Letteratura Torquato Tasso

Letteratura Torquato Tasso

 

 

 

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Letteratura Torquato Tasso

                   

ANNO

ETA'

LOCALITA'

AVVENIMEMTI

OPERE

1544

  -

Sorrento

Nasce da Bernardo Porzia de' Rossi

     -

 

1552
1565

 

8 - 21
anni

Roma,Berga-
mo,Urbino,
Venezia,Pa-
dova
Bologna
Padova

Lascia Sorrento e la madre (+ 1556) con il padre che segue il suo signore, Ferrante di San Severino, Principe di Salerno, esiliato dal Re di Napoli

Rinaldo(62)
Liriche per Lucrezia Bendidio e per Laura Peperara

 

 

1565
1577

 

 

21-33
anni

 

 

Ferrara

Vive alla corte degli Estensi
(Cardinale Luigi e dal '72,
Alfonso II° ). Sono gli anni più sereni e più operosi. Ma nel '75 cominciano a manife-starsi i segni di uno squili-
brio psichico che si aggrave-
rà con gli anni (scrupoli re-
ligiosi e letterari, manie di
persecuzione).

 

Aminta (73)

Gerusalemme
Liberata
(75)

 

1577
1579

 

33-35
anni

Sorrento, Roma,Ferra-
ra,Mantova,
Padova,Ve-
nezia,Pesa-
ro,Torino

Resta poco tempo presso la sorella a Sorrento, poi passa
da una città all'altra in-
quieto ed insoddisfatto.

 

 

 

1579
1586

 

 

35-42
anni

 

 

Ferrara

Dà in escandescenze durante il matrimonio (3°nozze) di Alfonso II°con Margherita Gonzaga.Alfonso lo rinchiude nell'ospedale di Sant'Anna, dove resterà 7 anni. A momen-
ti di lucidità e tranquillità
si alternano momemti di incu-
bi ed allucinazioni.

 

Dialoghi

 

Lettere

 

1586

 
42    anni

 

Mantova

Vive alla corte di Vincenzo
Gonzaga che aveva convinto il
cognato Alfonso II° a lasciar
libero il Tasso

Torrismondo

 

 

1587
1595

 

 

43-51
anni

 

Roma,Firen-
ze,Napoli,
Mantova,
Roma

Nuovo periodo di irrequietez-
za che lo porta a peregrinare
da una città all'altra senza
trovare pace

Gerusalemme
Conquistata
Monte Oli-
veto,
Sette gior-
nate del mondo creato

1595

  51
anni

Roma

Muore nel monastero di S.Ono-
frio

 

La Poetica del Tasso
nella Gerusalemme Liberata
L'interpretazione fondamentale, dal De Sanctis ad oggi, e' quella del carattere autobiografico dell'ispirazione tassiana: tutte le componenti, varie e contraddittorie, del poema, hanno la loro origine nell'anima del Tasso, nelle sue reazioni alla situazione esistenziale e storico culturale in cui gli toccò di vivere (v.biografia tormentata, scrupoli religiosi e letterari, rapporto d'odio e d'amore con la corte, classicismo tardo-rinascimentale, atmosfera pesante della controriforma). I personaggi, perciò, esteriormente derivati dalla tradizione classica e romanza, sono, in realtà, proiezioni della complessa e contraddittoria, inquieta ed inappagata, sostanza spirituale dell'autore (intensa e torbida sensualità ed ansia di purificazione, aspirazione eroica e vagheggiamento idillico, volontà d'ossequio alle regole e desiderio di libertà, concezione pessimistica della vita, nonostante un'intima, sincera religiosità); e se e' vero che Tancredi, più di ogni altro personaggio riflette il Tasso, non e' meno vero che e' possibile rintracciare almeno una delle componenti della sua psicologia in tutti gli altri, cristiani e non, uomini e donne, compreso Goffredo giudicato per molto tempo freddo e falso. Ed ha una evidente radice autobiografica la solitudine in cui i personaggi vivono ed operano: a nessuno di loro e' concessa la consolazione dell'amicizia, la soluzione felice di una avviata o tentata relazione, la possibilità di rapporti interpersonali, fatti di fiducia e di comprensione reciproca.
Anche i paesaggi sono investiti da tale carattere di solitudine: ombre notturne, deserte rovine, sabbie sconfinate, immensità oceaniche, desolate siccità e pioggia tempestosa, sono aspetti inquietanti che impediscono all'uomo di trovare rifugio e conforto nella natura. Con due importanti eccezioni:
Erminia tra i pastori e Rinaldo sul Monte Oliveto.
Su personaggi, luoghi e situazioni si stende l'ombra di una minaccia, di una segreta insidia: la meravigliosa esperienza dell'amore e' rattristata dalla corresponsione negata e da funesti presagi; il piacere e' sempre insidiato dal sentimento della sua labilità; eroismo e gloria affondano nell'inesorabile scorrere del tempo, che li corrode e li cancella; gli eventi sono soggetti al capriccio della fortuna, la gioia e' costantemente minacciata dal dolore, all'idea della vita e' sempre e dovunque associata quella della morte: tutte cose che possono essere considerate come la proiezione letteraria dello sgobento del Tasso di fronte alla realtà, del suo senso costante della fugacità e dell'infelicità della vita. Anche lo strumento stilistico, e non poteva essere altrimenti, riflette l'anima del Tasso, le sue intime e diverse tensioni ed aspirazioni (anche in quelli che vengono indicati come i difetti più vistosi: la concettosità dell'enfasi). Lo stile del Tasso e' magnifico e nitido, sorretto da classica, misurata eloquenza, quand'e' chiamato a registrare gli atti di eroismo e le sagge risoluzioni. E' invece lirico, denso di suggestioni musicali ed evocative, quando esprime il turbamento dei sensi, le perplessità dell'anima, il segreto linguaggio della natura, il doloroso sentimento del vivere (frequenti enjambements, in funzione sia di legato che di staccato, che contribuiscono al felice temperamento di forte e di patetico, di grave e delicato).


