Letteratura Ugo Foscolo poetica e opere

Letteratura Ugo Foscolo poetica e opere

 

 

 

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Letteratura Ugo Foscolo poetica e opere

 

Ugo Foscolo      

Poetica ed opere   (liberamente tratto da Baldi “La letteratura”)

Le componenti classiche, preromantiche e illuministiche
Nella formazione di Foscolo convergono le componenti tipiche della cultura del suo tempo: la cultura classica, le più moderne sollecitazioni preromantiche, l'Illuminismo settecentesco.
La formazione letteraria del giovane poeta avviene nel solco del gusto arcadico; però poi, a questa letteratura frivola ed evasiva, dalla perfezione solo formale e retorica, si aggiunge il modello dei grandi classici latini e greci, oltre a quelli italiani, in particolare Dante e Petrarca. Fra i moderni, Foscolo guarda con ammirazione al rigore morale e civile di Parini e alla fiera indipendenza, all'ansia di libertà di Alfieri. Al tempo stesso subisce le suggestioni del sentimentalismo di Rousseau e del Werther di Goethe, della grandiosa cupezza barbarica di Ossian, in Italia mediata dalla fortunatissima traduzione di Melchiorre Cesarotti (che il giovane conobbe personalmente a Padova). I poeti "cimiteriali" inglesi sono da lui interpretati in chiave laica, civile e patriottica.

Per quanto riguarda le idee, tra gli illuministi subì in un primo tempo l'influenza di Rousseau, che gli suggerì concezioni democratiche ed egualitarie e lo spinse negli anni giovanili ad abbracciare posizioni giacobine. Sempre da Rousseau derivò al giovane Foscolo il culto della natura come di tutto ciò che è autentico e positivo, nonché il culto della passionalità intensa. La visione rousseauiana della società si fondava sul presupposto dell'originaria, naturale bontà dell'uomo, che era stata poi corrotta dallo sviluppo della civiltà. Più tardi Foscolo si staccò da questi principi, abbracciando le concezioni più aspramente pessimistiche di Machiavelli e del filosofo inglese Thomas Hobbes (1588-1679), che lo inducevano, al contrario, a credere nell'originaria malvagità dell'uomo, in perenne, feroce conflitto con gli altri uomini per sopraffarli e imporre il suo dominio. La società gli apparve allora come una guerra di tutti contro tutti, in cui trionfa solo la legge del più forte.

A questo pessimismo contribuisce un'altra componente filosofica, il materialismo, che gli proviene sempre dalla cultura materialistica del Settecento, con l'apporto però anche di pensatori e poeti classici, come i greci Democrito ed Epicuro e il latino Lucrezio, autore di un poema sulla natura in cui espone le teorie epicuree. Il materialismo è la posizione di chi ritiene che tutta la realtà sia materia, ed esclude quindi lo spirito, se non come prodotto della materia stessa. Ne deriva la negazione del trascendente e della sopravvivenza dell'anima dopo la morte. Tutto il reale non è che un perpetuo moto di aggregazione di elementi materiali, che poi si disgregano per andare a formare altri corpi. Il mondo quindi non è retto da una superiore intelligenza, ma da una cieca forza meccanica. La morte segna l'annullamento totale dell'individuo.

A Foscolo è ben presente il rischio insito in simili posizioni, vale a dire la negazione di ogni valore superiore, ideale; non solo, ma il pessimismo che ne scaturisce può facilmente generare indifferenza, fatalismo, passività. La visione generosamente attiva ed eroica della vita che è propria di Foscolo induce in lui insoddisfazione per queste posizioni e lo spinge a cercare alternative, a ricuperare la dimensione ideale dell'esistenza, anche se egli non arriva mai a superare teoreticamente le concezioni materialistiche e meccanicistiche.

