Verga biografia essenziale

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Verga biografia essenziale

Introduzione

Lo scopo della presente tesi, in primo luogo, è di presentare lo scrittore ottocentesco Giovanni Verga in una prospettiva diversa e insolita. È risaputo che Verga è generalmente considerato il maggior esponente del verismo italiano. In effetti pronunciando il suo nome, nella maggior parte dei casi sorgono in mente quasi automaticamente i titoli delle opere dell´impronta puramente verista, quali per esempio la celebre raccolta di racconti Vita dei campi, oppure i romanzi I Malavoglia e Mastro-don Gesualdo. Ma c´è anche un altro lato della produzione verghiana, pur omesso ed eclissato dalla grande stagione verista. Si parla della cosiddetta prima o vecchia maniera del Verga, fase preverista. Ad essa risalgono alcuni romanzi definiti generalmente mondani per il loro argomento comune: l´alta società aristocratica e borghese. Essi sono ben diversi dalle opere successive, considerate veriste, per moltissimi aspetti. Benché ai nostri tempi la produzione preverista di Verga non sia apprezzata risultando stilisticamente poco convincente, non si può mettere in dubbio la loro importanza per la  formazione artistica dello scrittore. Bisogna tener presente il fatto che senza il periodo preverista probabilmente non sarebbero nemmeno nate le rinomate opere veristiche verghiane. Attraverso le opere risalenti all´epoca della prima maniera Verga elaborava la sua tecnica, maturava e formava le proprie idee sia sull´arte sia sulla società umana. Dunque l´oggetto della tesi in questione è la produzione narrativa appartenente alla prima maniera di Verga, cioè quindi la serie dei romanzi mondani, traendone l´ultimo, Eros, come il punto di riferimento per l´analisi finale.       
Dapprima vengono accennati secondo l´ordine cronologico dati biografici essenziali concernenti la vita dello scrittore menzionando nel contempo i titoli delle opere principali.
Nel seguito si procede con un capitolo che tratta la problematica del giudizio critico e il rapporto del pubblico di lettori nei confronti di Verga. Si mette in rilievo il rivolgimento avvenuto col tempo nella valutazione delle opere verghiane, spiegando le cause del successo dei romanzi mondani e la contraria accettazione sfavorevole delle opere veriste all´epoca dello scrittore. Si fanno riferimenti ad alcune affermazioni dei critici letterari studiando lo svolgimento della mutazione dei giudizi critici risalenti all´epoca d´allora fino ai tempi recenti.
Il terzo capitolo è dedicato al processo di maturazione artistica dell´autore. La divisione in tre sottocapitoli rispecchia le fasi nelle quali la progressione di formazione artistica dello scrittore si potrebbe dividere, partendo dai suoi primi esordi letterari fino all´approdo al verismo, considerato la tappa finale di tale processo. Si osservano le tendenze e i bisogni dello scrittore sottolineando l´influsso dei soggiorni continentali sul suo orientamento e sulla scelta dell´ambiente mondano ritratto nella produzione preverista. All´ultimo, si cerca di spiegare i motivi del cambiamento dell´ambiente nelle opere, avvenuto con l´approdo al verismo.   
L´ultimo e  più vasto capitolo è riservato esclusivamente ai romanzi mondani. La narrativa in questione dapprima viene caratterizzata in modo generale descrivendone i tratti comuni e badando sempre alle intenzioni dello scrittore. Esposta la produzione mondana di Verga da un punto di vista globale, si procede con la presentazione delle singole opere secondo l´ordine cronologico: Una peccatrice, Storia di una capinera, Eva, Tigre reale e per l´ultimo Eros. Per quanto riguarda i primi quattro romanzi, vengono accennate le trame con le storie dei protagonisti, menzionando anche in breve il loro livello stilistico. Ciò serve per farsi un´idea più netta sui romanzi in questione manifestando nel contempo gli elementi comuni di tale produzione, trattati all´inizio del capitolo. Dall´ultima opera, il romanzo Eros, è costituita l´analisi che si riferisce in particolare al destino tragico della figura del protagonista. Si tenta di scoprire le cause del fallimento totale della sua vita e in quanta misura sta la perdizione dell´eroe in rapporto con il suo squilibrio mentale che si distingue per un forte senso di sradicamento. Più avanti si osserva l´influsso delle figure femminili, delle cosiddette donne fatali sul protagonista, contrapposte ad un altro tipo di personaggio femminile: alla figura della moglie del protagonista. Si mira a rivelare i possibili simboli che tali figure femminili possono rappresentare nel mondo verghiano.

 

 

La biografia essenziale di Giovanni Verga

Lo scrittore Giovanni Verga, d´origine siciliana, nasce a Catania il 2 settembre 1840 da una famiglia appartenente alla piccola nobiltà di campagna. Nel luogo natio trascorre la sua infanzia, scrivendo già da adolescente e componendo le sue opere esordienti; tra quali inedito Amore e patria (1857), I carbonari della montagna (1861-62) e Sulle lagune (1863): tutti e tre romanzi storici di contenuto patriottico risultando prove acerbe ma promettenti. Per desiderio del padre si iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell´Università di Catania ma nel 1861 lascia gli studi per dedicarsi all´attività letteraria con l´appoggio di sua madre.
Trasferitosi nel 1865 a Firenze, allora capitale d´Italia, viene a contatto con l´ambiente letterario e la cultura fiorentina, soprattutto mediante il suo amico, poeta Franceso Dall´Ongaro. Intanto pubblica due romanzi iniziando così la sua vera attività di narratore: Una peccatrice (1866) e Storia di una capinera (1871).
Dopo il soggiorno stimulante a Firenze, nel 1872 Verga si trasferisce a Milano, all´epoca la città più viva d´Italia, dove rimane fino al 1893. Frequentando i più noti salotti letterari e mondani fa amicizie con scrittori come Arrigo Boito, Emilio Praga, Giuseppe Giacosa o Federico De Roberto. Però l´incontro più significativo per la produzione letteraria di Verga è quello con Luigi Capuana, il quale gli fa conoscere il naturalismo degli scrittori francesi Flaubert e Zola. A Milano sono composti i romanzi Eva (1873), Tigre reale (1873) e Eros (1875); opere ancora d´intonazione romantica cui trama si svolge in un ambiente lussuoso dell´alta società.
L´opera che costituisce senza dubbio l´esordio della graduale conversione verghiana al verismo è il bozzetto siciliano Nedda, pubblicato nel 1874. Rappresenta una rottura della serie di romanzi definiti «scapigliati», trattando di un argomento assolutamente diverso dagli precedenti, con la trama stavolta ambientata non più nella società ricca e mondana ma nella Sicilia povera e arretrata. Dopo di essa Verga continua ancora a scrivere romanzi del carattere piuttosto mondano ma l´esperienza di Nedda è radicata in lui a tal punto che decide di orientarsi al «verismo» , definito da Luigi Capuana «un nuovo filone nella miniera quasi intatta del romanzo italiano» , pubblicando raccolte di novelle Vita dei campi (1880), e il romanzo I Malavoglia del 1881, il primo del ciclo intitolato I vinti. Verga tende nella sua nuova fase artistica a rappresentare il mondo e le condizioni vitali delle classi più povere con l´abbandono dell´ambiente elegante con le sue storie romantiche. Il romanzo Il marito di Elena (1882) insieme alle novelle milanesi Per le vie (1883), lasciando ambiente siciliano, potrebbero essere ritenuti parzialmente un ritorno alla «vecchia maniera».
Quando nel 1884 va in scena a Torino con un grande successo la versione teatrale della novella Cavalleria rusticana, Verga ritrova l´entusiasmo e si immerge di nuovo nello scrivere orientato tematicamente all´ambiente siciliano: Novelle rusticane (1883), Vagabondaggio (1887), e Mastro don Gesualdo (1889), il secondo romanzo del ciclo de I vinti. Vedono la luce due raccolte di novelle, I ricordi del capitano d´Arce (1891) e Don Candeloro e C.i (1894). Nel frattempo raccoglie frutti la versione musicale della Cavalleria Rusticana, elaborata in opera lirica da Pietro Mascagni. Verga, pressato da difficoltà economiche, fa causa al compositore Mascagni e all´editore Sonzogno e gli viene dato un risarcimento abbondante che gli garantisce l'agiatezza economica per il resto dei suoi giorni.
Il ritorno definitivo di Verga in Sicilia nel 1893 è segnalato in gran parte per l´interesse di teatro: i drammi La lupa (1896), La caccia al lupo (1901), La caccia alla volpe (1901) e soprattutto Dal tuo al mio (1903). Gli mancano altri tre romanzi da comporre per portare a termine il ciclo de I vinti. Comincia dunque a scriverne il terzo: La duchessa di Leyra, ma il romanzo resta incompiuto. Seguono anni di silenzio poetico, ormai la vena creativa dello scrittore sembra esaurita. Gli ultimi anni passa con tristezza chiuso in pessimismo e solitudine. Nel 1920 avviene la sua nomina a senatore del Regno e due anni appresso, il 27 gennaio 1922 muore a Catania nella casa nativa, colpito da paralisi cerebrale.

La produzione verghiana di fronte ai lettori e critici

 

Seguendo il modello del critico Petronio , l´attività letteraria del Verga viene divisa in due fasi, costituite dalla prima maniera, spesso indicata come la fase preverista; e la fase verista. Dagli anni venti del Novecento in poi, l´attenzione è dedicata quasi esclusivamente alla produzione verista lasciando inosservata la fase precedente. Ciò potrebbe sembrare pressoché una contraddizione, visto che ai tempi del Verga il pubblico apprezzava più la sua prima produzione narrativa sottovalutando le opere caratterizzate veriste:
«I suoi primi romanzi ebbero un notevole successo di lettori; le sue opere maggiori suscitarono entusiasmo ma in pochi, non arrivarono mai a quel gran pubblico che decreta la fama, e furono presto soppiantate dai romanzi di Fogazzaro e D´Annunzio».
A questo punto ci si pone naturalmente la domanda sul perché è avvenuto tal rovescio assoluto nella valutazione delle opere narrative del Verga? Non è necessario andare lontano per la risposta: le opere della prima maniera «vanno incontro esplicitamente alle esigenze dei lettori borghesi del tempo» ; e quando Verga cambia gli argomenti e l´ambiente dei suoi scritti, passando dallo studio dell´alta società a quello della classe contadina siciliana, la cosa non riceve apprezzamento dai lettori del suo tempo. L´ostacolo grava sul fatto che all´epoca del Verga sicuramente non erano i contadini a leggere libri ma lo era proprio la classe mondana, che trovava un gusto di piacere leggendo le opere della prima maniera verghiana, le quali trattavano di argomenti vicini ad essa: insomma un pubblico di lettori considerati «di gusto facile». Verga portò con la sua conversione letteraria una tematica e stile troppo nuovi per un ambiente così invecchiato, che assimilava le novità con fatica: «era rimasta soprattutto ferita profondamente la coscienza di un artista che aveva aspirato giustamente alla grande affermazione e non era riuscito ad ottenerla per l´immaturità dei tempi».
Dunque il rapporto del Verga con i lettori fu sempre complicato, tranne il periodo delle pubblicazioni dei suoi romanzi sentimentali. I lettori, come se lo rendeva bene conto il teoretico e difensore del verismo Luigi Capuana, erano abituati «a manicaretti pepati di rettorica e di romanticismo». Tale genere del pubblico inflessibile, purtroppo, non era in grado di comprendere l´arte innovativa del Verga, espressa nelle opere di Vita dei campi o de I Malavoglia.  Infatti la difficile conquista dei lettori diventa un argomento frequente per molti critici; ciò si potrebbe dimostrare citando l´opinione di uno di loro – Massimo Bontempelli:
«Io so che tutti voi accogliete il nome di Giovanni Verga come uno dei più saldi nell´edificio della nostra letteratura, so che vi ribellereste a chi osasse negarlo. Ma so pure che parecchi di voi [...] non hanno mai letto nemmeno I Malavoglia; e questo è accaduto senza alcun proposito, con naturalezza e in perfetta innocenza. Era sempre venuta meno in voi la spinta della curiosità. A certi poeti anche grandi talvolta ci siamo accostati con qualche curiosità esteriore, poi è nata la comprensione. Invece a Verga per curiosità non si arriva. Né curiosità letteraria, né, molto meno, biografica».  
Un verdetto spietato – quasi l´opera verghiana dovesse essere condannata non letta in eterno, dimostrando chiaramente il fatto che nemmeno gli echi dei critici letterari dell´epoca ebbero giudizi traboccanti d´entusiasmo; ad eccezione degli amici Capuana e De Roberto , non a caso anche loro seguaci del verismo italiano. A questo proposito sarebbe opportuno menzionare che Capuana scrisse un articolo in cui presentava una supposizione che se I Malavoglia fossero stati scritti in francese, «avrebbero reso celebre il nome dell´autore anche in Europa» , affermando oltre che il romanzo non ebbe suscitato una risonanza clamorosa da parte del pubblico italiano: «In Italia, intanto, pare che pochi se n´accorgano o vogliano mostrare di essersene accorti». Ma poi, più tardi, tale supposizione audace si mostrò errata perché dopo la traduzione de I Malavoglia in francese, era evidente che nemmeno in Francia l´accoglienza del romanzo risultasse migliore dell´Italia.
Il parere dei critici cominciò a segnalare un atteggiamento diverso, per quanto riguarda la valutazione delle opere narrative del Verga, abbastanza in ritardo, quando il narratore stava già per morire, immerso in un pessimismo amaro irritandosi per i riconoscimenti tardivi. Fu soprattutto il critico e filosofo del neoidealismo italiano Benedetto Croce a migliorare la situazione nel campo critico, esprimendo alcuni giudizi positivi e avviando in tal modo una lettura più attenta della seconda produzione verghiana. Nella sua Critica afferma che il verismo per Verga rappresentò nient´altro che una specie di liberazione rafforzando in lui le proprie capacità. In pieno Novecento Giovanni Verga venne già inserito tra i più grandi scrittori dell´Ottocento, accostato a Manzoni e Leopardi, considerato il classico della letteratura italiana. Nonostante il mutamento della valutazione critica, «Verga rimaneva un autore poco letto».
Fra i critici che espressero nuovi pareri positivi rispetto alla seconda produzione verghiana (ormai la prima produzione fu ingoiata dal corso del tempo) non si può omettere Federigo Tozzi. Per farsi un´idea netta, conviene citarlo direttamente:
«Il Verga, discosto da noi e dalle nostre abitudini, si è mantenuto meglio che se l´avessimo vissuto e macerato. Noi sapevamo che c´era questo grande scrittore e quasi lo evitavamo, appunto perché ci avrebbe imbarazzati [...]. Tutto ciò che il nostro popolo ha di più sano, di più vivo, di più spontaneo, è anche nell´arte del Verga [...], che ha riunito nella prosa di due o tre libri tutto ciò che un´unità umana può dare».    
L´attenzione si dovrebbe prestare pure a Luigi Russo e alla sua notevole monografia Giovanni Verga , dove l´arte verghiana venne esaminata assai in dettaglio. Ma nonostante il giudizio favorevole che Russo attribuì alle opere del Verga, riconoscendole grandi ed eccezionali, il critico allo stesso tempo trovò dentro di esse un´apparente limitazione: «arte grande, classica, ma arte provinciale, poesia di un mondo elementare, epos cosmico del primitivo».  
La fine della seconda guerra mondiale diede inizio a un nuovo richiamo dell´opera verghiana legato alla necessità di rompere la fase letteraria del decadentismo per sostituirlo con un altro movimento artistico: il neorealismo , socialmente impegnato e di forte contenuto politico, che «fece sentire Verga come il solo grande modello italiano al quale rifarsi». Ne è testimonianzia il film La terra trema (1948) del regista Visconti, in cui è interpretato in modo originale il romanzo I Malavoglia. Anche un altro capolavoro del Verga, Mastro don Gesualdo, ebbe un adattamento televisivo di successo. Sebbene la conquista di un pubblico possa essere definita piuttosto lenta e problematica, tali avvenimenti accaduti nel campo artistico italiano resero possibile l´approfondimento della lettura del Verga (si ha sempre in mente la produzione verista).
Negli anni più recenti si nota una polemica, provocata da un gruppo di critici, esaltanti il cosiddetto «pensiero negativo». L´oggetto di tale polemica è l´ideologia verghiana, caratterizzata «da una profonda sfiducia nella possibilità di progresso ed evoluzione sociale». Il nuovo dibattito è condotto soprattutto da due critici: Alberto Asor Rosa e Romano Luperini. Il primo, Rosa, sostiene che «il rifiuto di un´ideologia progressista costituisce la fonte, non il limite della riuscita verghiana». Il critico marxista Luperini «sottolinea il valore positivo del materialismo verghiano, d´origine naturalistica e positivistica, e la capacità conoscitiva e demistificatrice del verismo e del pessimismo verghiani». Quindi Verga viene interpretato da una prospettiva assai differente delle precedenti, generando inaspettatamente un´altra marea dedicata alle sue opere maggiori, con lo scopo di una lettura più profonda, analizzando la società meridionale italiana.                 

