Letteratura Spagnola medievale

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Letteratura Spagnola medievale

La letteratura spagnola si compone di tutte quelle opere manoscritte e a stampa in lingua spagnola che a partire dal X secolo si sono sviluppate in Spagna, fino ai nostri giorni.

Le origini
Si fanno risalire al X secolo le prime produzioni in volgare, solitamente di carattere epico, che gli juglares (giullari) rappresentavano nelle strade e nei mercati, molto prima che i clerici dessero dignità letteraria alla lingua castigliana.

Il primo documento letterario spagnolo è l'anonimo Poema del mio Cid scritto nel 1140 circa, nel quale si avverte la potente originalità della lingua castigliana che differisce dalle contemporanee letterature per l'atmosfera meno mite e per il suo forte legame con la realtà.
Da quando venne composto il poema del Cid fino alla fine del XV secolo si assiste, in Spagna, ad un lungo periodo di formazione.
I secoli XII e XIII vedono un miglioramento nello stile e nella forma con una produzione poetica che va dalle espressioni giullaresche popolari a quelle dei chierici dotti.
Alla seconda metà del secolo XII risalgono le trascrizioni in versi volgari di quei testi contenuti nei codici latini dando origine alla prima produzione di poesia religiosa e didascalica.
Il primo poeta spagnolo del quale si conosce il nome è un prete, Gonzalo de Berceo , che scrisse alcune vite di santi e 25 narrazioni di interventi miracolosi della Vergine che raccoglie nei Miracoli di Nostra Signora. Le quartine che usa Berceo sono monorime composte di versi simili agli alessandrini epici francesi con l'aggiunta di una sillaba nella cesura, forma metrica della letteratura spagnola delle origini che si chiama cuaderna vía o mester de clerecía. Altri testi dell'epoca, come Il libro di Apollonio, Il libro di Alessandro e Il poema di Fernán Gonzáles, ci sono pervenuti anonimi.
Le prime prose in lingua volgare risalgono al secolo XIII.
Esse coincidono con l'emigrazione verso la Castiglia di studiosi arabi e ebrei e risentono dell'influenza di fonti francesi e latine.
Nella seconda metà del secolo XIII notevole è l'opera del re di Castiglia e di León, Alfonso X, detto il Saggio (1252-1284) che con la sua opera favorì il consolidamento e la diffusione del volgare castigliano. Egli infatti compose o fece comporre trattati di astronomia, libri sui giochi, sulle pietre, traduzioni. A lui si deve il più importante codice legislativo del Medioevo, Las siete partidas e soprattutto la Crónica general, storia della Spagna, che è da considerarsi la prima opera storiografica in castigliano.
Ad Alfonso X dobbiamo anche i Cantigas de Santa María, 430 poesie scritte in gallego-portoghese.
In campo teatrale si deve al 1200 circa il primo testo in versi di drammaturgia liturgica spagnola.

Il Trecento

Mutando le condizioni politiche con il ritiro degli Arabi, nel secolo XIV mutano anche le condizioni spirituali e la letteratura romanzesca succederà a quella epica. Il clima che caratterizza il secolo sarà di spensieratezza e fiducia nelle possibilità dell'intelligenza umana.
Nella prima metà del secolo si presentano sulla scena del panorama letterario due autori di valore: Juan Ruiz e l'infante don Juan Manuel, nipote di Alfonso X.
Juan Ruiz, Arciprete di Hita, scrisse un poema dal titolo Libro de buen amor di oltre settemila versi assortiti accostandosi con disinvoltura alla forma di poesia devota, alla lirica, all'allegoria e alla satira con capacità notevoli nel delineare personaggi ricchi di realismo.
Il Conte Lucanor , detto anche il Libro de Petronio o Libro degli esempi , scritto dall'Infante Juan Manuel (1282-1348) è una raccolta di favole, parabole, novelle satiriche e allegoriche. È questo un documento sicuro sul problema dell'affermazione del castigliano su altri dialetti.
Giungono intanto nella penisola gli echi del primo umanesimo italiano e fioriscono in Spagna numerosi italianisti che contribuiscono alla diffusione della cultura e al perfezionamento della lingua.
L'esperienza cortese, sviluppatasi in Francia, non raggiunge invece la Spagna, anche se non mancarono traduzioni di romanzi cortesi.
Nella seconda metà del secolo la figura di maggior rilievo fu quella di Pero López de Ayala (1332-1407), autore di Rinaldo de Palacio e di 4 Cronache dove vengono esposti avvenimenti storici con forte vigore drammatico.