TASSO: SQUARCI DI VITA
LA SUA PSICOLOGIA
1. A Gerolamo Mercuriale, famoso medico del tempo:
“Sono alcuni anni che io sono infermo, e l’infermità mia non è conosciuta da me: nondimeno io ho certa opinione di essere stato ammaliato... rodimenti d’intestino, con non poco di flusso di sangue; tintinnii negli orecchi e ne la testa... imaginazione continua di varie cose e tutte spiacevoli.”
2. Alla sorella Cornelia, a Sorrento:
“Io sono arrivato a Roma tutto pieno d’ogni disperazione... Il corpo è infermo di molte infermità, tutte spiacevoli, tutte noiose; l’ingegno, offeso, la memoria indebolita, e quasi perduta; la fortuna, contraria più che mai fosse: amici non ho, o non conformi al mio desiderio; padrone non ho, né vorrei averne... s’egli non fosse tale, che volesse farmi un sicurissimo ozio da studiare: i parenti mi hanno rinnegato.... <Accoglietemi presso di voi> ed avrei grandissimo obbligo alla pietà di Dio, c’avesse riservata la mia morte più tosto fra le vostre braccia, che fra quelle de gli spedalieri.”
3. A fra Fabiano, a Sorrento:
<La sorella era morta. Egli non vuol tornare, perché...>
“mi dorrebbe nondimeno di veder schernite, non dirò la mia presenza, ma la mia ragione e la mia fede e la mia buona volontà; ed essere costretto di partirmi povero, infermo, canuto, smemorato e quasi frenetico da quel paese dov’io son nato, dove fui allevato, dove solea veder mio padre in qualche buono stato ed in qualche reputazione, e mia madre similmente; per andar un’altra volta errando fra gente estranea... “;
“io mi contento di stare a giudizio di coloro che giudicano senza passione. Questi, senza fallo, saranno i posteri; al giudizio de’ quali soglio appellarmi.”
PER IL SUO PROFILO PSICOLOGICO
Per caratterizzare le componenti psicologiche di una personalità così tormentata (e i viaggi ne sono la evidente manifestazione esteriore) Getto indica due coppie di coordinate:
CORTE/VIAGGI e ACCADEMIA/FOLLIA.
La prima (CORTE) è il sognato luogo dello splendore e della magnificenza mondani e la sede ‘alta’ d’ogni magnanima virtù e d’ogni terrena grandezza. Ma dietro la cortina d’illusione e dietro le apparenze del fasto, Ferrara mostrava sia i segni dei vizi che infestavano ogni corte sia, in particolare, i segni d’una cautela mista ad ipocrisia, proprie di una città in sospetto d’eresia calvinista, nel bel mezzo dell’offensiva spagnola e controriformista. Donde circospezione, dissimulazione, delazioni e ricatti e una vena di sensualità che, non erompendo schietta, s’intorbida dietro la maschera dell’adesione alla religione-etichetta.
Di qui, mescolato all’amore, l’odio per la corte e la fuga dalla delusione attraverso i VIAGGI.
[Questo rapporto Tasso-corte, confrontato con quello Ariosto-corte è nel Caretti].
Il torbido, irrequieto girovagare, richiama l’immagine della mente che erra nel labirinto della follia. E siamo alla SECONDA COPPIA.
L’ACCADEMIA è la norma, la regola, la certezza di adeguare l’opera ad un tono e ad un clima di grandezza e di decoro ufficialmente sanzionati. Per uno spirito irrequieto, l’Accademia è il ‘genere letterario’, cioè la certezza della perfezione e la garanzia del consenso.
Come nell’opera, così nella coscienza, Tasso cerca certezze e va volontariamente di fronte all’autorità dell’Inquisitore, perché il suo tormento, il suo dubbio, siano sciolti, anche qui, da una sentenza, da un ‘tribunale’, dalla ‘legge’. Eppure, questo bisogno di ‘regole’ e di ‘autorità’ esterne è il segno della mancanza di equilibrio e certezze interne. Quelle verità ‘indiscutibili’, imposte da fuori, ma che pure trovano in lui risonanza non superficiale, non coincidono poi con i moti più intimi della sua sensualità o del suo estro poetico o delle sue angosce: donde la lacerazione tra certezze volute (e non possedute) e destino di intima e invincibile irrequietudine sentimentale e morale. Di qui la follia. E la tenerezza del folle, che si riconosce tale e si compiange.
Ma “occorrerà vedere in questo male non già un elemento negativo, che deturpa la figura e l’opera del poeta, ma semplicemente una fondamentale esperienza biografica.”
GERUSALEMME LIBERATA

