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L. Pirandello nasce nel 1867 a Caos, un podere vicino ad Agrigento. La sua educazione letteraria ed esistenziale fu di tipo laico e positivista. Fu indirizzato dalla famiglia verso gli studi tecnici che lui però abbandonò per quelli letterari prima a Roma, poi a Bonn in Germania, dove nel 1891 si laureerà. Tornato a Roma (in quegli anni domina il D’Annunzianesimo) inizia a scrivere moltissimo: poesie, novelle, articoli, romanzi, opere teatrali, alla ricerca affannosa di denaro che non gli è mai sufficiente, ma soprattutto di un se stesso da imprigionare, chiarire definitivamente dentro una forma letteraria chiusa di un ‘opera.
Nel frattempo, Pirandello insegna sia a Magistero, sia dando lezioni private di tedesco, collabora a numerose riviste letterarie cercando di guadagnare più che può (era sopravvenuto un tracollo finanziario della famiglia a seguito dell’allagamento della miniera di zolfo in cui il padre aveva investito ogni avere, anche la dote della moglie dello scrittore; la moglie, inoltre, entrerà in uno stato di sofferenza mentale che la condurrà gradualmente alla follia e all’internamento in un manicomio).
Nel 1921 Pirandello, lascia l’insegnamento per dedicarsi completamente al teatro, dove le sue opere trionfano. Nel ’22 sale al potere Mussolini. I rapporti tra lo scrittore e il fascismo sono contraddittori: nel 1924 aderisce al partito, ma il regime si mostra sempre molto freddo nei suoi confronti. Il fascismo non amava lo scrittore per l’immagine sarcastica, distorta e grottesca del reale che Pirandello restituisce al suo pubblico; d’altra parte, la sua fama internazionale costringeva il regime a fregiarsene come un “grande figlio della Patria” e a riconoscerne il valore.
Nel 1934 Pirandello riceve il Nobel per la letteratura, a riconoscimento del suo contributo alla creazione del teatro del Novecento. Lo scrittore morirà di polmonite nella sua modestissima casa di Roma nel Dicembre del 1936.
Pirandello è uno scrittore dalla vastissima produzione teatrale e narrativa, fin dagli inizi inserito a pieno titolo nella crisi della ragione che, iniziata a fine Ottocento, si prolunga nel Novecento. Egli , di questo processo è uno dei massimi esponenti europei, sia per una personale ed intima visione dell’esistenza, sia per una chiara coscienza della crisi della propria epoca storica.
Tra il 1893 e il’95, scrive due romanzi e una raccolta di novelle. L’opera più rilevante è “L’esclusa” di impianto descrittivo naturalistico, ma in cui vi è una tematica del tutto nuova: quella della relatività dei punti di vista per la quale, nelle relazioni umane, il falso ed il vero si mescolano inestricabilmente.
Nel 1904 pubblica “Il fu Mattia Pascal” . In questo romanzo, P. abbandona completamente i canoni naturalistici e approfondisce la tematica della relatività dei punti di vista e della conseguente visione della vita come una recita di cui non si capisce il senso e nella quale è impossibile trovare una verità. L’opera segna anche un’importante novità narrativa: scompare la terza persona e al centro si pone l’Io del protagonista che narra la propria vicenda da un punto di vista relativistico. Viene così a mancare il tradizionale punto di vista oggettivo (tipico dell’Ottocento) e l’ordine degli eventi è dettato da un protagonista inattendibile perché lui stesso dichiara di non aver capito un granché della sua strana vicenda. Queste innovazioni verranno puntualizzate, in termini teorici nel saggio “L’umorismo” pubblicato nel 1908. Mentre nell’arte la riflessione si cela dietro il sentimento, nell’umorismo esse è in primo piano e scompone e analizza i sentimenti. Questo la distingue dal comico che porta a vedere il ridicolo in alcuni comportamenti contraddittori, per cui si ride e basta. Se invece questi comportamenti si analizzano e ci si chiede il perché di quei comportamenti, allora vi si trova qualcosa di serio e di drammatico ; si entra quindi nel “sentimento del contrario” : non si ride più, ma si prende atto di una sofferente disarmonia della vita. L’umorismo è proprio il sentimento del contrario, presente per la prima volta nel romanzo “I vecchi e i giovani” del 1909.
