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Nato da una famiglia borghese, si diploma in ragioneria e lavora a Perugia in modo saltuario facendo diversi mestieri: il contabile, il commesso di libreria, il correttore di bozze e il mercante d'arte.
Ha modo di entrare in contatto con il mondo dei letterati in seguito alla conoscenza con Umberto Saba nel 1929 e all'incontro con gli artisti fiorentini che frequentano il "Caffè Le Giubbe Rosse" di Firenze.
Nel 1939, grazie all'interessamento di Giuseppe Ferrara e Sergio Solmi, pubblica la prima raccolta di versi il cui successo lo fece entrare, come collaboratore, in alcune importanti riviste dell'epoca, come "Corrente", "Letteratura", "Il Frontespizio", il "Mondo" su cui apparvero negli anni '40 alcune prose che saranno più tardi (1973) raccolte nel volume Un po' di febbre.
Nel 1950 venne pubblicato il suo secondo libro di versi uscito nelle edizioni della Meridiana con il titolo di Appunti.
Nel 1955 pubblicò il racconto Arrivo al mare e nei due anni seguenti due opere importanti che definiranno meglio la sua personalità e lo stile della sua poesia: Una strana gioia di vivere, edito da Scheiwiller nel 1956 e la raccolta completa delle sue Poesie edita da Garzanti che gli fece ottenere, nel 1957, il Premio Viareggio.
Nel 1958 pubblicò Croce e delizia con la casa editrice Longanesi e solamente nel 1970 apparve presso l'editore Garzanti il suo libro Tutte le Poesie che comprendeva le poesie precedenti e molti inediti. In quello stesso anno fu assegnato a Penna il Premio Fiuggi.
Nel 1976 venne pubblicato sull'"Almanacco dello Specchio" una scelta di sue poesie e, alla fine di quell'anno, il volume Stranezze (1976) per il quale, nel gennaio del 1977, pochi giorni prima della morte, gli venne assegnato il Premio Bagutta.
Solitamente Penna viene annoverato tra i tre principali poeti della cosiddetta "linea antinovecentesca" o "linea sabiana". La prima definizione fu coniata da Pasolini (che grazie al suo estro polivalente, fu anche un notevole critico letterario), in rapporto a tre poeti: Bertolucci, Caproni e Penna.
Il termine è giustificato dal fatto che la loro produzione più significativa si colloca negli anni ’30, in pieno clima ermetico.
Essi, infatti, si distaccano dal linguaggio allora in voga, volutamente difficile, elitario, caratterizzato da uno spirito analogico-simbolico; il loro, è un linguaggio che risponde essenzialmente a tre elementi costitutivi:
1) stretto rapporto con la tradizione
2) uso di un linguaggio chiaro, immediato, di facile comprensione
3) rappresentazione della realtà, attraverso una accentuata descrittività e narratività
Sarà facile, quindi, capire come i loro principali modelli di riferimento siano Pascoli e i Crepuscolari, ma, in particolar modo, Saba. Dalle analogie con quest’ultimo, non a caso, deriva la seconda definizione sotto cui vengono annoverati Penna, Bertolucci e Caproni.
Ritornando al caso specifico di Penna, all’interno della sua produzione, si notano due caratteristiche: il monolinguismo e il monotematismo. Le due cose, anche se apparentemente non risulta, hanno una connessione. Infatti, l’unico tema per si segnala il nostro poeta è il desiderio omoerotico; un fatto questo che il poeta riconosce nella raccolta Stranezze, quando arriva a definirsi «poeta esclusivo d’amore» e che riconferma con la lirica Sempre fanciulli nelle mie poesie!:
Sempre fanciulli nelle mie poesie!
Ma io non so parlare d’altre cose.
Le altre cose son tutte noiose.
Io non posso cantarvi Opere Pie
Questo testo – che assume il valore di una dichiarazione di poetica – evidenzia bene la concezione che Penna ha della poesia, vissuta quale equivalente del desiderio e del principio di piacere (rappresentato dai "fanciulli" del v.1, unica cosa non noiosa e, quindi, piacevole, in antitesi rispetto alla morale, rappresentata in maniera esemplare dalle "Opere Pie" del v.4), cioè come equivalente della natura.
E d’altra parte la poesia è vissuta anche come modo in cui tale valore naturale diviene accessibile sul piano sociale (grazie alla sublimazione della forma), come luogo in cui il principio di piacere può incontrarsi col principio di realtà senza rinunciare a esprimersi, mirando a una superiore armonia.
La poesia ha, perciò, un valore di trasgressione lecita, che, tuttavia, non basta a Penna al colmare l’insoddisfazione per un mondo che lo ha relegato ai margini(non a caso la differenza tra le prime e la ultime liriche è la scomparsa si quella "strana gioia di vivere", di quella "felice e pagana istintività gioiosa" che lo aveva sempre animato).
Il monolinguismo penniano (basato su un vocabolario ridottissimo e su un estremo controllo formale) è giustificato dal fatto che
« la natura totalmente trasgressiva della tematica di Penna postula assolutamente un linguaggio non trasgressivo » (P.V.Mengaldo, Poeti italiani del Novecento)
Appare, quindi, chiaro come questo sia legato evidentemente alla scelta tematica fatta dal nostro autore.
La poesia di Sandro Penna, legata al tema dell'amore omosessuale, si realizza in forme apparentemente semplici e cantabili. Secondo alcuni, rappresenta il vero e proprio contraltare poetico di Eugenio Montale.
Il timbro dei suoi versi è di classica e assoluta purezza, le sue strofe sono brevi e i suoi versi, di una dolce cantabilità, lontani da ogni esperienza contemporanea.
La lirica di Penna si caratterizza per la forma impressionistica dei suoi tratti e per la mancanza, così insolita e quasi "anarchica", di suggestioni colte dalla letteratura del Novecento.
Proprio la posizione appartata, e anche indifferente, di Sandro Penna nel panorama della poesia del Novecento, ha reso non sempre facile un pieno riconoscimento del suo autentico valore e la sua fortuna critica è stata sempre inferiore ai suoi meriti.
Tra i sostenitori della sua poesia ci fu Pier Paolo Pasolini, che a Penna dedicò nel 1960 due capitoli del suo volume di saggi Passione e ideologia.
Dopo la pubblicazione di Tutte le poesie nel 1970, i consensi della critica intorno alla sua opera sono aumentati e, accanto alle numerose recensioni che accompagnano i suoi libri, si distingue il saggio di Giovanni Raboni dapprima pubblicato in "Paragone" e in seguito nel suo libro Poesia degli anni sessanta e la recensione di Giacomo De Benedetti in Poesia italiana del Novecento apparsa nel 1974 e la postfazione di Cesare Garboli a Stranezze.
Quello che manca su Sandro Penna è uno studio più profondo e completo della sua opera di là dai luoghi comuni e dalle schematizzazioni.
Fonte: http://www.calamandrei2013.altervista.org/PENNA.doc
Sito web da visitare: http://www.calamandrei2013.altervista.org
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