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Il Romanticismo
Nella sua accezione più ristretta il termine “Romanticismo” indica il movimento letterario nato in Germania, all’interno del cosiddetto circolo di Jena, negli ultimi anni del XVIII secolo. Diffusosi in tutta Europa nei primi decenni del XIX esso trova la sua cifra nell’esaltazione del “sentimento”contro il primato della ragione illuminista.
Questa accezione limitata del Romanticismo, rischia di evidenziare soltanto l’aspetto artistico o letterario del movimento, mettendo in ombra altri fattori, di tipo più squisitamente filosofico. Sarebbe più corretto allora parlare di “Fenomeno Romantico” nei termini di una situazione mentale generale, di un atteggiamento romantico, che si riflette nella letteratura come nella filosofia, nella politica come nella musica o nella pittura, di cui fa parte integrante l’Idealismo post-kantiano. Inteso in questo senso più ampio il Romanticismo si pone, storicamente, come grande movimento culturale, sorto in relazione a determinate situazioni socio-politiche (il fallimento della Rivoluzione, il cesarismo napoleonico, la Restaurazione, i moti nazionali e così via) ed individuabile in alcune “tendenze” che connotano in generale la Weltanschauung (la visione del mondo) romantica, ricca di contraddizioni, di ambivalenze e coesistenze, riconducibili però ad un medesimo orizzonte complessivo, nel quale si muovono gli artisti, i letterati e i filosofi della prima metà dell’ottocento europeo. A titolo di esempio, le due componenti tipiche del Romanticismo, l’esaltazione artistica del sentimento da un lato e la celebrazione idealistica hegeliana della “ragione dialettica” dall’altro, sono posizioni soltanto apparentemente contrapposte, poiché scaturiscono entrambe da un analogo atteggiamento, tipico della cultura romantica: la polemica contro l’Intelletto illuministico. Si tratterà allora di rintracciare alcune note ricorrenti della concezione romantica che indicheranno certi autori i quali, pur nelle loro peculiarità, possono essere definiti come romantici (Goethe, Novalis, Shelling e Schlegel, Fichte, Shleiermacher), contro altri che, ad esempio, avevamo catalogato come illuministi (Voltaire, D’Alambert, Diderot e Rousseau).
Le origini letterarie del Romanticismo sono generalmente ricondotte al movimento dello Sturm und Drang (Tempesta ed impeto), uno dei più importanti movimenti culturali tedeschi, la cui nascita si fa convenzionalmente risalire intorno al 1775. Il nome si deve al dramma Wirrwar (Caos), pubblicato, nel 1776, da Friedrich Maximilian Klinger (1752-1731), uno degli esponenti del movimento, a cui aderirono anche i giovani Goete e Novalis. Lo Sturm und Drang contribuì, assieme al Neoclassicismo, alla nascita del Romanticismo tedesco. Durante gli ultimi decenni del secolo XVIII si sviluppò in Europa, soprattutto, in Germania e in Inghilterra e in Italia, un clima in totale opposizione al contemporaneo neoclassicismo. Di questo clima, definito pre-romantico, fanno parte Thomas Grey (Elegia scritta in un cimitero campestre), James MacPherson (Canti di Ossian ), Vittorio Alfieri, Ugo Foscolo e Alessandro Verri, oltre ai poeti dello Sturm und Drang.
Il Circolo di Jena.
Cuore e centro propulsore del movimento, il circolo letterario di Jena venne fondato dai fratelli Fridrich e August Wilhelm Schlegel, nel 1795. Vi presero parte poeti come Novalis (Friedrich von Hardenberg), ed una delle menti più rappresentative del Romanticismo tedesco, come Shiller. A Berlino Friederich Shlegel fonda la rivista “Athenaeum”, intorno alla quale si muoveranno il poeta Hoelderlin ed i filosofi Shleiermacher, Fichte, Shelling e lo stesso Hegel, in seguito molto critico nei confronti del cenacolo.
