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TEMA SUI PROMESSI SPOSI / Fin dalle prime pagine del romanzo si ha la certezza che l’argomento non sarà sentimentale, nonostante il titolo; anzi, si finisce per interpretare il titolo proprio come volontà di attirare l’attenzione sul crimine (serie di crimini, piuttosto) che impedisce il matrimonio e non certo sui palpiti dei due fidanzati. Sulla base della lettura dei capitoli affrontati in classe, analizza il complesso tema della giustizia nei Promessi Sposi, considerandone tutti gli aspetti storici, politici, etici e religiosi e portando dei passi a sostegno delle tue affermazioni.
Svolgimento di Lorenzo Bressan Evangelisti, II O, a.s. 2010/2011
[Introduzione con riflessione sul vocabolo in questione] Che cos’è la giustizia? Nel corso del tempo l’uomo si è dato un’organizzazione sociale complessa, controllata da leggi etiche, politiche, religiose…, e di conseguenza ha sempre avuto l’esigenza di punire i trasgressori. La “giustizia”, tuttavia, nei tempi antichi, tanto nel Medioevo, quanto nel Seicento, quanto ai tempi di Manzoni, è sempre stata un concetto molto astratto: in una società di tipo rigorosamente verticale, infatti, è pressoché impossibile raggiungere quell’equità di giudizio tanto agognata. Prerequisito di una giustizia equa è infatti un certo tipo di società, “orizzontale” appunto, dove tutti sono uguali davanti alla legge.
[Svolgimento/1. Inquadramento generale] Nel romanzo storico I promessi sposi di Alessandro Manzoni la giustizia è una questione preponderante durante tutto lo svolgimento della vicenda. Prima di analizzare com’è trattato questo spinosissimo tema è necessario, però, inserire l’opera nella linea del tempo e dello spazio.
Manzoni ambienta il proprio capolavoro nel XVII secolo, nei pressi della città di Lecco. Degna di analisi approfondita è la scelta di collocare il racconto nel Seicento. Manzoni, infatti, conferisce diversi fini al suo romanzo. Collegato al tema della giustizia, è quello di fare un paragone tra l’Italia del Seicento e quella dell’Ottocento. In entrambe le epoche, infatti, l’Italia sta passivamente subendo una dominazione straniera (nell’Ottocento gli Austriaci, nel Seicento gli Spagnoli) e regna ovunque incontrastata la società verticale. Se nel Seicento, come illustrato nel romanzo, i privilegi erano di pochi e non tutti erano uguali davanti alla giustizia, Manzoni dice indirettamente che ai suoi tempi tale situazione non è affatto cambiata. Serve quindi dare una svolta alla società italiana, rimasta ferma culturalmente ed economicamente a due secoli prima, nonostante nel frattempo siano fiorite grandi correnti innovative di pensiero quali l’Illuminismo e il Romanticismo e sia avvenuta l’industrializzazione massiccia di molti paesi europei. Oltre al tentativo di evitare la censura austriaca, l’ambientazione nel Seicento è motivata quindi anche dalla volontà di Manzoni di istituire un paragone tra le due società
Ma Manzoni vuole dare un efficace e credibile sfondo storico alla sua opera e lo fa utilizzando la tecnica del vero storico e del vero morale. Egli propone un racconto verosimile, con figure possibili (figure comuni, non eroi o condottieri che hanno fatto la storia) e ben collocabili all’interno della società cittadina seicentesca. Intorno a tutto ciò vi è il vero storico, ovvero quella cornice di fatti realmente accaduti e personaggi veramente esistiti che, conciliati con il vero morale, contribuiscono a dare un alone di realismo alla vicenda narrata. Un esempio del vero storico è rintracciabile facilmente fin dal primo capitolo: l’autore, mediante una digressione, illustra al lettore alcune “grida” dell’epoca. Grazie a queste comprendiamo che ci troviamo davanti a una società fortemente gerarchica, controllata a proprio piacimento da pochi potenti. Essi hanno il pieno controllo sulla giustizia e la totale protezione delle autorità. Le grida del primo capitolo sono cariche di pathos e forza espressiva, ma alla fine dei conti non vengono applicate. Ci troviamo insomma davanti a una “giustizia di facciata”: formalmente è applicata, ma nella realtà dei fatti ai potenti è lasciato il controllo totale sulla società. Mediante l’uso di un’impunita violenza gli oppressori schiacciano gli oppressi.
