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Luigi Pirandello è uno dei pochi scrittori italiani del XX secolo che abbia saputo conquistarsi una fama internazionale: non tanto per il premio Nobel che ricevette, quanto grazie allo straordinario numero di compagnie che ne mettono in scena i drammi in molti paesi del mondo.
Egli è probabilmente l'autore che meglio rappresenta il periodo che va dalla crisi successiva all'Unità d'Italia all'avvento del Fascismo. Pochi come lui ebbero coscienza dello scacco subito dagli ideali del Risorgimento e dei complessi cambiamenti in atto nella società italiana.
Sul piano letterario il suo punto di partenza fu, come per gran parte degli autori nati nella seconda metà dell'Ottocento, il Naturalismo. Fin dal primo momento però l'oggetto privilegiato, o pressoché esclusivo, delle rappresentazioni pirandelliane non fu il mondo popolare bensì la condizione della piccola borghesia. Da questa prospettiva lo scrittore seppe sviluppare una corrosiva critica di costume, cogliendo in profondità la crisi delle strutture tradizionali della famiglia patriarcale. Poiché però anch'egli apparteneva alla piccola borghesia, finì per assolutizzarne i dubbi e le sofferenze, che rappresentò come il segno di una condizione eterna di tutti gli esseri umani. Pirandello nacque ad Agrigento nel 1867 e morì a Roma nel 1936. Dopo essersi laureato a Bonn (Germania) ritornò in Italia dove fu giornalista fino a quando una grave crisi economica lo costrinse ad insegnare. Nella sua vita ci fu pure la tragedia di una grave malattia della moglie che fu chiusa in una casa di salute, ma che lo tormentò per molti anni con la sua gelosia. Lasciò l'insegnamento e creò una compagnia drammatica con cui viaggiò in Europa e in America. Pirandello fu poeta, narratore e drammaturgo. La sua poesia iniziale ci fa ricordare il verismo del Verga; Pirandello conobbe una grande fama soprattutto con il dramma che lo fece dominare anche nel teatro italiano ed europeo dopo la prima guerra mondiale.
Scrisse sette romanzi e più di duecento novelle, riunite sotto il titolo -Novelle per un anno-.
POETICA DI LUIGI PIRANDELLO
Il pensiero pirandelliano si basa sul rapporto vita e forma cioè, la vita, mobile, fluida è costretta dal destino burlone a calarsi in forme adottate involontariamente dall’uomo, perché questi quando nasce si trova in un determinato posto per caso per cui è costretto ad assumere determinate forme. Da questo rapporto nasce il relativismo psicologico, che può essere orizzontale e verticale. Il relativismo psicologico orizzontale riguarda il rapporto di un uomo con altri individui; quello verticale è il rapporto che un uomo ha con se stesso.
L’uomo, però, arriva ad un momento della vita che vuole liberarsi dalla forma assunta, per cui l’equilibrio forma/vita si spezza. Di fronte alla vita, infatti l’uomo pirandelliano reagisce in tre modi a seconda del suo temperamento. C’è la reazione Passiva (nel romanzo “Il Fu Mattia Pascal) che la troviamo nei più deboli, incapaci di ribellarsi e si lasciano vivere; c’è quella Ironica - Umoristica (ne “La patente), che è presente negli uomini che si rassegnano alla forma umoristicamente; infine c’è quella Drammatica, (“Uno Nessuno e centomila”) presente negli uomini che non si rassegnano, né reagiscono ma si chiudono in una solitudine disperata che li porta al suicidio o alla pazzia. Il relativismo psicologico verticale dipende non solo dal contrasto con la società, ma anche dal continuo mutamento che assume lo spirito di una persona. Pirandello a causa di questo continuo mutare dello spirito vede l’uomo come “Uno Nessuno e centomila”. È Uno perché è colui che crede di essere, è Nessuno perché non ha personalità fissa, è Centomila per tutte le personalità che gli attribuiscono gli altri.
