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IL GENERE NEI GENERI: Percorsi particolari nella letteratura greca
Occorre, innanzi tutto, dar ragione del titolo. La parola percorso ( accanto a modulo, unità ) è ormai entrata di diritto nella didattica. Abbandonata, perché spesso incoerente e rigida, la tradizionale programmazione, molte/i docenti individuano sentieri in quel ‘bosco delle meraviglie’ che è la letteratura e li seguono secondo la propria competenza e passione, accompagnandovi le e gli alunni per metterli in condizione di aprirsi dei varchi. Voglio dire con ciò che la parola percorsi mi piace più delle altre perché rende bene il senso di ignoto e di scoperta senza i quali non vi è né ricerca né educazione.
Più necessario è chiarire il senso di particolari che condivide con parte l’idea di porzione e, soprattutto, nel mio intento, indica la parte che ogni soggetto incarna quando guarda all’oggetto di studio, quella parzialità che lungi dallo sconfessare l’imparzialità documentaria, vuol dire partire da sé, dalle proprie esperienze, dalle proprie biografie e da quel dato di fatto per cui si è, nel mondo, donne o uomini e da questa postazione differente guardare il mondo ( antico, in questo caso) per riconoscere che in esso, seppur non detta, mistificata , celata, è iscritta la differenza di genere.
Non mi riferisco con questo all’ovvia constatazione che non ci sono, a parte Saffo e poche altre, donne di cui rimanga, consegnata alla scrittura, la weltanschauung . Questo panorama arido è infatti tipico di altre letterature anche più vicine nel tempo e nello spazio e, comunque, non sconvolge né gli studiosi né le nostre alunne. Gli uni e le altre, per lo più, non se ne accorgono.
Non si tratta, dunque di fare una ricognizione quantitativa per affiancare al cammino maestro degli scrittori, gli esigui sentieri scarsamente frequentati dalle scrittrici né, solo, di investigare, con gli strumenti socio-antropologici, la condizione delle donne, gli usi ed i costumi, amore famiglia e matrimonio, come si è già molto fatto, in un’ottica, a mio avviso, subalterna. Ciò indispone le alunne che non amano vedere la miseria femminile e può essere considerato una delle tante notizie di contorno da coloro che, ancora oggi, considerano neutro/neutrale il loro scrivere, il loro insegnare. Né mi pare utile insistere sui tanti esempi di misoginia che popolano, in particolare, il genere comico se non per rimarcare l’assenza, persino nei termini ( non esiste ‘misandria’) di un analogo atteggiamento da parte femminile.
Mi interessa piuttosto, cercare dove, nei testi maschili, la soggettività femminile abbia fatto breccia, si sia presa il suo posto o, proprio nell’assenza, abbia fatto intravvedere un disordine. Certo nel mito queste presenze sono ingombranti e dunque i generi come l’epica e la tragedia, che ne sono intessuti, meglio servono da cartina di tornasole.
Si potrebbe, con beneficio estetico ed un pizzico di auto consolazione, dipanare il filo di quello che io chiamo ‘femminile inquietante’ attraverso l’Odissea ( Elena, Calipso, Circe, Nausicaa) e le opere di Esiodo ( Gaia, Pandora) aiutandosi con gli ottimi lavori di Eva Cantarella per scoprire che l’ambiguo malanno altri non è che la potnia declassata. A latere, famiglie semantiche su : cantare, incantare, sedurre etc accrescono il godimento presso le giovani creature. Questa indagine mi pare più stimolante che la ricognizione della brave mogli e brave madri ( Andromaca, Ecuba, Penelope) così rassicuranti per l’immaginario patriarcale antico e contemporaneo se non per grattar via la superficie e riscoprire il volto della dea.
A questo punto, la lettura, in tutte le chiave ermeneutiche possibili, del mito di Demetra e Persefone unico esempio giunto fino a noi di relazione madre-figlia consente un percorso interdisciplinare, didatticamente e psicologicamente istruttivo, di genealogia femminile.
