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Analisi di alcune poesie di Giovanni Pascoli
Temporale
Coincidenza di sensazione e di soggettività
Questa poesia è costituita esclusivamente di immagini, le quali non vengono disposte secondo una gerarchia né rivestite di un significato esplicito. Vi è una quasi totale assenza di verbi (l’unico - Rosseggia - ha soltanto la funzione di rappresentare un colore), cosicché le sei proposizioni che si succedono (senza nessun elemento grammaticale che le coordini) restano slegate e come sospese. Tuttavia le immagini sono implicitamente caricate della soggettività che le registra e le esprime, come dimostra la tendenza metaforica che le accompagna, cioè la tendenza a essere accostate e fuse ad altre immagini che non appartengono alla realtà oggettiva della rappresentazione, ma alla reazione soggettiva dell’io lirico: come affocato, nero di pece, stracci di nubi chiare, un casolare: un’ala di gabbiano.
L’assiuolo
Simbolismo naturale e simbolismo culturale
All’inizio della poesia compare il consueto pulviscolo di sensazioni suggerite da una notte lunare. esse sono disposte in modo paratattico, senza alcuna gerarchia interna. Però. a poco a poco, il paesaggio rivela il suo segreto simbolico, cui allude il canto dell’assiuolo, che da semplice voce dei campi diventa dapprima un singulto e infine un pianto di morte. Anche il tintinnio delle cavallette sembra il suono di un campanello alle porte invisibili della morte. La stessa onomatopea che chiude ogni strofa (chiu) non è semplicemente l’imitazione realistica del verso di un uccello notturno, ma assume un valore misterioso e allusivo: anche in questo modo si determina il passaggio dalla sensazione impressionistica (il suono naturale reso onomatopeicamente, come di frequente in Pascoli) alla simbolizzazione.
Oltre che attraverso i particolari naturali, il simbolismo si esprime qui anche per mezzo della terminologia adoperata dal poeta. essa contiene in sé un’aggiunta di senso (o senso ulteriore) rispetto a quello immediato. Per esempio, i sistri (al suono dei quali è accostato per analogia quello delle cavallette) sono un antico strumento musicale egizio, impiegato nel culto di Iside, che prometteva la resurrezione dopo la morte. Il simbolismo naturale è in tal modo doppiato da quello culturale. Grazie ai sistri, le porte invisibili della morte potrebbero essere anche quelle della sopravvivenza dopo di essa; ma poiché tale sopravvivenza è ormai pensata come impossibile, allora le invisibili porte ... non s’aprono più.
Novembre
Il valore simbolico del dato naturale
Anche in questa poesia si riscontra la consueta valorizzazione simbolica del paesaggio naturale. Alla contrapposizione, presentata nel paesaggio, tra primavera (apparente) e autunno (reale), oppure tra estate e autunno, si sovrappone la contrapposizione vita-morte: all’apparente rinascita della vita corrisponde in realtà la morte incombente. Questa corrispondenza non appartiene al dato naturale in se stesso, ma scaturisce appunto dalla sua simbolizzazione. L’idea della morte si impone attraverso una serie di allusioni simboliche: il terreno risuona sotto i piedi così da apparire cavo, suggerendo dunque la sensazione del vuoto e del mondo sotterrraneo, dove stanno i morti; il cadere delle foglie è definito fragile, aggettivo che invita il lettore a passare dall’oggettività alla soggettività, dalla caducità delle cose a quella degli uomini. In tal modo il riferimento esplicito alla morte nella conclusione del testo risulta una logica conseguenza di ciò che precede, anche se resiste l’ambiguità della condizione naturale (ed esistenziale) negli ossimori estate fredda, e estate dei morti.
Analisi desunte dall’antologia La scrittura e l’interpretazione, di Romano Luperini, Pietro Cataldi e Lidia Marchiani, ed Palumbo, 1997
Pioggia
Analisi di uno studente
Cantava al buio d'aia in aia il gallo.
E gracidò nel bosco la cornacchia:
il sole si mostrava a finestrelle.
