoni-la-vita.doc
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