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Giacomo Leopardi
Conoscere l'autore
Le poesie di Giacomo Leopardi, dal momento della loro pubblicazione e diffusione, hanno conquistato il pubblico e hanno sempre affascinato e commosso lettori anche molto giovani, perché esprimono sentimenti intensi, rappresentano atmosfere notturne suggestive e scorci di paesaggi sereni, trattano i temi profondi del significato della vita dell'uomo e della sua piccolezza di fronte all'universo.
Leopardi visse una vita breve, di soli trentanove anni; la sua salute non buona condizionò alcune scelte importanti, anche se non gli impedì di dedicarsi con grande intensità allo studio e alla poesia, che furono sempre, fin dagli anni dell'infanzia, la sua grande passione.
Leopardi nacque a Recanati, nelle Marche, da una famiglia nobile e colta nel 1798.
A quell'epoca Recanati apparteneva allo Stato pontificio ed era una località periferica e appartata. Leopardi che era curioso, sensibile e intelligentissimo, fin da bambino studiò moltissimo e fu capace di leggere il latino e il greco molto presto.
Incominciò presto anche a scrivere e di vari argomenti; le sue prime opere pubblicate su riviste dell'epoca sono studi critici e traduzioni delle antiche opere classiche.
Visse e studiò nella casa paterna, senza mai lasciarla fino all'età di ventiquattro anni, quando andò, da solo, a Roma per la prima volta.
Negli anni successivi alternò periodi di permanenza a Milano, Bologna, Firenze, Pisa, con altri in cui tornò a Recanati, non sentendosi a suo agio né nei salotti aristocratici e colti di quelle città, né nel suo paese di origine.
Trascorse gli ultimi quattro anni della sua vita a Napoli, a casa di un suo caro amico, Antonio Ranieri, dove morì nel 1837.
Conoscere l'opera: I Canti
Le poesie di Leopardi sono raccolte con questo titolo, che scelse lui stesso per la pubblicazione. I componimenti che ne fanno parte sono numerosi e diversi per stile, lunghezza e contenuti, ma hanno anche dei caratteri comuni.
Il più importante sta nel fatto che queste poesie contengono sempre un pensiero, risultato della riflessione e del giudizio che Leopardi dava sulle condizioni della vita dell'uomo.
Infatti in ogni poesia, insieme a personaggi, paesaggi, atmosfere suggestive, troviamo una domanda sul senso della storia dell'uomo, oppure un sentimento di amarezza per le speranze deluse, o la denuncia dell'ingiustizia per cui la felicità dell'uomo è così poca rispetto alla sofferenza.
Un altro elemento comune alle sue poesie è la presenza della natura: essa viene rappresentata in diversi aspetti, ma sempre in modo molto affascinante; la natura di Leopardi è bella, ricca delle luci del sole e della luna, dei suoni del vento e del canto degli uccelli, spaziosa nei suoi cieli e nei suoi paesaggi; anche se egli incolpa la natura della sofferenza degli uomini, a cui dà una vita breve e difficile, la ama e la ammira.
I contenuti e lo stile di Leopardi sono unici: egli vive nell'epoca del Romanticismo, ma la sua opera è diversa da tutte le altre, perché la sua sensibilità è particolarmente profonda e singolare: lui stesso scrisse di essere destinato, per la sua personalità, a rimanere isolato rispetto alla vita del suo tempo, anche perché dei suoi contemporanei fu sempre un giudice severo.
Inoltre il suo stile raggiunge un equilibrio perfetto tra la grandissima raffinatezza, che gli derivava dalla sua straordinaria cultura classica, e una sorprendente chiarezza e scorrevolezza, che rendono agile la lettura dei suoi versi.
Le opere in prosa
Leopardi cominciò a diciotto anni a raccogliere in quaderni, sotto forma di appunti, i suoi pensieri, i suoi stati d'animo, le impressioni e le osservazioni destate dalle sue letture. Egli raccolse poi questi appunti nello Zibaldone. Le sue riflessioni filosofiche più mature e alte sono presenti nei dialoghi delle Operette morali.
