Eugenio Montale

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Eugenio Montale

EUGENIO MONTALE

La vita

La famiglia e gli studi
Eugenio Montale nacque a Genova il 12 ottobre 1896, ultimo di cinque figli, da una famiglia benestante. Compì gli studi nella città natale; ter­minate le elementari, si iscris­se alle tecniche in un istituto retto dai padri Barnabiti, ma la sua frequenza fu irregolare, perché in quel periodo non go­deva di buone condizioni di salu­te; successivamente prese, con poco entusiasmo, un diploma di ragioniere. Il padre, comproprie­tario di un'azienda di prodotti chimici, intendeva introdurlo un po' alla volta nella sua dit­ta, ma Eugenio mostra­va altri interessi: frequentava la biblioteca comunale, dove legge­va di tutto, anche se in modo poco program­matico. A orientare i suoi interessi verso la cultura umanistica con­tribuì la sorella Marian­na, alla quale, a differenza dei fratelli avviati al commercio, era stato consentito dalla famiglia, non senza difficoltà, di frequen­tare la Facoltà di lettere: a lei Montale deve l'incontro con au­tori come Sant'Agostino, Pascal, Schopenhauer, Nietzsche.

Il paesaggio ligure, repertorio di immagini e di colori per la poesia di Montale
Tra gli elementi che concor­sero a formare la sensibilità di Montale un ruolo di primo pia­no spetta al paesaggio ligure: il poeta trascorse le vacanze esti­ve, per vent’anni, in una villa che la famiglia possedeva a Monterosso, una delle Cinque Terre. «Basta dire araucarie - scrive G. Nascimbeni -, pitosfo­ri, eucalipti, tamarischi, agavi, carrubi, sambuchi, e subito ci si sente dentro la poesia di Mon­tale. Il riscontro della memoria è ormai irresistibile. E si ripete, puntualissimo, quando dalla flora si passa alla fauna: ai gal­letti di marzo, alle ghiandaie, al­le upupe, ai balestrucci, al pic­chio verde, alle folaghe, ai merli acquaioli. È un alto, inconfondi­bile, trasfigurato repertorio di colori e di presenze. Ma forse non sarebbe mai esistito senza le estati di Monterosso, senza la lunga familiarità con quel­la conca di scogli e di sassi che sta tra Vernazza e la Punta del Mesco. Il mondo di Ossi di seppia ha il suo centro tra quei botri e quei selvaggi agglomerati di ster­paglia, tra quei cimeli di can­ne, quegli orti assetati, quelle petraie, quei greti, quei secchi pendii battuti, per ogni muta­mento del cielo, dal libeccio 0 dallo scirocco, dal maestrale o dalla tramontana».

L’esordio poetico
Nel 1916 Montale compose Meriggiare pallido e assorto, la sua prima poesia, che ri­mase, tuttavia, inedita finché non fu pubbli­cata insieme a Ossi di seppia.
- -              Nel 1917, richiama­to alle armi, dopo aver frequentato a Parma un corso per allievi ufficiali, partì per il Trentino e partecipò alle ultime azioni di guerra. Ri­tornato a Genova, entrò in con­tatto con gli ambienti intellet­tuali della città; conobbe tra gli altri il poeta Camillo Sbarbaro. Nel 1922 uscirono le prime poesie; intanto Montale si era accostato al gruppo antifascista che faceva capo a Piero Gobet­ti; fu sulla rivista “Il Baretti", fondata dall'intellettuale torine­se, che comparvero i primi arti­coli di Montale e, per le stesse edizioni, Ossi di seppia, la prima raccolta poetica, pubblicata nel 1925; nello stesso anno Monta­le sottoscrisse il manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Croce e pubblicò sulla rivista milanese "L'Esame" l'Omaggio a Italo Svevo, che contribuì in misura rilevante a far conoscere l'opera dell'autore triestino.
A quegli anni risale anche l'incontro con il poeta america­no E. Pound, che mise Montale a contatto con la letteratura an­gloamericana, facendogli ap­prezzare in modo particolare la poesia di T. S. Eliot, di cui il poe­ta italiano tradusse alcuni testi.