Il processo di maturazione artistica del Verga

La figura di Giovanni Verga nell´ambito letterario è indubbiamente legata al movimento letterario italiano denominato «verismo», di cui è considerato infatti il maestro e il sommo rappresentante. Bisogna però tener presente che Verga, prima che le sue opere assumessero pienamente la caratteristica verista, dovette subire un lungo processo di formazione artistica, il quale alla fine lo indusse al verismo trovando in esso lo stile ricercato e la propria identità.
Alcune pubblicazioni che trattano le opere narrative del Verga, dividono la sua produzione in tre gruppi, ma la maggior parte ne articola due, prescindendo dai suoi primi tentativi di narratore. Infatti i primi esordi verghiani sono generalmente considerati di scarso rilievo, «validi soltanto a documentare la sua buona volontà di scrittore in erba e il suo fervido patriottismo». Come è già menzionato nel capitolo precedente della presente tesi, i due tipi o fasi dell´attività letteraria del Verga sono seguenti: la fase/produzione «preverista» e «verista». A volte si parla della cosiddetta «prima (vecchia) maniera» e della «seconda (nuova) maniera». La prima maniera, sulla quale la presente tesi è sostanzialmente orientata, comprende i romanzi ambientati nel mondo lussuoso dell´alta società. La seconda maniera viene invece costituita dalle opere dell´impronta verista. Uno schema apparentemente chiaro e semplice, ma soltanto a prima vista, poiché esaminando più a fondo il percorso della formazione verghiana, rispetto alla sua produzione nel corso del tempo, si rivela quanto l´opera narrativa del Verga è complessa.

      1. I primi tentativi di scrittore

Le prime tre opere giovanili non meritano molta attenzione. Nel primo romanzo Amore e Patria, mai pubblicato, si riverbera l´educazione letteraria e politica dello scrittore. Infatti il maestro del Verga, don Antonio Abate , influenzò sostanzialmente le sue prime opere narrative. Allora il giovane Verga si dedicava alla lettura dei classici come Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, Monti e Manzoni. La sua seconda prova letteraria, I Carbonari della montagna , romanzo storico, pubblicato nel 1861 a proprie spese, eccheggia il Byron, lo Scott, il Manzoni ma anche il Dumas padre. Invece Sulle lagune , il terzo romanzo esordiente, potrebbe essere considerato piuttosto a parte rispetto ai due antecedenti. Ciò si fonda massimamente sulla riduzione del contenuto storico-politico per orientare l´attenzione sull´ambiente e sulla psicologia dei personaggi, pronosticando già la prossima direzione del Verga. Comunque nemmeno questo  libro, per quanto riguarda il piano stilistico, risulta «meno macchinoso degli altri due».

  1. In cerca di stile

Intanto cresceva progressivamente nel Verga un desiderio di acquisire nuove esperienze al di là dell´isola, appartata dal resto dell´Italia continentale. «Quella vita di provincia immiserita non era fatta per lui: non potevano certo interessarlo la difesa gelosa e polemica delle tradizioni isolane nella quale si esauriva una cultura di respiro limitato». La meta per lui fu Firenze, all´epoca il punto in cui si incontravano gli intellettuali italiani, «la città più vivace culturalmente e più adatta per chi voglia intraprendere la professione dello scrittore». Venuto a contatto con la società elegante fiorentina, Verga iniziò la carriera di scrittore studiandone l´ambiente, attratto dalla sua atmosfera suggestiva, talmente nuova e diversa da quella siciliana. La sua corrispondenza con i famigliari ne è la prova autentica. In una lettera del 1869 scrisse a suo fratello:
«Firenze è davvero il centro della vita politica e intelettuale d´Italia; qui si vive in un´altra atmosfera [...] e per diventare qualche cosa bisogna [...] vivere in mezzo a questo movimento incessante, farsi conoscere, e conoscere, respirarne l´aria».
Tale esperienza culturale ebbe indiscutibilmente un enorme influsso sulla produzione verghiana, anzi la produzione letteraria del Verga si basa in essa.  
Nel 1866 fu edito il romanzo Una peccatrice , in cui è evidente quanto il soggiorno fiorentino si fosse inciso nella coscienza del giovane provinciale. Il libro citato avviò la fase dei romanzi mondani, la cosiddetta prima maniera, le opere della quale saranno esaminate più in dettaglio nel capitolo successivo della presente tesi. È da menzionare che il protagonista di Una peccatrice allude in alcun modo all´autore stesso: Verga «era animato dalla speranza di affermarsi clamorosamente nella splendida società fiorentina come il protagonista [...] Pietro Brusio, che aveva avuto un successo strepitoso appena messo piede sul continente».
A Firenze fu scritto il romanzo epistolare Storia di una capinera , definito intimo per la sua forte intonazione psicologica, con cui Verga raggiunse velocemente successo e rinomanza. Infatti per decenni divenne l´opera più letta dello scrittore. Nonostante l´immaturità del Verga e i diffetti stilistici compresi nel libro, ci affiorano in anticipo la «più mortificata ed amara comprensione della vita che lo scrittore fermerà più tardi [...], quel senso di solitudine che peserà sulle creature verghiane talora fino all´alienazione».
Assaggiato il primo boccone del dolce successo, Verga comincò a mirare ad ottenere ancora di più. Firenze gli era già stretta; il nuovo posto delle sue avventure continentali diventò Milano, sicuramente una scelta appropriata rispetto alle sue ambizioni. Vi partì nel novembre del 1872 dove rimase per circa un ventennio, fino al 1893, ma ritornando di frequente a Catania. A Milano, frequentando i più illustri salotti mondano-letterari dell´epoca, lo scrittore ebbe una grande possibilità di maturare e di chiarire le sue nuove idee sull´arte. Accostatosi al gruppo letterario della Scapigliatura , conobbe gli scrittori Arrigo Boito, Emilio Praga, Luigi Gualdo. Influenzato anche in parte dalla loro amicizia, Verga continuò la sua produzione narrativa, definita «scapigliata» con i romanzi Eva (1873), Tigre reale (1873) ed Eros (1875). Sono opere in cui si rivela visibilmente «il suo desiderio di svincolarsi dagli schemi soliti, di assegnare, cioè, ai suoi protagonisti una vita più radiosa, nonostante la realtà intervenga inesorabilmente a farne delle vittime». Tutti i tre romanzi trattano il tema dell´amore, tanto apprezzato nell´era del romanticismo ottocentesco, ma nelle sue forme estreme, con passioni feroci e destini tragici dei personaggi. L´ambiente dei romanzi è proprio quello dell´autore medesimo: l´alta società milanese o fiorentina, la quale lo attrasse per la sua raffinatezza e splendore ma della quale riconobbe presto i suoi diffetti. Non è poi tanto sorprendente che i suddetti romanzi mondani rispecchiano la propria esperienza autobiografica,
«nel senso almeno che il Verga mirava, se non a raccontare fatti accadutigli realmente, per lo meno a effondere stati d´animo e sentimenti che erano anche suoi, e a vivere, almeno raccontandole, avventure prestigiose, quasi che l´arte fosse un mezzo a integrare e ad arrichire la vita».
Intanto le teorie positiviste e le tesi del naturalismo francese hanno raggiunto anche in Italia, diffondendosi soprattutto grazie a Luigi Capuana, ritenuto in effetti il teorico del verismo italiano. Capuana fece conoscere a Verga i concetti nuovi che non furono soltanto filosofici ma pure letterari. Tale momento ebbe un´immensa importanza per la prossima formazione della produzione artistica verghiana. Per quanto riguarda la nuova orientazione stilistica dello scrittore, l´opera di gran rilievo fu il bozzetto siciliano Nedda , pubblicato nel 1874, l´anno prima della pubblicazione di Eros, l´ultimo romanzo ancora d´intonazione scapigliata. Lo scritto è risultato di soli tre giorni, e per la scelta della tematica rusticana non coincide con i romanzi mondani. La novella, che racconta una storia triste di una povera raccoglitrice di olive, suscitò un interesse notevole e ebbe un successo inaspettato per l´autore il quale si espresse del suo racconto come di «una vera miseria». La pregevolezza di Nedda fu però osservata dal suo conterraneo e caro amico Capuana, affermando: «Quando il Verga scrisse la Nedda forse non credeva di aver trovato un nuovo filone nella miniera quasi intatta del romanzo italiano». Comunque è necessario tener presente che la novella Nedda non significa definitivamente il nuovo periodo artistico dell´autore che, «pur tra soste e ritorni, non conosce cesure o conversioni ma una graduale e coerente maturazione». Il linguaggio del racconto non è ancora corrispondente a quello delle opere successive, considerate già pienamente veriste . Nonostante alcuni difetti stilistici e resti delle opere precedenti, in Nedda è apparente la ricerca di uno stile. Tuttavia Nedda «fu un episodio isolato» , poiché nemmeno dopo di essa il Verga non si ritrasse del tutto dalla produzione di carattere mondano.
Furono gli anni in cui il processo della maturazione verghiana graduava nel modo più intenso. Lo scrittore maturava man mano attraverso le opere della prima maniera rendendosi conto dei difetti che comprendevano. In ogni opera era più visibile il graduale progresso artistico, la voglia di migliorare la tecnica, di trovare uno stile. Si pensi ad Eros , l´ultimo della serie dei romanzi ancora scapigliati. Non per caso costituisce l´elemento principale della presente tesi. Eros è una prova autentica del progresso tecnico del Verga, anche se per il tema e l´ambiente non si svincola dal resto dei romanzi mondani rispecchiando la vita salottiera dell´artista. Lo stile nel romanzo, «seppure in qualche tratto ancora insicuro, non è più esagitato» e vi traspare «un bisogno di semplicità e naturalezza, di verità, dopo tanti artifici di sentimenti, di situazioni, di linguaggio».

      1. L´apice di maturazione artistica

Verga si interessò dei concetti del naturalismo attraverso la lettura degli scrittori francesi naturalisti, quali per esempio Flaubert, Maupassant, Balzac e Zola. In particolare l´ultimo citato, Emile Zola, fu molto stimato dal Verga. Persino si incontrarono più volte, però dalla testimonianza di alcune persone presenti all´incontro svoltosi a Roma nel 1905, si rivela che la comprensione fra i due scrittori «era piuttosto scarsa».
Una testimonianza eloquente, che consente di farsi un´immagine sulle intenzioni  e programmi letterari dello scrittore, è la sua corrispondenza personale. In una lettera, mandata nel 1875 all´editore Treves, Verga menzionò un bozzetto marinaresco, intitolato Padron ´Ntoni, di cui più tardi diventò il romanzo I malavoglia. Al suo amico Paolo Verdura nel 1878 scrisse di un ambizioso proggetto letterario dal titolo La Marea   che avrebbe dovuto essere composto da cinque romanzi, poi trasformato nei Vinti. Il ciclo dei Vinti avrebbe dovuto rappresentare la lotta per la vita mostrata attraverso tutte le classi sociali, cominciando da quella più bassa e povera a quella più elevata; praticamente «un ciclo narrativo che esplorasse la società italiana verticalmente». Un´idea del genere fa pensare alla Commedia umana dello scrittore francese Honoré de Balzac, dimostrando che «la cultura del Verga si era notevolmente arricchita negli ultimi anni e che ai romanzieri popolari che lo avevano dilettato in gioventù [...] si erano aggiunti i grandi narratori dell´Ottocento francese». Inoltre si segnala l´influsso del concetto darwiniano della «lotta per la vita» e delle teorie positiviste. Il punto d´attenzione viene spostato dalla descrizione del passatempo della gente aristocratica e borghese, alla netta descrizione della lotta dell´uomo per la vita.
L´apice di maturazione artistica si manisfesta con la stagione verista che cominciò per Verga nell´anno 1880 con l´edizione della raccolta Vita dei campi, a cui seguirono i capolavori I Malavoglia , Novelle rusticane e Mastro don Gesualdo.   Le prime due opere citate rappresentano una specie di reazione dell´autore medesimo «all´esasperato soggettivismo romantico dei romanzi giovanili». Decisiva per la trasformazione stilistica del Verga fu l´accettazione della teoria dell´impersonalità, esposta nella lettera al suo amico Salvatore Farina, premessa alla novella L´amante di Gramigna. Il metodo verista di Verga, fondato sul canone dell´impersonalità è delineato avanti:
«Quando nel romanzo l´affinità e la coesione di ogni sua parte sarà così completa, che il processo della creazione rimarrà un mistero, [...] è l´armonia delle sue forme sarà così perfetta, la sincerità della sua realtà così evidente, [...] che la mano dell´artista rimarrà assolutamente invisibile, allora avrà l´impronta dell´avvenimento reale, l´opera d´arte sembrerà essersi fatta da sé, [...] senza serbare alcun punto di contatto col suo autore».