Getto, Storia della letteratura
1.      Intorno al tema della crociata, e quindi intorno al poema, il poeta lavorò trent’anni. Una vita, cioè. Si pensi al primo abbozzo, il “Gierusalemme”, scritto quando non aveva ancora sedici anni; e all’ultima tappa, la “Conquistata”, poco prima di morire.
2.      Perché questo tema lo assilla e cattura la sua ispirazione?
La risposta si trova se si ricorda che la seconda metà del ‘500 fu dominata dall’idea di crociata (Controriforma, pericolo turco), tanto che quest’idea fu quasi la sintesi di un’epoca, quella di Filippo II, l’età della ripresa e dell’espansione del cattolicesimo. Ora il Tasso, educato fin da giovinetto al culto della gloria poetica, e frequentatore di corti, sensibilissimo agli ideali, alle aspirazioni dominanti nelle corti, concepì appunto il sogno di raggiungere la gloria poetica con un poema che racchiudesse ed esprimesse tutto lo spirito della sua epoca, cattolica e controriformista; un poema che gareggiasse con i grandi esempi del passato (Iliade = il poema della grecità; Eneide = della latinità; Commedia = della cattolicità medievale) ma anche oscurare, nell’ariostesca Ferrara, la fama recente dell’Ariosto.
La corte, infatti, come anche l’accademia in verità sono i principali punti di riferimento, indispensabili per capire molti aspetti della “Liberata”:
il motivo encomiastico, che lega Rinaldo alla dinastia estense;
i richiami alla vita cortigiana e il gusto monarchico, cioè la frequente rappresentazione del principe, del re, solennemente vestito, idealmente seduto sul trono, maestoso, insomma “eccezionale”.
Però i motivi più profondi che legano la corte e l’accademia al poema sono altri:
il tema dell’amore, che si collega al platonismo e al petrarchismo dominanti nella cultura cortigiana e nelle dispute accademiche (vedi il Cortegiano, gli Asolani e l’alluvione di trattati d’amore del '500), nonché alla vita quotidiana della corte;
il tema delle armi, che è del tutto congeniale a una civiltà cortigiana ove dominano i “cavalieri” (si pensi di nuovo al Cortegiano, la cui principale qualità è d’essere ‘uomo d’armi’);
il tema religioso, che è fin troppo ingombrante in un’età in cui esso, o sinceramente o ipocritamente o fanaticamente, spadroneggia e s’insinua ovunque;
l’attrazione per la magìa e per la scienza naturale, che riflette ancora un gusto promosso appunto dalla corte;
infine il lungo teorizzare con il quale il poeta accompagnò, intellettualisticamente, l’opera (si vedano i Discorsi) e gli scrupoli sulla ‘regolarità’ che lo afflissero, rientrano pienamente nel clima precettistico delle corti e delle accademie tardo cinquecentesche; questo tema si trova riflesso anche nel gusto della tecnica, di cui fra poco si dirà. Intanto bisogna ricordare che tutto il poema è pervaso (come indica abbondantemente la poetica esplicita del Tasso) dall’ideale della regola che presiede e disciplina la composizione (si pensi alla felicità ‘disordinata’ dell’Ariosto), perché, in fondo, tutta quell’età ha aspirato a disciplinare la natura e la realtà e a portarle, così ordinate, depurate ed esaltate, al livello del grandioso, dell’eroico, del nobile.
4.      Quest’ultima osservazione ci conduce verso un’altra caratteristica del poema, che appunto ancora risale al clima cortigiano e alle pretese dell’accademia: il gusto della regola, della tecnica, della legge, che intervengono nella vita, nell’attività perfino della coscienza e dei sentimenti, a fissare norme e a non lasciare l’iniziativa all’impulso e all’istinto.
Nel poema questo gusto emerge in diversi momenti, innestato su diversi temi: a) sul tema politico è ‘arte’ di governo e ‘regola’ della ragion di stato; b) nell’amore è, per esempio, tecnica della seduzione in Armida; c) nella magìa è rituale e formula con cui Ismeno compie le sue stregonerie; d) nella morale diventa ricerca di una regola da seguire di fronte ad azioni moralmente dubbie; e questo, in piena corrispondenza con la pratica gesuitica della casistica morale.
Però il gusto della tecnica si dispiega più largamente nel gran tema delle armi: nei duelli, negli assedi, nelle battaglie, nella descrizione dei quali si può ricavar materia per trattati di cavalleria e di arte militare (si rammenti l’autorevolezza del Tasso citata nei Promessi sposi). I duelli del Tasso sono stralci esemplificativi da un manuale ideale del perfetto schermitore e della perfetta cavalleria, e così le battaglie hanno l’andamento sorvegliato e ordinato del trattato militare.
5.      Infine la corte e l’accademia ispirano anche un altro gusto caratteristico del Tasso, nel poema: lo spettacolare e il gran- dioso, il decoroso, il solenne, il “magnifico”. Così, infatti, piacciono al Tasso le scene fastose al cui centro è il principe (= politica); le parate militari con tanto di bandiere, armature, fanfare ecc.; la teatralità del vessillo crociato su Gerusalemme tra i guerrieri in festa; gli piacciono le solenni e fastose cerimonie sacre, le processioni, gli arredi sontuosi, i paramenti lussuosi; talvolta, infine, anche l’amore di si presta ad accogliere questo gusto, come per esempio quando splendidamente giunge al campo cristiano la bellissima Armida: è uno spettacolare trionfo di bellezza femminile, cui fa eco il luminoso e fiorito paesaggio.
7.      E’ importantissimo ora notare che questa celebrazione di spettacoli solenni o magnifici, mentre è il contrassegno di una civiltà è anche l’incarnazione di un sogno lungamente vagheggiato dal Tasso. Ma questo sogno - che fa tutt’uno con l’ambizione di gloria e l’amore per la corte, sono poi contraddetti da un altro motivo sentimentale e poetico, di delusione e di sconfitta: proprio come, nella sua biografia, si è registrata una contraddizione fra amore della corte e odio della corte (= viaggi e irrequietezza) e tra accademia (=regola) e follia (=sregolatezza).
8.      Infatti, è necessario chiedersi, a questo punto: ma dov’è la poesia? La poesia non è in questo gusto scenografico, né nel gusto della tecnica e della regola, ma li presuppone, non può fare a meno di questa splendida cornice, di questa pomposa, solenne, ammaliatrice corte ‘ideale’, perché essa, la poesia, nasce proprio quando questo spettacolo di belle parvenze, di grandi sogni, di immagini affascinanti, apparsi in un attimo, dileguano per sempre.
Ecco perché la poesia della Gerusalemme “non va cercata in un determinato sentimento dominante o in un elenco di sentimenti fondamentali, ma piuttosto in un ritmo sentimentale e in un’atmosfera interiore: il ritmo della perenne illusione e delusione della vita... l’inquieta solitudine dell’anima assorta in un sogno e subito delusa dal suo svanire.”
E non è solo il ritmo sentimentale della psicologia di Tasso.
Certo, una radice autobiografica, di illusione / delusione, è innegabile, ma la solitudine dell’anima tassesca assurge al significato universale della contemplazione del tragico destino umano, nel quale s’illumina per un istante la vita, seguita presto dalla morte fatale e l’anima “resta sola, sola nel suo breve instabile sogno, e sola nel suo sconsolato rimpianto.”
E’ comprensibile che questo clima si intensifichi nelle grandi e dolenti storie d’amore, nei tormentati personaggi che le vivono: Tancredi, Erminia, Armida, Olindo.
Mentre in Argante questo clima diventa il tema della forza bruta che si piega al destino e il Solimano la rinuncia fatale al sogno di riconquista, che tutto lo occupa.
[Nella Letteratura di Getto segue l’esame dei personaggi].