Il Quattrocento e l'Umanesimo

Con il secolo XV l'influenza italiana di Dante, Boccaccio e di Petrarca si fece sentire e si ebbe il nascere di una poesia lirica molto raffinata che venne raccolta in antologie come il Canzoniere di Baena scritto verso il 1445 con i materiali di due differenti scuole, quella "allegorico-dantesca" e quella "gallego-portoghese" e il Canzoniere di Lope de Stúniga compilato alla corte aragonese di Napoli.
Tra gli italianisti di quest'epoca ci furono Iñigo López de Mendoza, Marchese di Santillana (1398-1458) che diffuse in modo efficace le teorie umanistiche e al quale si deve il primo saggio critico-linguistico in castigliano dal titolo Lettera proemio al conestabile Don Pedro di Portogallo, nel quale annota le varie opere poetiche nelle diverse lingue romanze ed Enrique de Villena (1384-1433) che tradusse la Divina Commedia.
Nella seconda metà del secolo vennero composte opere teatrali di argomento religioso, da Gómez Manrique (1413-1491) dal titolo Rappresentazioni della nascita di Nostro Signore, mentre il nipote Jorge Manrique (1440-1478) scrive un vero capolavoro. A la muerte del maestre de Santiago don Rodrigo Manrique, su padre, nel quale riprende il tema della vanità delle cose umane con toni di vera drammaticità.
Sempre nella seconda metà del secolo XV il filone dotto delle lettere spagnole è rappresentato dagli italianisti che iniziano a sperimentare due generi nuovi: quello dei romances e quello teatrale.

Il Poema del mio Cid (in spagnolo Cantar de mio Cid) è un poema epico, formato da 3733 versi di autore anonimo, risalente al 1140 circa e considerato il primo documento letterario spagnolo.
In esso si narrano le imprese eroiche di Rodrigo Díaz de Bivar, il Cid Campeador (dall'arabo sayyd o sìd "signore") eroe leggendario delle lotte contro gli arabi, morto nel 1099.
Nel poema, tanto importante per la letteratura spagnola, si trova la documentazione della lingua nascente che al momento era formata da un miscuglio di catalano, di galiziano-portoghese e di castigliano, oltre che dell'epopea del popolo che combatte per la patria e per la religione.
Esso venne pubblicato per la prima volta nel 1779 da Tomás Antonio Sánchez che aveva scoperto il manoscritto, privo di qualche foglio, riportante la data del 1303 e la firma di Peter Abat, probabilmente l'amanuense o il giullare che aveva riordinato il materiale si presume circa quarant'anni dopo la morte dell'autore. L'edizione critica del manoscritto fu poi allestita da Ramón Menéndez Pidal nel 1908-1911.
Il Poema del mio Cid, insieme alla Chanson de Roland, rappresenta la testimonianza del diverso grado di cultura e di civiltà latina nel periodo delle origini in confronto alle popolazioni d'origine germanica. Lontano dallo spirito barbarico dei Nibelunghi, il Cantar de mio Cid è l'interpretazione della realtà cristiana della Castiglia del X secolo. Il protagonista denota la sua origine cristiana e latina che si esprime nella fede in Dio, nella devozione al proprio Signore, nell'affetto per la famiglia e in quei sentimenti di giustizia e perseverante pazienza che gli fanno affrontare stoicamente le difficoltà.

