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L’inquieta religiosità di Manzoni
La conversione di Manzoni non fu l’effetto di un’illuminazione fulminante, di una mutazione improvvisa e assoluta di prospettive intellettuali e culturali:
fu piuttosto il punto d’arrivo di una ricerca, che mirava a un valore unitario e universale, al di là del culto della «virtù » individuale e delle delusioni causate d razionalismo illuministico e dalle recenti tempeste storiche. L’approdo al cattolicesimo significò per lui l’abbandono di un’idea di giustizia aristocratica e solitaria e la riscoperta di una giustizia sottratta alla mutevolezza della storia, di una verità radicata nella tradizione e nella realtà collettiva del «popolo», poggiante su un’istituzione (la Chiesa) che aveva mantenuto nel tempo una sostanziale continuità del messaggio cristiano.
Il Manzoni cattolico non rinuncia alle radici illuministiche della sua formazione: la sua adesione alla fede e ai dogmi non vuol essere una passionale immersione nell’irrazionalitì, né (come invece avviene per tanto cattolicesimo romantico) una negazione delle forme della civiltà moderna; vuole invece — addirittura come inveramento supremo della ragione illuministica, come raggiungimento di una razionalità più alta e universale, che non esclude un confronto con le forme laiche della modernità e sa interrogarsi sui limiti, gli errrori, le colpe dei rappresentanti della Chiesa nel passato e nel presente.
Si tratta di un cattolicesimo convinto, fervido, vissuto non come qualcosa di immobile, come tranquilla rinuncia a ogni ricerca, ma, al contrario, come inquieta spinta problematica, che porta a continue contraddizioni, a domande tormentose sul rapporto, che aveva già suscitato l’attenzione del giovane Manzoni, tra essere e dover essere: i principi basilari del Cristianesimo presentano il
«dover essere», il modello di comportamento giusto, ma sono costretti a confrontarsi con le forme concrete, sociali e storiche, dell’ «essere»; con la frammentazione della realtà, delle istituzioni e dei rapporti tra gli uomini. Manzoni rifiuta i facili compromessi, le consolatorie mediazioni tra «essere » e « dover essere»: in ciò egli si collega al rigorismo dei giansenisti con i quali ebbe molti contatti negli anni francesi (fondamentali furono per lui le letture dei classici del giansenismo francese, in primo luogo di Pascal) - Tuttavia, egli non si limita a contemplare questo insuperabile conflitto tra esigenza morale e realtà del mondo umano: si sforza invece con ostinazione di rappresentarne e illuminarne le forme, tanto che in poco più di dieci anni ( il suo momento più intensamente creativo si colloca tra il 1815 eil ‘25) prova diverse soluzioni letterarie, a cui segue l’abbandono della stessa letteratura.
A questa tensione, caratteristica di tutta l’opera manzoniana, si adatta molto bene la celebre formula del De Sanctis, che vide in essa una ricerca rivolta a far vivere l’ideale cristiano nella realtà e nella storia, l’«ideale calato nel reale»; ma per il cattolico Manzoni l’integrazione tra questi non si dà mai effettivamente nel mondo terreno: lo scrittore cristiano continua a cercarla, ma sa che essa può realizzarsi solo nel regno di Dio, e in questa sua coscienza acquista la capacità di seguire i conflitti, le contraddizioni, le insufficienze presenti in tutti i tentativi umani di commisurare ideale e realtà.
Dalla religione di Manzoni scaturisce insomma una ricerca rigorosa e coerente, tesa a scoprire tutti i comportamenti provvisori e compromissori che gli uomini assumono in campo morale e sociale; ma essa nasconde tensioni sotterranee, un fondo personale sfuggente e segreto, un insieme di resistenze e di difese, di censure verso ambiti dell’esperienza che sembrano sfuggire alla sua ansia di rigore e di universalità: la religione di Manzoni si pone così anche come una strenua difesa contro gli aspetti distruttivi della stessa personalità dell’autore, che solo talvolta traspaiono, in modi scolvolgenti, nelle sue scritture, na che emergevano pericolosamente nelle angosce nevrotiche della sua vita quotidiana. L’inquieta coerenza della sua ricerca si scontra anche con una segreta vocazione al silenzio, all’annullamento della propria figura di scrittore: nel suo sostanziale abbandono della letteratura, dopo lo sforzo supremo dei Promessi Sposi, si può constatare l’esito necessario delle contraddizioni in cui egli, già da tempo, vedeva invilupparsi la scrittura letteraria, il finale trionfo di quella carica negativa che era in agguato dentro la sua esperienza.
Nella sua problematicità ostinata e spesso puntigliosa, la figura di Manzoni appare civilmente comunicativa e nello stesso tempo chiusa in se stessa, elusiva: essa si svela e si cela, appoggiandosi sulla litote, che dice e non dice, e sull’ironia, che aggredisce nascondendosi e difendendosi contro le sproporzioni della realtà. In questo essa anticipa molti caratteri della cultura cattolica moderna, anche del nostro secolo, impegnata in un continuo confronto con le forme della cultura laica, in modi non dogmatici, fra tortuose interrogazioni, dubbi e inquiete certezze.
Di questa problematicità, che è anche un’inchiesta continua sulle forme e sui progetti letterari, è testimonianza affascinante l’ampio epistolario, dove in tono di signorile distacco, che respinge ogni dato sentimentale, ogni compiacimento autobiografico, spesso quasi minimizzando o svalutando le proprie scelte, Manzoni svolge una varia riflessione su tutta la propria esperienza. Importantissima in questo senso, anche per capire molti aspetti della poetica manzoniana, è la lunga corrispondenza col Fauriel, tra il 1806 e il 1844.
(Giulio Ferroni Storia della Letteratura Italiana. Dall’Ottocento al Novecento Einaudi Scuola 1991)
Fonte: http://www.geocities.ws/floria1405/ferroni
Sito web da visitare: http://www.geocities.ws
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