Un fondamentale valore alternativo che Foscolo propone è la bellezza, di cui sono depositarie la letteratura e le arti. Ad esse è assegnato da Foscolo il compito di depurare l'animo dell'uomo dalle passioni che nascono dai conflitti della vita associata, di consolarlo dalle sofferenze e dalle angosce del vivere. Ma, accanto a questo compito, alla letteratura e alle arti è assegnato un fine più alto: rasserenando e purificando l'animo dell'uomo lo rendono più umano, lo allontanano dalla condizione feroce che continua a permanere in lui dai tempi primitivi e che spinge alla violenza e alla guerra fratricida, gli insegnano il rispetto per gli altri uomini e la compassione per i deboli e i sofferenti. La letteratura e le arti hanno quindi per Foscolo un'innegabile funzione civilizzatrice. Ad essa contribuisce anche il compito di tramandare le memorie in cui consiste l'anima di un popolo, ciò che ne garantisce la coesione e fa di esso non un'accozzaglia casuale di individui ma una nazione. Nel caso dell'Italia, ciò si collega con la funzione patriottica, necessaria per trasformare un popolo diviso e arretrato a causa di secoli di decadenza e servitù in una nazione civile e moderna.

  • Le Ultime lettere di Jacopo Ortis

La prima opera importante di Foscolo fu un romanzo, Ultime lettere di Jacopo Ortis. Un accenno ad un progetto di romanzo, Laura. Lettere si trovava già in un Piano di studi del 1796, ma dell'opera non è rimasta traccia. Una prima redazione dell'Ortis fu parzialmente stampata dal giovane Foscolo a Bologna, nel 1798, ma restò interrotta per le vicende belliche, che spinsero lo scrittore a combattere contro gli Austro-Russi. Lo stampatore, per poter vendere il libro, lo fece concludere da un certo Angelo Sassoli (che tenne però presenti materiali di Foscolo stesso). Il romanzo fu ripreso da Foscolo e pubblicato, con profondi mutamenti, nel 1802. Su di esso lo scrittore ritornò ancora, durante l'esilio, ristampandolo nel 1816 a Zurigo e nel 1817 a Londra, con ritocchi ed aggiunte. L’Ortis è dunque un'opera giovanile, ma anche un'opera che Foscolo sentì come centrale nella sua esperienza, se vi ritornò a più riprese a distanza di parecchi anni.

Si tratta di un romanzo epistolare, una forma di narrativa che aveva goduto di larga fortuna nel Settecento europeo: il racconto si costruisce attraverso una serie di lettere che il protagonista scrive all'amico Lorenzo Alderani (con alcuni interventi narrativi dell’amico stesso). Il modello a cui Foscolo guarda è  I dolori del giovane Werther di Goethe, anche se non è da trascurare l’influsso della Nuova Eloisa di Rousseau.
Chiaramente ispirato al Werther è il nodo fondamentale dell'intreccio, un giovane che si suicida per amore di una donna già destinata come sposa ad un altro. Ma vicino a Goethe è anche il nucleo tematico profondo: la figura di un giovane intellettuale in conflitto con un contesto sociale in cui non può inserirsi. Goethe per primo aveva colto questa situazione di conflitto tra intellettuale e società, intuendo con grande anticipo un motivo che sarà poi centrale nella cultura moderna; ed aveva avuto la geniale intuizione di rappresentare il conflitto attraverso una vicenda privata e psicologica, sul terreno dei rapporti amorosi, nell'impossibilità, da parte del giovane protagonista, di avere una relazione con la donna amata e di concluderla con il matrimonio (che nella cultura borghese di quest'età è il segno per eccellenza dell'avvenuta maturazione del giovane, del suo equilibrato inserimento nella società). Foscolo riprende questo nucleo tematico, sviluppandolo in relazione alle particolari caratteristiche del contesto italiano dei suoi anni.