Caratteri generali del Romanticismo
L’atteggiamento che caratterizza maggiormente il Romanticismo tedesco è l’aspirazione all’Assoluto. Questa affermazione lapidaria, somiglia molto ad una formula vuota, da imparare a memoria. Va da sé, però, che per dare a questa “formula” l’aspetto di un’affermazione sensata è indispensabile capire che cosa intendiamo con il termine “Assoluto”. “Assoluto”, “Infinito”, “Sconfinato”, sono termini ricorrenti nella produzione letteraria e filosofica del periodo che stiamo prendendo in esame. E si riferiscono tutti all’insofferenza nei confronti dell’ineludibile limite a cui è sottoposta, a vari livelli, la natura dell’uomo. L’insofferenza per il limite propria dell’uomo romantico, mai pago della realtà così com’è, lo spinge a vivere in uno stato di tensione volta a trascendere i suoi orizzonti e definita dal termine tedesco Streben,con cui si esprime una concezione della vita come sforzo incessante, tentativo continuo di superare qualsivoglia ostacolo sia materiale sia spirituale (che si manifesta anche come struggimento, anelito, inquietudine). Odisseo, Eracle e Giasone sono i simboli di questa ricerca insoddisfatta, impegnati come sono in lotte con forze immani e divine. Così come al centro della riflessione di Kant stava il concetto di limite, il Romanticismo si propose, in modo simmetricamente contrario, il superamento di ogni limite certo: l’infinito non è mai raggiungibile, ma è tuttavia avvicinabile in ciò che tende all’infinità; nelle sue derivazioni può essere l’illimitato, l’immenso, l’incommensurabile, l’interminabile, l’inesauribile, lo smisurato, lo sterminato, l’innumerevole, l’eterno, il trascendente, l’indefinito, lo sconfinato. Attraverso questa cifra è possibile interpretare le diverse componenti di questo multiforme movimento che improntò di sé diversi aspetti della cultura nella prima metà dell’ottocento europeo.
“Il pensiero è solo un sogno del sentimento” (Novalis).
Per questo motivo il sentimento è ritenuto, esso soltanto, in grado di “risalire le sorgenti primordiali dell’essere”(= trovare il vero senso dell’esistenza).
“l’uomo è un dio quando sogna, un mendicante quando riflette” (Hölderlin).
La filosofia, però ( ma non la ragione scientifica), è al contempo ritenuta atto costitutivo della poesia, componente essenziale, per alcuni romantici, e di questo “sentimento”:
Il filosofo poeta, il poeta filosofo, è un profeta (Schlegel).
3. Dall’esaltazione del sentimento deriva il culto della poesia e dell'arte in generale, vista come “sapienza del mondo” e “porta aurorale” della conoscenza, ossia come ciò che precede, anticipa il discorso logico e nello stesso tempo lo completa. Al poeta si conferiscono doti sacerdotali e profetiche che fanno di lui un esploratore dell’invisibile, con poteri d’intuizione superiori a quelle dell’uomo comune che sa servirsi solo della ragione logica:
“Il poeta […] rappresenta l’irrappresentabile, vede l’invisibile, sente il non sensibile” (Novalis).
“Soltanto l’artista può indovinare il senso della vita” (Novalis).
La poesia da Novalis è intesa nel suo significato etimologico di Poiein (= fare, in senso creativo), per cui essa produce la realtà, quella vera, quella al di là della banalità del quotidiano.
La poesia e l’arte in generale assurgono nei romantici come Schelling, a valore divino, capace di attingere le profondità originarie e rivelare l’Assoluto (eccolo qua) quale bisogno inestinto ed inestinguibile dell’uomo, di fronte al quale la ragione si deve necessariamente fermare. In molti autori l’arte rappresenta il modello ermeneutico per eccellenza, la principale chiave di lettura della realtà, la sola che consenta di operare quel travalicamento dei limiti conoscitivi ed esistenziali nei quali si sente imprigionato l’animo romantico che consenta di operare il salto.
“ Il mondo è un’immensa opera d’arte generata dal poeta cosmico, l’Assoluto, di cui il poeta umano è un riflesso” (Shelling).
“E’ nostro, o poeti, restare a capo scoperto sotto la tempesta del dio” (Hoelderlin)
“Ciò che resta lo stabiliscono i poeti” (Hoelderlin).
L’arte possiede gli stessi attributi della divinità, “l’infinità” e la “creatività”. L'uomo razionale aveva confini, l’uomo morale ha la libertà, il poeta deve avere libertà sconfinata. All’artista si riconosce la possibilità e la licenza di una libertà senza confini e senza regole. La regina delle arti in questo periodo è considerata però la musica, questa è la parola privilegiata per svelare il mistero dell’esistenza.