Per la biografia di Verga si vedano: N. CAPPELLANI, Vita di Giovanni Verga, Opere di Giovanni Verga, voll. 2, Le Monnier, Firenze 1940; G. Cattaneo, Giovanni Verga, UTET, Torino 1963; F. DE ROBERTO, Casa Verga e altri saggi verghiani, a cura di C. Musumarra, Le Monnier, Firenze 1964. Cfr. pure G. PETRONIO, L´attività letteraria in Italia, Palumbo, Firenze 1980, pp. 691-695; G. FERRONI, Storia della Letteratura Italiana, Dall´Ottocento al Novecento, Einaudi Scuola, Milano 2000, pp. 413-417.

«Il verismo è il movimento letterario italiano della seconda parte dell´Ottocento che, sulle premesse filosofiche del positivismo, trae origine dalle teorie del naturalismo francese e dalle condizioni proprie del momento storico italiano, come la grave crisi delle regioni meridionali, l´esistenza di una consuetudine linguistica e dialettale di carattere regionale e la mancanza di una consolidata tradizione di narrativa romantica di tipo realistico e di contenuto sociale»; In Tutto Letteratura Italiana, De Agostini, Milano 2006, cit., p. 239. A questo proposito cfr. pure G. PETRONIO, L´attività letteraria in Italia, pp. 689-715.

G. DE ROSE, Giuda allo studio dell´opera narrativa di G. Verga, cit., p. 6.

4 Cfr. G. PETRONIO, L´attività letteraria in Italia, pp. 691-695.

Ivi, cit., p. 701.

G. FERRONI, Storia della Letteratura Italiana, Dall´Ottocento al Novecento, cit., p. 418.

Ivi, cit., p. 692.

In Storia della Letteratura Italiana, Volume Ottavo: Dall´Ottocento al Novecento, Garzanti, Milano 1968, cit., p. 336.

Si pensi alla successione dei romanzi Una peccatrice (1866), Storia di una capinera (1871), Eva (1873), Tigre reale (1875), Eros (1875).

S. Z. MUSCARÀ, Invito alla lettura di Giovanni Verga, Mursia, Milano 1987, cit., p. 127.

Cfr. L. CAPUANA, Studi sulla letteratura contemporanea, II serie, Gianotta, Catania 1882. 

In Storia della Letteratura Italiana,Dall´Ottocento al Novecento, cit., p. 364.

Luigi Capuana (1839-1915), considerato il teorico del verismo italiano, viene inserito nella scuola verista soprattuto grazie al suo capolavoro Il marchese di Roccaverdina (1901). 

Federico De Roberto (1861-1927), un altro rappresentante della scuola verista. La sua opera più interessante è il romanzo I Viceré (1894).

In Storia della Letteratura Italiana, Dall´Ottocento al Novecento, cit., p. 365.

Ivi.

Benedetto Croce (1866-1952), figura centrale del neoidealismo, è stato il punto di riferimento dell´estetica della critica letteraria e della storiografia del Novecento italiano. Cfr. in Tutto Letteratura Italiana, Benedetto Croce e il dibattito critico, De Agostini, Milano 2006, pp. 274-276.

Cfr. B. CROCE, G. Verga, in Critica, Laterza, Bari 1903.

In Storia della Letteratura Italiana, Dall´Ottocento al Novecento, cit., p. 365.

S. Z. MUSCARÀ, Invito alla lettura di Giovanni Verga, cit., p. 129. Cfr. pure F. TOZZI, G. Verga e noi, in Il Messaggero della domenica, 17. novembre 1918.

Cfr. L. RUSSO, Giovanni Verga, edizione III, Ricciardi, Napoli 1941.

S. Z. MUSCARÀ, Invito alla lettura di Giovanni Verga, cit., p. 129.

Il decadentismo, in opposizione al positivismo, esalta l´irrazionalità, il mistero, l´estetismo e la prospettiva simbolista. Il suo tipico esponente è considerato Gabriele D´Annunzio (1863-1938). Cfr. in Compendio di Storia della letteratura italiana, Ottocento e Novecento, a cura di Giulia Alberico e Isella Belforti, Newton & Compton editori, Roma 2002, pp. 104-110. 

I presupposti principali del neorealismo sono un realismo più autentico. I temi sono sopprattutto la guerra, la Resistenza, le condizioni della classe operaia e della gente emarginata. Cfr. in Tutto Letteratura Italiana, pp. 320-327.

Cfr. G. PETRONIO, L´attività letteraria in Italia, cit., p. 701.

In Compendio di Storia della letteratura italiana, cit., p. 99.

S. Z. MUSCARÀ, Invito alla lettura di Giovanni Verga, cit., p. 138.

Ivi, cit., p. 139.

A questo proposito cfr. S. BRIOSI, La «conversione» di Verga, in Uomini e idee, nn. 13-14, gennaio-aprile 1968.

Si pensi alle opere narrative Amore e patria (inedito), I Carbonari della montagna (1861-62), Sulle lagune (1863).

G. DE ROSE, Giuda allo studio dell´opera narrativa di G. Verga, cit., p. 5.

Cfr. G. PETRONIO, L´attività letteraria in Italia, pp. 691-701.

Maestro sacerdote Antonio Abate fu poeta, romanziere e acceso patriota, capo di un fiorente studio in Catania.

G. VERGA, I Carbonari della montagna, Galàtola, Catania 1861-´62.

G. VERGA, Sulle lagune, in appendice alla Nuova Europa di Firenze, dal 13 gennaio al 15 marzo 1863.

G. DE ROSE, Giuda allo studio dell´opera narrativa di G. Verga, cit., p. 18.

In Storia della Letteratura Italiana, Dall´Ottocento al Novecento, cit., p. 335.

S. Z. MUSCARÀ, Invito alla lettura di Giovanni Verga, cit., p. 42.

In Cronologia di G. Verga, in G. VERGA, Tutte le novelle, volume primo, con introduzione di Carla Riccardi, , Oscar Mondadori, Milano 2007, cit., p. 54.

G. VERGA, Una peccatrice, Negro, Torino 1866.

In Storia della Letteratura Italiana, Dall´Ottocento al Novecento, cit., p. 335.

G. VERGA, Storia di una capinera, Lampugnani, Milano 1871.

S. Z. MUSCARÀ, Invito alla lettura di Giovanni Verga, cit., p. 74.

«La Scapigliatura, sorta e sviluppatasi a Milano negli anni ´70-´80, più che un vero gruppo fu un orientamento di rottura e di anticonformismo per provocare a attaccare la polverosa e sentimentale tradizione retorico-umanistica». A questo proposito vd. La reazione antiromantica, in Tutto Letteratura Italiana, pp. 232-238, cit., p. 238.

«L´aggettivo «scapigliato» indica atteggiamenti di ribellione e di spregiudicatezza intellettuale». Cit., in Storia della Letteratura Italiana, Dall´Ottocento al Novecento, G. FERRONI, p. 375.

G. DE ROSE, Giuda allo studio dell´opera narrativa di G. Verga, cit., p. 19.

Cfr. G. PETRONIO, L´attività letteraria in Italia, pp. 691-693.

Ivi, cit., p. 692.

Cfr. G. PETRONIO, L´attività letteraria in Italia, pp. 677-715; G. DE ROSE, Giuda allo studio dell´opera narrativa di G. Verga, pp. 7-15.; Naturalismo e verismo, in Compendio di Storia della letteratura italiana, Ottocento e Novecento, pp. 86-88; E. GHIDETTI, L´ipotesi del realismo, Liviana, Padova 1982; G. DEBENEDETTI, Verga e il naturalismo, Garzanti, Milano 1976.

G. VERGA, Nedda, Brigola, Milano 1874 (poi in Primavera e altri racconti).

In Cronologia di G. Verga, in G. VERGA, Tutte le novelle, cit., p. 55.

S. Z. MUSCARÀ, Invito alla lettura di Giovanni Verga, cit., p. 49.

Ivi, cit., p. 77.

Vd. le raccolte di novelle Vita dei campi e Novelle rusticane, i romanzi I Malavoglia e Mastro don Gesualdo.

Cfr. Giovanni Verga, in Storia della Letteratura Italiana, Dall´Ottocento al Novecento, p. 341.

G. PETRONIO, L´attività letteraria in Italia, cit., p. 694.

Si pensi alle opere Il marito di Elena (1882), Per le vie (1883).

Cfr. Giovanni Verga, in Storia della Letteratura Italiana, Dall´Ottocento al Novecento, p. 343.

G. VERGA, Eros, Brigola, Milano 1875.

S. Z. MUSCARÀ, Invito alla lettura di Giovanni Verga, cit., p. 81.

S. Z. MUSCARÀ, Invito alla lettura di Giovanni Verga, cit., p. 81.

In Storia della Letteratura Italiana, Dall´Ottocento al Novecento, cit., p. 359.

I Vinti avrebbero dovuto rappresentare un ciclo di cinque romanzi, ma ne furono compiuti solo i primi due: I Malavoglia (1881) e Mastro don Gesualdo (1888). I titoli dei tre romanzi non scritti sarebbero stati: La duchessa di Leyra (ne si conosce solo il primo capitolo), L´onorevole Scipioni, L´uomo di lusso.

G. PETRONIO, Restauri letterari da Verga a Pirandello, Laterza, Roma 1990, cit., p. 111.

In Storia della Letteratura Italiana, Dall´Ottocento al Novecento, cit., p. 342.

A questo propostito cfr. G. PETRONIO, L´attività letteraria in Italia, pp. 677-691.

G. VERGA, Vita dei campi, Treves, Milano 1880.

G. VERGA, I Malavoglia, Treves, Milano 1881.

G. VERGA, Novelle rusticane, Casanova, Torino 1883.

G. VERGA, Mastro-don Gesualdo, nella Nuova Antologia, dal luglio al dicembre 1888 (poi, in redazione notevolmente diversa, in volume, Treves, Milano 1889).

In Storia della Letteratura Italiana, Dall´Ottocento al Novecento, cit., p. 342.

La novella L´amante di Gramigna è compresa nella raccolta Vita dei campi.

Cit. in S. Z. MUSCARÀ, Invito alla lettura di Giovanni Verga, p. 81.

Verga, piuttosto che il teoretico del verismo, ne fu soprattutto scrittore. Le sue nuove idee sull´arte si formavano in prima linea nello svolgere «di una polemica contro se stesso, nel fastidio di una maniera insoddisfacente». Sarebbe errato sostenere che con l´adesione al verismo orientandosi sullo strato della plebe siciliana, Verga si fosse saziato della società mondana e non l´avrebbe più frequentata. Pur aver cambiato la tematica e gli argomenti delle opere, non si distaccò dall´ambiente nobiliare il quale figurava nella sua narrativa precedente. È probabile che nel verismo Verga abbia trovato il proprio stile, talmente ricercato. Grazie al verismo trovò la strada giusta nel labirinto complesso della stilistica letteraria. Essendo consapevole dei difetti lasciati nelle opere della prima maniera, si giustificò:
«Ho cercato sempre di essere vero, senza essere né realista, né idealista, né romantico, né altro, e se ho sbagliato, o non sono riuscito, mio danno, ma ne ho avuto sempre l´intenzione, nell´Eva, nell´Eros, in Tigre reale».   
La rappresentazione del vero che Verga mirò a raggiungere (come risulta chiaramente dalla suddetta citazione), gliela consentì appieno proprio il metodo del verismo. Dunque niente più tracce dell´autobigrafismo, nessun soggettivismo, nemmeno sentimentalismo. Verga così cambiò completamente lo stile di scrivere, la tecnica, gli argomenti e l´ambiente, il narratore e il linguaggio. Si tiene a dire che il nostro autore, pur ispirandosi al naturalismo francese, alla fine ne inventò il suo originale. A differenza degli scrittori francesi, in particolare Zola, che studiavano la società degradata con una certa visione di miglioramento e progresso, nel Verga tale visione si fonda su un profondo pessimismo, su una «sfiducia nella possibilità di progresso e di evoluzione sociale».
Ma quali erano gli impulsi a condurre Verga a una trasformazione così radicale? Ce ne sono parecchi i motivi che gli darono tale spinta opposta, oltre alla conoscenza del naturalismo e positivismo. Ci fu diretto da se stesso in cerca di uno stile, essendo insoddisfatto della propria maniera. La scelta degli argomenti e dell´ambiente orientato sulla Sicilia sono dovuti in parte alla questione meridionale, attuale in quell´epoca. Non si esclude che Verga non si sia adattato mai all´ambiente e la cultura del continente, lontana in tutti i versi dalla sua terra natale. Forse dovette vivere distaccato fisicalmente dal suo paese per poter riscoprire la propria identità. Essendo estraneo nell´ambiente che frequentava, poteva distinguere le caratteristiche della società mondana, la superficialità che la invadeva, la finzione nei suoi gesti e nell´atteggiamento. Infatti i romanzi verghiani con la tematica mondana, prima dell´approdo al verismo, rappresentano, in un certo senso e limite, studio dell´alta società d´allora. Nel Verga a poco a poco svaní il fascino di questo ambiente, raffinato e brillante a prima vista, fittizio e frivolo alla seconda. Si rese conto che non era quell´ambiente dove la realtà si presentava in modo spontaneo. Vi non avrebbe potuto afferrare il «vero» a cui mirava. Perciò Verga scelse proprio l´ambiente siciliano, talmente specifico e particolare, il quale gli rese possibile effettuare tale meta terminando così il processo di maturazione artistica.      

