Letteratura Giuseppe Ungaretti

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Letteratura Giuseppe Ungaretti

GIUSEPPE UNGARETTI

La vita

Alla fiducia di Saba nella capacità della parola di esprimere 1'io e le cose, nel suo saper « cantare » direttamente la vita e i sentimenti, si oppone con Giuseppe UNGARETTI la ricerca di una forma poetica assoluta ed essenziale, a par­tire dal vuoto e dalla consunzione del linguaggio. La sua poesia prende origine da una constatazione dell'esaurimento di tutte le tradizionali possibilità della parola, si apre una strada a partire dal silenzio e dal « segreto »: e per questa via giunge a una esaltazione quasi mistica della parola, che scopre un nuovo rap­porto con gli aspetti piú preziosi e oscuri della tradizione. Ungaretti inserisce, per la prima volta in modo coerente e integrale, la poesia italiana entro le pro­spettive del simbolismo europeo; trovando un punto d'incontro tra avanguardia e tradizione, la porta a un pieno possesso della mo­dernità, fino ad apparire il poeta «moderno» e novecentesco per eccellenza.
Anche le origini di Ungaretti sono decentrate rispetto all'orizzonte della cultura nazionale: egli non ha dietro di sé nemmeno un omogeneo retroterra cittadino (come era la Trieste di Saba), ma si forma in un crogiuolo di razze e di
culture diverse, di esperienze internazionali dominate dalla letteratura e dal­l'arte francese dell'inizio del secolo. Nato ad Alessandria d'Egitto, il 10 febbraio 1888, egli apparteneva a una famiglia emi­grata dalla zona di Lucca: il padre, che gestiva un forno e lavorava come ope­raio al canale di Suez, morí in seguito a un infortunio quando egli aveva due an­ni. La sua passione per la poesia nacque negli anni della scuola e si sviluppò grazie a intense amicizie, nella vivacissima città egiziana: essenziale l'incontro, avvenuto nel 1906, con il conterraneo Enrico Pea, da poco emigrato in Egitto, che lo avvicinò a tendenze di tipo anarchico. In difficoltà econo­miche, visse facendo vari mestieri. Nel 1912 sitrasferí a Parigi, dove frequentò Apollinaire e vari artisti d'avanguardia: lì conobbe anche Papini, Soffici, Palaz­zeschi, che lo invitarono a collaborare a «Lacerba», dove nel 1915 apparvero le sue prime poesie. Trasferitosi a Milano nel 1914, fu acceso inter­ventista e all'entrata in guerra partí come soldato semplice di fanteria: combatté sul Carso e durante questa dura esperienza compose le poesie apparse nel suo primo libretto, Il Porto Sepolto, fatto stampare a Udine nel dicembre 1916, a cura dell'amico Ettore Serra. Nella primavera 1918 il suo reggimento passò a combattere in Francia, nella Champagne: e alla fine della guerra egli rimase a Parigi, come corrispondente del giornale fascista « II Popo­lo d'Italia» e poi come addetto all'ufficio stampa dell'ambasciata italiana. Nel 1919 usciva Allegria di naufragi.
Nel 1921 si trasferiva a Roma, per lavorare presso il Ministero degli Esteri. Dopo la vita giovanile irregolare e avventurosa, gli anni Venti rappresentarono per lui un ritorno all'ordine, sia dal punto di vista privato che da quello cultura­le: alla sua piena adesione al fascismo si accompagnò intorno al 1928 una vera e propria conversione religiosa. Svolgeva una varia attività in giornali e riviste italiani e francesi, compiva giri di conferenze in Italia e all'estero e otteneva ri­conoscimenti ufficiali di vario tipo. La sua fama di poeta raggiungeva il culmi­ne con la pubblicazione, nel 1933, di Sentimento del tempo. Nel 1936, durante un viaggio nel Sud America, chiamato a insegnare letteratura italiana all'uni­versità di San Paolo del Brasile, decise di trasferirsi là con la famiglia, rimanen­dovi poi fino al 1942: questi anni furono amareggiati dalla perdita del fratello e da quella del figlio Antonietto, eventi che trovarono eco nei ver­si de Il dolore, pubblicati in volume nel 1947, Rientrato in Italia nel '42, fu no­minato accademico d'Italia e professore di letteratura italiana moderna e con­temporanea all'università di Roma. Con il crollo del fascismo, seppe adattarsi al nuovo clima del dopoguerra, ponendosi come grande vecchio della lettera­tura italiana, rispettato e stimato da tutti, poeta ufficiale ma pronto a prestare attenzione e simpatia alla nuova letteratura e a ripercorrere con sapienza le for­me piú diverse della tradizione poetica. Oltre a pubblicare nuove raccolte e vo­lumi, compí numerosi viaggi ed ebbe una intensa presenza nel mondo lettera­rio: premi, conferenze, letture di poesia (che svolgeva con una sua dizione as­sorta e inconfondibile). La sua inesauribile vitalità fu turbata dalla morte della moglie, avvenuta nel '58. Festeggiato in tutto il mondo, dopo l'uscita nel 1969 della raccolta completa dei suoi versi, Vita d'un uomo (con un fitto apparato di note e varianti), compí un ultimo faticoso viaggio a New York all'inizio del 1970, e morí a Milano nelgiugno di quell'anno.