Jacopo è un giovane patriota che, dopo la cessione di Venezia all'Austria col Trattato di Campoformio, si rifugia sui colli Euganei per sfuggire alle persecuzioni. Qui s'innamora di Teresa, ma il suo è un amore impossibile, perché la giovane è già promessa ad Odoardo, che è l'esatta antitesi di Jacopo, uomo gretto e prosaico, freddo e razionale, tanto quanto l'eroe è impetuoso e appassionato. La disperazione amorosa e politica spinge Jacopo ad un pellegrinaggio per l'Italia (a Firenze, dove visita le tombe di Santa Croce, a Milano, dove ha un incontro col Parini, ai confini con la Francia, a Ventimiglia, dove medita sulla storia come trionfo perpetuo della natura ferina dell'uomo). La notizia del matrimonio di Teresa lo riporta nel Veneto: rivede ancora una volta la fanciulla amata, si reca a visitare la madre, poi si uccide.

Come si vede, il conflitto sociale, che nel Werther si misura essenzialmente sul piano privato dei rapporti personali, qui si trasferisce anche su un piano politico. Ma sono i caratteri stessi del conflitto che si trasformano. Il dramma di Werther è quello di non potersi identificare con la sua classe di provenienza: lo slancio del cuore, la passionalità veemente, la superiore sensibilità del giovane artista sono respinti dal mondo borghese, che si fonda sulla razionalità, sul calcolo, sul culto dell'ordine; dall'altro lato, l'artista borghese è respinto anche dall'aristocrazia, che è ancora la classe dominante, chiusa ottusamente a difesa dei suoi privilegi di casta.

Diverso è il dramma di Jacopo: non tanto l'urto contro un assetto sociale ferreo che lo respinge, quanto il senso angoscioso di una mancanza, il non avere una patria, un tessuto sociale e politico degno di questo nome entro cui inserirsi. Il fatto essenziale è che il Werther fu scritto prima della Rivoluzione, l'Ortis dopo; dietro il giovane Werther c'è la Germania dell'assolutismo principesco, caratterizzata dal dominio sociale dell'aristocrazia e da una borghesia vile e reazionaria; dietro il giovane Ortis c'è invece l'Italia dell'età napoleonica, con i suoi tumultuosi rivolgimenti ed il delinearsi del nuovo regime oppressivo del "tiranno" straniero. In Werther c'è la disperazione che nasce dal sentire il bisogno di un mondo diverso, senza però intravedere alcuna possibilità concreta di una trasformazione profonda; in Jacopo c'è invece la disperazione che nasce dalla delusione rivoluzionaria, dal vedere tradite tutte le speranze patriottiche e democratiche, dal vedere la libertà finire in tirannide, dal rendersi conto che lo strumento rivoluzionario è ormai impraticabile. Non essendovi alternative possibili sul piano della storia, l'unica via che si offre ad Ortis per uscire da una situazione negativa, al tempo stesso insostenibile e immodificabile, è la morte.

Però, pur nascendo da una situazione così disperata e pur approdando ad una conclusione così negativa (il suicidio dell'eroe), l'Ortis non è solo un'opera nichilistica. Al suo inizio si trova già una ricerca di valori positivi, che possano permettere di superare il vicolo cieco della storia: la famiglia, gli affetti, la tradizione culturale italiana, l'eredità classica, la poesia. Questi motivi saranno sviluppati nelle opere successive, soprattutto nella grande sintesi dei Sepolcri. Il nichilismo è dunque solo uno dei poli di una dialettica, presente e attiva in questo momento dell'esperienza foscoliana, e destinata ad avere in futuro diverse soluzioni.

Con l'Ortis Foscolo, come riesce a cogliere acutamente i problemi che si pongono alle generazioni italiane post-rivoluzionarie, così, sul piano delle forme letterarie, ha l'intuizione geniale di trasferire in Italia un modello di romanzo moderno, largamente diffuso in ambito europeo. E tuttavia, come si è già osservato, l'Ortis non inaugura propriamente il genere del romanzo in Italia. A differenza che nella Nuova Eloisa e nel Werther, non vi è in esso un autentico interesse narrativo a costruire un intreccio di eventi, ad evocare ambienti sociali, a dipingere personaggi e psicologie autonome: prevale decisamente in Foscolo la spinta lirica, o saggistica, o oratoria. Più che un racconto l'opera appare come un lungo monologo, in cui l'eroe si confessa con veemente pathos e al tempo stesso si abbandona ad una lunga serie di meditazioni filosofiche e politiche o ad appassionate orazioni.