LETTURA DEL POEMA
PROEMIO
Richiamo evidente ai modelli classici: Arma virumque cano; Cantami o Musa... ; Tasso vuole iscrivere se stesso in una secolare e illustre tradizione. I suoi personaggi saranno eroi, ma - ecco la novità, la modernità, l”impegno” - eroi della fede.
Spicca la prima persona: “Canto”. Nel Furioso “io canto” veniva in secondo piano. E’ il segno della soggettività del Tasso e della oggettività del secondo. Lirica, infatti, è l’ispirazione tassesca.
“gran sepolcro”: caratteristico aggettivo tassesco. Tasso tende al grandioso (anche enfaticamente, dove il grandioso è inutile, come qui), tende all’imponente, allo spettacolare per tenere fede al suo progetto di un poema che rappresenti un’umanità più eccelsa e nobile di quella comune, con una lingua altamente intonata. E’ il suo sogno di vita e la sua aspirazione di poeta: il primo sarà contraddetto dalla realtà, la seconda, si scontrerà drammaticamente con altre voci ugualmente autentiche (amore sensuale, disperazione, oblio idillico, pessimismo sul destino umano).
“Cristo... Inferno... ciel”: è il meraviglioso cristiano. E’ evidente che ci muoviamo all’interno di un mondo che non è l’aerea campagna ariostesca, ma la pesante cupola di un tempio, il barocco soffitto d’una corte tardo-rinascimentale.
“erranti”: è l’ambizione del poema: l’errore e la follia umani, ricondotti all’unità della fede e della virtù. Ma quanta invincibile simpatia per quell’ “errore”, per la dolce follia umana. Simpatia che, nel sorgere, reca con sé la coscienza, dolorosa, del suo “peccato”, e sa, perciò, dar vita solo a figure lacerate. E’ il “ritmo sentimentale” del Getto.
“caduchi” - “immortali”: è l’ambizione di tutta la sua vita: la gloria, l’immortalità della fama (vedi lettera ad Antonio Costantini).
“perdona... fregi”: è la poetica che risente del clima controriformistico. Al gusto schietto della favola ariostesca subentra qui la circospezione cauta di chi si premunisce contro l’accusa di “edonismo” e riconduce all’unico fine “morale” il dilettevole dell’opera.
“molli”: c’è una punta di abbandono, quasi un sospiro trattenuto, come scrivesse: ahimé, quanto dolci, quanto molli!
“furor di fortuna... peregrino”: l’indiretta (ma non tanto) confessione del proprio tormentato itinerario di vita, l’alta malinconia della propria infelicità (che diventerà lagrima e sospiro dei personaggi). Quanto più spianato, l’accenno autobiografico ironico dell’Ariosto!
“sacrate”: la consapevolezza diretta e manifesta, quasi solenne e liturgica, della “serietà” dell’opera, serietà non solo sul piano dell’ingegno, della rivelazione del mondo (c’è anche nel Furioso, ma mascherato da gioco); ma proprio sul piano dei valori “ufficiali”, consacrati dalla società cortigiana e religiosa, dall’accademia.
Non escluderei un allusione polemica all’ “opera d’inchiostro” dell’Ariosto.
La dedica (ottava V) è seria, non maliziosa. Il poema non è la “distrazione”, il ristoro dagli alti pensieri, è, in mancanza dell’azione, quasi un surrogato, o una preparazione, la prefigurazione di un destino.