[Svolgimento/2. Disanima del tema a partire dall’inizio del romanzo] L’episodio che dà il via alle peripezie del romanzo, ovvero l’incontro tra don Abbondio e i bravi nel capitolo I, è un chiaro esempio di ciò: don Rodrigo, un signorotto locale, decide per un proprio vezzo di impedire il matrimonio tra due giovani del posto, Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, senza minimamente pensare alle possibili conseguenze per le vittime. Nell’ideologia manzoniana spicca il concetto di “pessimismo storico”. Partendo dal presupposto che la storia è violenza, vi sono solo due possibilità: essere oppressori oppure oppressi e l’unica possibilità per uscire da questo circolo vizioso in maniera pulita è conservarsi innocenti. Tale pessimismo emerge più volte nel corso dell’opera. L’esempio più lampante è l’assenza di un vero e proprio lieto fine: i “buoni” non trionfano, i “cattivi” non sono annientati, ma o si convertono – come nel caso dell’Innominato – o ricevono il perdono delle loro vittime – come nel caso di don Rodrigo. Ci troviamo davanti a quello che il critico bolognese Ezio Raimondi ha definito un “romanzo senza idillio”: se nella realtà è inverosimile un totale lieto fine, il lettore non può considerare verosimile un romanzo in cui alla fine domini un totale trionfo dei “buoni”. Gli alteratori della società sono, quindi, gli oppressori, i potenti, e tutti coloro che a questi ultimi si piegano senza lottare. Don Abbondio è un perfetto esempio di oppresso che, per paura, si pone di fatto dalla parte degli oppressori, piegandosi al loro volere, e così facendo diventa a sua volta oppressore nei confronti di Renzo e Lucia, contribuendo a perpetuare una catena infinita di violenza e soprusi.
Il tema della giustizia è rintracciabile più volte all’interno del romanzo e ogni volta viene sempre più approfondito. Nel capitolo III è degno di analisi il grottesco incontro tra Renzo e il dottor Azzecca-garbugli. Questi si dimostra affabile e disponibile finché crede che Renzo sia un bravo in cerca di difesa, per poi cacciarlo in malo modo non appena scopre che il giovane è in realtà un umile, bisognoso di giustizia. Questa situazione paradossale fa molto riflettere: colui che dovrebbe difendere gli oppressi è in realtà il primo degli oppressori, poiché toglie a Renzo l’unica arma che un popolano del suo stampo avrebbe potuto avere contro un potente, ovvero il supporto della legge. Ciò è simbolo lampante di una società rovesciata, che accentua solo le differenze e le ingiustizie.
Un altro esempio di “società rovesciata” è rintracciabile nell’intero capitolo VI, in occasione della visita di fra Cristoforo al palazzotto di don Rodrigo. Ciò che salta subito all’occhio è il contrasto tra il fasto dell’abitazione di don Rodrigo e la desolazione dell’area circostante. Un accostamento simbolico che pone davanti al lettore un esempio evidente del divario tra ricchezza e povertà, oppressori e oppressi. Se all’esterno di un palazzo ricco e fastoso un povero villaggio di contadini è lasciato a morire per gli effetti della carestia, allora l’errore sta alla base della società. La situazione è paradossale: gli umili sono infatti il carburante per far funzionare la macchina della società dei ricchi; senza gli umili non c’è fondamento, eppure proprio costoro sono sempre tartassati. Ma proprio quando il lettore pensa di aver visto il culmine del male, si presenta l’immagine più rappresentativa dell’ingiustizia. Se fosse necessario condensare in una sola scena il tema della giustizia nei Promessi sposi, infatti, essa sarebbe sicuramente la cena al palazzo di don Rodrigo. Al suo tavolo, ricco di fastosità e di lusso, sono seduti insieme al padrone di casa il dottor Azzecca-garbugli, il podestà e il conte Attilio. Com’è possibile che esista giustizia, se il potere politico, il potere legale e il potere militare cenano allo stesso desco? Questa è la raffigurazione, a mio avviso, più carica di significato dell’intero romanzo. Chi dovrebbe stare dalla parte del popolo oppresso è invece ospite di chi crea il male in quella società che Manzoni spera di riformare dalle fondamenta. Il banchetto di don Rodrigo è quindi una potente rappresentazione simbolica della società rovesciata del tempo.
