Verga opere

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Verga opere

GIOVANNI VERGA
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento la letteratura italiana è dominata da scrittori che costruiscono e curano la propria immagine, ponendosi come personaggi pubblici. Giovanni Verga al contrario evitò di parlare di sé infatti volle che la sua opera parlasse da sola. Così per ricostruire la sua personalità bisogna lavorare di fantasia procedere per ipotesi e approssimazioni. Egli giudicò ridicolo“posare per il ritratto” e per sollecitare la curiosità del pubblico,  volle che la sua opera parlasse da sola, senza alcun punto di contatto col suo autore.
Giovanni Verga, nato nel 1840 a Catania da una famiglia benestante di idee liberali, compie i primi studi presso Antonio Abate, patriota entusiasta e scrittore sgrammaticato, che gli trasmette la sua passione per i romanzi storico-patriottici. I suoi romanzi giovanili (Amore e patria, I Carbonari della montagna, Sulle Lagune) riflettono gli ideali risorgimentali del giovane scrittore arruolatosi nella Guardia nazionale durante l’impresa dei Mille. Col passare degli anni l’ambiente siciliano lo soffoca così si dedica totalmente al mestiere di scrittore. Abbandona gli studi universitari di legge nel 1869, decide di tentare la fortuna a Firenze. Tre anni dopo si stabilisce a Milano, “la città più città d’Italia” che era il centro culturale dell’intera nazione e decide di dedicarsi totalmente al mestiere di scrittore. Le due metropoli rispondono alle attese del giovane, frequenta i salotti intellettuali e gli ambienti della Scapigliatura.
Nel decennio 1866-1875, Verga raggiunge il successo con una serie di romanzi che narrano vicende passionali ambientali nel mondo aristocratico e borghese. Il giovane artista tratta le ossessioni amorose di una ragazza monacata a forza, i mariti infedeli e anche i titoli sono eloquenti: Una peccatrice, Storia di una capinera, Eva, Eros, Tigre reale.
Nel frattempo Verga amplia i suoi riferimenti culturali: legge i realisti francesi ed entra in contatto col pensiero positivista; negli anni ’70 segue le discussioni sul naturalismo di Zola  promosse dal suo amico Luigi Capuana. Negli stessi anni si apre in Italia il dibattito sulla questione meridionale. Così nasce il progetto di 5 romanzi  ambientanti  in Sicilia ( I Malavoglia, Mastro don Gesualdo, La duchessa di Leyra, L’onorevole Scipioni, L’uomo di lusso).
Dei suoi testi per il teatro quello che ha maggior successo è Cavalleria rusticana, storia a forti tinte di un delitto d’onore tratta da una novella di vita dei campi. Nel 1893 compie a ritroso il viaggio della sua giovinezza e si trasferisce definitivamente a Catania, dove cerca di concludere il “ciclo dei vinti” ma  non ci riesce e così col passare degli anni finisce per rinunciare alla letteratura. Fa vita appartata con i fratelli e i nipoti , e si chiude in un silenzio sempre più ostinato, fin quando non muore nella sua casa di Catania nel 1922.  
Il verismo di Verga
Partendo dalla Sicilia verso il continente, il giovane Verga portava con sé, un’idea ingenuamente romantica dell’artista. L’impatto con la vita nella grande città avviata all’industrializzazione mette in crisi questa concezione. Verga dichiara di voler gettare in faccia al pubblico borghese una narrazione <vera>,<senza retoriche> che denuncia il materialismo di una società tutta orientata al guadagno e ai piaceri. Questi temi troveranno una sistemazione originale grazie all’influsso del pensiero positivistico e del naturalismo francese.
Da Flaubert Verga riprende l’idea che l’opera debba raggiungere la più totale autonomia nei fatti privati e dai giudizi dell’autore: perché un romanzo abbia “l’impronta dell’avvenimento reale  deve sembrare che si faccia da sé” e l’autore deve essere “assolutamente invisibile” e il lettore deve “trovarsi faccia a faccia col fatto nudo e schietto”. Cambia la figura dello scrittore: non più cantore di sentimenti e ideali, ma scienziato e tecnico della letteratura, che secondo Zola ha per compito quello di produrre “studi sociali”. Verga assume l’impersonalità come puro e semplice metodo di scrittura, senza alcun schieramento politico. Da questo punto di vista la scelta di raccontare storie siciliane si può interpretare come un contributo dell’autore alla conoscenza di quel mondo meridionale. Nelle novelle di Vita dei campi l’intellettuale Giovanni Verga cerca di sparire, cerca di lasciare la parola totalmente ai contadini, pastori. Nella rappresentazione della campagna siciliana ci presenta il mondo di “piccoli” contadini che, per la loro estrema debolezza di fronte alla vita, sono in grado di provare sentimenti autentici e profondi, sconosciuti alla vita urbana. Specie in novelle come Ieli il pastore e Rosso Malpelo, la società contadina appare governata da leggi crudeli: i personaggi “diversi”, più deboli e più soli, sono emarginati e schiacciati dai pregiudizi di un ambiente sociale rigido, feroce, dominato dal diritto del più forte. Questa visione problematica e contraddittoria del mondo popolare siciliano sarà pienamente approfondita e risolta nei Malavoglia.