CANTO VI (da Momigliano): Si snoda in un andirivieni di toni, dalle iattanze di Argante, che vuole battaglia e ottiene lo scontro con i campioni cristiani, allo smemoramento di Tancredi, incantato dalla splendida apparizione di Clorinda, nelle sue vesti bianche, alta, superba. Segue il crudele duello fra Tancredi e Argante, gara di abilità e virtù guerriera e si chiude, il canto, con la tenera malinconia e la trepidazione audace di Erminia, creatura tutta tassesca, di un petrarchismo rifatto dalla più molle sensibilità del Tasso, che dall’alba al tramonto guarda il campo cristiano “e co’ pensieri suoi parla e sospira”. In questo canto spicca l’affascinante notturno: “Era la notte, e ‘l suo stellato manto / chiaro spiegava e senza nube alcuna...”, da mettere accanto a Dante, a Leopardi, a Manzoni.
Momigliano: Erminia vive del suo fantasticare. Questa situazione era già stata dipinta dal Petrarca (Di pensiero in pensier...). Ma Petrarca ha una malinconia più austera, più virile, dietro le sue fantasie trovi il pensiero. Dietro Erminia nulla c’è, nemmeno la stessa Erminia. Ella tutta si perde nel suo innamorato. Laura, invece, è quasi uno specchio, nel quale Petrarca, in fondo, riflette il suo spirito.
“In questo femminilizzare la malinconia fantastica del Petrarca, consiste l’originalità del Tasso”. [Quindi, nell’annullarsi dell’amante nell’amato, come solo le donne sanno fare, mi par di capire].

CANTO VII Vedi il commento di Momigliano.
“Dobbiamo dire che la figura di questa donzella spaurita è di una delicatezza sensitiva che fa di Erminia, con Silvia, Clorinda e Armida, Ermengarda e Laura morta, una delle grandi creazioni femminili della nostra lirica. Mai il Tasso è stato così morbido e lieve nella scelta delle parole come in questa descrizione, più che dell’immagine di Erminia, della sua anima palpitante fra le ombre paurose della selva, e sospirante nel mattino pastorale che tien dietro la fuga.”

enjambement: “Apre i languidi lumi, e guarda quelli/alberghi solitarii de’ pastori.”
L’enjambement interpreta tacitamente la lentezza trasognata dello sguardo - l’incontro col vecchio: è brano da tenere in conto per illuminare il rapporto Tasso-corte. Qui ci sono “le inique corti”, che, contrapposte all’ideal corte di Goffredo e dei suoi campioni, è radice di gran parte della perpetua scontentezza del Tasso.
STILE MUSICALE
una romantica musica nostalgica:
“piansi i riposi di quest’umil vita e sospirai la mia perduta pace”
Erminia: è natura sentimentale, molto tassesca, che s’intenerisce dei suoi casi sfortunati, si sommuove su se stessa :
“e in rileggendo poi le proprie note
rigò di belle lacrime le gote”
il chiaroscuro: Tancredi cerca Erminia, da lui creduta Clorinda:
“Esce al fin de la selva: e per ignote
strade il conduce de la luna il raggio
verso un romor che di lontano udiva”.
Anche qui - annota Momigliano - sento l’affinità del gusto poetico del Tasso con il gusto della pittura a ombre, luci e penombre, caratteristica del tempo.
RELIGIOSITA’ SEICENTESCA
Quando Raimondo di Tolosa si appresta, pur anziano, ad affrontare Argante, Dio manda in suo aiuto l’angelo custode, il quale trae da un arsenale di armi del cielo (l’asta con cui fu ucciso il serpente, il tridente che provoca terremoti) uno scudo smisurato di lucidissimo diamante.
E’ una religiosità che mira al grandioso materiale (come enfatico e su di tono è tutto l’episodio del c.VII tra Goffredo e i cavalieri cristiani, e Raimondo ed Argante) perché l’autore difetta di autenticità e di intimità di sentire religioso.
E’ la cattolicità sentita come pompa e potenza, come gerarchia e “corte”.
Argante: è figura di smisurate proporzioni, e di violenza, forza, passione guerriera smisurate. Quando Ariosto disegna Rodomonte, ha cura di sorriderci un po’ sopra. Argente è tremendamente serio, cupamente sanguinario e feroce.
Eccolo in tre momenti :
“sol cerca Raimondo, e in lui sol vòlto
ha il ferro e l’ita impetuosa e pazza;
e, quasi avido lupo, ei par che brame
ne le viscere sue pascer la fame”.

Uccide Ormanno, piaga Guido, atterra Ruggiero...
“ma contro lui crescon le turbe, e ‘l serra
d’uomini e d’arme cerchio aspro e pungente.”

“né chi con mani cento e cento braccia
cinquanta scudi insieme ed altrettante
spade muovesse, or più farìa d’Argante.”