Ciò si riflette sullo stile: l'opera è scritta in una prosa aulica, pervasa da una continua tensione al sublime; la sintassi è complessa, sul modello classico, la linea del pensiero è caratterizzata da studiate antitesi o simmetrie, da trapassi improvvisi, da continue ellissi; spesso, poi, l’enfasi retorica ha il sopravvento, oppure si avverte il peso delle reminiscenze libresche.
Parallelo all'Ortis è però un altro progetto narrativo di carattere molto diverso, che risale probabilmente al 1801: il Sesto tomo dell'io (rimasto allo stato di semplice abbozzo frammentario). Avrebbe dovuto essere anch'esso un'opera autobiografica, in prima persona, ma, a :differerenza dell'Ortis, l'atteggiamento di Foscolo è umoristico, fatto di distacco ironico e di saggezza contemplativa. Vi si può cogliere già la suggestione della lettura di Laurence Sterne, che frutterà  più tardi la traduzione del Viaggio sentimentale e la creazione della "maschera" di Didimo Chierico, l'antitesi di Jacopo Ortis.

Il Werher e l’Ortis a confronto

I dolori del giovane Werther

 

Le ultime lettere di J. Ortis

 

Il genere

Romanzo epistolare, la narrazione è svolta attraverso le lettere del protagonista, con rari interventi di un narratore esterno (l’editore fittizio delle lettere)

 

 

 

 

La narrazione

 

Ambientazione

Germania dell’assolutismo prerivoluzionario, dominata dall’aristocrazia e da una borghesia reazionaria

 

Italia napoleonica con i suoi tumultuosi rivolgimenti e il delinearsi del nuovo regime oppressivo del “tiranno” straniero

 

 

Antefatto

Il protagonista si rifugia in campagna in seguito ad una spiacevole vicenda sentimentale

 

In seguito al Trattato di Campoformio il protagonista si rifugia sui colli Euganei per sfuggire alle persecuzioni contro i patrioti giacobini

 

Intreccio

Un giovane che si suicida per amore di una donna già destinata come sposa ad un altro.

 

 

 

 

I temi principali

 

Rapporto intellettuale società

Werher non può identificarsi né con l’aristocrazia che lo respinge in quanto borghese, né con la borghesia perché i suoi valori di artista si scontrano con il freddo pragmatismo che caratterizza questa classe sociale

 

Il dramma di Jacopo è politico piuttosto che sociale; egli avverte la mancanza di una patria in cui inserirsi dopo il fallimento storico dei sogni patriottici e rivoluzionari

 

 

Amore e morte

Il suicidio per un amore impossibile è il modo in cui si manifesta l’impossibilità da parte del protagonista di inserirsi nel contesto della società

 

L’amore è una forza positiva, è l’estrema illusione che trattiene il protagonista dal suicidio dopo la delusione storica: svanita anche questa, Jacopo si uccide.