Il sol d'oro, la nebbia della macchia,
poi si nascose; e piovve a catinelle.
Poi fra il cantare delle raganelle
guizzò sui campi un raggio lungo e giallo.
Stupìano i rondinotti dell'estate
di quel sottile scendere di spille:
era un brusio con languide sorsate
e chiazze larghe e picchi a mille a mille;
poi singhiozzi, e gocciar rado di stille:
di stille d'oro in coppe di cristallo.
La poesia segue uno schema metrico regolare: A-B-C-B-C-C-A-D-E-D-E-E-A e i versi sono tutti endecasillabi.
Questa metrica e la costante lunghezza dei versi conferiscono alla poesia un ritmo costante e quasi ipnotico nel narrare una realtà quotidiana che diventa “atemporale”.
La cadenza è lenta e costante come il battere di un metronomo che segue un proprio tempo; il soggetto di questa poesia è umile, colto con un apparente realismo e assume una dimensione evocativa, basata sulla suggestione di immagine rese senza tempo. Da notare ancora il ripetersi all’inizio, alla fine e all’esatta metà del componimento di versi in rima tra loro, come un richiamo costante, come se vi fosse un secondo metronomo che, ad un tempo dimezzato, suona in sovrapposizione al primo rievocando quella rima in “–allo” come un suono proveniente dal passato.
Contribuisce al ritmo della poesia anche il ripetersi della “ll” in modo costante alla fine dei versi A, C ed E: ciò provoca un breve arresto della lettura e un soffermarsi della lingua sul palato.
Tutto ciò crea un rallentamento del ritmo della poesia, ma è un rallentare costante che conferisce quell’ipnotismo a cui accennavo prima.
La poesia presenta anche ciò che viene chiamato fonosimbolismo, ovvero quella tecnica con cui, tramite le parole, vengono riprodotti suoni. Per esempio si nota un ruvido affastellarsi di “r” nei versi in cui compaiono la cornacchia e le raganelle, in particolare, sono presenti i suoni “gra”, “rna”, “ra” che evocano esattamente i versi della cornacchia e della raganella. Man mano che inizia a piovere cambiano i suoni della natura, ma anche le sonorità della poesia: diminuisce la quantità di “r” per verso, mentre aumentano le doppie ed i suoni “s” e “z” che richiamano il rumore della pioggia. Per esempio, prima della pioggia notiamo come parole con doppie lettere “gallo”, “finestrelle”, “macchia”, “cornacchia”; mentre invece in corrispondenza della pioggia notiamo “piovve”, “catinelle”, “delle”, “raganelle”, “guizzò”, “raggio”, “giallo”, “rondinotti”, “sottile”, “spille”, “chiazze”, “picchi”, “mille”, “singhiozzi”, “gocciar”, “stille”, “coppe”, “cristallo”.
Interessante ed evocativo è anche il gioco sonoro tra spille – mille – stille che crea una simpatica variazione sul tema agganciando i versi e suscitando sensazioni di una grande quantità di oggetti piccoli, affilati e lunghi come le gocce di pioggia.
La poesia inizia portando dati di fatto, descrizioni certe di una realtà quasi contadina (cantava al buio d’aia in aia il gallo), ricordo per Pascoli dell’infanzia. Tutte queste descrizioni sono comunque uditive (cantava […] il gallo, e gracidò […] la cornacchia), perciò reminescenze di un paradiso perduto a cui voltarsi ed in cui trovare il rifugio per sfuggire al mondo di oggi. Significati, questi, nascosti dietro una maschera di apparente e semplice realtà.
Le nuvole iniziano ad addensarsi passando sul sole e mostrandolo a finestrelle quasi fosse imprigionato, incarcerato.