CANTO VIII
il sacrificio del giovane figlio del re di Danimarca Sveno, “l’incontro suggestivo della incontaminata età giovanile, accesa di pure brame e di nobili affetti, indomita e insieme gentile.” (Caretti).
la ribellione in campo cristiano, sobillatore Argillano - invasato dalla furia Aletto - della quale viene a capo Goffredo, la fermezza della ragione, la saggezza di fronte ai moti irriflessivi degli animi e alle sacerbate passioni (Caretti).
CANTO X
Solimano: Sullo sfondo guerresco svetta Solimano, ex re di Nicea, ora al servizio del re d’Egitto. Capo di ladroni e mercenari infidi, crudele, possente,a stuto, ma diverso dalla animalità di Argante, manifesta la sua nobile origine quando è capace di riflettere, solo, sulla sorte sua infelice e sui destini umani.” (Caretti)
Solimano sa commuoversi per Lesbino, il fanciullo del suo seguito, reciso, come un fiore, nella battaglia e sa scegliere la fuga, invece del suicidio, non per viltà, ma
“Non cedo io, no; fia con memoria eterna
de le mie offese eterno anco il mio sdegno.
Risorgerò nemico ancor più crudo,
cenere anco sepolto e spirto ignudo.”
dove si può sentire “l’alta e amara poesia del vinto non rassegnato”. (Caretti)
CANTO XII
La conversione di Clorinda è preparata dal discorso del vecchio Arsete, suo tutore, il quale le rivela di essere figlia di Senapo, re d’Etiopia, e gelosissimo della moglie. Senapo era cristiano, e la bambina, di pelle bianca, che avrebbe potuto suscitare la gelosia di Senapo, fu affidata dalla madre ad Arsete. Arsete, poi, narra di un sogno in cui un guerriero gli urla: “Ecco - dicea - fellon, l’ora s’appressa / che dée cangiar Clorinda e vita e sorte“. Ed intanto già Clorinda, per combattere di notte, aveva - contro l’uso che le voleva bianche - indossato armi brune, al che Tasso commenta: “infausto presagio”.
Su Clorinda, così, si stende, fin dall’inizio, un’ombra di funesto presentimento, un’aria di tragedia.
Clorinda, quando esce da Gerusalemme, non è più l’indomita guerriera di prima... e appare per la prima volta smarrita e spaventata, sì che quando abbraccia la nuova fede... essa compie... l’ultimo atto di un processo di chiarificazione interiore... “
Forse, riflettendo sul battesimo di Clorinda, si scopre che non c’è nel poema cosa più spirituale e più solenne di questo guerriero che, finito appena il duello, raccoglie nell’elmo l’acqua per battezzare l’avversario morente. A questa solennità s’aggiunge il patetico di un presentimento passionale: “Tremar sentì la mano...”.
Il Tasso, poeta d’amore, ha di queste intuizioni che colgono il sentimento nel momento stesso che nasce e si traduce irresistibilmente in un gesto.”
“E’, con quella di Laura, di Buonconte, di don Rodrigo, di Mastro don Gesualdo, una delle morti più ammirabili... non tanto per quel volto serenamente bello, per il fascino di una figura su cui tutto l’orizzonte si concentra, quanto per quel ge sto di congedo, per quella “man nuda e fredda” alzata verso il cavaliere, che ha l’evidenza immobile di un bassorilievo funebre e la purezza di linea di alcune tristi chiuse leopardiane << Silvia >>.
Dopo la morte di Clorinda Tancredi è ingiustamente rimproverato da Pietro l’Eremita e, purtroppo, continua a piangere e a tormentarsi, con eloquenza e sottigliezza da secentista (“se io mi uccido ucciderò il mio dolore... la tomba non contiene cose morte, ma ceneri vive, perché ancora spiranti amore ecc.”) fino alla fine del canto.
CANTO XIV
Vanità umane: Ugone, in sogno a Goffredo: “Quanto è vil la cagion ch’a la virtute / umana è colà giù premio e contrasto! / in che piccolo cerchio, e fra che nude / solitudini è stretto il vostro fasto!”
I due versi - dice Momigliano - sono la sintesi poetica dell’ertà della Controriforma, età di etichetta, di pompa, di fasto, e perciò abbandonata coscienza della vanità della vita.
LA SCIENZA DEL RINASCIMENTO
Il mago di Ascalona mostra a Carlo e Ubaldo, che cercano Rinaldo, cosa si cela nelle viscere della terra . Il serbatoio di tutti i corsi d’acqua e la fonte delle pietre e dei metalli preziodi.
“Questo non è più il meraviglioso dei poemi cavallereschi, né il diabolico o divino di altri paesi; è il meraviglioso leonardesco, degli uomini del Rinascimento, intenti a scoprire i segreti della natura e a scrutare “il grembo immenso / della Terra, che tutto in sé produce.”
IL GIARDINO DI ARMIDA: Quando Rinaldo giunge al giardino incantato, una fanciulla nuda, che è sorta dall’acqua canta un rifacimento del coro dell’Atto I dell’Aminta.
Un invito a godere della giovinezza, un invito, un po’ brutal, a far godere il corpo, a trascurare “ciò che pregio e valore il mondo appella” e a lasciar perdere la paura, che è “un’eco, un sogno, anzi del sogno un’ombra”.