“La musica, è la più romantica di tutte le arti, il suo tema è l’Infinito. Essa è il misterioso sanscrito della natura espresso in suoni” ( E.T.A. Hoffmann).
“La musica di Beethoven […] risveglia quel desiderio infinito che è l’essenza del Romanticismo” (ETA Hoffmann).
Le stesse idee si ripresenteranno in Schopenhauer, il quale individuerà nella musica la rivelazione della Realtà, scritta in forma di suoni. “Strumento privilegiato di conoscenza”, “organo dell’infinito”, la musica è anche uno dei modi per evadere dalla sofferenza umana.
“Vita e amore sono la stessa cosa […] c’è tutto nell’amore, amicizia, gioia, sensualità e passione…”(Schlegel).
La Globalità, la ricerca di una sintesi tra anima e corpo, spirito e istinto, sentimento e sensualità è la prima caratteristica dell’amore romantico. Schlegel con la sua Lucinde esprimerà questo carattere dell’amore ed al tempo stesso la ricerca di una donna nuova, emancipata dal paradigma matrimoniale, la quale, abbandonati falsi pudori, sappia personificare, come la greca sacerdotessa Diotima esaltata nel Convito palatonico, il modello di una donna superiore, capace di amare con la pienezza del proprio essere, senza freni alla passione ed alla quale viene riconosciuta vera parità con l’uomo.
”Solo in te io vidi vera superbia e vera femminile umiltà”.
La ricerca dell’unita assoluta degli amanti è la seconda caratteristica dell’amore romanticamente inteso, in modo che ciò che è due possa diventare uno.
La tendenza dell’amore a caricarsi di significati simbolici e metafisici è la terza, e forse la più rilevante, caratteristica. L’Amore tra uomo e donna, fisico e spirituale, è visto come simbolo dell’universale Armonia, della congiunzione uomo-natura, finito-infinito, uno-tutto. Ciò significa che nell’amore, l’assoluto è già trovato, già raggiunto più che cercato.
Questa tendenza alla celebrazione della personalità individuale, questa cultura del genio, si sostanzia con altre determinazioni di un motivo che, solo apparentemente, sembra ad essa contrapposto.
10. Il concetto romantico di Popolo, inteso come totalità organica, come un’unica persona indivisibile che pensa e che sente, si sviluppa in questo periodo e coesiste con quello di “individualismo”. A ben guardare però la stessa idea di uno spirito comune, sviluppata in opposizione al vago cosmopolitismo illuminista, è già di per sé un motivo individualistico, se intendiamo il popolo appunto come “personalità” unica rispetto alle altre “personalità nazionali”. A questo concetto romantico di “spirito di un popolo”, presente anche nella saga popolare delle fiabe dei Grimm, si lega l'idea risorgimentale di Nazione, intesa in senso etnico, linguistico e religioso. E’ questa un’idea di stampo politico e filosofico, sostenuta con forza da Fichte, nei suoi “Discorsi alla nazione tedesca” e si è diffusa come reazione al dominio napoleonico, prima, ed all'ordine, imposto all'Europa dal congresso di Vienna, poi. Uno dei motivi che spinse i Grimm a trascrivere le fiabe della tradizione, retaggio culturale comune dei popoli di lingua tedesca, fu il desiderio di aiutare la nascita di un’identità germanica.*
11. La Natura. L’amore per la natura affonda le radici nello Sturm und Drang e si alimenta della “riscoperta” dello Spinozismo. Un frammento di Goethe s’intitola la natura:
“Natura! Noi siamo da essa circondati e avvinti, senza poter da essa uscire e senza poter entrare in essa più profondamente. Non invitati e non avvertiti, essa ci avvince nel giro della sua danza e ci attrae nel vortice, finchè, stanchi, non cadiamo tra le sue braccia… noi viviamo nel mezzo di essa e le siamo estranei… Noi operiamo costantemente su di essa e tuttavia non abbiamo su essa nessun potere … Anche l’innaturale è natura: chi non la vede ovunque, non la vede veramente in nessuna parte … non conosce passato e futuro, il presente è la sua eternità”.