  1. I romanzi mondani della prima maniera

Prima di risalire alle origini della narrativa concernente la prima maniera verghiana , occorre fare una spiegazione. Il motivo perché si sottolinea il periodo preverista del Verga è semplice e anche logico: senza il periodo preverista non sarebbe stato nemmeno quello verista. In altri termini: Verga non sarebbe riuscito a scrivere i suoi capolavori dell´impronta verista senza aver subito la fase dei romanzi indicati come mondani o scapigliati. Essi, sicuramente, con i loro difetti non fanno parte della grande letteratura, sia per quanto riguarda il piano stilistico e tecnico, sia il linguaggio che risulta convenzionale, con l´uso eccessivo di francesismi. Ciò non di meno, le opere narrative della fase preverista raffigurano in complesso l´intero processo di maturazione del nostro scrittore, terminato con l´approdo al verismo. Oltreché danno un´immagine completa dell´ambiente e della società riguardanti la classe mondana d´allora. Alla fin fine, essendo parzialmente autobiografiche, fanno riferimento all´autore stesso. Perciò sarebbe sbagliato ignorare la produzione narrativa della prima maniera del Verga; all´opposto: è indispensabile prendere atto di essa se si vuole capire complessamente la produzione letteraria e la formazione artistica dello scrittore.  

  1. La caratterizzazione generale

Ora si può procedere alla caratterizzazione generale dei romanzi mondani. Anche se tra essi si notano degli elementi differenti, ci sono alcuni aspetti caratteristici in cui coincidono: cioè, in prima linea, l´ambiente. Come viene suggerito già nella denominazione «romanzi mondani», si fa direttamente l´idea di quale ambiente si tratti. È un mondo di lusso della società aristocratica o borghese; identico all´ambiente che l´autore stesso frequentava quando viveva sul continente. Nei romanzi appaiono fatti e luoghi appartenenti alla letteratura romantica e al «romanzo francese contemporaneo: il duello, il teatro, la società frivola, quella che oggi diremmo café-society, di play-bois e di call-girls. Questo mondo nei romanzi di Verga è descritto, cantato, eppure, nello stesso tempo, negato». Lo scrittore, in un certo senso, mirava a studiare la classe elevata «mettendone a nudo le magagne sentimentali e le menzogne convenzionali».
Il secondo connotato che hanno i romanzi in questione in comune è il tema dell´amore (molto in uso all´epoca del romanticismo). Infatti a volte i romanzi della prima maniera verghiana sono definifi come «sentimentali» o «passionali» oppure «romantico-autobiografici». Comunque tale affermazione è dubitabile per quanto riguarda il romanticismo nel Verga; persino si potrebbe parlare di una polemica. Beninteso non si può negare una certa dose di romanticismo nei romanzi preveristi. Ma Verga dall´altro lato rovinava i miti romantici. Dall´eloquente prefazione al romanzo Eva affiora bene il punto di vista dell´autore:
«Non accusate l'arte, che ha il solo torto di avere più cuore di voi, e di piangere per voi i dolori dei vostri piaceri. Non predicate la moralità, voi che ne avete soltanto per chiudere gli occhi sullo spettacolo delle miserie che create, - voi che vi meravigliate come altri possa lasciare il cuore e l'onore là dove voi non lasciate che la borsa, - voi che fate scricchiolare allegramente i vostri stivalini inverniciati dove folleggiano ebbrezze amare, o gemono dolori sconosciuti, che l'arte raccoglie e che vi getta in faccia».    
La citazione sopra riferita dimostra che Verga fu in quel tempo in stretto contatto con il gruppo della Scapigliatura rendendosi conto dell´ipocrisia da cui la mentalità della società borghese fu avviluppata. Già allora Verga cercò di essere vero togliendo la maschera falsa e fittizia alla classe mondana. Propriamente lo scrittore catanese cercò di essere sempre vero, anche nei romanzi del periodo preverista, come viene dichiarato da lui stesso.
Verga, per attribuire credibilità alle storie nei suoi romanzi, ebbe un modo di presentarle come fatti veramente accaduti in realtà. Purtroppo quello che risulta abbastanza difettoso è una concentrazione eccessiva sulla descrizione dell´ambiente e soprattutto dei personaggi, prima che agiscano sulle scene. Proprio il contrario dei protagonisti verghiani raffigurati nelle opere veriste, i quali si presentano mediante il loro comportamento senza qualsiasi bisogno delle descrizioni dettagliate del loro carattere o l´aspetto fisico. Tuttavia, bisogna tener conto che il periodo artistico dello scrittore, al quale risalgono i romanzi ora trattati, è piuttosto definibile come «periodo di studio e di ricerca». Lo scrittore è ancora immaturo, atteso dalla grande stagione a cui «approderà con fatica, [...] percorrendo un itinerario lento e travagliato che ci fa maggiormente apprezzare, con le inevitabili zone d´ombra iniziali, lo splendore di un´arte singolare e finalmente matura».
Nei romanzi mondani, o se si vuole scapigliati, hanno un ruolo di gran importanza passioni e stati d´animo dei personaggi. L´autore, orientandosi nei romanzi sulla psicologia umana, tenta di scoprire ai lettori i sentimenti interiori che i suoi eroi provano. Vi figurano passioni travolgenti, l´amore vissuto in una forma estrema e terminato con una tragica morte di uno dei protagonisti. Del resto, non sarebbe audace sostenere che le storie raccontate con tanta enfasi nei romanzi mondani anticipassero già il ciclo dei Vinti: i «vinti» sono rappresentati dai protagonisti che, pur aver tentato di opporsi al destino, finiscono sconfitti. Però le storie della prima maniera verghiana, a differenza da quelle della stagione verista, sono raccontate per il tramite degli «elementi del basso romanticismo, quelli che avrebbero alimentato decenni [...] di letteratura d´appendice e di narrativa a basso livello per un pubblico di gusto facile». Effettivamente, tale genere di narrativa corrisponde perfettamente alle esigenze dei lettori dell´epoca, anche loro appartenenti alla classe borghese o aristocratica.
Per quanto concerne il piano linguistico, la narrativa della fase preverista dimostra numerosi difetti. Si tratta spesso di una lingua convenzionale legata alla prosa giornalistica, ripiena di «francesismi o calchi dal francese, toscanismi inseriti a forza, relitti della lingua letteraria». Comunque è una lingua non affatto lontana da quella usata nell´ambiente mondano della classe borghese dell´Italia unitaria e perciò può servire bene come riferimento alla situazione d´allora.

  1. I singoli romanzi

Specificate le caratteristiche comuni della narrativa preverista, adesso si affrontano i singoli romanzi, seguenti l´ordine cronologico:

  1. Una peccatrice

Allora giovane ed inesperto Verga, venuto a contatto con l´elegante ambiente fiorentino durante la sua prima esperienza continentale, scrisse Una peccatrice nel 1865, il primo dei romanzi definiti in genere «mondani».
La storia del romanzo rievoca certi elementi autobiografici: il protagonista catanese Pietro Brusio, studente di giurisprudenza ma con aspirazioni letterarie, rimane sperdutamente incantato dalla contessa Narcisa Valderi, di una bellezza artificiosa, circondata da un mondo di lusso. Il giovane ingenuo, disperato per l´amore che non gli viene ricambiato, compone di colpo un dramma conquistando immediatemente un successo fenomenale sul continente e il cuore della donna sognata. Ma appagate tutte le ambizioni e i desideri del protagonista, dopo un po´ l´amore assiduo di Narcisa lo infastidisce. La donna, accortasi del graduale svanire dei sentimenti nel suo amante, si avvelena per lui morendo al suono di pianoforte. Pietro, rimproverandosi la morte di Narcisa, povero e distrutto si ritrae nel suo paese natio.
Il romanzo, scritto con molta enfasi e terminato con una fine da melodramma, corrisponde benissimo al genere della letteratura borghese-scapigliata e c´è anche un apparente influsso della narrativa francese contemporanea. Di modello, dal punto di vista tematico, potrebbe servire il romanzo di Dumas, La signora delle camelie. L´apparente sfumatura dell´autobiografismo viene attribuita a Una peccatrice per le «impetuose aspirazioni all´amore e alla gloria letteraria» del protagonista, alludenti all´autore stesso. Come avviene abbastanza spesso nel Verga, più tardi il romanzo viene ripudiato dal suo giudizio autocritico, con l´affermazione che: «il dissotterrare simili peccati e simili peccatrici è un brutto tiro che si fa al pubblico e all’autore».
L´opera, dimostrando vari difetti stilistici, non si rivela molto convincente dal punto di vista artistico. Comunque nel romanzo affiorano già alcuni motivi che sarrano poi sviluppati appieno dal Verga nelle grandi opere veriste, quali «il pessimismo sull´amore, il fatalismo, la tendenza, visibile in alcuni tratti, ad un acuto realismo».

  1. Storia di una capinera

Grazie alla suddetta opera, definita come «romanzo intimo», Verga venne in fama e suscitò gran interesse sia nel circolo letterale sia culturale. Ciò è causato  piuttosto dall´argomento dell´opera che dalle sue qualità artistiche.
Storia di una capinera è scritta in forma epistolare che dovrebbe rappresentare lettere scritte dalla giovane educanda Maria, forzata dai parenti a prendere il velo, a una sua cara amica. Durante un soggiorno in campagna per fuggire al colera, l´anima candida della fanciulla conosce i dolci sentimenti dell´innamoramento provato per Nino, il quale le ricambia l´affetto. Però Maria è costretta a tornare in convento e Nino sposa la sorellastra di lei che otterrà la ricca dote. La desolata Maria, chiusa tra i muri del chiostro proprio come una capinera in gabbia, si dispera fino alla follia morendo con l´immagine di Nino nella sua mente.
Il romanzo si potrebbe definire una vera confessione intima della protagonista, uno studio accurato di psicologia umana, un libro di «genere romantico e sentimentale» , come Verga medesimo ne si espresse. Ma nemmeno Storia di una capinera riuscirà a sfuggire all´occhio autocritico dell´autore affermando che: «quel povero libro è stato fortunato attirandosi tutto il merito dell’argomento». È anche una prova del fatto che le intenzioni dello scrittore non furono interpretate bene da parte del pubblico. Ne si intende dire che del romanzo si rilevò soprattutto l´argomento della monacazione forzata. Dai critici d´allora Storia di una capinera fu ritenuta in genere una condanna di tale fenomeno, ancora attuale in quegli anni. Così il libro acquisí un impegno sociale lasciando inosservato il piano psicologico che si occupa della rivelazione dettagliata dei sentimenti interiori della protagonista. Lo scrittore e patriota Francesco Dall´Ongaro, dal quale fu scritta la prefazione al romanzo, denominò Verga addirittura «romanziere sociale».
Rispetto all´opera precedente, nel romanzo viene elaborata più la descrizione psicologica e si nota pure un certo miglioramento per quanto riguarda la ricerca linguistica. Comunque il testo trabocca di esclamazioni esprimendo il lamento lacrimoso e incessante della protagonista allo scopo di commuovere i lettori. Per eccezione la trama non è ambientata nel mondo elegante e lussuoso come gli altri romanzi mondani. Analogamente a Una peccatrice, vi emergono in anticipo degli elementi tematici caratteristici per le future opere della grande stagione artistica del Verga: «la poesia intima della famiglia e delle gioie pure delle anime semplici, e quella della campagna».    

  1. Eva

Eva, iniziata ancora a Firenze e portata a termine quando lo scrittore permaneva già a Milano, causò pressoché uno scandalo letterario suscitando vari giudizi critici. Si pone un´ipotesi che la protagonista femminile del romanzo alluda ad una donna realmente esistita con cui Verga avrebbe avuto una relazione.   
La trama è collocata nell´ambiente fascinoso della società fiorentina. Si tratta di una storia dell´amore passionale fra il pittore siciliano Enrico Lanti ed Eva, una splendida ballerina del teatro fiorentino La Pergola. Ugualmente come nel caso di Una peccatrice, l´amore tra i protagonisti sbiadisce alla luce della semplice vita quotidiana. La donna sacrifica la sua carriera della ballerina e rinuncia alla vita lussuosa e brillante per andare a vivere in povertà con Enrico. Ma senza le luci abbaglianti del palco teatrale perde agli occhi di lui il fascino che lo attirava prima, conducendo all´affievolimento della passione. Eva, rendendosene conto, decide di abbandonare Enrico. Così il suo volontario allontanamento provoca nel pittore un nuovo scoppio di sentimenti per Eva e combatte l´amante di lei in duello. Però il protagonista non esce vincitore dal «duello» successivo: quello con la Morte, soccombendo alla tisi e concludendo la vita nella natia Sicilia, «in seno alla sacralità della famiglia».   
Come si è accennato prima, Eva suscitò allora delle risonanze clamorose; apparsero giudizi critici di tipo: «profondamente vero», «bellissimo e de´ migliori fra i molti scritti di recente in Italia» e l´autore fu giudicato «un ingegno possente, originalissimo». Dall´altro lato furono espressi anche pareri negativi, provenienti da parte dei moralisti. Si pensi a un´anonima recensione apparsa nella rivista La Nuova Antologia che condannò moralisticamente il romanzo, definendolo «verità schifosa» e «sensualità senza velo».
In Eva si manifesta la vicinanza ideologica dello scrittore alla Scapigliatura. Ciò viene rivelato in modo assai eloquente nella prefazione al romanzo in cui «balza evidente quanto sia d´impaccio al Verga la maniera dei suoi racconti [...] e come egli polemizzi quasi con se stesso per potere, finalmente, dare il suo vero volto alla propria idea degli uomini e dell´arte».  
Vi si scorge uno studio realistico dell´ambiente e un´esigenza di raggiungere un´arte sincera e vera. Attenzione merita soprattutto la psicologia della protagonista e il suo punto di vista realistico. Purtroppo meno riuscito si rivela la struttura del romanzo, specie nella seconda parte. Allo stile non è ancora levato via il tono esageratamente enfatico, il linguaggio è imbottito di numerosi aggettivi.  