C’è qui il Tasso, che è incantato dalla voluttà e deluso dai piaceri. Nella struttura del poema quel canto è “empio”, ma troppo diretta e scoperta è la suggestione del canto, per non convenire con il Momigliano, che queste ottave sono “il più sintetico spunto autobiografico di tutta l’opera del Tasso.”
SECENTISMO: Armida, ventilando col velo attenua a Rinaldo “gli ardori de l’estivo cielo”, ma gli ardori degli occhi di Rinaldo, benché chiusi, sciolgono il gelo del suo cuore e “di nemica ella diviene amante”.
CANTO XV
TASSO CRISTIANO: Carlo e Ubaldo trapassano il Mediterraneo guidati dalla Fortuna, sfiorano Cartagine: “Muoiono le città, muoiono i regni; / coprono i fasti, le pompe arena ed erba; / e l’uom d’esser mortal par che si sdegni.”
“In questo desolato senso della caducità sentiamo il Tasso cristiano“(Momigliano).
<< E’ importante che troviamo, in questo brano, le parole ‘fasti’ e ‘pompe’, che richiamano ideali perseguiti tenacemente dal Tasso e che emanarono sempre fascino per lui. Anche la pompa del rito cattolico. Qui si scopre l’altro Tasso, sgomento e malinonico di fronte al destino umano. >>
TASSO E DANTE: << Sono frequentissimi gli echi danteschi, talvolta i versi della Commedia, trapiantati disarmonicamente nella Gerusalemme. E’ evidente che Tasso mirava ad una continuazione / emulazione del grande poema cattolico - medievale. Le spie linguistiche e stilistiche che confermano che egli voleva essere il Dante del suo tempo (ma anche l’Omero, il Virgilio: insomma, il poeta di un’epoca>>.
COLOMBO: la Fortuna preannuncia a Carlo e Ubaldo i viaggi transoceanici e l’impresa di Colombo. Senza retorica, con vero entusiasmo e quasi ingenua accensione fantastica, Tasso riecheggia lo stupore <e l’orgoglio> che invase le menti rinascimentali all’annunzio del viaggio straordinario.
UN’IMMAGINE FEMMINILE: Carlo e Ubaldo sono giunti al regno di Armida e dall’acqua emerge una fanciulla bella e ignuda: “Ridea insieme, e insieme ella arrosìa; / ed era nel rossor più bello il riso, / e nel riso il rossor che la coprìa / in sino al mento il delicato viso. “
C’è tutta la tassiana ammirazione della bellezza femminile, non disgiunta da una sfumatura madrigalesca.
Più giù, la fanciulla dice ai due: “Questo è il porto del mondo... “ e in quest’espressione... così abbandonata, il Tasso ha infuso tutta la sua nostalgia d’una voluttà senza contrasti, d’una felicità senza risvegli.”(Momigliano)
<<Ma va ricordato ancora che quest’isola felice è inganno e vizio nella struttura ideologica del poema e che Rinaldo dovrà liberarsene come da un carcere>>.
La situazione diventa ppoi simbolo del contrasto (ricorrente sempre, nell’intimo almeno, fra tentazioni del senso e doveri della coscienza. I due guerrieri non accolgono l’invito delle due fanciulle.
“E se di tal dolcezza entro trasfusa / parte penétra, onde il disìo germoglie, / tosto ragion, ne l’armi sue rinchiusa, / sterpa e riseca le nascenti voglie.”
CANTO XVI
MARINISMO: nelle ottave del giardino di Armida, Tasso esprime una vena di sensualità e di edonismo e con certi toni stilistici, che già dentro vi presentiamo la morbida sensibilità del Seicento e in particolare del Marino. Si veda l’ottava degli augelletti ‘vezzosi’, per esempio; o l’aggettivo ‘lascivette’ detto delle note e la musicalità che arieggia la danza e ha una “carnalità ornata e galeotta “ (Momigliano). La rosa, verginella: “Ecco poi nudo il sen già baldanzosa / dispiega... “ oppure: “Cogliàm la rosa in su ‘l mattino adorno / di questo dì, che tosto il seren perde; / cogliàm d’amor la rosa...”.
I versi del Poliziano, di simile tono, sono una delicata descrizione della bellezza, questi hanno più del carnale, del voluttuoso, e sono più cantati a voce spiegata. “C’è l’esteriorità e la corposità della lirica del Seicento piuttosto che l’amorosa malinconia del cantore di Erminia... “(Momigliano).
ARMIDA E LA CORTE: il canto di Armida è la materializzazione di cose incorporee “Teneri sogni, e placide e tranquille / re- pulse, e cari vezzi, e liete paci / sorrise parolette, e dolci stille / di pianto e sospir tronchi, e molli baci.” Siamo veramente dentro il clima civettuolo di una corte.
ARMIDA ABBANDONATA: si veda il commento di Momigliano: Armida è il più ricco personaggio della Gerusalemme, morbida, insinuante nel campo cristiano (C.IV), luminosa dominatrice nel suo giardino, tragica donna, disperata furia nell’ora dell’abbandono: implacabile vendicatrice quando ogni tentativo di trattenere l’amante è vano < .... > La psicologia amorosa della nostra  letteratura era quasi unicamente maschile, e discendeva in massima parte dal Petrarca: la psicologia amorosa femminile, con le sue morbidezze sentimentali, e le sue insidie, le sue complicazioni d’istinto e di scaltrezza, le sue ingenuità e le sue arti, è creazione del poeta che ha inventato Silvia, Erminia... < ... > La sensibilità del Petrarca è una sensibilità meditativa, quella del Tasso è più drammatica, più aderente alla vita, e può commuovere di più: “Volea gridar... / ... Ma il varco al suon chiuse il dolore; / sì che tornò la flebile parola / più amara in dietro a rimbombar su ‘l cuore.”