Questo sentimento di ammirazione estatica per la grande madre, tipicamente romantico, si esprime in una nuova concezione che si definisce ancora una volta per antitesi nei confronti di quella emersa dall’illuminismo, promotore dalla Rivoluzione Scientifica. Come sappiamo, da Galileo in poi la natura era considerata elusivamente da un punto di vista meccanicistico, vale a dire, come insieme di relazioni matematiche retto da leggi meccaniche escludenti ogni riferimento a presunti “fini” o “scopi”. Questo aveva prodotto il rifiuto della concezione aristotelica e medievale, del cosmos inteso come organismo vivente, retto da appetiti e pulsioni. Riprendendo la visione greco-rinascimentale della Physis, i romantici ripristinano, in chiave anti illuministica, una filosofia della natura di tipo organicistico (= la natura è una totalità organica nella quale le parti esistono in funzione del tutto), animistico (= la natura è una forza dinamica animata e vivente), finalistico (= la natura è una realtà strutturata secondo determinati scopi, immanenti o trascendenti), spiritualistico (= la natura è qualcosa di spirituale, uno spirito in fieri) e soprattutto dialettico (organizzata secondo coppie d’opposti, di forze formate da un polo positivo ed uno negativo). Quindi, come reazione alla dis-antropomorfizzazione ed alla de-spiritualizzazione del cosmo effettuate dalla scienza moderna, i romantici ritengono opportuno ripristinare (corsi e ricorsi della storia) l’antico collegamento tra l’uomo e la natura, asserendo che entrambi posseggono la medesima struttura spirituale, il che autorizzerebbe alla interpretazione psicologica dei fenomeni fisici ed a quella fisica dei fenomeni psichici. Stabilendo quest’eguaglianza i romantici vedono nell’uomo una sintesi esemplare del mondo, il compendio vivente del Tutto.
Da ciò consegue la anti-illuministica teoria della conoscenza: conoscere per i filosofi romantici equivale a discendere in noi stessi, conoscere noi stessi per trovarvi in chiave analogica la spiegazione dei fenomeni. Il poeta Shiller esprimerà in chiave poetica quello che Shelling, il maggior filosofo della natura romantico, presenterà in senso speculativo:
Tutto ciò che è in me e fuori di me è soltanto il geroglifico di una forza a me affine. Le leggi della natura sono i segni cifrati che l’Essere pensante ha combinato insieme per farsi comprensibile all’uomo. Ad ogni stato dell’anima corrisponde una qualche immagine della creazione fisica […] un’attività piena di animazione viene da noi detta “fuoco”; il tempo è una “corrente” che trascina con sé; l’eternità è un “circolo”; il segreto si nasconde nel “buio” della notte e la verità ha sede nel “sole”. Perfino il destino dello spirito umano è preannunciato nell’oscuro oracolo della creazione: l’avvento della primavera, di ogni primavera che fa uscire dal grembo della terra i germogli delle piante, mmi da elementi per interpretare quell’imbarazzante enigma che è la morte e confuta l’incubo angoscioso che è per me il sonno eterno. La rondine che d’inverno appare intirizzita e che in marzo vediamo rianimarsi, il morto bruco che, rinato, torna a levarsi nell’aria come farfalla, ci offrono una pertinente allegoria della nostra immortalità.
Il recupero di filosofi della natura “magica”,come Bruno, Telesio e Campanella, o pensatori organicistici come Spinoza, influenzarono il pensiero dei poeti e dei filosofi che respiravano questa atmosfera. Figure del passato come la platonica anima mundi orientarono anche gli studi scientifici. Gli scienziati di quest’epoca (tra cui Alessandro Volta, Giuseppe Domenico Botto, Jacobi e Amedeo Avogadro, patriota risorgimentale che ricoprì a Torino la cattedra di “Fisica Sublime”), dunque, non si interesseranno tanto di meccanica (come invece avevano fatto gli scienziati del Seicento e del settecento), accantonata in quanto emblema del meccanicismo illuminista, quanto di Elettricità ed Elettromagnetismo, i campi meno facilmente riducibili alla meccanica. Lo studio dei campi magnetici e dell’elettricità sono accomunati dal fatto che entrambi suggeriscono una sorta di quella vitalità della natura ricercata dai Romantici: da Talete in poi, del resto, il magnete, con la sua capacità di attirare il ferro, era spesso stato concepito come vivente e animato.