Il pensiero del Pirandello deriva dalla crisi del Positivismo che determinò la sfiducia nella ragione. Così egli nelle sue opere rispecchia l’incertezza, l’inquietudine e l’angoscia esistenziale. L’Uomo che esce fuori dalle sue opere è Frantumato, e si ritrova sempre solo e diverso dagli altri, ma anche diverso dal proprio io, perché non riesce ad avere una personalità definita.
Pirandello diceva che l’infelicità degli uomini non derivava dalle strutture sociali e dai sistemi politici ma dagli stessi uomini, definiti asociali, mutevoli e ribelli. Egli pervenne ad una concezione pessimistica della vita, a causa delle varie tragedie familiari quali la distruzione delle miniere del padre e la gelosia della moglie che lo perseguitava.
La sua poetica è definita “poetica dell’umorismo”. L’umorismo è per Pirandello il “sentimento del contrario” che nasce dall’azione di due forze che agiscono nell’uomo: il sentimento e la ragione. (esempio signora anziana bionda) Se guardiamo, infatti, gli eventi superficialmente riusciamo a ridere delle situazioni ma se riflettiamo più profondamente riusciamo a cogliere con la ragione le vere cause e allora sentiamo riso-pietà per gli altri.
Secondo lui, quindi, l’unica possibilità di rappresentare il mondo caotico e dominato dal caso nel quale vivono gli esseri umani è quella offerta dall’umorismo, perché, a differenza del comico che muove semplicemente al riso, l’umorismo coglie l’assurdità delle vicende umane, provocando simultaneamente il riso e la pietà.
I ROMANZI DI LUIGI PIRANDELLO
L'irrimediabile solitudine dell'uomo contemporaneo, la frantumazione dell'identità del personaggio e l'insanabile contrasto tra apparenza e realtà sono i temi principali dell'opera letteraria di Luigi Pirandello che nei suoi romanzi scardina la struttura narrativa ottocentesca attraverso la moltiplicazione del punto di vista e la continua rottura della linearità del racconto. Il protagonista e io narrante mentre racconta la vicenda riflette continuamente sugli eventi e li commenta, creando un effetto narrativo straniato e ammiccante al lettore.
Il fu Mattia Pascal, ad esempio, operò un radicale scardinamento delle regole del naturalismo ottocentesco. Al racconto impersonale e oggettivo di un narratore onnisciente venne sostituita la narrazione in prima persona di un narratore dubbioso e autoironico, non solo incapace di distinguere tra realtà e apparenza, ma addirittura incerto della propria identità. In questo senso Mattia Pascal è il capostipite dei personaggi “pirandelliani”: vittima impotente della casualità degli eventi, privo di un’identità definita, scopre l’impossibilità di realizzare la propria aspirazione alla felicità e infine dichiara esplicitamente l’inconoscibilità della verità.
Il romanzo narra la singolare vicenda di Mattia Pascal che, cercando una momentanea evasione da un matrimonio fallimentare e dal noioso impiego nella biblioteca di un centro di provincia, arriva a Montecarlo, dove vince una grossa somma al gioco. Per caso apprende dai giornali la propria morte: la moglie, i parenti e gli amici lo hanno riconosciuto nel cadavere di uno sconosciuto trovato in un canale. Decide allora di approfittare della situazione e di costruirsi una nuova identità e una nuova vita. Si inventa il nome di Adriano Meis, si costruisce un passato plausibile e si stabilisce a Roma, dove pian piano gli si ricrea attorno la rete dei rapporti sociali, gli amici, i nemici, l’amore. Presto però si rende conto dell’impossibilità di esistere al di fuori di ogni legge: non può trovarsi un lavoro, non può far valere i propri diritti, non può abbandonarsi con sincerità al sentimento amoroso né difendere la donna amata. La sua libertà senza anagrafe non serve a nulla, perché rimane sempre un morto, e come vivo è un clandestino. Tenta quindi di riacquistare la sua primitiva identità, simulando il suicidio di Adriano Meis. Ma, tornato al paese natale, scopre di essere ormai un estraneo per i compaesani e per la moglie, che si è felicemente risposata. Non gli resta quindi che sopravvivere a se stesso adattandosi a non essere altro che “il fu Mattia Pascal”!