Fu un chierico (non un frate, come di solito si pensa, ma un laico) che lavorò a La Rioja come notaio del monastero di San Millán de la Cogolla e del monastero di Santo Domingo de Silos. Ricevette un’educazione molto accurata e si formò nei recentemente creati studi generali (una specie di università medievale) di Palencia, i primi apparsi in Spagna. Tradusse il vocabolario dal latino e ricorse a formule della letteratura orale tradizionale. Lavorò anche come notaio ecclesiastico per i monasteri, per conto dei quali arrivò a falsificare documenti per fare in modo che i contadini riottosi pagassero le tasse.
Nel 1237 divenne presbitero.
La sua poesia tratta sempre temi religiosi, ed è costituita fondamentalmente da agiografie, scritti di materia sacra e biografie di santi, specialmente quelli adorati nei monasteri ai quali era vincolato: la Estoria de sennor San Millán, la Vida de Sancta Oria, virgen e La vida del gorioso confessor Santo Domingo de Silos, per esempio. La sua opera principale è senza dubbio Milagros de Nuestra Señora. Altre opere sono El duelo que fizo la Virten María el día de la Pasión de su fijo Jesu Christo, Del sacrifiçio de la Missa, De los signos que aparesçerán ante del Juicio, Martiryo de Sant Laurençio, Loores de Nuestra Señora e Himnos.
Non si mostra come un narratore originale, perché traduce ampliandole le opere latine già esistenti; la sua originalità e carattere artistico si apprezzano nel trattamento dei temi, nello stile e nei dettagli ed adattamenti alla mentalità medievale e contadina.
La sua poesia è colta, sebbene sia rivestita da un’apparenza popolare e utilizza elementi tradizionali; la strofa usata è di quattro versi alessandrini o quattordici sillabe separate in due metà di sette sillabe per una cesura che coincide con la fine della parola impedendo la sinalefe, e con un’unica rima consonante in tutti i versi.


Milagros de Nuestra Señora

Inizia con un’introduzione allegorica nella quale l’autore si presenta con una naturalezza idealizzata, che simboleggia le virtù e la perfezione della Vergine. Si susseguono poi venticinque miracoli realizzati dalla Vergine a favore di persone a Lei devote. Berceo non inventa, solo cerca di diffondere i racconti già esistenti sulla Madonna. Le caratteristiche principali dell’opera sono:

  • L'introduzione di elementi quotidiani per attrarre gli ascoltatori.
  • L'utilizzo di elementi dell’arte buffonesca, come l’uso di espressioni per attirare l’attenzione degli ascoltatori.
  • Alla fine di ogni racconto appare una morale o un insegnamento per far comprendere all’ascoltatore i vantaggi derivanti dalla devozione alla Vergine.

Si possono distinguere tre gruppi di miracoli:

  • Quelli in cui Maria premia o castiga la gente, come "La casulla de San Ildefonso".
  • Quelli in cui la Vergine perdona e riesce a salvare dalla condanna i suoi devoti, come "El sacristán impúdico".
  • Quelli in cui i personaggi soffrono una crisi spirituale e Maria li aiuta a risolvere il conflitto, come "La abadesa encinta".

El Libro de buen amor es una composición extensa y variada de 1728 estrofas, cuyo hilo conductor lo constituye el relato de la autobiografía ficticia del autor (Juan Ruiz, Arcipreste de Hita), quien es representado por el episódico personaje de don Melón de la Huerta. El hecho de que se hayan conservado tres manuscritos es un indicio de la importancia y difusión que tuvo esta obra desde bien temprano: los códices de Toledo (T) y Gayoso (G) son de fines del siglo XIV, y el de Salamanca (S) fue copiado a principios del siglo XV por Alonso de Paradinas. En los tres han sido arrancadas varias hojas, lo que impide la lectura completa del libro y además las lecturas divergen ocasionalmente a causa de las deturpaciones de los copistas. El título con que hoy se conoce la obra fue propuesto por Menéndez Pidal en 1898, basándose en distintos pasajes. En cuanto a la fecha de redacción, varía según el manuscrito: en uno el autor afirma que lo terminó en 1330 y en otro en 1343, aunque se tiende a creer que el de esta última fecha fue en realidad una revisión en la que Juan Ruiz añadió nuevas composiciones.
El libro se caracteriza por su variedad de:

  • Contenido (ejemplos, narraciones amorosas, serranillas, elementos didácticos, composiciones líricas, etc.)
  • Métrica (además de la cuaderna vía utiliza estrofas de dieciséis versos, estrofas zejelescas, etc.)
  • Tono (serio, festivo, religioso, profano, etc.)