Il 1915 è l’anno della svolta verso il teatro che Pirandello scopre essere il genere più corrispondente alla sua poetica dell’umorismo; produrrà moltissimo, ma soprattutto rivoluzionerà il modo stesso di fare teatro. Il teatro dell’Ottocento è di stampo naturalistico, cioè la rappresentazione doveva obbedire al criterio della verosimiglianza.: Pirandello si accosta al teatro con un approccio del tutto nuovo: alla verosimiglianza del senso comune, sostituisce quella dell’umorismo che va ad indagare, dietro l’ordine e le belle apparenze, la bizzarria, la contraddittorietà, il caos e le incongruenze che dominano la vita.
Ne risulta una completa rivoluzione della tradizione:
Lo stavolgimento del comune senso del reale sottolinea il fatto che sono la menzogna e la finzione che regolano i rapporti umani e sociali.
OPERE TEATRALI dal 1916 al ‘22:
Con questo lavoro Pirandello raggiunge la notorietà e ha trovato definitivamente la sua poetica e la sua tematica che inizia a sondare in tutte le direzioni. Egli focalizza la sua riflessione sul tema della dissociazione dell’identità personale e della disgregazione dell’Io. Tra il 1921 e il’29 P. produrrà molti lavori che uniscono il tema della dissociazione dell’Io alla demistificazione del teatro come imitazione , trasformando la stessa rappresentazione in oggetto di rappresentazione. E’ il “teatro nel teatro”. Nelle commedie P. rappresenta il teatro stesso e i suoi problemi; trasporta lo spettatore tra le quinte del palcoscenico svelandogli la natura ingannevole delle finzioni teatrali; nello stesso tempo, tuttavia, la finzione teatrale, proprio in quanto tale, diventa una realistica rappresentazione della finzione dei ruoli e delle maschere che regola la vita sociale. Il pubblico è obbligato a collocarsi contemporaneamente in diversi punti di vista: è spettatore esterno alla rappresentazione, è condotto dietro il palcoscenico perché assiste alla preparazione della finzione scenica, è il palcoscenico perché gli attori vi scendono a recitare, è attore in quanto necessario alla finzione teatrale…Quindi per Pirandello tutto è recita e il teatro è il luogo in cui questa verità può essere svelata a tutti.
NOVELLE
OPERE TEATRALI dal 1924 al 1929
ROMANZI
LE ULTIME OPERE: la trilogia del MITO
Col termine mito in Pirandello si intende definire un certo abbandono dell’umorismo dolente e dissacrante che mostra le incongruenze e la contraddittorietà della vita per scegliere al suo posto un tono favolistico e di antica leggenda, ambienti lontani dalla vita comune e collocati in spazi surreali , vicende dominate da aspetti magici e quasi ancestrali. Il suo messaggio di fondo resta però lo stesso: l’estraneità dell’uomo alla vita , la relatività della realtà, la fragilità dell’Io. Il termine mito ha il significato anche di illusione, di sogno collettivo e irrealizzabile e P. sembra nelle ultime tre opere teatrali mantenere questo doppio significato: da una parte favola antica e lontananza misteriosa, dall’altra illusione destinata a cadere.
POSSIBILI DOMANDE PER IL COLLOQUIO
Si è soliti pensare all’Io come un unità compatta, invece l’Io è la somma delle relazioni in cui è immerso e quindi cambia al variare anche minimo di quest’ultime.
E le relazioni umane sono mutevolissime : in primo luogo perché variano col tempo e con l’umore delle persone, in secondo luogo perché ogni soggetto le legge a proprio modo. L’Io diventa perciò evanescente, un pulviscolo di punti di vista: si tratta di quella che viene definita la disgregazione dell’Io
Ci si salva inconsapevolmente e attraverso meccanismi sociali, cristallizzando l’Io e gli altri in forme precise che ci si ostina a considerare definitive e definitorie del soggetto: E’ come se si fissasse un fotogramma della realtà e si dicesse : ecco le persone colte in questo istante sono così e sempre lo saranno. (Imprigionamento dell’Io)
Del continuo fluire dell’Io viene colto un momento e trasformato in ruolo, maschera, forma stabile che allo stesso tempo rassicura e imprigiona. Rassicura perché permette di acquisire un’identità; imprigiona perché è in contraddizione col fluire della vita e poi perché non è il singolo a scegliere la maschera da indossare: sono le relazioni e i ruoli sociali, gli altri che fermano la macchina da presa e bloccano per sempre quel momento del divenire. Non è l’individuo a scegliere e neanche può ribellarsi.