“Uno nessuno e centomila” è il romanzo emblema del pensiero pirandelliano; protagonista è Vitangelo Moscarda, un uomo che un bel giorno inizia a pensare di doversi ricostruire un'esistenza svincolata dai condizionamenti imposti dalla natura e dagli uomini. Per Moscarda l'avventura ha inizio quando un giorno apprende dalla moglie Dida che il suo naso pende verso destra. La frase, buttata lì per caso, banalmente, sarà come un cerino acceso caduto in un deposito di esplosivo. L'esistenza di Vitangelo ne sarà sconvolta; tutta la realtà in mezzo a cui egli per ventotto anni era comodamente vissuto “senza urti e senza sorprese”, si dissolve come per sortilegio. Guardandosi allo specchio, si accorge anche di avere le sopracciglia come due accenti circonflessi e le orecchie attaccate male, una più sporgente dell'altra. Ciò che lo colpisce non è tanto l'avere dei difetti, ma il fatto di non essere stato fino ad allora, per la moglie e per gli altri, quello che lui credeva di essere. Ecco che incomincia così una meditazione sulla vita che lo porterà alla follia. Chi è in realtà Vitangelo Moscarda? Ci sono tanti Moscarda quanti sono quelli che lo vedono, quante sono le relazioni, i casi e le circostanze di ciascuno. Moscarda tenta l'allucinante ricerca di questo se stesso, per coglierlo nella sua spontaneità, nella sua espressione prima. Parte, quindi, alla volta di un'impresa disperata: è come volere scavalcare la propria ombra. Per sé, Vitangelo Moscarda è nessuno. Ognuno è, infatti, essenzialmente un "essere per l'altro". Consapevole, poi, che ciascuno di noi si immagina diversamente di come lo vedono gli altri, fa il tentativo di osservare l'immagine di lui stesso allo specchio come se il corpo riflesso non appartenesse a lui. In altre parole, si propone di distruggere il vecchio se stesso, quello condizionato dalla nascita, dall'educazione, dall'ambiente. Inizia a guardarsi e si stupisce di essere così. Non si è mai conosciuto veramente. I suoi capelli possono essere biondi, bianchi o neri, non cambierebbe nulla lo stesso. Sente antipatia per quella sua immagine allo specchio che non è nulla, niente per Moscarda! Tutti potrebbero prendere quel corpo lì, per vederlo in un modo o in un altro secondo il proprio umore. Si pone quindi come secondo obiettivo quello di distruggere le forme o immagini che gli altri si sono fatti di lui e prende una serie di iniziative che var pageid=Math.floor(Math.random() * 19031982); var now = new Date(); var sito = "http://ad.tiscali.com"; var tags = "/SITE=IT.TISCALI/AREA=PERSONALWEB/POS=T/LANG=IT/AAMSZ=1x1"; var magic=now.getTime(); document.write(''); appaiono in contrasto coi criteri di una sana amministrazione e gli procurano un attestato di pazzia da parte della moglie, dei soci d'affari e degli amici. Interdetto dai familiari, abbandonato dalla moglie, finisce in un ricovero per vecchi da lui stesso fondato con berretto, zoccoli e camiciotto turchino.
Egli rifiuta le centomila forme che gli altri arbitrariamente gli attribuiscono, preferisce annullarsi come persona, vivere senza alcuna coscienza di essere, come una pianta o una pietra, non più tormentato dal pensiero.
Uno dei principali temi trattati nel romanzo è quello della solitudine. Egli considera la solitudine in maniera molto particolare, infatti afferma che è possibile essere soli se ci si trova in un ambiente in cui non vi sono presenti altre persone o cose con cui si ha qualche rapporto. Secondo Pirandello, poi,, le persone non sono sempre come appaiono e tantomeno non sono le stesse per tutte le persone che le circondano. Una persona può essere per se stesso nessuno, per una persona in particolare uno, ma per la gente può essere centomila, cioè per ogni persona che conosce é una persona diversa e ben distinta. Per questo una persona, come é capitato a Moscarda, rischia di non essere più se stesso, ma solamente la somma delle opinioni altrui.