 

  1. Tigre reale

Nel suddetto romanzo «tigre reale» raffigura un paragone conducente al personaggio femminile di Nata, contessa russa, tipico esempio della donna fatale apparente molto spesso nei romanzi mondani del Verga. Il protagonista maschile Giorgio La Ferlita, di nuovo d´origine siciliana, si innamora perdutamente di Nata, la quale essendo straniera e diversa, lo attrae con una forza immensa. Ma i due non sono destinati per stare insieme: Nata è ammalata di tisi e Giorgio sposato. Alla fine Giorgio decide di tornare alla moglie e il suo amore fatale, Nata, soccombe alla malattia morendo in solitudine.
Alla figura femminile di Nata, da una natura selvaggia e imperscrutabile proprio come una belva, viene messa in contrapposizione la figura di Erminia, moglie siciliana di Giorgio, donna quieta e virtuosa. Occorre menzionare che Verga pone di frequente tali opposti di personaggi femminili nei suoi romanzi mettendo in gioco i loro contrasti caratteriali. La salvezza per il protagonista maschile di Tigre reale consiste nel ritorno nella terra natale sotto le ali della famiglia. Si tratta di «un motivo che sarà proprio delle opere più mature: il senso della famiglia che assume il carattere di una vera religione».
Per quanto riguarda le qualità artistiche dell´opera, la struttura non è del tutto equilibrata, con rimanente soggettivismo. Tuttavia, si nota uno svolgimento del racconto, in confronto ad Eva, più riuscito, con inserimento dei passaggi descrittivi concernenti la provincia siciliana.           

 

  1. Eros

Edito nello stesso anno di Tigre reale, termina la fase della prima maniera del Verga, alla quale si lega la tematica dell´ambiente mondano. In confronto alle altre opere prima trattate, il romanzo ne risulta il più scapigliato ed elabarato nello stile.  Eros (dapprima intitolato Aporeo) «è il più lungo dei romanzi del primo Verga e anche più contenuto: le passioni sono trattate senza eccessi verbali». La presente tesi tratta il romanzo in questione proprio perché in esso si manifesta lo svolgimento della formazione artistica dell´autore nel modo più cospicuo anticipando nel contempo in maniera assai visibile il ciclo dei Vinti, già allora formato nella mente dell´autore. In Eros si nota oltre il percorso del progresso tecnico che Verga raggiunse durante il periodo della prima maniera.
Per poter effettuare più avanti l´analisi il cui punto di riferimento è costituito dalla figura del protagonista, conviene riassumere in breve la trama: Il romanzo è sempre ambientato nel mondo dell´alta società aristocratica, svolgendosi in gran parte a Firenze. Si descrive la storia di una vita decadente, quella del marchese Alberto Alberti, dall´infanzia fino al momento della sua morte. Il protagonista vive numerose storie amorose in cui determinanti sono i ruoli di tre personaggi femminili: la ingenua e schietta cugina Adele, l´elegante e matura contessa Armandi, la dispettosa e vanitosa Velleda. Il protagonista volita fra le tre donne come una farfalla tra fiori, inebriato dai loro profumi e aspetti, talmente diversi fra di loro. Ma il personaggio maschile oscilla tra valori ambivalenti, è indeciso, si sente sradicato, incapace di ancorare. Si butta volontariamente nel vortice di una vita turbinosa e travolgente, dandosi in preda alle passioni che le sue avventure amorose gli portano. Ma essendo rifiutato da parte della sposata contessa Armandi, dopo che il marito di lei è venuto a sapere della loro relazione, deluso dell´amore decide di viaggiare per il mondo fuggendo così la propria vita. Dopo tanti anni di vagabondaggio torna in Italia, invecchiato, scettico più che mai, in uno stato di profonda crisi personale. A quel punto Alberto incontra la cugina Adele che ha tradito per Velleda, la migliore amica di Adele. In cerca di un approdo, chiede la mano della cugina. Lei, ancora innamorata, accetta con la speranza di salvare l´anima di lui mediante il calore della vita coniugale. Ma Alberti, «quell´uomo tormentato dalla febbre del movimento, perseguitato dalla noia dappertutto» , non trovando la pace nemmeno in matrimonio, si lascia risedurre da Velleda tradendo per la seconda volta Adele. In seguito la moglie è colpita da una grave malattia d´origine ereditaria ma evocata anche per causa del comportamento egoistico del marito. Alla fine Adele muore e il protagonista, sentendosene in parte responsabile, si elimina dal mondo con un colpo di pistola, simbolicamente nel letto della morta moglie.         
E così Eros si potrebbe designare la storia del fallimento di una vita, il degrado progressivo di un «uomo di lusso» , completamente sconfitto dal destino, che trova l´unica soluzione possibile nel suicidio. Insomma, è la rappresentazione di un personaggio squilibrato che si trova in una profonda crisi interiore, di un «vinto», con un´anticipazione evidente della «tematica dell´opera futura, anche se neppure laddove le passioni umane sono più semplici». Bisogna tener presente il fatto che l´autore, permanendo già parecchio tempo sul continente, ebbe allora una certa esperienza con l´ambiente mondano il quale figura nelle sue opere della prima maniera. Il romanzo non fu scritto nella fase iniziale quando Verga stava ancora venendo per la prima volta a contatto con l´ambiente della società fiorentina, incantato per intero della sua atmosfera suggestiva e soprattutto diversa e sconosciuta rispetto all´ambiente isolano in cui visse finora. Durante la prima esperienza continentale del Verga, il fascino di un ambiente così raffinato e brillante gli appannava la vista e lui vedeva tale mondo in una luce idealizzata. Ovviamente, col tempo lo scrittore ebbe la possibilità di conoscere il vero volto di quella società distinguendo i suoi difetti e levandosi via il velo dell´idelizzazione. Tutto ciò è dimostrabile attraverso la serie dei romanzi dell´argomento mondano, trattati nella presente tesi. Per capire la visione verghiana del mondo della classe elevata con i suoi protagonisti, si ritiene indispensabile nel contempo tener conto dell´esperienza personale dell´autore, la quale è più o meno incisa nei romanzi sopra riferiti.
Per quanto concerne la progressiva perdita della visione idealistica dell´autore, la storia del protagonista di Eros ne può essere la prova. Se si prendono in considerazione i protagonisti dei romanzi antecedenti , è proprio il protagonista di Eros, il marchese Alberto Alberti, in cui si scorgono nel modo più evidente lo scetticismo impermutabile sulla vita, l´acuta visione realistica, la venatura dell´ironia nel parlare. Come se l´autore mettesse il proprio modo di percepire e di valutare il mondo negli eroi delle sue opere. Del resto, tale visione pessimista assumeranno più tardi le opere veristiche. Infatti il «maturo» Verga è rinomato per la sua sfiducia nel progresso, nel possibile miglioramento sociale. Ciò ha una stretta coerenza con la possibilità di salvezza per il personaggio. Mentre ai protagonisti dei romanzi precedenti è concesso salvarsi, almeno in parte, nel seno protettivo della famiglia, il protagonista di Eros non ha più nessuna possibilità di salvezza, nemmeno quella raffigurata nel focolare domestico. Ed è proprio il punto in cui consiste l´ideologia verghiana dei Vinti: alla fine l´uomo finisce sconfitto, cioè vinto, nonostante il suo stato sociale, pur con tentativi di opporsi al destino.
Non è il caso di occuparsi del piano linguistico dell´opera. Come si è accennato prima, il romanzo dimostra un sostanziale progresso tecnico di fronte alle opere precedenti: ciò è naturalmente connesso al logico processo di maturazione artistica. L´autore tende ad una narrazione più oggettiva, lo stile non si rivela così enfatico e i dialoghi tra i personaggi si svolgono con sveltezza. Purtuttavia, nel romanzo si notano ancora delle imperfezioni ma a prescindere dai «limiti contenutistici e formali, [Eros] costituisce una tappa significativa nell´iter narrativo dello scrittore siciliano, [...] un bisogno di semplicità e naturalezza, di verità, dopo tanti artifici di sentimenti, di situazioni, di linguaggio».   

 

 