Analisi “Il sacrificio della patria nostra è consumato”
Nichilismo e illusione. Sin dalla pagina iniziale la morte appare l'unica alternativa che si offre all'eroe di fronte ad una situazione politica senza via d'uscita. Ma, oltre che in negativo, la morte è vista anche in positivo, come una forma di sopravvivenza, sia pur illusoria: l'eroe sarà compianto dai «pochi uomini buoni». La morte è sopravvivenza nella memoria, il valore dell'individuo non va del tutto perduto; inoltre la morte, attraverso il conforto di un ricongiungimento con la terra dei padri, è anche l'unico modo per trovare un terreno sicuro nell'incertezza angosciosa di una condizione precaria, quella del "senza patria", di chi è privo della patria come organismo politico. In questa pagina d'apertura è già in germe la duplice direzione in cui muoverà il resto del romanzo: da un lato il nichilismo disperato, dall'altro il ricupero di valori positivi attraverso l'illusione.
Forma e stile. La forma epistolare fa sì che il protagonista sia anche il narratore della vicenda. Inoltre fa sì che l'atto del narrare coincida cronologicamente con lo svolgersi dell'azione (oppure la segua di poco). In questo modo la narrazione è sempre tutta pervasa dai sentimenti e dalle passioni che hanno dominato l'evento narrato. Per questo, più che una narrazione, il racconto sembra il monologo di un eroe tragico, di tipo alfieriano.
Ciò rende ragione dello stile del passo, che sarà poi caratteristico di tutta l'opera, uno stile tendente alla sublimità tragica, dalla forte enfasi oratoria. Si noti la secchezza delle frasi molto brevi, la ricerca di sentenze dalla concisione lapidaria, quali si possono trovare sulle labbra degli eroi della storia romana o delle tragedie alfieriane (ad esempio: «Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspetto tranquillamente la prigione e la morte»). Si noti anche l'incalzare delle interrogazioni retoriche, a cui si aggiungono le studiate antitesi («per salvarmi da chi m'opprime mi commetta a chi mi ha tradito?»).

Analisi “ L’incontro con Parini”
La situazione negativa dell'Italia napoleonica. È un episodio chiave del romanzo, dove si può cogliere con chiarezza il nucleo centrale della sua problematica politica e di tutto il dramma del protagonista. Punto di partenza del dialogo è la situazione negativa dell'Italia napoleonica. I due interlocutori, il giovane Jacopo e il vecchio poeta, rappresentano due atteggiamenti possibili dinanzi ad essa: la rivolta generosa ma astratta, pronta a tentare il tutto per tutto pur di contrastare una situazione intollerabile, e l'analisi lucida e puntuale, ma realisticamente consapevole dell'impossibilità di ogni alternativa.
Parini apre il colloquio con un esame delle condizioni dell'Italia presente. Le componenti del quadro sono: 1) la «licenza», la degenerazione della libertà rivoluzionaria in arbitrio; 2) il fatto che gli uomini di cultura vendano la loro opera pur di ottenere favori dal potere; :3) lo spegnersi dello spirito eroico, il diffondersi della passività e della corruzione; 4) la scomparsa di valori basilari come la benevolenza, l'ospitalità, l'amore filiale.
Smania d'azione e pessimismo. Dinanzi a questo quadro, Jacopo reagisce con un’eroica smania d'azione, da intendersi come azione rivoluzionaria contro il dominio francese. Ma il vecchio Parini disillude gli eroici furori del giovane: l'eroe, agendo in un contesto degradato, non può evitare di subirne la contaminazione. Ma anche se, per assurdo, potesse superare questo ostacolo, il prezzo di un'azione rivoluzionaria sarebbe pur sempre troppo alto: violenza, lotte civili, stragi, soffocamento dei partiti e della libertà di opinione, attentati alla proprietà privata; e lo sbocco fatale sarebbe la dittatura.
Sono tutti gli aspetti del processo rivoluzionario attraversato dalla Francia negli anni precedenti. Attraverso il pessimismo di Parini, Foscolo esprime il proprio pessimismo sulla possibilità dell'agire politico in questo momento, specie in una prospettiva rivoluzionaria: un'azione rivoluzionaria contro la dittatura napoleonica non risolverebbe nulla, poiché riprodurrebbe come in un ciclo fatale gli stessi orrori della Rivoluzione francese e sfocerebbe inevitabilmente in un'altra dittatura («di filosofo saresti fatto tiranno»). Si scorge in queste posizioni il peso della delusione storica patita dalle adolescenziali aspirazioni "giacobine" del poeta .
Le alternative fuori e dentro la storia. Se alla situazione presente non si possono dare alternative sul piano della storia, non resta che un'unica via d'uscita: la morte («non veggo più che il sepolcro»). E il suicidio finale di Jacopo è coerente con questa conclusione. Ma bisogna stare attenti a non identificare totalmente la prospettiva di Foscolo con quella di Jacopo. Come ha osservato Binni, la vicenda reale dello scrittore segue un'altra strada rispetto a quella del suo eroe, quella di una «partecipazione critica alla storia del proprio tempo»: Foscolo non si uccide come Ortis, ma, sia pur criticamente, continua ad operare all'interno del regime napoleonico. Il nichilismo di Jacopo, dunque, non è che uno dei momenti di una dialettica aperta all'interno della visione foscoliana: anzi lo sforzo dello scrittore, in questi anni, è proprio quello di ritrovare le basi per la partecipazione alla Storia, nonostante l'approdo nichilistico a cui la delusione rivoluzionaria lo induce. Questo sforzo si sviluppa nella restante produzione di Foscolo, ma, come verificheremo, è più da cercare dentro l'Ortis. Rappresentare la disperazione senza via d'uscita del suo eroe è, dunque per Foscolo un modo di obiettivare tendenze negative della sua personalità che potrebbero bloccare questa ricerca e un modo di prendere criticamente le distanze da esse. In questa luce il suicidio finale di Jacopo appare quasi come un gesto sacrificale, con cui lo scrittore si libera di queste tendenze, per proseguire su un’altra strada ( con questo, però, l’Ortis rimarrà una tappa fondamentale, tant’è vero che Foscolo vi ritornerà ancora più volte a distanza di molti anni)