E’ chiaro che a questi itinerari fa da sfondo non solo la bibliografia specialistica ma anche il pensiero della Differenza sessuale ( Cavarero, Irigaray, Muraro ) e dei Gender Studies.
Per l’educazione di entrambi i sessi, per il loro sviluppo armonioso, per l’assunzione della propria parzialità che, sola, invita a volgersi all’altro/a con rispetto e ri-conoscenza mi soffermo, ora, su : donne tragiche, alle radici dei conflitti, che è stato anche alla base del nostro laboratorio teatrale e dello spettacolo Memoria.
Pensare che il conflitto tra i sessi sia un’invenzione recente, un prodotto della modernità , è errato.
Esso, viceversa, è iscritto nel mito e quindi raccontato dalla letteratura, messo in scena nel teatro.
Semmai colpisce che, essendo la società greca patriarcale ed organizzata, quindi, in base a bisogni e regole maschili, i personaggi femminili siano preponderanti e dotati di straordinaria grandezza. Evidentemente la cultura ha rimosso ma non cancellato ed il simbolico dominante si è nutrito di un immaginario complesso e contradditorio.
Condivido l’interpretazione che la tragedia sia, di per sé, la messa in atto di un conflitto, per lo più irresolubile se non per intervento divino esterno, e dunque originario. Con la tragedia è come andare alle radici dell’essere ed il conflitto è dato dallo scontro di due ragioni, due diritti ,due poteri, in cui lo sfondo sessuato può emergere prepotentemente, come nelle Supplici ed in Medea o rimanere sullo sfondo come nell’Antigone o nelle Troiane e nell’Edipo o divenire, come nell’Orestea, l’oggetto stesso di un dibattito filosofico-politico che impegna, con le stesse divinità, anche il popolo ateniese a schierarsi dalla parte della madre o del padre. Sappiamo come è andata a finire nella realtà: il patriarcato è sorto sul matricidio e sull’assunzione progressiva del maschile a simbolo universale, il che è, ancora oggi, testimoniato dalla lingua che pretende , col maschile, di indicare i due generi. A volte, il conflitto è spostato altrove, le donne vivono la trasgressione, la separatezza ed il rifiuto del maschio con una sorta di isterica fissazione al materno-filiale come nel caso delle forsennate Baccanti o delle veggenti ( l’esemplare Cassandra presente nelle già citate tragedie).
Vale la pena di ricordare che anche nella commedia, solo di poco posteriore, il conflitto è presente ed enfatizzato in modo grottesco ma, secondo il principio del rovesciamento, viene annullato nel finale conservatore ( Lisistrata, Tesmoforiazuse, Ecclesiazuse ).Quando, in età Ellenistica, anche la commedia si imborghesisce, si ha l’impressione che il conflitto possa mutarsi in relazione complice e simpatetica ma in Menandro essa rimane sentimentale e superficiale ( Dyskolos, Epitrepontes) e solo con l’africano Terenzio, trapiantato a Roma, assurge a dignità di relazione morale che implica un reale scambio tra i due nella rottura degli stereotipi di ruolo ( Hecyra ).
Per concludere: i percorsi ‘particolari’ mi sembrano una necessità non solo pedagogica e didattica ma anche inerente all’epistemologia delle discipline classiche che, prive, pare, di sorprendenti novità e recenti ritrovamenti, abbisognano di essere sviscerate da un altro punto di avvistamento, richiedono nuove mappe per sconfinare in territori che, dal novecento sono decisamente abitati da due soggetti. Tali mappe sono nei testi e nelle lingue greca e latina ma sono anche nell’italiano delle nostre traduzioni e di quel dialogo continuo con le nostre classi in cui non si può non vedere e, perciò, non dire che i sessi sono due. Di qui, sforzo di immaginazione e pratica della relazione per cambiare i codici linguistici, simbolici e anche noi.
Fonte: http://win.istruzioneveneto.it/interveducativi/politiche_giovanili/po_materiali/genere.doc
Sito web da visitare: http://win.istruzioneveneto.it
Autore del testo: R. Cibin
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