  1. Lo sradicamento e il vagabondaggio nel protagonista

Se si vuole veramente capire la complessa psicologia del protagonista nei propri valori, conviene nel contempo tener conto di alcuni rapporti essenziali che si segnalano insieme ai romanzi dell´argomento mondano. Dunque il personaggio di Eros verrà dapprima esaminato con alcuni riferimenti agli altri romanzi prima trattati, per esporre la problematica in un quadro più esteso. Comparando in certi aspetti la tematica di Eros in confronto al resto dei romanzi della prima maniera, aiuta a chiarire alcuni argomenti che altrimenti non sarebbero spiegabili rimanendo soltanto nella stretta circoscrizione del romanzo analizzato.
Il personaggio maschile di Eros ha in comune con gli altri protagonisti maschili dei romanzi mondani il fatto di aver ceduto alle seduzioni delle donne, figure femminili che si presentano come «fatali», lasciandosi travolgere dalle passioni in una strada pericolosa della vita. Alla fine di tale strada immaginaria si trova un abisso in cui i protagonisti rischiano di cadere se si abbandonano appieno al rapporto con la donna, il quale, come si vedrà più avanti, ha valori distruttivi. Cioè proprio il caso di Alberto in Eros, personaggio maschile che, a differenza degli altri, cade sconfitto in quell´abisso suicidandosi, distrutto dalle esperienze amorose con le donne fatali. Si distingue dalle altre figure maschili perché a lui non è riservato alcun salvamento, rappresentato caratteristicamente nel Verga dall´ambiente protettivo della famiglia. Il suicidio «è la soluzione più radicale che il Verga possa immaginare per chi si abbandona al movimento travolgente della vita senza opporre resistenza». Ci si potrebbe obbiettare perché si comincia proprio nel punto in cui la storia del protagonista si conclude, ma il motivo sarà immediatamente dopo esplicato. L´eroe di Eros non si salva nemmeno nell´atmosfera quieta della famiglia poiché non l´ha mai vissuta in infanzia, non conosce «la felicità serena della vita familiare». Se si prende in considerazione la tragedia della protagonista di Storia di una capinera, benché si tratti completamente di una storia diversa, vi si trova un paragone: anche Maria è una «vinta» nel senso assoluto, morendo in solitudine in convento. Pur conoscendo le gioie della vita familiare, non le è concesso salvarsi perché in questo caso è addirittura la famiglia a respingerla. Tale riflessione conduce ad affermare che senza il retroterra familiare si è destinati nel mondo verghiano a precipitare nell´abisso, a diventare definitavamente i cosiddetti «vinti». Quindi, per la psicologia e il comportamento del protagonista di Eros è determinante il fatto che il protagonista non è cresciuto in un ambiente familiare e perciò il culto della famiglia gli è ignoto. Non a caso l´autore, prima che si cominci a narrare la storia di Alberto, riservò il primo capitolo del romanzo ai genitori del protagonista per mettere in luce il loro matrimonio complicato. Si rivela molto interessante il confronto tra l´immagine del padre di Alberto, descritta nel primo capitolo, e la descrizione di Alberto. È evidente in quanto il protagonista assomigli in alcuni tratti a suo padre. Per farsi un´idea concreta, si veda la descrizione concernente il padre, la quale sarà nel seguito comparata a quella del protagonista:
«Egli era ritto, immobile, serio, [...] col sigaro in bocca»; «dovea essere giovane, invecchiato anzitempo, pallido, biondo, elegante, alquanto calvo»; con un «sorriso grottesco su quel viso impassibile, pallido e glaciale».   
Ora si veda come il narratore descrive l´immagine di Alberto:
«capelli biondi, il profilo aristocratico, un po´ freddo e duro, il pallore marmoreo del padre»; «invecchiò precocemente», «era calmo, serio, freddo; [...] col sigaro in bocca, il viso pallido»; «avea l´occhio smorto, il pallore cadaverico, e l´impassibilità quasi fosca»; con «l´accento glaciale» e «sorriso ironico».        
Un´altra similitudine da rilevare, in rapporto al protagonista e la figura di suo padre, è che anche Alberto abbandona sua moglie Adele per andare a viaggiare per il mondo, ugualmente come l´ha fatto suo padre alla madre di Alberto. Si tratta del tema del vagabondaggio, spesso apparente nel mondo dei personaggi verghiani. Effettivamente Alberto rappresenta il tipico esempio della figura vagabonda. Lo si può dimostrare con chiarezza mediante un passaggio descrittivo dedicato alla complessa psicologia dell´eroe:
«immaginazione vivace, affettuosa, ma inquieta, vagabonda, diremmo nervosa, ingegno più acuto che penetrante, analitico per inquietudine e per debolezza di carattere»
In tal modo il protagonista è descritto nel momento in cui è ancora giovane, a soli sedici anni, all´inizio della storia. Si veda attraverso un´altra citazione, tratta dal romanzo, in quanta misura con gli anni le caratteristiche sopra riferite si intensificano nei valori alquanto negativi:
«Possedeva tutte le disgrazie [Alberto]: l´immaginazione calda, l´indole fiacca, il cuore sensibilissimo, ma non temperato da affetti domestici, ed una certa agiatezza che gli permetteva di vedere la vita da un lato solo. A ventott´anni sentivasi isolato, stanco, senza scopo, senza emozioni che non fossero malsane, senza entusiasmo, senza domani. Provava momenti di debolezza e di scoraggiamento indicibili».
Lo stato d´animo di Alberto si esacerba in coincidenza con il tempo, è un processo di gradazione corrispondente all´andamento cronologico della storia. Il sentimento acuto di sradicamento nel protagonista consiste nel fatto che Alberto non ha nessun retroterra, rappresentato nel mondo verghiano spesso dalla famiglia. Comunque tale dato di fatto non vuol dire che il protagonista non desideri provare il sentimento della vita tranquilla nel nucleo familiare. E perciò infine, ormai invecchiato e stanco, sposa Adele perché «è la prima volta che non basta a se stesso» , sperando di trovare pace nella «vita calma e serena, circoscritta in un orizzonte limitato». È un passo provocato piuttosto dalla disperazione, da un senso di vuoto – come se il protagonista non avesse più niente da perdere. Ciò si rivela più che evidente a sentire la sua voce quando parla ad Adele: «io non ho più capelli, nè illusioni; ho quarant´anni e trenta mila franchi di debiti»; e più avanti ripetendo ancora: «io non ho più sedici anni, non ho più la fede». Nella subcoscienza di Alberto c´è un´apparente sofferenza causata dalla sua condizione orfana; ciò è ben dimostrabile attraverso un passaggio in cui Alberto si confessa ad Adele:
«Ei la guardò in modo singolare, a lungo, senza aprir bocca. – Cugina mia! – disse dopo una lunga esitazione, – io non ho quasi conosciuto mio padre; mia madre non ebbe nemmeno il tempo di abbracciarmi prima di morire».
È vero che la vita matrimoniale con la cugina porta una certa serenità in «quell´anima esulcerata» di Alberto, recandosi con lei in campagna. Però anche questa felicità è, alla differenza di sua moglie, «un po´ chiusa, esitante, ombrosa, e [...] sempre [con] una tinta di melanconia». A questo proposito si segnala un contrasto tra la campagna e la città in relazione con la disposizione mentale del protagonista: evidentemente l´ambiente campagnolo ha un effetto tranquillizzante, mentre l´ambiente strepitoso della città esercita un effetto negativo sullo stato d´animo del protagonista. Si veda la citazione più sotto:
«Alberti sarebbe volentieri rimasto a Belmonte tutto l´inverno, ed anche tutto l´anno. Quella vita calma e serena [in campagna], circoscritta in un orizzonte limitato, confacevasi alla stanchezza dell´animo suo, e al bisogno che provava di rinascere in quell´amore così nuovo, senza che altre immagini del passato potessero venire a turbare il suo pensiero ed a mettere in pericolo quell´intimità che gli faceva tanto bene».         
Dunque il ritorno dalla campagna a Firenze è in coincidenza con l´aggravamento della condizione psichica di Alberto che finisce per perdersi completamente d´animo. Alla sua età matura si trova in uno stato di depressione profonda soffrendo di non essere più giovane, di non avere nessun avvenire speranzoso avanti. Si divora dai pensieri al suo passato burrascoso e nel contempo emerge in lui una gelosia improvvisa della quale si vergogna ma non riesce nemmeno a sopprimerla:
«Alberti era più triste del solito... Saettava alla sfuggita sulla moglie, quasi inavvedutamente, uno sguardo scrutatore; impallidiva o arrossiva senza volerlo... Non osava rivolgerle la più lontana domanda; indispettivasi contro sè stesso, e le chiedeva tacitamente perdono di non so quali sospetti... Pensava spesso a Belmonte con melanconica dolcezza, e si rimproverava il suo egoismo. Il suo triste passato gli si rizzava dinanzi...».
Citando direttamente la voce del protagonista si rivela in modo evidente che in fondo Alberto invidia la moglie l´età verde e la bellezza che lui non possede più:
«- Vorrei esser giovane e bello come te!... – soggiungeva Alberto con un sorriso di cui stentava a dissimulare la tristezza».
Stando all´apparenza si può sostenere che in realtà quello che terrorizza di più il protagonista è il corso del tempo, implacabile ed inarrestabile. Il momento decisivo in cui l´equilibrio restante di Alberto viene scosso oltre misura è proprio l´incontro dopo vent´anni con la sua ex-amante, il quale «mette in moto il rapido film dei ricordi, nel quale la vita diventa visibile come movimento minaccioso». L´immagine dell´invecchiata contessa Armandi ha un effetto violento e avvia nella coscienza di Alberto una riflessione autodistruttiva:
«Quelle due parole dell´Armandi avevano però gettato un gran turbamento nel cuore di Alberto. Tutte le follie del passato gli sfilavano dinanzi, ironiche, motteggiatrici, assurde, ridicole; prendevano la fisionomia di quella amante, già appassita, e coi capelli grigi... Allora avea gettato gli occhi sullo specchio... Anch´egli era cambiato, molto cambiato! [...] si sentiva più cambiato dentro di sè che all´esteriore; la stanchezza fisica influiva sulla prostrazione morale; tutti i suoi sentimenti avevano alcun che di fiacco, d´incerto, di sfiduciato, all´infuori di quel solo che qualche volta era un tormento – e Adele era ancora piena di giovinezza e di beltà! – Il suo fatale spirito d´analisti lo spingeva a tristi deduzioni».          
Si sottolinea la crisi dello stato d´animo del protagonista poiché sta in stretto rapporto proprio con il fenomeno del vagabondaggio. Si scopre che l´eroe di Eros si mette in un viaggio indefinito ogni volta quando si trova in depressione, in una condizione di sconforto. Vagabondando il protagonista tenta di sfuggire il peso della propria vita. Benché per Alberto il vagabondaggio rappresenti una specie di via di scampo, si segnala con univocità un´influenza all´opposto distruttiva della vita vagante che soltanto aggrava la sua disposizione mentale. Quando Alberto torna da un tale viaggio si nota con evidenza un peggioramento della sua condizione, un degrado morale, un ragionamento più scettico, una percezione del mondo alquanto pessimista e cupa. Quindi è da constatare che il vagabondaggio nel mondo verghiano segna valori negativi e distruttivi. A questo proposito conviene approfittarsi di un passaggio-chiave concernente il tema del vagabondaggio e che aderisce in coerenza perfettamente alle suddette deduzioni:
«Dopo questa tirata [Alberto] partì per un lungo viaggio, recando seco le sue malsane abitudini, ed i germi funesti di uno scetticismo che, in mezzo a gente la quale si occupava di lui soltanto per vendergli dei piaceri, lontano dai luoghi cari per memorie, non poteva far altro che peggiorare. Invecchiò precocemente, correndo pel mondo come l´Ebreo Errante, spinto da non so quale inquietudine fatale che l´incalzava sempre dappertutto, non vedendo e non cercando altro dei diversi costumi che il lato peggiore. Visse tanti lunghissimi anni senza alcun sentimento schietto, senza alcuno degli affetti più intimi, che si abituò a credere fosse un disgraziato privilegio quel cuore che sentivasi battere in petto alle lontane reminiscenze».     
Per concludere si può dunque dedurre che lo sradicamento e il vagabondaggio in rapporto alla figura del protagonista sono fermamente legati l´uno all´altro. Il fatto che il protagonista non possede nessun retroterra familiare, diventato da ragazzino orfano, si considera la causa fondamentale del suo sradicamento il quale lo spinge, oltre a buttarsi in relazioni pericolose vivendo passioni travolgenti, a menare una vita vagabonda da un´anima persa. Il procedere della sua vita è una gradazione dell´impronta peggiorativa assumendo valori negativi. Il processo dell´aggravamento graduale va d´accordo con l´andamento cronologico della storia. Si rivela dunque inevitabile che quando al protagonista crolla con la morte della moglie contemporaneamente l´ultimo punto fisso, da cui però istintivamente fuggiva, crolla anche lui definitivamente «nell´abisso», rappresentato dalla morte volontaria.  

 

 

 

 

 

 

 

  1. Il rapporto fra il protagonista e sua moglie

 

Si rivela interessante seguire alcuni passaggi di Eros in cui il narratore si occupa del rapporto fra il protagonista e sua moglie, specie certi riferimenti riguardanti il carattere del protagonista visto dalla prospettiva della figura femminile. A volte addirittura il narratore non nasconde di simpatizzare con il personaggio della moglie rispetto alla figura del protagonista. Tale osservazione particolare dà all´indagine psicologica del protagonista un´altra dimensione, presentando una visione del personaggio da un punto di vista alquanto soggettivo.
Dapprima però occorre soffermarsi alla figura della moglie. Bisogna sottolineare che essa non rappresenta soltanto una figura di donna. La sua entità nel romanzo è molto più importante di quanto si direbbe alla prima vista. Nel mondo verghiano la figura di Adele, la moglie e allo stesso tempo la cugina del protagonista, rappresenta un vero simbolo. È un´incarnazione dell´ambiente protettivo del focolare domestico, portatrice dei valori familiari. Adele è anche la contrapposizione della donna fatale (nel caso di Eros le figure delle donne fatali sono Velleda e la contessa Armandi). Di passaggio, uno schema più o meno indentico si nota anche negli altri romanzi mondani del Verga. Come si vedrà nel seguito, l´autore di frequente mette nelle opere in contrapposizione vari opposti: la figura della moglie, fedele e pronta a sacrificarsi per il marito, è opposta alla figura della donna fatale, pericolosamente affascinante e seducente. E come si è visto già prima, si distingue anche il contrasto tra l´ambiente della campagna di fronte alla città. Ma ci sono ancora molti altri i contrasti apparenti nell´opera verghiana – si direbbe quasi che le opere si basino addirittura nei rapporti ambivalenti. Del resto, si è appena dimostrato che non ne si sottrae nemmeno Eros. Ma proprio per quello che Adele simboleggia, Alberto chiede la sua mano cercando un approdo, un retroterra. Non è una passione feroce a legarlo ad Adele ma invece una visione inconsapevole di sua madre che vede in lei:
«Non saprei spiegarti il sentimento che mi lega a te. Non è solo amore il mio: sembrami che tu faccia parte di me, della mia casa, del mio nome. Tu sei la continuazione di mia madre, e mi è dolce chiamarti col suo nome. Ho amato in tutti i modi, ma non ho provato mai nulla di ciò che provo adesso».            
In effetti Adele è del tutto convinta che la famiglia possa salvare Alberto – quindi sposandolo potrebbe proteggerlo con i suoi istinti materni, disposta a sacrificarsi pienamente per lui:
«– Ammogliatevi! – gli disse Adele, osando stringere finalmente la mano fredda di lui. – La famiglia vi salverebbe... So quel che vuol dire essere soli al mondo! Se potessi, col sacrificio della mia vita, mettervi qualcosa in cuore, vi giuro che lo farei. ... [Adele] indovinava nell´uomo amato delle ferite che era lieta di sanare, delle ritrose debolezze che lusingavano gli istinti materni e protettori della donna».
Adele è colpita dal peggioramento avvenuto nello stato d´animo di Alberto. Il suo affetto «vergine e schietto» , l´amore immenso che prova nei confronti di «quel sarcastico ed altero signor marito» , come il narratore definisce ironicamente il protagonista, è accompagnato dai sentimenti di pietà e di comprensione:
«– Come siete divenuto, Alberto! – esclamò essa celandosi il viso fra le mani. – Vi faccio orrore? – No... mi fate pietà. Quanto avete dovuto soffrire per essere così cambiato»!
A proposito della più sopra riferita definizione sarcastica, attribuita dal narratore alla figura di Alberto: si tratta di un esempio eloquente della rimanente soggettività dell´autore, dalla quale non riesce ancora a staccarsi. Inoltre è anche la prova del favoreggiamento dedicato alla figura della moglie per la schiettezza del suo carattere. Da ciò naturalmente si deriva che la figura del protagonista, almeno rispetto ai suoi tratti caratteriali, non va tanto a genio al narratore. La figura di Adele è insomma la figura di una martire che sacrifica la propria vita per l´uomo che ama, sperando che in «quel cuore di sasso» sia ancora qualcosa di vivo. Però Alberto si renderà conto delle qualità di sua moglie tardi, quando lei sta per morire. Teoreticamente, Adele avrebbe potuto significare davvero il cosiddetto salvamento per Alberto, «quell´anima fiacca e malata» , se non fosse lui ad allontanarsi da lei istintivamente preferendo vagabondare per vari paesi stranieri o ritirandosi in campagna invece di starle a fianco:
«Giunti a Firenze, [Alberto] mise in campo degli affari, e partì per la campagna. Così toglievasi pel momento al supplizio di comparirle [ad Adele] dinanzi in quelle ore che solevano passare insieme. Ella sentiva un gran dolore, una gran timidezza di fronte a quell´uomo».
Per quanto tale comportamento di Alberto di fronte a sua moglie possa sembrare stravagente ed irrazionale, si potrebbe spiegare stando all´affermazione di Meijer che nel mondo verghiano «si rimane affascinati da una bellezza che fugge». Dunque se non è Adele a fuggire per alimentare in un certo senso il fascino di una cosa che sfugge, è Alberto da solo a lasciarsi fuggire lei. Altrettanto emerge con evidenza dal brano sopra citato una certa parzialità piuttosto negativa del narratore in rapporto al protagonista: il «quell´uomo» assume un´intonazione riservata, quasi il personaggio di Alberto fosse antipatico al narratore stesso. Si osserva che la medesima definizione di «quell´uomo», con riferimento ad Alberto, viene usata dal narratore più di una volta:
«Qual notte terribile per la povera Adele! Non solo avea ricevuto una acerba ferita al cuore ed all´amor proprio, ma tutto l´edificio della sua felicità crollava; quell´uomo ch´era tutto per lei le sfuggiva, travolto nel turbine di quelle passioni ch´erano state così formidabili per lui».
Si osservino le parole del narratore: «la povera Adele!» - un´altra dimostrazione della simpatia verso la figura della moglie. È evidente la compassione che il narratore esprime nei confronti di Adele. In più sembra che ciò sia presentato dalla prospettiva della figura femminile per rendere possibile al lettore di mettersi nella condizione pietosa di Adele. Conviene anche prestare attenzione ad un passaggio di Eros in cui il narratore esplica la complessità della relazione tra i due sposi:
«Tra di loro due che s´amavano tanto, ch´erano così intimamente legati, c´era sempre un abisso che egli non osava confessare a sè stesso, e che ella non voleva vedere, e per non vederlo chiudeva gli occhi. L´ottica delle loro idee era immensamente diversa: il cuore della donna, giovane, fresco, ricco, era lieto d´amare, s´attaccava alla felicità, ci credeva senza esitazioni, ci si abbandonava con fiducia. Alberto non possedeva più nè cotesta fede, nè cotesto entusiasmo, nè cotesta serenità».
Indubbiamente il brano sopra citato rivela un altro rapporto di due opposti – qui addirittura i due contrasti sono rappresentati da due personaggi con caratteri e una visione del mondo assolutamente diversi. Sembra che tutto ciò sia un gioco di rapporti ambivalenti, di poli opposti, distinguibili nell´intera produzione verghiana della prima maniera, ma non solo in essa.
A proposito della figura di Adele e la sua visione riguardante la psicologia del protagonista, bisogna menzionare che Adele è pienamente consapevole della misera condizione mentale «dell´uomo amato» , credendo fermamente di aiutarlo ma nel contempo temendo «di stancare l´ombrosa e mobilissima fantasia» di lui:
«Adele si avvedeva qualche volta di ciò che passava pel capo del marito come una nube tempestosa. Indovinava il turbamento che sconvolgeva di tratto in tratto quell´anima, e non sapeva a che attribuirlo. Temeva che gli spiriti irrequieti del marito si risvegliassero, e che egli stesso, [...], non potesse fare a meno di rimpiangere segretamente la libertà perduta, e la vita evventurosa di una volta. Avrebbe voluto mettere la sordina alle memorie che turbavano la mente del marito, come poteva mettergli le mani sugli occhi se voleva».
Il personaggio di Adele, pur la sua risolutezza enorme, non riuscirà a conquistare Alberto nel senso assoluto come hanno fatto le donne fatali Velleda e la contessa Armandi, non possedendo a differenza di loro il fascino di una vita pericolosa e travolgente che attira il protagonista. Siccome Alberto apparentemente associa Adele alla figura di sua madre, l´amore che prova per la moglie assume un valore diverso rispetto all´amore provato nei confronti delle sue amanti.    