Como núcleos narrativos más destacables de la obra, señalaremos:

  • La introducción, donde el Arcipreste de Hita explica el sentido e interpretación del libro.
  • Una autobiografía ficticia del autor, en la que relata sus amores con distintas mujeres, todas de diferente origen y condición social: una monja, una mora, una dueña que vio estar orando, una panadera, una mujer de alta posición, varias serranas, etcétera, ayudado por una tercera o alcahueta, Urraca, más conocida como la Trotaconventos.
  • Una colección de enxiemplos (apólogos, fábulas y cuentos), que sirven como enseñanza moral y cierre de los episodios.
  • La disputa entre el autor y don Amor (un personaje alegórico), donde el primero acusa al Amor como responsable de los pecados capitales y el segundo da consideraciones de cómo ha de ser la mujer y el galán.
  • La narración de los amores de don Melón y doña Endrina (adaptación de la comedia humanística medieval Pamphilus).
  • El relato alegórico de la batalla entre don Carnal y doña Cuaresma, en realidad una parodia de los cantares de gesta medievales.
  • Un comentario al Ars amandi del poeta latino Ovidio.
  • Sátiras de tono y contenido goliardesco, como la parodia de las horas canónicas, la Cantiga de los clérigos de Talavera, el elogio misógino de las dueñas chicas, o la sátira Contra la propiedad que el dinero ha.
  • Una serie de composiciones líricas religiosas, casi siempre marianas (Gozos de Santa María).
  • Una serie de composiciones líricas diversas profanas: el planto a la muerte de Trotaconventos, cantigas de ciego y para escolares.

El conde Lucanor, en castellano antiguo original Libro de los enxiemplos del Conde Lucanor et de Patronio (Libro de los ejemplos del conde Lucanor y de Patronio) es en su mayor parte un libro de exempla o cuentos moralizantes escrito entre 1330 y 1335 por el infante Don Juan Manuel. Está considerada la obra cumbre de la narrativa en prosa del XIV de la literatura española.
El libro está compuesto por 51 cuentos (algunos de ellos de una página o dos) tomados de varias fuentes, como Esopo y otros clásicos así como cuentos tradicionales árabes. La historia del Deán de Santiago y el mago de Toledo (cuento XI) tiene semejanzas con cuentos tradicionales japoneses y la historia de una mujer llamada Doña Truhana (cuento VII) -el Cuento de la lechera, pero ligeramente variado- ha sido identificada por Max Müller como originada en el ciclo hindú Panchatantra.
El propósito didáctico y moral es la marca del libro. El conde Lucanor empieza la conversación con su consejero Patronio planteándole un problema (“Un hombre me ha hecho una propuesta…” o “Temo que tal o cual persona intenta…”) y solicita consejo. Patronio siempre responde con gran humildad, asegurando no ser necesario dar consejo a una persona tan ilustre como el conde, pero ofreciéndose a contar una historia que le recuerda los problemas del conde. Las historias son ejemplos de la acción a seguir. Al final Patronio aconseja al conde actuar como lo hace el protagonista de la historia.
Cada capítulo termina más o menos de la misma forma, con pequeñas variaciones: “Et entendiendo don Johan que estos exiemplos eran muy buenos, fízolos escribir en este libro, et fizo estos viesos en que se pone la sentençia de los exiemplos. Et los viessos dizen assí”. El libro se cierra con dos versos que condensan la moraleja de la historia.

 

Fonte: http://www.bdtf.hu/btk/flli/romanisztika/OKTATSARS%20DOCENDI/OLASZ%20NAPPALI/ROMANISZTIKA_LETTERATURE%20ROMANZE/Letteratura%20spagnola%20medievale_riassunto.doc

Sito web da visitare: http://www.bdtf.hu

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