Si veda, pure, come il dramma dell’episodio è contaminato (poeticamente) dal proposito edificante dell’ottava 41.a: Ubaldo a Rinaldo: férmati, perché devi ascoltarla e resistere, diverrai più forte.
IDILLIO: per una linea dell’idillio: vi campeggia questo giardino di Armida (dopo la casa d’Amore di Petrarca, la reggia di Venere di Poliziano) “in un rigoglio perenne e in un clima senza tempo, entro questo regno delle delizie voluttuose e dell’oblìo immemore, su cui aleggia tuttavia... un senso occulto di artificio caduco, di illusione effimera”(Caretti).
CANTO XVII
GOFFREDO STILIZZATO: ultima ottava del canto: la Fama, al giungere di Rinaldo nel campo cristiano, vola a portare la notizia a Goffredo: “e inanzi ad essi al pio Goffredo corse / per raccorli dal suo seggio sorse“.
Momigliano riporta un commento del Varese: Goffredo è immaginato sempre attento alla sua funzione di duce, come stilizzato, con lo scettro, sopra il suo seggio... “.
CANTO XVIII
RINALDO: Da leggere sia l’ascesa al monte Oliveto, nell’indefinibile incanto di un’alba interiore, cui fa corona l’alba esteriore, sia (e più attentamente) la lotta interiore, e poi esteriore e fisia, tra Rinaldo e gli incanti della selva. Ancora idillio, lusinghe sensuali e, di fronte, la virtù di Rinaldo, attratto dal mistero, ma risoluto a vincere. Ancora Armida (o un suo fantasma) che lo tenta. Leggi Momigliano, che giudica le ottave 1-38 “le pagine di più indefinita e più nuova poesia dell’intero poema” e in esse ritrova “i due stremi della poesia romantica: l’esaltazione del senso e lo stanco silenzio interiore, questa indefinita religiosità che vapora dalla delusione del senso.
CANTO III
I crociati sotto Gerusalemme
Si può cominciare non dall’inizio, ma dal momento in cui compare Tancredi (“Porta sì salda la gran lancia..."). Nell’episodio appariranno due temi essenziali:
la guerra, la battaglia
l’amore
Questo secondo tema [il primo sarà affrontato in un secondo tempo] è svolto su due versanti:
l’infelicità
il segreto
Sono amori infelici anche perché non può l’amante svelarsi all’amata; una barriera insormontabile (la guerra, la fede) li divide e perciò il sentimento si nutre di silenzio e si consuma nell’impotenza.
Queste due condizioni ne generano un’altra, in Erminia: la finzione, l’inganno, la parola che significa altro da quello che sembra, al limite siamo di  fronte ad un gioco crudele tra una maschera (quello che la parola sembra dire) e un volto (quello che la parola esprimerebbe se intesa nel suo vero senso).
Entriamo così nel regno dell’ambiguo.
Già questi elementi tematici ci portano al cuore dell’ispirazione del  Tasso, la quale poggia su una visione del mondo in cui non c’è posto per la felicità, per lo slancio spontaneo e lieto del sentimento (se non quando nessuno ascolta, se non nel silenzio); è una visione del mondo in cui ha largo posto il chiaroscuro dell’essere e del sembrare, il gioco crudele di realtà e finzione: così Erminia sarà scambiata per Clorinda; così la selva sarà in- cantata magicamente.
Insomma il personaggio è in balìa del destino e di un caso che è più forte di lui.
Può vincere la lotta solo appellandosi alle forze eltraterrene, come Rinaldo nella selva.
Ma accanto a Rinaldo (peccatore e pentito) e a Goffredo (guida militare e morale) restano le storie d’amore infelici, nelle quali non meno che nei personaggi “virtuosi” e “vittoriosi” si effonde la poesia lirico-autobiografica dell’autore.
Senza dire che il tema: realtà / finzione, essere / apparire, il tema della parola ambigua, del gioco verbale, anticipano il seicentismo.
Vedi anche il madrigale tassiano analizzato in Forme e storia (Bellini Mazzoni, Paradigma)
RIME E SECENTISMO
da Forme e storia, p.30 e ss.
L’esame di alcuni madrigali del Tasso consente di far emergere certi caratteri dello stile e del contenuto, che sono tutti tassiani, ma anche già secentisti (vedi commento alla Gerusalemme, dove si nomina il marinismo e il secentismo):
la ricerca di ripetuta musicalità
la concatenazione di metafore e la metafora concettosa, che “stupisce”
la metafora come gioco speculare che rivela un contatto ambiguo col mondo, in cui si inseguono più labili parvenze che cose certe.

Dai madrigali il mondo appare un gioco di specchi: non detto così ideologicamente, ma “cantato” così nei modi stilistici, formali. Il madrigale dice anche che l’arte diviene - seicentescamente - gioco; serio sì, sigillo di un’epoca pure. Ma gioco. Che qualche volta riesce e qualche altra no.

 

Fonte: http://www.luigisaito.it/appunti/t.tasso.doc

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