II soggiorno fiorentino; l’incontro con "Mosca" e "Clizia"
Nel 1927, ricevuta una pro­posta di lavoro dalla casa editri­ce Bemporad, Montale si tra­sferì a Firenze, dove rimase per oltre vent’anni. II soggiorno nella città, allora centro di una intensa attività culturale, fu de­terminante per la sua formazio­ne. Nel capoluogo toscano Montale entrò presto in contat­to con un vivace gruppo di in­tellettuali antifascisti (Vittorini, Gadda, Contini, Luzi, Bo, Bon­santi, Landolfi, Bilenchi); al loro fianco collaborò alla rivista "So­laria" e frequentò il caffè delle "Giubbe Rosse", assumendo a poco a poco il ruolo di un mae­stro, di un intellettuale capace di impartire una lezione di vita etica per il suo stesso rifiuto di atteggiarsi a profeta di verità e di certezze. Nel 1928 divenne direttore della biblioteca del Gabinetto Vieusseux, l'antico e prestigioso istituto culturale fio­rentino.
A Firenze conobbe anche due donne destinate a contare molto nella sua vita: nel 1927 incontrò Drusilla Tanzi, a quel tempo sposata al critico d'arte Matteo Marangoni; la donna, di dieci anni più anziana del poeta, divenne compagna e poi moglie di Montale, che la rie­vocò, dopo che fu morta, con il nome di "Mosca", negli Xenia, una sezione di Satura a lei dedi­cata; nel 1933 conobbe Irma Brandeis, una giovane ebrea giunta dagli Stati Uniti per stu­diare la poesia di Dante; il poe­ta si legò a lei in un rapporto di intenso scambio affettivo e spi­rituale e la cantò con il nome di "Clizia" (così si chiamava una ninfa amata da Apollo, dio delle arti).
Nel 1938 Montale perse il posto che occupava al Gabinet­to Vieusseux, perché era privo di tessera del Partito fascista, un requisito divenuto ìndispensabi­le per accedere agli impieghi pubblici; per il poeta fu l'inizio di un periodo difficile anche dal punto di vista economico; cercò di fronteggiare la situa­zione con l'attività di traduttore e collaborando a riviste che riu­scivano a mantenere ancora un margine di autonomia. Nel 1939 uscì presso la casa editrice Einaudi la seconda raccolta: Le occasioni.
Durante gli anni della guerra, trascorsi quasi tutti a Firenze, Montale accentuò il suo impe­gno antifascista e soccorse amici perseguitati dal regime, come Carlo Levi e Umberto Saba ospi­tandoli nella sua casa; dopo la li­berazione entrò a far parte del Comitato per la cultura del CLN toscano e si iscrisse per breve tempo al Partito d'Azione, parti­to questo che era nato nel luglio del 1942 dal confluire di movi­
menti d'ispirazione liberale e so­cialista, che operarono durante la Resistenza. Nel 1945 fondò, con A. Bonsanti e A. Loria il setti­manale culturale "II Mondo".

L’attività di giornalista a Milano, il crescere della fama, la morte della moglie
Nel 1948 fu assunto come redattore del "Corriere della Se­ra" e si trasferì a Milano per svolgere il nuovo lavoro, che gli permise di risolvere definitiva­mente i suoi problemi economi­ci. AI "Corriere" lavorò fino al 1973; di lui restano numerosi articoli di terza pagina e servizi che compì come inviato specia­le in diverse parti del mondo (Francia, Inghilterra, America, Palestina); dal 1955 divenne anche critico musicale per "II Corriere d'Informazione", un organo collegato al "Corriere della Sera". Nel 1956 uscì pres­so l'editore Neri-Pozza La bufera e altro, la terza grande raccolta poetica.
Intanto la sua fama cresceva e da ogni parte gli giungevano riconoscimenti ufficiali: nel 1956 riceve il Premio Marzotto, nel 1961 gli viene conferita la laurea ad honorem dall'Univer­sità di Milano, nel 1967 è nomi­nato dal Presidente della Re­pubblica, Giuseppe Saragat, se­natore a vita (a Palazzo Mada­ma siede nel gruppo dei libera­li). Nel 1974 diviene cittadino onorario di Milano.
Nel 1963 era morta, per una malattia dovuta alle conseguen­ze di una caduta, la moglie, che il poeta aveva sposato appena l'anno prima; dopo un periodo di silenzio, Montale riprenderà a scrivere dedicando a lei i primi versi che segnano una svolta nella sua poesia, che si fa più intima e familiare. II vuoto la­sciato nella sua vita dalla scom­parsa di "Mosca" fu colmato dalla presenza affettuosa di Gi­na Tiossi, la governante che era entrata tanti anni prima nella casa del poeta divenendo an­che lei una delle presenze del mondo poetico di Montale.

II premio Nobel
La serie dei riconoscimenti tri­butati a Montale culmina nel conferimento del premio Nobel che nel 1975 lo consacra autore a livello mondiale. Montale fu at­tivo come poeta fino agli ultimi anni della vita; nel 1980 colla­borò all'edizione della sua Opera omnia in versi, curata da G. Con­
tini e R. Bettarini, per i tipi di Ei­naudi. Nonostante le malferme condizioni di salute, visse ancora per qualche tempo, vegliato a­morosamente da Gina, «ultimo lare protettivo della sua esisten­za terrena» (A. Marchese).
Morì il 12 settembre 1981 a Milano e fu sepolto, accanto al­la moglie, nel cimitero di San Felice a Ema presso Firenze.