Analisi “La sepoltura lacrimata”
12 Novembre
Jeri giorno di festa abbiamo con solennità trapiantato i pini delle vicine collinette sul monte rimpetto la chiesa. Mio padre pure tentava di fecondare quello sterile monticello; ma i cipressi ch'esso vi pose non hanno mai potuto allignare, e i pini sono ancor giovinetti. Assistito io da parecchi lavoratori ho coronato la vetta, onde casca l'acqua, di cinque pioppi, ombreggiando la costa orientale di un folto boschetto che sarà il primo salutato dal Sole quando splendidamente comparirà dalle Cime de' monti. E jeri appunto il Sole più sereno del solito riscaldava l'aria irrigidita dalla nebbia del morente autunno. Le villanelle vennero sul mezzodì co' loro grembiuli di festa intrecciando i giuochi e le danze di canzonette e di brindisi. Tale di esse era la sposa novella, tale la figliuola, e tal altra la innamorata di alcuno de' lavoratori; e tu sai che i nostri contadini sogliono, allorché si trapianta, convertire la fatica in piacere, credendo per antica tradizione de' loro avi e bisavi che senza il giolito de' bicchieri gli alberi non possano mettere salda radice nella terra straniera. - Frattanto io mi vagheggiava nel lontano avvenire un pari giorno di verno quando canuto mi trarrò passo passo sul mio bastoncello a confortarmi a' raggi del Sole, sì caro a' vecchi: salutando, mentre usciranno dalla chiesa, i curvi villani già miei compagni ne' dì che la gioventù rinvigoriva le nostre membra; e compiacendomi delle frutta che, benché tarde, avranno prodotti gli alberi piantati dal padre mio. Conterò allora con fioca voce le nostre umili storie a' miei e a' tuoi nepotini, o a quei di Teresa che mi scherzeranno dattorno. E quando le ossa mie fredde dormiranno sotto quel boschetto alloramai ricco ed ombroso, forse nelle sere d'estate al patetico susurrar delle fronde si uniranno i sospiri degli antichi padri della villa, i quali al suono della campana de' morti pregheranno pace allo spirito dell'uomo dabbene e raccomanderanno la sua memoria ai lor figli. E se talvolta lo stanco mietitore verrà a ristorarsi dall'arsura di giugno, esclamerà guardando la mia fossa: Egli egli innalzò queste fresche ombre ospitali! - O illusioni! e chi non ha patria, come può dire lascierò qua o là le mie ceneri?