 

 

  1. L´influsso della figura della donna fatale sul protagonista

 

La figura femminile della cosiddetta donna fatale esercita in Eros un ruolo sostanzialmente importante per lo svolgimento della storia del protagonista. In primo luogo, l´anzidetto personaggio femminile raffigura l´opposto del personaggio di Adele, moglie dell´eroe di Eros. E di nuovo bisogna comprenderlo non solo come una figura di donna; ma come un´incarnazione di certi simboli e valori. Dapprima forse conviene menzionare che con la figura della donna fatale nel mondo verghiano si intende un personaggio femminile di una bellezza straordinaria, estremamente affascinante e seducente, spesso d´origine aristocratica e circondato da un ambiente lussuoso. Il personaggio maschile, incontratosi con lei, ne rimane colpito e sperdutamente incantato. Lei diviene in lui l´oggetto della voluttà, del desiderio; impadronendosi appieno della mente del protagonista, occupa poi tutti i suoi pensieri. La donna fatale attira il protagonista con una forza trascendentale di un pericolo eccitante, di una vita appassionante, suscitando dei sensi di vertigine, di un´ebbrezza allucinante simile all´effetto di una droga. L´influsso così anomalo delle figure delle donne fatali causa che il protagonista viene travolto su una strada pericolosa della vita, conducente alla perdizione totale se il protagonista non ci si oppone in tempo. Cioè proprio il caso dell´eroe in Eros, il quale non essendo capace di sottrarsi a tale pericolo si manda, si direbbe quasi volontariamente, in perdizione.     
Prima di trattare l´argomento concernente la figura della donna fatale con riferimento esclusivamente al romanzo Eros, sarebbe opportuno fare un breve confronto riguardante l´insieme dei romanzi mondani. Ciò dà la possibilità, come si vedrà nel seguito, di mettere in risalto che nella produzione narrativa verghiana dell´argomento mondano sono con evidenza distinguibili alcuni schemi fissi simbolici e tratti comuni. Prendendo in considerazione il sistema dei personaggi con le loro vicende, appartenenti al resto dei romanzi mondani prima accennati , si scopre che il fenomeno della donna fatale non è un caso raro nel Verga. Anzi, tale genere di figura femminile si trova in ciascun romanzo dell´argomento mondano. Si pensi, per esempio, al primo romanzo Una peccatrice, in cui la rappresentante della donna fatale è il personaggio della contessa piemontese Narcisa Valderi. Si possono ancora elencare le figure femminili quali: la splendida ballerina Eva dell´omonimo romanzo; la contessa russa Nata del romanzo di Tigre reale, paragonata con efficacia a una belva e, alfine, le due figure delle donne fatali in Eros – la giovane e dispettosa Velleda e la matura contessa Armandi. In fondo i suddetti personaggi simboleggiano l´opposto della «vita tranquilla e protettiva della famiglia» , incarnata di solito nelle figure femminili che si contrappongono a quelle fatali; cioè le figure delle mogli o madri dei protagonisti maschili. Del resto, uno schema identico si nota anche in Eros, dove la contrapposizione della donna fatale si trova appunto nel personaggio di Adele, moglie del protagonista, come simbolo del focolare domestico, quindi il contrario della vita simboleggiata nella figura della donna fatale.
Messa in luce la questione della figura della donna fatale rispetto all´intera produzione mondana del Verga, ora si può procedere avanti fissando l´attenzione puramente sopra Eros, il romanzo esaminato. Dunque di esempi delle donne fatali in Eros ne troviamo addirittura due: i personaggi femminili di Velleda e della contessa Armandi. Tutte e due le figure influenzano in modo determinante la direzione in cui il protagonista si avvia nella vita.
Per quanto riguarda il personaggio di Velleda, «la contessina Manfredini» , all´inizio della vicenda è la migliore amica di Adele. Naturalmente essendo la donna fatale per il protagonista, ci corrisponde il loro primo incontro proprio in presenza di Adele. E l´effetto sul protagonista, marchese Alberti, che lo «sguardo profondo ed un po´ altero, l´accento carezzevole» di Velleda comportano, è come di un colpo di fulmine, lasciando indietro la «magrina, pallidetta» Adele con la sua «verginale leggiadria» :
«Allorché la cuginetta gli corse [ad Alberto] incontro stendendogli le mani e salutandolo col suo grazioso rossore, i capelli biondi, la veste di seta, e lo sguardo da regina dell´altra gli si gettarono, direi, alla testa, in un lampo. Povera Adele! se avesse potuto udire il ronzìo di tutti quei calabroni inquieti che si destavano nella mente di Alberto».
Già dal suddetto brano è deducibile che Alberto preferisce la bellezza superba e vorticosa di Velleda a quella casta e ingenua di Adele. E tale preferenza è in effetti confermata nella seconda parte del romanzo in cui Alberto, pur sposato con Adele, si lascia ammaliare di nuovo dal fascino potente e distruttivo di Velleda. Per farsi un´immagine più concreta di Velleda come rappresentante della donna fatale, conviene citare un passaggio concernente il suo aspetto fisico:
«Era infatti una magnifica bionda, aristocratica e delicata beltà, modellata come una Venere, e leggiadra come un figurino di mode, dai grand´occhi azzurri e dalle labbra rugiadose; sotto i suoi guanti grigi celava unghie d´acciaio, colorate di rosa; il suo stivalino sembrava animato da fremi impazienti, e con quel suo tacco alto, con quella curva elegante, aveva l´aria di gentile arroganza, come se sentisse di render beata l´erba che calpestava. Al modo stesso che era bionda, che era capricciosa, che era elegante, e che un bel fiore da stufa ha un bel nome straniero».
Sembra dunque che Velleda, e quindi la figura della donna fatale, irradi di una bellezza quasi soprannaturale: ma piuttosto di un carattere diabolico che angelico: una bellezza pericolosa e allucinante che appanna la vista e la mente del protagonista.
L´altro amore fatale di Alberto è la contessa Armandi che più tardi nella storia diventa la sua amante. Nel momento fatale del loro primo incontro il fascino della contessa Armandi è accentuato da un´atmosfera brillante e suggestiva del ballo, al suono di musica e con vigorosi profumi in aria: tutti gli elementi del mondo di lusso, dell´alta società, moltiplicano l´effetto sul protagonista, le emozioni che agiscono in lui guardando la figura della contessa:
«Nelle sale olezzavano profumi soavi, brillavano gemme superbe ed occhi vellutati, c´era una carezza di musica, di frasi leggiadre e di raso che frusciava – e in mezzo a tutto questo una donna più bella, più elegante di tutte le altre, che si chiamava la contessa Armandi».
Alberto reagisce con un´evidente sensibilità a tutti gli effetti del mondo elegante e lucido da cui sono «coteste due donne leggiadre in modo diverso» circondate, usandole quasi fossero per loro le armi della seduzione. Ora si veda la descrizione fisica della contessa Armandi:
«Era una delicata bellezza: l´occhio nero, superbo, profondamente e voluttosamente solcato, l´andatura, la voce ed il gesto molli, gli omeri candidi e profumati come le foglie di magnolia, ondulati in linee pure, carezzate dalle trecce nere ed elastiche, il seno squisitamente modellato [...], lo strascico della veste sussurante [...] dietro di lei, la punta dello scarpino di raso che luccicava [...] come una lingua serpentina, la fronte altera e il sorriso affascinante».
Confrontando entrambi i brani sopra citati, riguardanti la descrizione fisica delle due figure femminili, si segnalano alcuni connotati comuni alludendo ad una certa minaccia che le donne significheranno. Per esempio: «unghie d´acciaio» di Velleda con cui potrebbe ferire come una belva selvaggia; oppure nelle descrizioni si sottolineano i tacchi alti delle loro scarpe, simboleggiando in tal modo la superbia e l´arroganza; o la punta della scarpa di Armandi, luccicante come «una lingua serpentina».    
Badando al carattere squilibrato di Alberto, alla sua anima vagabonda e sradicata, non è sorprendente poi la reazione che provocano in lui le due donne in questione. Da una parte Alberto avverte un senso di pericolo di cui le donne fatali minacciano, dall´altra rimante attratto dalla loro aria da rischio. Nella loro presenza si sente impotente, quasi fosse soggetto a delle forze che vanno oltre lui privandolo della ragione:
«Alberto si abbeverò di quel sottile veleno che lo penetrava senza che egli se ne avvedesse. Egli stava in una continua agitazione. Non si accorgeva nemmeno che cercava tutti i mezzi per star vicino alla contessina Manfredini, che accanto a lei era tutt´altro uomo, che non poteva saziarsi di rimirarla, ch´era inquieto, dispettoso».       
È da rilevare ancora che l´ansia e la brama nel protagonista si intensificano con il passo di rifiuto da parte di una delle donne fatali nei confronti di lui. Alberto, essendo rifiutato o disprezzato, diventa disperato agognando ancora di più alla donna che lo nega. A questo proposito si veda un passaggio dialogato di Eros, in cui la contessa Armandi fa sapere ad Alberto che non si devono vedere mai più, venuta la lora relazione amorosa alla luce:
— Sentite, Alberto, — gli disse alfine, — dobbiamo dimenticare. Ei sentì scoppiargli in cuore, montargli alla testa, affogargli la voce nella gola, tutto ciò che avea sofferto, temuto e sperato per lei. – Ella gli strinse la mano. — È necessario! — soggiunse. — Lo volete? — È necessario. Mio marito mi ha perdonato, ma sa tutto... Ella si fermò, voltandosi appena verso di lui, gli strinse la mano, e senza rialzare il velo gli disse: — Addio! Le labbra del giovane tremavano senza che potessero profferire una sola parola.
Comparando i personaggi di Velleda e Armandi, il male più grande per Alberto significa la sleale Velleda, spingendolo consapevolmente a tradire sua moglie. La contessa Armandi, a differenza di Velleda, riesce invece a tagliar corto.
Insomma, si può sostenere che le storie amorose del protagonista con le figure delle donne fatali coincidano con il progressivo peggioramento del suo stato d´animo. Benché il personaggio della donna fatale provochi delle emozioni piacevoli nel protagonista, il suo ruolo si considera negativo con delle conseguenze tragiche e perentorie sul destino di Alberto. Inoltre si segnala che, dopo ogni esperienza vissuta con tale figura femminile, Alberto cambia gradualmente in modo negativo la propria visione del mondo e l´idea sull´amore, diventando ancora più sradicato e immergendosi in un acuto scetticismo. Alla fine rinuncia del tutto all´amore, considerandolo «una debolezza» e definendo l´affetto che lo legava prima a sua moglie «l´egoismo del cuore, che invecchiando s´attacca a qualche cosa». Tale decadenza è apparentemente causata proprio dalle esperienze amorose con le donne fatali, più o meno diventate delusioni. Ma anche se il protagonista si rende conto degli effetti distruttivi che tali rapporti comportano, ogni volta quando deve scegliere tra Adele, rappresentante di un retroterra fisso, e le due donne del polo opposto, inclina alla fine al fascino della donna fatale, il quale per lui è irresistibile e davvero «fatale» nel senso stretto della parola. E dunque non essendo assai forte per sottrarsi all´influsso potente della donna fatale, gli è destinata senza riparo la perdizione totale.  