Le opere

 

L’opera in versi
L'opera in versi di Montale, che è stata riunita solo alla fine in un unico volume, uscito nel 1980, è costituita dall'insieme delle singole raccolte. Esse, pur composte a lunga distanza di tempo e in sé concluse, si di­mostrano collegate da una profonda coerenza di motivi e di ispirazione, al di là della va­rietà dei toni e dello stile, che caratterizzano una produzione poetica estesa nell'arco di un cinquantennio.
Le raccolte di poesie sono sette; le prime tre sono più compatte e appaiono organiz­zate attorno a nuclei tematici u­nitari, di cui il titolo pur nella sua allusività fornisce un'indica­zione, e sono divise in sezioni nelle quali i componimenti so­no disposti con criteri non cro­nologici ma gerarchici; le ulti­me quattro presentano, invece, una struttura più aperta, una mescolanza di elementi diversi e un'intonazione diaristica, co­me si arguisce dai titoli.
La prima raccolta s'intitola Ossi di seppia; essa fu pubblicata
nel 1925; come indica il titolo, tratta una materia arida (la ne­gatività dell'esistenza), in uno stile anch'esso nudo e prosciu­gato.
La seconda, che s'intitola Le occasioni, titolo genericamente riconducibile al significato di "incontri", fu pubblicata nel 1939; in essa il poeta prosegue la ricerca avviata nel primo libro con una maggior ricchezza di temi e con un linguaggio più articolato.
La terza, La bufera e altro, u­scita nel 1956, raccoglie le liri­che scritte durante la guerra (la "bufera" a cui allude il titolo) e nell'immediato dopoguerra. I componimenti vertono sui temi esistenziali introdotti nel primo libro ed espressi ora in forme al­legoriche e cifrate, non sempre comprensibili.
Satura, la quarta raccolta, u­scita nel 1971, annuncia un no­tevole allargamento della tema­tica della poesia montaliana, che ora si apre anche alla quoti­dianità; la novità dei contenuti e del linguaggio, divenuto di­scorsivo, sembra segnare una frattura netta tra la precedente produzione di stile alto e quella che d'ora in poi seguirà.
Le ultime tre raccolte sono da alcuni considerate il quinto libro di Montale, in quanto sono ac­comunate dall'ordine cronologi­co dei componimenti, caratteri­stico del diario, e da affinità di contenuto e di stile. I titoli sono: Diario del '71 e del '72 (1973); Quaderno di quattro anni (1977); Altri versi (1980); i temi sono le­gati all'attualità e alla quotidia­nità e il linguaggio si arricchisce di termini moderni, tipici della cultura contemporanea.

Produzione in prosa
La produzione in prosa di Montale, che è di genere vario, comprende il volume Farfalla di Dinard uscito nel 1956, le anto­logie Auto da fè (1966) e Fuori di casa (1969) nonché una raccolta di Saggi (Sulla poesia) del 1976.

Le traduzioni
Montale ha lasciato un Qua­derno di traduzioni (1948), che include testi di autori prevalen­temente inglesi e americani (Shakespeare, Blake, Dickinson, Hopkins, Melville, Eliot, Pound). La sua attività di traduttore si colloca per la qualità sullo stesso piano della sua attività poetica.
Profilo critico

La visione della vita
Fin dalla prima raccolta Montale esprime una concezio­ne del mondo ispirata a un pessimismo radicale, che, nel corso degli anni, non subirà modifiche: la vita umana gli appare priva di significato e di finalità, dominata dal senso del vuoto e dal malessere esisten­ziale né la natura può offrire all'uomo dei punti di riferimen­to, in quanto si presenta sotto apparenze illusorie o misterio­se.
La ricerca metafisica percor­re l'intera opera di Montale senza sfociare in una soluzione religiosa; tuttavia, le domande che egli si pone sono di natura religiosa; tutta la sua riflessione ruota attorno al problema dell'assenza di Dio, dello smar­rimento e della impotenza dell'uomo.
Su tale visione pessimistica del mondo solo in parte sem­brano aver agito cause stori­che, come gli eventi negativi che accompagnarono la giovi­nezza e la maturità del poeta. Lo chiarisce lui stesso in una in­tervista rilasciata nel 1951: «A­vendo sentito fin dalla nascita una totale disarmonia con la realtà che mi circondava, la materia della mia ispirazione non poteva essere che quella disarmonia. Non nego che il fascismo dapprima, la guerra più tardi, e la guerra civile più tardi ancora mi abbiano reso infelice; tuttavia esistevano in me ragioni di infelicità che an­davano molto al di là e al di fuori di questi fenomeni».