CANTO NOTTURNO
DI UN PASTORE ERRANTE DELL'ASIA
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore. 10
Sorge in sul primo albore;
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale? 20
Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L'ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più e più s'affretta, 30
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso,
Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
È la vita mortale.
Nasce l'uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento. 40
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell'umano stato:
Altro ufficio più grato 50
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
Perché reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura
Perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
E` lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale. 60
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perché delle cose, e vedi il frutto 70
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,
A chi giovi l'ardore, e che procacci
Il verno co' suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand'io ti miro
Star così muta in sul deserto piano, 80
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? che vuol dir questa
Solitudine immensa? ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza 90
Smisurata e superba,
E dell'innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D'ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so. Ma tu per certo,
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento, 100
Che degli eterni giri,
Che dell'esser mio frale,
Qualche bene o contento
Avrà fors'altri; a me la vita è male.
O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d'affanno
Quasi libera vai;
Ch'ogni stento, ogni danno, 110
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perché giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
Tu se' queta e contenta;
E gran parte dell'anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
E un fastidio m'ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge 120
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ho fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perché giacendo
A bell'agio, ozioso, 130
S'appaga ogni animale;
Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?
Forse s'avess'io l'ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero: 140
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
È funesto a chi nasce il dì natale.
ALLA SUA DONNA
Cara beltà che amore
Lunge m'inspiri o nascondendo il viso,
Fuor se nel sonno il core
Ombra diva mi scuoti,
O ne' campi ove splenda
Più vago il giorno e di natura il riso;
Forse tu l'innocente
Secol beasti che dall'oro ha nome,
Or leve intra la gente
Anima voli? o te la sorte avara
Ch'a noi t'asconde, agli avvenir prepara?
Viva mirarti omai
Nulla spene m'avanza;
S'allor non fosse, allor che ignudo e solo
Per novo calle a peregrina stanza
Verrà lo spirto mio. Già sul novello
Aprir di mia giornata incerta e bruna,
Te viatrice in questo arido suolo
Io mi pensai. Ma non è cosa in terra
Che ti somigli; e s'anco pari alcuna
Ti fosse al volto, agli atti, alla favella,
Saria, così conforme, assai men bella.
Fra cotanto dolore
Quanto all'umana età propose il fato,
Se vera e quale il mio pensier ti pinge,
Alcun t'amasse in terra, a lui pur fora
Questo viver beato:
E ben chiaro vegg'io siccome ancora
Seguir loda e virtù qual ne' prim'anni
L'amor tuo mi farebbe. Or non aggiunse
Il ciel nullo conforto ai nostri affanni;
E teco la mortal vita saria
Simile a quella che nel cielo india.
Per le valli, ove suona
Del faticoso agricoltore il canto,
Ed io seggo e mi lagno
Del giovanile error che m'abbandona;
E per li poggi, ov'io rimembro e piagno
I perduti desiri, e la perduta
Speme de' giorni miei; di te pensando,
A palpitar mi sveglio. E potess'io,
Nel secol tetro e in questo aer nefando,
L'alta specie serbar; che dell'imago,
Poi che del ver m'è tolto, assai m'appago.
Se dell'eterne idee
L'una sei tu, cui di sensibil forma
Sdegni l'eterno senno esser vestita,
E fra caduche spoglie
Provar gli affanni di funerea vita;
O s'altra terra ne' supremi giri
Fra' mondi innumerabili t'accoglie,
E più vaga del Sol prossima stella
T'irraggia, e più benigno etere spiri;
Di qua dove son gli anni infausti e brevi,
Questo d'ignoto amante inno ricevi.
SOPRA IL RITRATTO DI UNA BELLA DONNA SCOLPITO NEL MONUMENTO SEPOLCRALE DELLA MEDESIMA
Tal fosti: or qui sotterra
Polve e scheletro sei. Su l'ossa e il fango
Immobilmente collocato invano,
Muto, mirando dell'etadi il volo,
Sta, di memoria solo 5
E di dolor custode, il simulacro
Della scorsa beltà. Quel dolce sguardo,
Che tremar fe', se, come or sembra, immoto
In altrui s'affisò; quel labbro, ond'alto
Par, come d'urna piena, 10
Traboccare il piacer; quel collo, cinto
Già di desio; quell'amorosa mano,
Che spesso, ove fu porta,
Sentì gelida far la man che strinse;
E il seno, onde la gente 15
Visibilmente di pallor si tinse,
Furo alcun tempo: or fango
Ed ossa sei: la vista
Vituperosa e trista un sasso asconde.