Poetica e cultura di Ungaretti.
La poesia di Ungaretti nasce nello stesso tempo da un senso di «av­ventura», e da un senso opposto di spaesamento, da un'adesione all'esperien­za distruttiva delle avanguardie di inizio secolo e da una nostalgia per valori re­sistenti e costanti. Alla base della sua formazione c'è l'esperienza del grande simbolismo europeo (soprattutto francese): ma i rapporti con la cultura espres­sionistica degli anni che precedono la prima guerra mondiale arricchiscono il suo simbolismo di una forte esigenza autobiografica. Egli cerca una poesia sot­tile e ricca di sfumature che rechi le tracce di un'esistenza concreta, che sia an­che immagine della «vita d'un uomo » (un uomo dotato, per giunta, di una vi­talità aggressiva e invadente, in certi tratti addirittura «violento»).
Questa immagine di umanità deve però emergere dal silenzio e dal vuoto, in un « grido », che afferri il senso profondo, segreto, non definibile in termini razionali, della condizione naturale. Manca a questa ricerca autobiografica quella spinta polemica contro i valori sociali che caratterizza il vero e proprio espressionismo: la persona del poeta si presenta come « un grido unanime », una forza che raccoglie in sé il senso del tempo, i valori collettivi, lo spirito di un popolo. Per Ungaretti la poesia è testimonianza assoluta dell'uomo, ha in sé qualcosa di sacro che resiste a tutte le distruzioni e violenze della storia: in que­sta sacralità, l'individuo si fa voce di tutto un «popolo» (anche nella tragica condizione della guerra), cercando però di ridurre la parola all'essenziale, trovando, per sé e per quel popolo, un nuovo linguaggio scarnificato ed essenzia­le, un linguaggio « moderno » che non ha nulla a che fare con quello della reto­rica dannunziana.
Tutta l'esperienza di Ungaretti è dominata da una poetica dell'analogia, che non subisce reali modificazioni, ma si definisce in due momenti e modi molto diversi. Un primo momento (che è quello dell'Allegria ed è limitato agli anni Dieci, anche se troverà echi e ritorni negli anni successivi) è caratterizzato da un'assoluta concentrazione linguistica, che riduce al minimo la parola e spezza all'estremo il ritmo del verso, fino a una insistente sillabazione: si hanno com­ponimenti brevissimi (fino alla celebre Mattina, fatta dei due soli versi «M'illumino / d'immenso»), versi essenziali che sconvolgono ogni continuità metrico­ sintattica, con una singolare dizione sincopata. Sparisce la punteggiatura e la parola lirica si isola nel suo nucleo primigenio, con una volontà di tipo « teatra­le», che tende a esibirsi davanti a un pubblico esterno, per suggerirgli, con le sue continue sospensioni, sottili e sfuggenti sfumature.
Un secondo momento (che si svolge negli anni Venti, approdando a Senti­mento del tempo) è caratterizzato da un'espressione piú ampia e distesa, che re­cupera le forme piú eleganti, preziose, oscure della tradizione, ritorna in parte alla metrica tradizionale, guarda a supremi modelli di perfezione stilistica co­me Leopardi e soprattutto Petrarca. Il linguaggio non tende piú a ridursi al mi­nimo, ma si avvolge in complessi intrecci, tra suggestioni inafferrabili e imma­gini analogiche, che mirano a evocare qualcosa di « assente», a ruotare attorno a un valore sacro e misterioso, mai nominabile in modo diretto. Questo secon­do momento porta Ungaretti alla scoperta del Barocco e a un uso barocco della tradizione e del linguaggio: tutto il linguaggio della letteratura universale si po­ne ora per lui come un immenso repertorio di analogie, uno sterminato campo di immagini e metafore che possono essere intrecciate, combinate, riecheggia­te all'infinito. Il lavoro del poeta è il risultato di una interminabile manipolazío­ne magica e sacrale delle forme che pullulano in quel campo immenso e presti­gioso: è un'inchiesta su nuovi possibili segreti da scovare nei segreti rapporti che legano le parole, che alludono a una realtà profonda e inconoscibile. La pa­rola recupera cosí in pieno il suo originario senso religioso, ritrova, al di là della consunzione dei linguaggi contemporanei, la continuità dei valori eterni dell'uomo.

 

Fonte: http://www.calamandrei2013.altervista.org/UNGARETTI.doc

Sito web da visitare: http://www.calamandrei2013.altervista.org/

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