Ad un insanabile conflitto tra individuo e società , è la malattia della modernità, della società di massa, dell’individuo che non ha più uno spazio proprio in cui riconoscersi.
Vi è in questa concezione una profonda pulsione asociale, il desiderio di uno stato di natura precedente alla socialità e alla coscienza, la regressione ad una condizione in cui l’Io debba ancora formarsi. (il fatto stesso di nascere è un potente vincolo: ti inquadra in una certa forma, in una maschera che la società ti impone)
Quello tra forma e vita. L’individuo, inizialmente ha ampie possibilità di vita che pian piano verranno ridotte dai vincoli sociali ad una sola esistenza, un’unica e definitiva maschera.
A questo conflitto tra forma e vita Pirandello non vede soluzioni. L’uomo e perennemente in conflitto , scisso tra forma e vita , tra ciò che vorrebbe e potrebbe essere e ciò che è.
Ne derivano due conseguenze relativistiche: l’incomunicabilità (se ognuno vede sé e gli altri da molteplici punti di vista come ci si può capire?) e la perdita della realtà (se non si riesce a conoscere se stessi e gli altri, dove è la realtà quella oggettiva, scientifica dei positivisti? Anche la realtà si disperde nei frammenti dell’Io
Il comico è il semplice avvertimento di un contrasto tra l’essere e l’apparire (es: una vecchia imbellettata per sembrare più giovane), tra la vita e la forma; l’umoristico è invece la riflessione su questa contraddizione , una meditazione amara che porta ad indagare i motivi del conflitto , a generalizzarli e anche a riconoscersi in quella situazione. Fatto questo non c’è più da ridere, semmai può esserci il sorriso amaro che nasce dalla pietà.
E’ proprio quanto detto sopra cioè un atto di riflessione che domina l’arte umoristica che non è fantasia, ma conoscenza e analisi della condizione umana disgregata e frammentaria.
L’arte tende a idealizzare e a dare coerenza a ciò che rappresenta. L’umorista vuol fare esattamente il contrario: cogliere la complicazione caotica della vita dove domina l’imprevedibilità.
L’arte tende a dare protagonisti coerenti (gli eroi tradizionali), l’umorista svuota da dentro la presunta coerenza dei personaggi.
L’arte tralascia gli eventi più quotidiani e comuni e così finisce per parlare di una vita ideale e non reale; l’umorista cerca proprio di rappresentare la quotidianità anche triviale. Non solo la quotidianità “normale”, ma anche quella in cui si manifesta il carattere capriccioso e bizzarro della vita. L’arte di Pirandello parte dall’umorismo e dal sentimento del contrario per arrivare anche al grottesco e all’assurdo.
Il grottesco è la sovrapposizione tra farsa e tragedia è l’insieme di aspetti tragici e farseschi, apparentemente molto lontani tra loro.
L’assurdo è un aspetto del grottesco: è l’infrazione delle regole logiche tramite le regole stesse. E’ il regno del paradosso. Tutto sembra svolgersi secondo ragione e poi ci si trova gettati in una situazione in cui non si sa come ci si sia giunti e come uscirne. Spesso la situazione resta in sospeso, la vicenda non si conclude e lo spettatore, abituato alo schema dello scioglimento finale, rimane interdetto.
La sua ricerca prende due direzioni complementari: da una parte delineare i modi in cui il soggetto prende coscienza del proprio non esserci o del proprio imprigionamento in una maschera; dall’altra precisare gli aspetti della convivenza con questa coscienza.
L’umorismo, l’assurdo e il grottesco sono gli strumenti per esprimere la crisi e il dolore che sono parti strutturali dell’esistenza e da cui non c’è salvezza.
Proprio perché non c’è salvezza, l’unica cosa che gli uomini possono fare è adattarsi in qualche modo a sopportare il peso di un’esistenza frantumata.
La ricerca in Pirandello non è rivolta alla soluzione della crisi, ma a scandagliarne tutti gli aspetti e ad indagare in quanti modi un Io che sa di non esserci riesce a sopportare il proprio nulla.
Fonte: http://digilander.libero.it/artisticopiazza/lezioni/dibernardo/Luigi%20Pirandello.doc
Sito web da visitare: http://digilander.libero.it/artisticopiazza
Autore del testo: Dispensa a cura della Prof.ssa Di Bernardo Cristina
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