12. La Storia. L’interesse, o per meglio dire il culto, per la Storia è un altro aspetto del Romanticismo. Nell’età del Romanticismo e della restaurazione avanzava una nuova concezione della storia in grado di smentire quella illuminista, la quale era basata sulla capacità degli uomini di costruire e guidare la storia con la forza della ragione. Per gli illuministi, il soggetto della storia è l’uomo, per i Romantici invece risulta essere una forza superiore all’uomo. La storia umana sembra essere diretta e guidata da una provvidenza che supera gli accorgimenti politici e che dirige verso mete ignote la grossa nave dell’umanità. Le vicende della rivoluzione francese e il periodo napoleonico avevano dimostrato che gli uomini si propongono di perseguire alti e nobili fini ma essi si frantumano dinanzi alla realtà storica; il secolo dei lumi era tristemente tramontato nelle stragi del Terrore e il suo sogno di libertà era naufragato nella tirannide napoleonica. Questo contribuisce, in questo periodo, a generare l’idea che a tirare le fila della storia non siano gli uomini, bensì una potenza extra-umana, concepita come forza, immanente o trascendente, per cui, sia che la vogliamo ricondurre al Dio, cattolicamente inteso da Schlegel e da Chateaubriand, o all’Hegeliano Spirito del mondo, la Storia appare come il prodotto di un intervento provvidenziale. È questa Provvidenza che agisce nella storia secondo un suo disegno. Di questo disegno ogni avvenimento, bello o brutto, costituisce l’anello di una catena processuale complessivamente positiva. Questa concezione provvidenziale della storia, presente in Manzoni ad esempio, risulta essere una visione ottimistica degli avvenimenti storici, anche quelli più disastrosi, perché essi sono guardati come parte di un disegno complessivo.
Questa nuova concezione romantica della realtà storica è agli antipodi di quella illuminista. La pretesa degli illuministi francesi di rifiutare alcuni momenti della storia umana in nome di valori validi universalmente (pace, benessere, libertà, dignità) viene interpretata dei romantici come una pretesa a-storica di leggere gli avvenimenti del passato alla luce del presente. Tale pretesa significa, primo, intentare un processo alla provvidenza (che nella storia si manifesta) e, secondo, significa misconoscere l’individualità e l’autonomia delle singole epoche storico-culturali che hanno ognuna una specifica ragion d’essere in relazione alla totalità della storia. Questo spiega perché lo storicismo romantico si accompagni per lo più ad una forma di Tradizionalismo che tende a giustificare ed addirittura santificare l’accaduto storico come espressione di una volontà superiore.
Il Romanticismo tedesco, che guarda alla storia con schemi provvidenzialistici, si configura come filosofia conservatrice, che carica di valore dogmatico (nello steso modo in cui taccia di dogmatismo a-storico l’illuminismo) le istituzioni basilari del passato, la famiglia, i ceti sociali, la monarchia, la chiesa ed il culto. E rivaluta nello stesso tempo periodi giudicati oscuri dall’illuminismo come il Medio evo, che diviene il periodo privilegiato.
Il romanticismo è l’età in cui fioriscono le identità nazionali. In reazione all’universalismo propugnato dagli Illuministi, si rivalutano le unità collettive, le distinzioni tra popoli e tra culture. Nasce l’idea che “ciò che è giusto a Parigi può non esserlo a Napoli”, questo a sottolineare quanto sia assurda l’universalità astratta degli Illuministi. È buffo, però, che per affermare ciò, ed affermarlo in questo modo, i Romantici utilizzino un’espressione tratta da un convinto illuminista come Vincenzo Cuoco. Non è vero affermano che ciò che la ragione addita come giusto sia giusto ovunque e comunque, senza tener conto delle condizioni materiali effettive (storico-culturali) in cui ci si trova.
Il Romanticismo, è l’età del rigetto di tale progresso. All’età della meccanizzazione industriale e del “falso”progresso, che snaturano l’uomo costringendolo a ritmi innaturali, all’abbrutimento, alla miseria contrario il romantico oppone il Medio evo. Un medio evo idealizzato, che diventa l’era in cui vigeva la perfetta armonia dell’uomo con la natura, in cui si lavorava con i ritmi delle stagioni, l’era ideale delle imprese cavalleresche e della fede in Dio.