Conclusione

È stato mantenuto il programma dello svolgimento della presente tesi nel modo esposto nell´introduzione. Si ritiene che lo scopo primario della tesi sia stato conseguito: trattando la produzione narrativa della prima maniera verghiana lo scrittore viene presentato in una luce inconsueta. Oltre si è tentato di manifestare la sostanziale importanza della produzione preverista per la seguente fase dello scrittore alla quale risalgono i suoi capolavori. In tal modo si è dimostrato che anche le opere della prima maniera sono degne di attenzione; anzi è addirittura necessario prenderle in considerazione se si vuole capire il processo della formazione artistica di Verga.    
Dunque nel secondo capitolo si spiega il successo della narrativa verghiana dell´argomento mondano, risalente alla prima maniera dello scrittore, e si cerca di chiarire perché invece le opere successive, dell´impronta verista, non furono molto apprezzate dai lettori dell´epoca di Verga. Si scorge che tutto ciò sta nella composizione del pubblico di lettori dell´epoca, costituito allora in prevalenza dalla classe aristocratica o borghese, le esigenze della quale andavano perfettamente d´accordo con l´argomento mondano dei romanzi preveristi.
Il capitolo successivo invece rivela che Verga, durante la sua formazione artistica, si lasciò parzialmente influenzare da alcuni scrittori e tendenze letterarie. Ma soprattutto si avverte la rilevanza delle esperienze continentali di Verga per la scelta dell´argomento mondano. Si capisce che lo scrittore subì un percorso graduale di formazione artistica, costituito dalla fase della prima maniera ed accompagnato da aspirazioni a raggiungere il proprio stile. E l´adesione di Verga alla corrente letteraria del verismo si considera in effetti l´adempimento di tale aspirazione, che gli consentì di esprimersi in modo ricercato e di rappresentare il vero in una forma non deformata. Da ciò si può dedurre che Verga fu stimolato dalla propria insoddisfazione, dalla percezione autocritica delle sue opere la quale gli permetteva di registrarne i difetti.
Per quanto riguarda l´ultimo capitolo della tesi, dedicato alle opere dell´argomento mondano, si scopre che, nonostante la non maturità  e le imperfezioni dei romanzi in questione, la loro tematica in fondo non è molto lontana da quella del ciclo di romanzi dei Vinti, appartenente alla produzione verista dello scrittore. Ed è proprio in Eros, l´ultimo romanzo mondano, dove si scorge nel modo più intenso tale somiglianza ideologica in relazione ai Vinti: l´uomo, ricco o povero che sia, finisce nella lotta con la propria sorte sconfitto, cioè «vinto». La storia del marchese Alberto Alberti, protagonista di Eros, corrisponde perfettamente all´ideologia verghiana sopra esposta, confermando allo stesso tempo l´accostamento evidente di Verga alle idee della Scapigliatura. Attraverso la vicenda del personaggio di Alberto si nota un accrescersi della visione pessimista dell´autore, caratteristica per le opere successive. Determinante è il fatto che all´eroe di Eros, a differenza degli altri eroi dei romanzi precedenti, non è riservato alcun salvamento. Alberto, destinato alla perdizione totale, suicidandosi diventa per intero la figura di un «vinto». Si scopre che le cause principali del suo fallimento si fondano nel fatto di non avere nessun retroterra familiare al quale ripararsi e ciò comporta altrettanto lo sradicamento sostanziale per cui la figura di Alberto si distingue. Il protagonista, non essendo cresciuto in una famiglia completa e diventato precocemente orfano, non conosce i valori che la famiglia assume. Perciò non riesce a salvarlo nemmeno sua moglie, propriamente l´incarnazione dell´ambiente protettivo della famiglia. I risultati dell´analisi quindi conducono ad affermare che senza il retroterra familiare nel mondo verghiano si è destinati a perdere nella lotta della vita in modo assoluto. Osservando i due personaggi femminili, definiti come le donne fatali, si scopre il loro influsso negativo sul protagonista. Si verifica che anche a loro è attribuito un certo simbolo: quello dell´abisso che rappresenta la perdizione totale per chi cede appieno alle loro insidie; cioè addirittura il caso del protagonista di Eros – una persona con ingegno ed intelletto evidenti, eppure destinata con spietatezza a diventare «vinta» sottostando alle regole precise del mondo e dell´ideologia verghiani.          

 

 

 

 

 

Bibliografia:

G. De Rose, Guida allo studio dell´opera narrativa di Giovanni Verga, Federico & Ardia, Napoli.
P. W. M. De Meijer, Costanti del mondo verghiano, Edizioni Salvatore Sciascia, Roma 1969.
G. Ferroni, Storia della Letteratura Italiana: Dall´Ottocento al Novecento, Einaudi Scuola, Milano 2000.
Compedio di letteratura italiana III, Ottocento e Novecento, a cura di G. ALBERICO e I. BELFORTI, Newton & Compton editori, Roma 2002.
B. Panebianco, A. Varani, Narrazione breve e romanzo, Zanichelli, Bologna 2000.
G. Petronio, L´Attività Letteraria in Italia, Palumbo, Firenze 1980.
G. Petronio, Restauri letterari da Verga a Pirandello, Laterza, Bari 1990.
Storia della Letteratura Italiana, Vol. 8, Dall´Ottocento al Novecento, a cura di E. CECCHI e N. SAPEGNO, Garzanti, Milano 1968.
Tutto Letteratura italiana, De Agostini, Milano 2006.
G. VERGA, Eros, Mondadori, Milano 1946.
G. VERGA, Eva, pubblicato on-line all´indirizzo: http://www.classicitaliani.it/verga/romanzi/Verga_Eva.htm.

G. VERGA, Storia di una capinera, pubblicato on-line all´indirizzo:
http://www.classicitaliani.it/verga/romanzi/Verga_storia_capinera.htm.
G. VERGA, Tigre reale, pubblicato on-line all´indirizzo: http://www.classicitaliani.it/verga/romanzi/Verga_Tigre_reale.htm.
G. VERGA, Tutte le novelle, Mondadori, Milano 2007.
G. VERGA, Una peccatrice, pubblicato on-line all´indirizzo: http://www.classicitaliani.it/verga/romanzi/Verga_peccatrice.htm.
Novelle verghiane, a cura di M. MAMBRINI, Editrice La Scuola, Brescia 2005.
S. Zappulla Muscarà, Invito alla lettura di Giovanni Verga, Mursia, Milano 1987.

Cit. in Storia della Letteratura Italiana, Dall´Ottocento al Novecento, p. 343.

Il testo originale della citazione è nella Lettera a Felice Cameroni del 18 luglio 1875 in Occidente, IV, vol. X-XI, pp. 14-15.

In Compendio di Storia della letteratura italiana, Ottocento e Novecento, cit., p. 91.

La divisione schematica delle opere narrative del Verga è trattata all´inizio del cap. III della presente tesi.

Cfr. G. PETRONIO, L´attività letteraria in Italia, Giovanni Verga, pp. 691 - 693.

Si pensi ai romanzi Una peccatrice (1866), Storia di una capinera (1869), Eva (1873), Tigre reale (1875), Eros (1875).

Crf. G. PETRONIO, L´attività letteraria in Italia, cit., p. 692.

Ivi.

La denominazione «romantico-autobiografici» viene usata ufficialmente da Gustavo De Rose in Giuda allo studio dell´opera narrativa di Giovanni Verga.

A questo proposito cfr. G. PETRONIO, L´attività letteraria in Italia, p. 693.

G. VERGA, Eva, Treves, Milano 1873.

Op. cit., G. VERGA, prefazione a Eva, disponibile all’indirizzo: http://www.classicitaliani.it/verga/romanzi/Verga_Eva.htm.

Cfr. il cap. III della presente tesi dove la problematica in questione viene trattata più a fondo.

A questo proposito cfr. la citazione di Verga riferita nel cap. III della presente tesi, p. 19.

Cfr. Storia della Letteratura Italiana, Dall´Ottocento al Novecento, pp. 342-346.

Ivi, pp. 343-344.

Cfr. S. Z. MUSCARÀ, Invito alla lettura di Giovanni Verga, cit., p. 70.

Ivi.

G. PETRONIO, L´attività letteraria in Italia, cit., p. 692.

A questo proposito cfr. il cap. II della presente tesi che tratta l´argomento concernente la produzione letteraria del Verga di fronte al pubblico.

Cfr. G. FERRONI, «Verga prima del verismo», in Storia della letteratura italiana, Dall´Ottocento al Novecento, pp. 418-419.

G. PETRONIO, L´attività letteraria in Italia, cit., p. 693.

G. VERGA, Una peccatrice, Negro, Torino 1866.

Cfr. G. FERRONI, Storia della Letteratura Italiana, Dall´Ottocento al Novecento, «Verga prima del verismo», p. 419.

Cfr. «Produzione preverista», in Compendio di Storia della letteratura italiana, pp. 91-93.

S. Z. MUSCARÀ, Invito alla lettura di Giovanni Verga, cit., p. 72.

Il giudizo critico che Verga espresse rispetto alla sua opera fu pubblicato in origine in L’illustrazione Italiana, 24 aprile 1898; la citazione sopra riferita è disponibile all´indirizzo: http://www.classicitaliani.it/verga/critica/Bonghi_Cronologia_verghiana.htm.

Cfr. S. Z. MUSCARÀ, Invito alla lettura di Giovanni Verga, p. 72.

A. PASQUALI, Giovanni Verga, cit., disponibile all´indirizzo internet: http://www.classicitaliani.it/verga/critica/Pasquali_Realismo_Verga.htm.

G. VERGA, Storia di una capinera, Lampugnami, Milano 1871.

Cfr. Storia della Letteratura Italiana, Dall´Ottocento al Novecento, p. 338.

Cfr. S. Z. MUSCARÀ, Invito alla lettura di Giovanni Verga, pp. 72-74.

Ivi, cit., p. 72.

G. BONGHI, Cronologia essenziale di Giovanni Verga, cit., disponibile on-line all´indirizzo: http://www.classicitaliani.it/verga/critica/Bonghi_Cronologia_verghiana.htm.

Cfr. Storia della Letteratura Italiana, Dall´Ottocento al Novecento, p. 338.

Cfr. G. BONGHI, Cronologia essenziale di Giovanni Verga, cit., disponibile on-line all´indirizzo: http://www.classicitaliani.it/verga/critica/Bonghi_Cronologia_verghiana.htm.

Cfr. S. Z. MUSCARÀ, Invito alla lettura di Giovanni Verga, pp. 72-74.

Ivi, cit., p. 74.

G. VERGA, Eva, Treves, Milano 1873.

Cfr. S. Z. MUSCARÀ, Invito alla lettura di Giovanni Verga, cit., p. 75.

Ivi, cit., p. 76.

Ivi.

A proposito della Scapigliatura vd. G. FERRONI, Storia della Letteratura Italiana, Dall´Ottocento al Novecento, «Scapigliatura», tav. 194, p. 375.

Cfr. p. 21 del presente capitolo dov’è citato un brano della prefazione ad Eva

G. DE ROSE, Giuda allo studio dell´opera narrativa di G. Verga, cit., p. 20.

A proposito del giudizio critico cfr. Storia della Letteratura Italiana, Dall´Ottocento al Novecento, pp. 340-341e S. Z. MUSCARÀ, Invito alla lettura di Giovanni Verga, pp. 76-77.

G. VERGA, Tigre reale, Brigola, Milano 1875.

Cfr. S. Z. MUSCARÀ, Invito alla lettura di Giovanni Verga, pp. 78-79.

In Storia della Letteratura Italiana, Dall´Ottocento al Novecento, cit., p. 340.

Ivi, cfr.,p. 340.

G. VERGA, Eros, Brigola, Milano 1875.

Cfr. Compendio di Storia della letteratura italiana, Ottocento e Novecento, p. 93. 

In Storia della Letteratura Italiana, Dall´Ottocento al Novecento, cit., p. 342.

Cfr. A. PASQUALI, Giovanni Verga, disponibile on-line all´indirizzo: http://www.classicitaliani.it/verga/critica/Pasquali_Realismo_Verga.htm.

G. VERGA, Eros, Mondadori, Milano 1946, op. cit., p. 169. 

Si pensi al romanzo non scritto, L´uomo di lusso, che avrebbe dovuto concludere il ciclo dei Vinti.

S. Z. MUSCARÀ, Invito alla lettura di Giovanni Verga, cit., p. 80.

Cfr. P. W. M. DE MEIJER, Costanti del mondo verghiano, in particolare il cap. Il mito nell´esperienza dello scrittore, Edizioni Salvatore Sciascia, Roma 1969, pp. 173-187.

Si prescinda dalla protagonista di Storia di una capinera, la quale è l´unica, rispetto agli altri romanzi della fase preverista, figura femminile.

Cfr. «Aspetti del pensiero e la fortuna critica del Verga» in Compendio di Storia della letteratura italiana, Ottocento e Novecento, pp. 90-91, 99.

Cfr. Tutto Letteratura Italiana, Verismo, p. 240.

Cfr. il cap. III della presente tesi.

Cfr. G. FERRONI, Verga prima del verismo, in Storia della Letteratura Italiana, Dall´Ottocento al Novecento, p. 419.

S. Z. MUSCARÀ, Invito alla lettura di Giovanni Verga, cit., p. 81.

P. W. M. DE MEIJER, Costanti del mondo verghiano, cit., p. 166.

Ivi, p. 165.

G. VERGA, Eros, op. cit., pp. 12-13, 15.

Ivi, pp. 18, 157, 160.

Ivi, p. 16.

G. VERGA, Eros, cit., p. 152.

Cfr. il discorso diretto del protagonista in Eros, p. 163.

Eros, cit., p. 173.

Ivi, pp. 162, 164.

Ivi, p. 165.

Eros, cit., p. 169.

Ivi.

Ivi, p. 173.

Ivi, p. 176.

Ivi.

P. W. M. DE MEIJER, Costanti del mondo verghiano, cit., p. 131.

Eros, cit., pp. 177-178.          

Eros, cit., pp. 154-155. 

Si pensi p.e. al romanzo Tigre reale in cui la figura femminile di Nata, tipico esempio della donna fatale, è messa in contrapposizione alla figura di Erminia, moglie fedele del protagonista.

A questo proposito cfr. P. W. M. DE MEIJER, Il mito verghiano, in Costanti del mondo verghiano, pp. 145-198.

Eros, cit., p. 168.

Ivi, p. 165.

Ivi, p. 173.

Ivi, p. 166.

Ivi, p. 175.

Ivi, p. 161.

Ivi, p. 193.

Eros, cit., p. 196.

Ivi, p. 190.

P. W. M. DE MEIJER, Costanti del mondo verghiano, cit., p. 170.

Eros, cit., pp. 188-189.

Eros, cit., p. 170.

A questo proposito cfr. P. W. M. DE MEIJER, Costanti del mondo verghiano.

Eros, cit., p. 171.

Ivi, p. 173.

Ivi, p. 178.

Cfr. W. M. DE MEIJER, Costanti del mondo verghiano, in particolare capitolo IV – Il mito verghiano, pp. 145-173. 

Cfr. il cap. 4.2 della presente tesi – «I singoli romanzi» in cui vengono accennate separatamente le trame.

Si prescinda dal romanzo epistolare Storia di una capinera che divaga un po´ dagli altri romanzi avendo la protagonista femminile e una vicenda diversa. Ciò nonostante, il romanzo va aggiunto alla produzione mondana della prima maniera del Verga.

Tale forma di parogone risulta molto suggestiva e azzeccata per quanto riguarda i tratti caratteristici per cui si distinguono le figure delle donne fatali.

Op. cit., W. M. DE MEIJER, Costanti del mondo verghiano, p. 145.

Eros, cit., p. 18.

Ivi, p. 20.

Ivi.

Eros, cit., p. 21.

Ivi, p. 20.

Ivi, p. 49.

Eros, cit., p. 50.

Ivi.

Ivi, pp. 56-57.

Eros, cit., pp. 148-149.

Ivi, p. 171.

Ivi, p. 178.

 

Fonte: http://is.muni.cz/th/180340/ff_b/Bakalarska_prace_Eros_di_G.Verga.doc

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