[Svolgimento/3. Dalla giustizia umana a quella divina] E a questo punto una domanda sorge spontanea al lettore: c’è davvero una speranza, una ragione per cui lottare per i propri diritti, se essi sono calpestati proprio da coloro che sarebbero tenuti a difenderli? Per rispondere a questa domanda è necessario introdurre un argomento molto importante nei Promessi sposi: la Provvidenza. Se nella vita terrena la giustizia è nelle mani dei potenti ed è quindi di fatto “ingiusta”, è nella vita ultraterrena che ognuno avrà ciò che si è meritato con le sue azioni terrene. Emerge così un’altra contrapposizione: tra “ingiustizia in terra” e “giustizia in cielo”. Davanti a Dio tutti sono identici e sarà in quel momento che il potente, l’umile, l’ingiusto e il retto riceveranno un giudizio equo e definitivo. La speranza degli oppressi è quindi la Provvidenza: la morte è infatti l’unico momento in cui tutti gli uomini sono posti allo stesso livello e come tali vengono giudicati. La Provvidenza agisce sulla terra mediante alcuni intermediari che fanno sentire la sua presenza viva e attiva. Un esempio molto celebre è la famosa frase di fra Cristoforo a don Rodrigo: «verrà un giorno…» In quel momento il frate si fa, magari anche inconsapevolmente, portatore della Provvidenza e la carica ermetica di quelle tre parole scatena in don Rodrigo una tempesta emotiva. La voce della Provvidenza ha infatti un effetto maggiore su chi, come nel caso di don Rodrigo, ha la coscienza sporca e sa che un giorno potrebbe essere chiamato a pagare per le sue malefatte. Lucia, promessa sposa di Renzo, è di fatto la massima portatrice di Provvidenza all’interno del romanzo. Essa è un personaggio atipico: i suoi discorsi, nonostante sia un’umile popolana brianzola, sono brevi e reticenti, ma carichi di effetti miracolosi su chi ascolta e a volte persino letterari (si pensi all’“addio ai monti” che chiude l’VIII capitolo). Per comprendere i suoi effetti salvifici è sufficiente leggere l’episodio in cui, nel capitolo secondo, evita l’omicidio di don Rodrigo ancor prima di entrare in scena. Renzo, infatti, cancella dalla sua mente qualsiasi pensiero omicida al solo palesarsi dell’immagine quasi angelica (già il nome Lucia, contenente la radice “luce”, le conferisce una carica diversa da quella degli altri personaggi) dell’amata.
[Conclusione con allargamento alla questione etica] Dopo aver analizzato la giustizia delle leggi umane e quella della Provvidenza divina, è possibile menzionare quella giustizia che viene da dentro di noi: la giustizia morale, quella cioè che ci differenzia dalle bestie e che ha elevato, nel corso del tempo, l’uomo al vertice dell’ordine del mondo. All’interno dei Promessi sposi la giustizia come pulsione etica caratterizza molti personaggi, dall’umile fiducia di Agnese nell’avvocato Azzecca-garbugli alla sostanziale incapacità di Renzo di commettere il male, fino alla dedizione di uomini come fra Cristoforo. E’ ben evidente la concezione che Manzoni ha della coscienza: il mondo terreno è regolato da una serie di leggi, la sfera ultraterrena dalla Provvidenza, ma ciò che ci differenzia è la capacità di guardare dentro di noi e valutare ciò che è bene, perché alla fine tutti saranno identici, dal diseredato al re, e ognuno sarà giudicato per ciò che ha fatto. Il sentimento e l’idea di giustizia vanno quindi oltre la concezione terrena del diritto positivo. Sono la Provvidenza e la coscienza a decidere ciò che è veramente giusto e sbagliato. (L.B.E.)
Giudizio: Conclusione degna del filosofo illuminista Immanuel Kant - mi verrebbe da dire - che termina la sua Critica della ragion pratica (cioè della morale) con la seguente frase: «Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza.» Altro, su questo compito, non ho da dire. (Vezzali)
Fonte: http://www.liceogalvani.it/download_file.php?id=9331
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