Nelle Novelle Rusticane l’ambiente rappresentato è quello della campagna siciliana. La società contadina appare ormai integralmente corrotta dalle leggi dell’economia, ed è raffigurata come teatro di feroci e inutili scontri sociali o di frenetiche e umanamente fallimentari accumulazioni di ricchezze. (La Roba). Di diversa ambientazione ma di tematica simile sono le novelle Per le vieVagabondaggio dove, un proletariato senza speranze si abbrutisce nella miseria o rincorre i miti della ricchezza e del benessere. Nel Mastro Don Gesualdo i temi della scalata sociale e della subordinazione degli affetti al primato della roba si incarnano nella figura del  protagonista, il tipo borghese, che Verga aveva preannunciato nella prefazione ai Malavoglia.
Verga aveva pensato di scrivere cinque romanzi che dovevano rappresentare il “Ciclo dei vinti” ma soltanto i primi due furono finiti: I Malavoglia in cui c'è il tema della lotta per il pane quotidiano e Mastro Don Gesualdo in cui c'è il tema del benessere e della scalata sociale.  Gli altri tre, invece, sono rimasti solo nel progetto iniziale e sono La Duchessa di Leyra, in cui si doveva trattare della nobiltà e della vanità aristocratica, L'Onorevole Scipioni il cui tema doveva essere l'arrivismo e l’ambizione politica ed infine L'uomo di lusso che doveva riunire tutti i desideri che affaticano e  fanno soffrire lo scrittore.
Infatti Verga stesso dice che in questo ciclo voleva studiare l'ansia del progresso che affatica l'uomo, partendo dalle classi più umili per arrivare a quelle più elevate. Ma tutti i protagonisti dei suoi romanzi sono dei vinti in quanto, avendo voluto andare contro il loro destino sono stati sopraffatti dalla vita. Verga riuscì a finire solo i primi due romanzi sia perché, dopo Mastro Don Gesualdo, il pubblico si era allontanato da lui con critiche negative, sia perché sentiva di trovare la vera poesia solo parlando della povera gente. Lo scrittore voleva mettere in pratica le leggi del verismo che riguardavano l'oggettività e l'impersonalità nel modo seguente: eliminando qualsiasi autobiografismo, cioè cercando di non mettere nei personaggi le proprie passioni personali (come invece successe nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis) non intervenendo con propri giudizi sui fatti e sui personaggi (come invece era successo al Manzoni con la sua ironia) parlando di fatti culturali che possono far vedere la personalità dello scrittore usando un linguaggio lontano dalla tradizione letteraria, una lingua semplice che userebbero gli stessi personaggi nei loro discorsi reali.
Nei romanzi del Verga anche se l'autore voleva essere impersonale, il paesaggio è sempre legato ai fatti, quindi Verga non fotografa ma, quando descrive i paesaggi, mette in questi il dramma umano. Il vero protagonista dei romanzi veristi del Verga è il popolo anche se le figure maggiori dei romanzi sono il vecchio e il giovane: 'Ntoni e Mastro Don Gesualdo. Padron 'Ntoni è un semplice pescatore ma ci appare rude, triste e solenne nella sua naturale saggezza, basata su alcune massime che ha ascoltato sin dalla nascita e per cui lotta come un eroe: mantenere la roba, tenere unita la famiglia, rispettare la parola data. (Russo). Anche se il destino è contro di lui egli resiste sino alla fine. Il giovane 'Ntoni con la sua mania di allontanarsi dal paese rappresenta quasi l'antagonista del nonno.