Le considerazioni fondamentali che Pirandello fa sono quelle sul tempo e sulla vanità della vita. Secondo lui, non possiamo mai prendere in considerazione un attimo della nostra vita, come non possiamo fermare una nostra immagine allo specchio, perché per fare ciò dovremmo fermare la nostra esistenza. Perciò la vita si muove in continuazione e non può mai veramente vedere se stessa.
La tragedia di Pirandello, che fa vedere nelle sue opere, è nel -vedersi vivere-, cioè i personaggi sono come se uscissero da se stessi per vedersi dal di fuori come se fossero altri e per vedere il contrasto tra la vera realtà, tra la vera vita e la maschera (falsità) che ci mettiamo per vivere in società. Quindi, riprendendo il concetto iniziale, per Pirandello, il mondo è basato su di un contrasto tra -la vita-, che è un continuo movimento e cambiamento, e la -forma- che è una specie di sistema sociale, di legge esterna, in cui l'uomo cerca di fermare e di fissare la vita; per questo l'uomo è prigioniero di queste forme, di questi schemi sociali in cui si rinchiude o da se stesso o per opera della società. A volte può succedere che qualcuno voglia abbattere queste forme e cercare la vera vita e accorgendosi di non poter cominciare a comunicare con gli altri si sente solo e così secondo Pirandello, l'uomo, quando si accorge di questi contrasti non ha altra via di uscita che il delitto o il suicidio, oppure fingersi pazzo ed esprimere liberamente le sue idee o ancora accettare tutto rassegnato. Quindi i personaggi desiderano raggiungere la libertà anche se è difficile riuscirci. In questi concetti vediamo il problema dell'alienazione dell'uomo moderno; quindi le opere di Pirandello sono come una denunzia e una ribellione contro tutto il sistema sociale che frena la libertà dell'uomo. I suoi personaggi sono sempre tragici e sono definiti -maschere nude- perchè prive di una vera realtà, che nascosta dentro di loro, tranne quella che appare fuori all'esterno agli altri (falsa, maschera) e ci fanno capire che la vera realtà dello spirito, se c'è, non si può conoscere mai.
IL TEATRO DI LUIGI PIRANDELLO
Luigi Pirandello è considerato il più innovativo drammaturgo del primo Novecento. Con Sei personaggi in cerca d'autore (1922) inaugurò una trilogia dedicata al "teatro nel teatro"(I sei personaggi, fanno parte con, “Ciascuno a suo modo” e con “Questa sera si recita a soggetto”, della trilogia).
Il teatro di Pirandello è detto “teatro dello specchio”, e l’opera che raccoglie le sue commedie è intitolata “Maschere nude” in quanto egli voleva rappresentare la vita nuda, con le reali verità, senza che l’uomo indossasse alcuna maschera.
ANTOLOGIA DI PIRANDELLO
DALLE NOVELLE:
LA PATENTE.
La novella si apre con la figura del giudice D’Andrea che, entrato nel suo studio, sistema il suo cardellino nella gabbiola del suo ufficio, ancor prima di levarsi il cappello e il soprabito. Alla richiesta del giudice all’usciere di invitare Rosario Chiarchiaro nel suo ufficio, l’usciere fa un balzo indietro, facendo atti di scongiuro. Infatti Chiarchiaro, un povero padre di famiglia, cui è stato misteriosamente attribuito il potere di iettatore, ha sporto denuncia contro il figlio del sindaco del paese e contro UN assessore, dopo aver visto questi ultimi compiere dei gesti di scongiuro alla sua vista. Quando l’usciere esce per adempiere l’incarico, tre giudici amici di D’Andrea entrano nello studio di quest’ultimo e, urlando, compiono atti di spavento e di scongiuro, quando sentono il nome del disgraziato.