All’astrattismo universalistico dei Philosophes, i romantici si fregiano dunque di sostituire uno “storicismo concreto”, al quale si connette la filosofia Politica, ricca di contraddizioni ed opposti. Abbiamo visto che è di questo periodo il concetto emergente di “Nazione”. * All’idea di una libera “volontà generale”, risultato di un patto (il contratto sociale di Rousseau) per mezzo del quale gli individui si associano liberamente in virtù di un’esigenza comune e razionale, si sostituisce gradualmente l’idea di “sentimento di appartenenza”, di “spirito del popolo”, della “nazione”, intesa in senso di “organismo”, in senso aristotelico (in cui il tutto è superiore alle parti), al quale gli individui che lo compongono si sentono legati, in virtù della comune razza, della comune origine, della lingua e della religione. E proprio sul concetto di Nazione possiamo notare le più clamorose incongruenze e le opposizioni tipiche del periodo romantico.
Così mentre in Germania assistiamo alla corsa verso la restaurazione, quale reazione all’invasione napoleonica lungo la quale si fa strada il mito della “nazione missionaria”, cioè l’idea colonialistica del popolo “civilizzatore (celebrando sin da Herder e da Fichte il “primato” della nazione tedesca e gettando le basi per la successiva esaltazione nazionalistica del nazismo), negli altri paesi europei, soprattutto in Italia, il culto della Nazione fa tutt’uno con il liberalismo, (=la salvaguardia dei diritti individuali), con la democrazia (= la teoria del popolo detentore di sovranità), e con il patriottismo (= il desiderio di diventare una nazione unita ed indipendente).
Conclusioni
Alla luce di quanto considerato finora possiamo adesso affermare, da un punto di vista filosofico ed a titolo di riassunto, che i romantici, contrariamente a Kant, che aveva costruito faticosamente e con rigore scientifico una filosofia del limite, cercano in ogni modo ed ovunque, nell’arte, nella religione, nella bellezza, nell’amore, nella natura e nella storia, l’oltre- limite, ossia quel qualcosa che rifugge le leggi dell’ordine e della misura. L’infinito si qualifica come il protagonista principale dell’universo culturale romantico.
“Essere uno col tutto, questa è la vita degli dei, questo è il cielo dell’uomo. Essere uno con tutto ciò che ha vita, fare ritorno, in una beata dimenticanza di sé, nel tutto della natura, questo è il vertice dei pensieri e delle gioie, questa è la sacra vetta del monte, la sede dell'eterna quiete, ove il meriggio perde la sua afa e il tuono la sua voce e il mare infuriato assomiglia all'ondeggiare d'un campo di spighe”. (Hölderlin) .
Al di la dei termini filosofici, questa tensione si può tradurre come un tentativo, una vertigine, un’ebbrezza che colora di sé tutte le esperienze fondamentali dell’uomo, desideroso di trascendere le barriere del finito, di andare oltre lo spazio, il tempo, il dolore, la caducità e la morte (= fino ad arrivare là, dove nessun uomo è mai giunto prima).
Definito in questi termini il Romanticismo rischia di essere ridotto ad un’etichetta di tipo artistico, applicabile alla luce dei suoi aspetti più evidentemente anti-razionali. In realtà l’aspetto filosofico del movimento, non andrebbe mai omesso dalla definizione, in quanto il Romanticismo nasce proprio in ambiente filosofico.
Il “ciò che resta”, a cui Hoelderlin fa riferimento, è la realtà al di la del fluire delle apparenze, il nocciolo, il fondamento del mondo al quale il poeta può accedere in virtù della sua sensibilità. Ne ha l’accesso e la facoltà di verificarlo (stabilirlo).
Questa interpretazione romantica dello storicismo illuminista riflette in realtà un’interpretazione parziale ed errata della visione illuminista. L’universalismo sognato dagli enciclopedisti e da Kant non escludeva per niente l’esistenza di di credenze e tradizioni, lingue e costumi differenti. I Viaggiatori illuministi, curiosi delle civiltà anche extra europee di queste diversità ne ebbero una ben chiara consapevolezza, ma ad essi non interessava tanto il mantenimento di ciò che divide gli uomini (i particolarismi, le differenze linguistiche e dunque i pregiudizi) ma la ricerca di ciò che può unirli, nel segno della ragione comune, della scienza ed in vista di una pace duratura.
Capitano James Tiberius Kirk, comandante della nave stellare USS Enterprise ncc -1701 (Non potevo non dirlo!!!).
Fonte: http://keynes.scuole.bo.it/~miglioli/2011_12/filosofia%20romantica%20word.doc
Sito web da visitare: http://keynes.scuole.bo.it
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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