Il Verga è pessimista perché vivendo nell'età del Positivismo non crede nella Provvidenza e non c'è Dio nei suoi libri, ma Verga non crede neanche in un avvenire migliore, conquistato in terra con la forza degli uomini, non è, cioè, un socialista che crede nella vittoria finale del quarto stato (proletariato), vittoria ottenuta con l'unione e la lotta. A Verga interessano solo i vinti.  I Malavoglia, Mastro-don Gesualdo, la Duchessa de Leyra, l'Onorevole Scipioni, l'Uomo di lusso sono altrettanti vinti che la corrente ha deposti sulla riva, dopo averli travolti e annegati, ciascuno colle stimate del suo peccato, che avrebbero dovuto essere lo sfolgorare della sua virtù. Ciascuno, dal più umile al più elevato, ha avuta la sua parte nella lotta per l'esistenza, pel benessere, per l'ambizione - dall'umile pescatore al nuovo arricchito - alla intrusa nelle alte classi - all'uomo dall'ingegno e dalle volontà robuste, il quale si sente la forza di dominare gli altri uomini, di prendersi da sé quella parte di considerazione pubblica che il pregiudizio sociale gli nega per la sua nascita illegale; di fare la legge, lui nato fuori della legge - all'artista che crede di seguire il suo ideale seguendo un'altra forma dell'ambizione. Chi osserva questo spettacolo non ha il diritto di giudicarlo; è già molto se riesce a trarsi un istante fuori del campo della lotta per studiarla senza passione, e rendere la scena nettamente, coi colori adatti, tale da dare la rappresentazione della realtà come è stata, o come avrebbe dovuto essere.
I Malavoglia
Questo romanzo è la storia triste di una povera famiglia di pescatori di Acitrezza (Catania) i Toscano, conosciuti come "Malavoglia" pur essendo dei lavoratori. La famiglia è nota e rispettata da tutti e poteva considerarsi economicamente agiata grazie soprattutto ai proventi ricavati dalla pesca con la barca chiamata la “Provvidenza”. La catena delle disgrazie inizia con l’acquisto a credito di un carico di lupini da trasportare in barca. Purtroppo una tempesta fa affondare la nave. Muore così Bastianazzo figlio del capo famiglia Padron Ntoni, marito di Maruzza detta la Longa e padre di cinque figli:’Ntoni, Mena, Lia, Luca, Alessi. Tutti cominciano ad arrabattarsi per saldare il debito dei lupini affondati con la barca, ma presto durante il servizio militare di leva nella battaglia di Lissa muore Luca.
Distrutti dai dispiaceri, i Malavoglia non riescono a saldare il debito e così viene tolta loro la casa di famiglia , detta la  “Casa del nespolo”. Ormai tutto il paese vede di malocchio i Malavoglia che cercano in tutti i modi lavorare per ottenere i denari per maritare le figlie e per riacquistare la Casa del Nespolo. A moltiplicare le fatiche arriva il colera che si porta via la Longa. Patron Ntoni resta così solo con Alessi e ‘Ntoni a sostenere i nipoti orfani del padre e della madre. Ntoni ribellandosi alle condizioni dei vinti prende una cattiva strada che lo porta a cinque anni di prigione, causando prima la pazzia , poi la morte del nonno e la fuga della sorellina Lia. Da ultimo resta così Alessi che, dopo essersi sposato, con l’aiuto della sorella Mena ricompra la Casa del Nespolo e tenta di ricostruire l’onore distrutto dei Malavoglia.
I personaggi principali sono: 'Ntoni, che è il figlio maggiore di Bastianazzo e Maruzza. È un ragazzo giudizioso, anche se a volte troppo impulsivo. Col passare degli anni, la sua voglia di lavorare diventa sempre minore, si ribella alla sua condizione di miseria e povertà, in un modo insolito: smette di lavorare e va a cercare guai all’osteria. Questa vita lo porterà a scontare cinque anni di galera. Dopo essere stato rilasciato, lascia il paese d’origine. Mena, una figlia giudiziosa e riservata. È soprannominata Sant’Agata per il suo assiduo lavoro al telaio. Dopo la morte della madre sa educare la sorella minore Lia e mandare avanti la casa. Le disgrazie e i dispiaceri la invecchiano assai precocemente: a soli ventisei anni le sembra già di essere vecchia. È molto influenzata dalla società del suo tempo, infatti decide di non sposarsi con Alfio Mosca, di cui era innamorata, perché questo avrebbe riportato sulla bocca di tutti la triste sorte della sorella. Lia, la più piccola della famiglia Malavoglia che finisce sulle bocche di tutti dopo il processo del fratello ‘Ntoni, e per questo lascia Aci Trezza. Nessuno avrà più sue notizie, solo Alfio Mosca sa la verità. Alessi che è un bravo ragazzo e si dà da fare per tirare su la famiglia dopo la morte del nonno, del padre, della madre  e la “fuga” di ‘Ntoni . Riesce a riscattare la casa del Nespolo e ricostruisce la famiglia dei Malavoglia. Luca, “un vero Malavoglia”, giudizioso e di buon cuore, come il padre, che muore prematuramente in guerra.