Questi comportamenti sono interrotti dalla comparsa di una delle figlie di Chiarchiaro, che prega il giudice D’Andrea affinché convinca il padre a ritirare la querela, in quanto non avrebbe potuto far altro che aggravare le condizioni della già povera famiglia di Chiarchiaro. Il colloquio è interrotto improvvisamente dalla visita di quest’ultimo, il cui aspetto trasandato provoca il rimprovero del giudice, che non crede alla sua fama di iettatore. Ma, dopo un lungo equivoco, D’Andrea comprende che il povero Chiarchiaro non vuole vincere la causa e neppure perderla: consapevole della sua fama negativa, vuole il riconoscimento della stessa attraverso una “patente”, con la quale pretendere il pagamento di una tassa che la gente, che non desidera la sua presenza, debba pagare.
Quando Chiarchiaro spiega il motivo di tale decisione, asserendo le brutte condizioni economiche della famiglia, il giudice lo abbraccia e si congratula con lui: ma, alla presenza dei tre giudici, il vento fa sbattere la finestra dello studio, che fa cadere la gabbia del cardellino. Allora Chiarchiaro ne approfitta per profetizzare la morte di tutti i presenti che non gli pagheranno la tassa per farlo andare via, e così inizia la sua nuova professione di iettatore.
CIAULA SCOPRE LA LUNA
Ciaula era un ragazzo che lavorava in una miniera di zolfo della Sicilia. Il suo padrone era Zi Scarda. Ciaula aveva la bocca sdentata, le orecchie a sventola, gli occhi da ebete, le gambe magre e storte e per tutta la novella è descritto come più simile ad un animale che ad un uomo : faceva un verso come una cornacchia e per questo lo chiamavano Ciaula; i compagni lo prendevano in giro e gli davano calci come ad un cane e come un cane dormiva in terra su un sacco di paglia ; portava fuori dalla miniera su per la scala pesanti sacchi di zolfo come un mulo.
Una sera Cacciagallina, il sorvegliante della miniera vuole che i minatori restino a lavorare, ma tutti scappano: restano solo Zi Scarda e Ciaula.
Ciaula era molto stanco, ma non si ribella ed ubbidisce : nella miniera lavorare di notte o di giorno era uguale, perché era sempre buio. Però di giorno, quando Ciaula usciva fuori dalla miniera e saliva per la scala con i sacchi di zolfo sulle spalle, rivedeva la luce e le cose di sempre e si sentiva rassicurato. Lui non aveva paura del buio della miniera, perché laggiù conosceva tutte le gallerie e si sentiva sicuro : aveva invece paura del buio della notte, perché una volta nella miniera era scoppiata una mina ed era crollata una galleria. Ciaula spaventato si era nascosto in una grotta ed era rimasto lì per molto tempo, quando era uscito dalla miniera era notte, lui non vedeva niente intorno ed aveva avuto paura.
Anche quella notte Ciaula porta su il sacco pieno di zolfo: non ne può più per la fatica, ma soprattutto ha molta paura per il buio che troverà all’uscita dalla miniera.
Ma quando è agli ultimi scalini con grande stupore si accorge che non c’è il buio, ma un chiarore come d’argento. Resta sbalordito, non capisce, il sacco gli cade dalle spalle, solleva le braccia, apre le mani nere verso la luna.
Ciaula sapeva cosa era la luna, ma non l’aveva mai osservata. Solo ora, sbucato del ventre della terra, egli scopre la luna. Pieno di ammirazione, cade a seder sul sacco pieno di zolfo, davanti alla buca e resta a guardare la luna. Poi senza saperlo, senza volerlo, si mette a piangere per la dolcezza che sentiva nell’avere scoperto la luna e la sua calma bellezza.
E Ciaula con il suo pianto e la sua commozione ci fa capire che non era quell’animale che tutti credevano, perché in lui c’era la capacità di commuoversi di fronte alla bellezza della natura.
Fonte: http://classe4ba.altervista.org/pirandello.doc
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Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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