Segue una sequenza veloce di tre azioni che descrivono lo sparire del sole, interpretabile in due modi. Il sole d’oro, ovvero la condizione in cui il sole è presente e splendente, la nebbia della macchia in cui coperto dalle nuvole il sole risulta una macchia che noi possiamo solo intuire e i suoi raggi illuminano quella che sembra una nebbia aleggiante intorno ad essa, poi si nascose ovvero sparisce, completamente coperto. Le prime due azioni sono in sequenza, separate da una virgola come a segnare la velocità di queste, quasi la loro contemporaneità. La terza azione, invece, è a capo in un altro verso, probabilmente per segnalarne l’importanza rispetto alle altre, per segnalarne anche il maggiore legame con l’inizio di quell’azione che è il piovere. Oppure si può interpretare come il sole che filtra semplicemente fra le chiome degli alberi, che per la maggioranza lo nascondono, facendolo diventare una macchia.
Rimane che Pascoli inserisce queste tre azioni in modo veloce, diretto, con poche parole e molto brevi, quasi a volerle sminuire della loro importanza, quasi a volerle far passare come cose ovvie le quali sembrano.
In realtà, e questa è un’altra caratteristica della poesia di Pascoli, si possono dare più interpretazioni allo sparire del sole: come un semplice fenomeno meteorologico, come un fenomeno psichico per esempio un cambio di sentimenti, come una transizione dell’anima, come il processo vita – morte.
Inizia la pioggia, spariscono il gallo e la cornacchia, ma spunta un ennesimo animale: la raganella che felice canta sotto la pioggia. È da notare come ogni animale abbia una connotazione precisa, non un nome generico (per esempio usa raganelle invece di rane).
Durante il periodo di pioggia, spunta all’improvviso un raggio di sole, che tra le nubi filtra illuminando la campagna bagnata, ma poi torna a scomparire dietro le nubi. È un momento molto felice di questa poesia che ci aiuta a sentire la pioggia come un bene che proprio “piove” dal cielo.
Segue un verso chiave nella poetica di Pascoli: stupìano i rondinotti dell’estate. Per Pascoli la poesia significa riacquistare, tramite la regressione, quell’attitudine stupita che hanno tutti i bambini nel guardare il mondo e le nuove meraviglie che scoprono. Questa regressione infantile serve a Pascoli come straniamento dal presente, per ritornare al passato dove era stato felice, a quei momenti gioiosi di bambino in cui scopriva il mondo in modo non razionale, a quegli istanti precedenti la scoperta del mondo reale, precedenti la crescita, la rivelazione del male e dell’uomo come animale negativo. Il mito dell’infanzia è proposto come santuario d’innocenza, appunto, di felicità, di difesa contro il male universale a cui l’uomo è impotente.
La poesia prosegue continuando a descrivere la pioggia e i suoi suoni naturali.
Era un brusio con languide sorsate si riferisce al rumore della pioggia sul terreno e di pioggia su altra pioggia che quasi sembra un brusio. Qui si tende a personificare la pioggia affidando un sostantivo riferito all’uomo al soggetto della poesia che non è umano. Languide sorsate evoca chiaramente in noi il ricordo dello scrosciare lento e sonnolento dei rigagnoli di pioggia attraverso i campi.
Nel verso successivo Pascoli descrive il cadere della pioggia su una pozza e di come vi si formino tantissimi piccoli picchi in corrispondenza della goccia appena caduta che solleva l’acqua della pozza.Il poeta gioca in modo sonoro con “mille” e “spille” generando una sensazione di qualcosa di fitto e sottile come un ago.
Dal penultimo verso la pioggia inizia a cessare e ancora si attribuisce ad essa un’azione tipica dei viventi: il singhiozzare. La pioggia, quindi, inizia a smettere e le gocce iniziano ad essere più rade nel loro cadere (ancora ritorna presente il gioco tra spille – mille – stille). Il sole esce e inizia ad illuminare le ultime gocce che cadono, rendendole simili a piccole meteore d’oro che scendono in quelle piccole polle che si sono formate fra l’erba e che Pascoli mirabilmente, secondo me, paragona a coppe di cristallo.
Fonte: https://quattrogenerazioni.files.wordpress.com/2011/09/pascoli-analisi-di-testi.doc
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Autore del testo: Buffagni Federico
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