Concludendo, il tema fondamentale dei Malavoglia è la religione della casa, l'ideale dell'ostrica, cioè l'attaccamento della povera gente alla casa, che è come uno scoglio nel quale è tutta la sua fortuna. In questo romanzo abbiamo spesso i proverbi che sono molto importanti perché, per esempio, detti da padron 'Ntoni non esprimono veri dolori; così i proverbi sono usati al posto dei giudizi dell'autore, come se il fatto si commenti da se con le parole della gente, che questo fatto vive e soffre. Tutti i personaggi hanno la stessa importanza per cui in questo romanzo c'è un'armonia e un equilibrio che ricorda la coralità delle tragedie greche. Il linguaggio è conciso, facile a capirsi fatto tutto di cose concrete e di verità.
Il valore morale dei Malavoglia si può vedere nell'ultima parte del romanzo in cui vediamo che il piccolo mondo di Acitrezza non è cambiato e l'episodio dei Malavoglia fa parte della triste storia di sempre, simbolo della condizione degli umili ma anche di tutto il genere umano.
Nei Malavoglia Verga porta alle estreme conseguenze la sua versione della poetica dell’impersonalità,egli decide di mettersi nella pelle dei personaggi,di vedere le cose con i loro occhi,Verga assume le credenze,la mentalità,il linguaggio degli abitanti di Aci Trezza,il lettore fin dalle prime righe si trova nel mezzo di questo mondo. Questo processo di immedesimazione è reso più complesso dal fatto che il narratore assume di volta in volta la maschera di tutti i personaggi che entrano in scena, punti di vista e visioni del mondo si susseguono nel romanzo senza che la voce narrante faccia da filtro, il lettore si trova all’incrocio delle diverse mentalità e alla fine tocca a lui tirare le somme, attribuire alla storia una sua morale e un suo significato complessivo.
Mastro Don Gesualdo
Nel romanzo Mastro don Gesualdo i temi della scalata sociale e della ricchezza si incarnano nel protagonista, il manovale Mastro don Gesualdo, che, nel paesino siciliano di Vizzini, a forza di lavoro e sacrifici riuscì a diventare imprenditore e  proprietario terriero, conquistando il titolo di “don”.  Lui per coronare la sua scalata sociale pensa di sposare Bianca Trao, un’aristocratica decaduta, e  abbandona Diodata la contadina da cui aveva avuto due figli. Bianca non lo ama, ma è costretta a sposare Gesualdo per coprire una relazione con suo cugino Nini Rubiera. Dopo alcuni mesi di matrimonio hanno una figlia, Isabella. Lei da grande si vergognerà dei modi rozzi e delle origini del padre, e anche lei finirà con lo sposarsi  con il Duca di Leyra, il quale non pensa ad altro che a spendere i soldi del suocero, per riparare ad un amore proibito.
Anche se ricco Gesualdo, nella vita proverà sempre delusioni e solitudine; crolla pure un ponte che aveva in appalto e altre disgrazie fanno diminuire le sue ricchezze mentre la famiglia si disperde. La moglie, dopo averlo tradito, muore di tubercolosi, così Don Gesualdo, vecchio e ammalato, morirà di cancro in una stanza della figlia a Palermo, solo, mentre i servi lo prendono in giro. Gli è accanto solo l'umile Diodata, che stava sempre con lui, per dimostrare che l'affetto si può avere anche senza denaro.
In questo romanzo è ovunque presente il più totale pessimismo, mentre nei Malavoglia vi era sempre un po' di speranza. Per esempio, l'educazione di Isabella in collegio ci ricorda quella di Gertrude, i ritratti di famiglia di casa Trao ci fanno pensare a quelli del Palazzotto di Don Rodrigo. Il motivo principale di questo romanzo è il culto della "roba" che in questo mondo può riuscire a trasformare un semplice muratore in una persona ricca e invidiata. Ma per contrasto il Verga ci parla pure di sentimenti semplici e disinteressati (come quelli della serva affezionata di Don Gesualdo, Diodata) i quali ci fanno capire, invece, che la roba è spesso causa di male e di dolore e che il denaro non fa diventare nobili. Ma in questo romanzo il bene non è mai premiato, per cui non si può vedere una vera legge morale, per questo si può parlare di un amaro pessimismo.
Nei romanzi anche se Verga voleva essere impersonale, il paesaggio è sempre legato ai fatti, quindi lo scrittore non fotografa ma, quando descrive i paesaggi, mette in questi il dramma umano. Un problema molto dibattuto tra gli studiosi di Verga è quello del significato sociale  della sua opera. I capolavori di Verga rappresentano con realismo la miseria delle plebi del sud, portando all’attenzione del pubblico colto dell’epoca quella che già allora cominciava a chiamarsi “questione meridionale”.

 

Fonte: http://classe4ba.altervista.org/verga.doc

Sito web da visitare: http://classe4ba.altervista.org

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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