Così riduce il fato 20
Qual sembianza fra noi parve più viva
Immagine del ciel. Misterio eterno
Dell'esser nostro. Oggi d'eccelsi, immensi
Pensieri e sensi inenarrabil fonte,
Beltà grandeggia, e pare, 25
Quale splendor vibrato
Da natura immortal su queste arene,
Di sovrumani fati,
Di fortunati regni e d'aurei mondi
Segno e sicura spene 30
Dare al mortale stato:
Diman, per lieve forza,
Sozzo a vedere, abominoso, abbietto
Divien quel che fu dianzi
Quasi angelico aspetto, 35
E dalle menti insieme
Quel che da lui moveva
Ammirabil concetto, si dilegua.
Desiderii infiniti
E visioni altere 40
Crea nel vago pensiere,
Per natural virtù, dotto concento;
Onde per mar delizioso, arcano
Erra lo spirto umano,
Quasi come a diporto 45
Ardito notator per l'Oceano:
Ma se un discorde accento
Fere l'orecchio, in nulla
Torna quel paradiso in un momento.
Natura umana, or come, 50
Se frale in tutto e vile,
Se polve ed ombra sei, tant'alto senti?
Se in parte anco gentile,
Come i più degni tuoi moti e pensieri
Son così di leggeri 55
Da sì basse cagioni e desti e spenti?
A SE STESSO
Or poserai per sempre,
stanco mio cor. Perì l'inganno estremo,
Ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
In noi di cari inganni,
Non che la speme, il desiderio è spento. 5
Posa per sempre. Assai
Palpitasti. Non val cosa nessuna
I moti tuoi, né di sospiri è degna
La terra. Amaro e noia
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo. 10
T'acqueta omai. Dispera
L'ultima volta. Al gener nostro il fato
Non donò che il morire. Omai disprezza
Te, la natura, il brutto
Poter che, ascoso, a comun danno impera, 15
E l'infinita vanità del tutto.
Venditore. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?
Passeggere. Almanacchi per l'anno nuovo?
Venditore. Si signore.
Passeggere. Credete che sarà felice quest'anno nuovo?
Venditore. Oh illustrissimo si, certo.
Passeggere. Come quest'anno passato?
Venditore. Più più assai.
Passeggere. Come quello di là?
Venditore. Più più, illustrissimo.
Passeggere. Ma come qual altro? Non vi piacerebb'egli che l'anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?
Venditore. Signor no, non mi piacerebbe.
Passeggere. Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?
Venditore. Saranno vent'anni, illustrissimo.
Passeggere. A quale di cotesti vent'anni vorreste che somigliasse l'anno venturo?
Venditore. Io? non saprei.
Passeggere. Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?
Venditore. No in verità, illustrissimo.
Passeggere. E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?
Venditore. Cotesto si sa.
Passeggere. Non tornereste voi a vivere cotesti vent'anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?
Venditore. Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.
Passeggere. Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?
Venditore. Cotesto non vorrei.
Passeggere. Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch'ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l'appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
Venditore. Lo credo cotesto.
Passeggere. Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
Venditore. Signor no davvero, non tornerei.
Passeggere. Oh che vita vorreste voi dunque?
Venditore. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz'altri patti.
Passeggere. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell'anno nuovo?
Venditore. Appunto.
Passeggere. Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest'anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d'opinione che sia stato più o di più peso il male che gli e toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll'anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore. Speriamo.
Passeggere. Dunque mostratemi l'almanacco più bello che avete.
Venditore. Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.
Passeggere. Ecco trenta soldi.
Venditore. Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.
Giacomo Leopardi
Fonte: http://www.istitutonostrasignora.it/Resource/dispensina_2.doc
Sito web da visitare: http://www.istitutonostrasignora.it
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
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