La natura dell'impegno di Montale
È qui che si trova la ragione per cui c'è stato e c'è chi lo ac­cusa di mancanza di impegno politico, o di atteggiamenti rea­zionari. Ma l'impegno di Mon­tale è da intendersi in un senso più alto, come ininterrotta ricer­ca volta a conseguire una più profonda conoscenza della con­dizione umana, finalità che è uno dei caratteri costitutivi della poesia di Montale.

I caratteri della poesia di Montale, poeta "metafisico"
Montale rifiuta l'esperienza del radicalismo avanguardistico e si riallaccia ai poeti italiani di fi­ne Ottocento, ai simbolisti fran­cesi. Da D'Annunzio deriva alcu­ne scelte linguistiche, respin­gendone, però, completamente l'ideologia, i temi, la visione dell'arte; da Pascoli attinge alcu­ne caratteristiche stilistiche, co­me le onomatopee*, le allittera­zioni*, ecc., ma anche nell'utiliz­zare i modelli altrui dimostra ca­pacità di rielaborazioni originali. La sua poesia dal punto di vista lessicale* appare molto ricca e innovativa, mentre nella sintas­si* e nella metrica* tende a con­servare le misure classiche.
Fin dall'inizio nella lirica di Montale si annuncia un proce­dimento stilistico che si è con­venuto di chiamare correlativo oggettivo, un termine mutuato dalle elaborazioni teoriche del poeta inglese T. S. Eliot; esso consiste nel mettere in correla­zione stati d'animo, sentimenti, situazioni interiori con oggetti e­sterni che, pur essendo forte­mente emblematici, mantengo­no una precisa nettezza di con­torni. Egli riesce così a coniuga­re realismo e simbolismo, tradi­zione e modernità.
Per questo, pur essendo rico­nosciuto tra i padri dell'Ermeti­smo, non è ascrivibile in senso stretto a tale corrente: nella sua poesia la realtà non perde i contorni, la razionalità non vie­ne meno. La sua arte non è programmaticamente oscura, ma può diventarlo per una den­sità che lui stesso non è riuscito a risolvere; a proposito del di­battuto carattere cifrato della poesia moderna, inclusa la sua, così si è espresso Montale: «Nessuno scriverebbe versi se il problema della poesia fosse quello di farsi capire; il proble­ma è di far capire quel quid [qualcosa] al quale le parole so­le non arrivano».
È difficile definire con una formula sintetica un'esperienza poetica complessa come quella di Montale e stabilirne la collo­cazione precisa nel panorama della ricca produzione novecen­tesca; ancora una volta può es­sere di aiuto una sua dichiarazio­ne: «Se per poesia pura s'inten­de quella di estrazione mallar­meana io non appartengo a quella corrente. Non che io la re­spinga a priori, solo me ne di­chiaro estraneo. C'è stata però, a partire da Baudelaire e da un certo Browning [poeta inglese dell'Ottocento], e talora dalla lo­ro confluenza, una corrente di poesia non realistica, non ro­mantica e nemmeno stretta­mente decadente, che molto all'ingrosso si può dire metafisi­ca. lo sono nato in quel solco. [...] Tutta l'arte che non rinunzia alla ragione, ma nasce dal cozzo della ragione con qualche cosa che non è ragione, può anche dirsi metafisica».

 

 

- PAROLA CHIAVE -

CORRELATIVO OGGETTIVO: procedi­mento con il quale, nella poesia, gli stati d'animo vengono messi in re­lazione con oggetti del mondo ester­no che abbiano caratteri fisici molto evidenti e siano tali da imprimersi con efficacia nella mente. Si tratta di un processa analogo a quello del simbolo  e di tutte le tecniche che rappresentano la realtà in modo allusivo; tuttavia, mentre il simbolo è sfumato, il correlativo oggettivo pre­senta contorni netti e mentre il pri­mo attesta, almeno ne! Simbolismo francese, la fiducia de( poeta nella possibilità di penetrare il mistero del­la realtà attraverso le sue forme, il correlativo si pone come un elemen­to indecifrabile dei mondo fenome­nlco. II termine fu coniato dal poeta anglo-amerìcano T. S. Fliot, che lo utilizzò in un saggio di critica lettera­ria; da noi esso è stato introdotto da Montale, che ha fatto dei correlativo oggettivo il procedimento tipico del­la sua poesia.

 

Fonte: http://www.calamandrei2013.altervista.org/MONTALE.doc

Sito web da visitare: http://www.calamandrei2013.altervista.org

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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