25 maggio
……….Eppur mi conforto nella speranza di essere compianto. Su l'aurora della vita io cercherò forse invano il resto della mia età che mi verrà rapito dalle mie passioni e dalle mie sventure; ma la mia sepoltura sarà bagnata dalle tue lagrime, dalle lagrime di quella fanciulla celeste. E chi mai cede a una eterna obblivione questa cara e travagliata esistenza? Chi mai vide per l'ultima volta i raggi del Sole, chi salutò la Natura per sempre, chi abbandonò i suoi diletti, le sue speranze, i suoi inganni, i suoi stessi dolori senza lasciar dietro a sé un desiderio, un sospiro, uno sguardo? Le persone a noi care che ci sopravvivono, sono parte di noi. I nostri occhi morenti chiedono altrui qualche stilla di pianto, e il nostro cuore ama che il recente cadavere sia sostenuto da braccia amorose, e cerca un petto dove trasfondere l'ultimo nostro respiro. Geme la Natura perfin nella tomba, e il suo gemito vince il silenzio e l'oscurità della morte.
M'affaccio al balcone ora che la immensa luce del Sole si va spegnendo, e le tenebre rapiscono all'universo que' raggi languidi che balenano su l'orizzonte; e nella opacità del mondo malinconico e taciturno contemplo la immagine della Distruzione divoratrice di tutte le cose. Poi giro gli occhi sulle macchie de' pini piantati dal padre mio su quel colle presso la porta della parrocchia, e travedo biancheggiare fra le frondi agitate da' venti la pietra della mia fossa. E mi par di vederti venir con mia madre, a benedire, o perdonar non foss'altro alle ceneri dell'infelice figliuolo. E predico a me, consolandomi: Forse Teresa verrà solitaria su l'alba a rattristarsi dolcemente su le mie antiche memorie, e a dirmi un altro addio. No! la morte non è dolorosa. Che se taluno metterà le mani nella mia sepoltura e scompiglierà il mio scheletro per trarre dalla notte in cui giaceranno, le mie ardenti passioni, le mie opinioni, i miei delitti - forse; non mi difendere, Lorenzo; rispondi soltanto: Era uomo, e infelice.

L’illusione della sopravvivenza nel ricordo dei vivi. I due passi offrono un esempio di quella ricerca di valori positivi che, al di là del nichilismo disperato, è già presente nell'Ortis. La morte non è più vista come annullamento totale, come risposta puramente negativa ad una situazione storica senza via d'uscita: essa consente la sopravvivenza, un legame con il mondo dei vivi, attraverso il ricordo affettuoso e il compianto delle persone care; inoltre l'esule, lo sradicato, il senza patria, può trovare, riposando nella «terra de' padri», un approdo sicuro, un terreno solido e confortante: la terra è come un «grembo materno» (l'espressione comparirà nei Sepolcri) che lo accoglie, risarcendolo dall'impossibilità di un inserimento in un nucleo familiare e in un tessuto sociale.
Tutto ciò è solo un'illusione, e Jacopo ne è consapevole: ma proprio l'illusione può consentire di vivere ed operare. Se sul piano della storia è impossibile superare l'ostacolo di una situazione bloccata che spinge alla disperazione nichilistica, esso può essere aggirato regredendo sul piano delle illusioni e dei miti. La sepoltura lacrimata è il primo di questi miti elaborati da Foscolo come risposta attiva alla delusione storica, che potrebbe portarlo all'inerzia, alla rassegnazione passiva e persino all'impotenza creativa. È una strada che nell'Ortis rimane interrotta, solo potenziale, poiché il nichilismo ha il sopravvento, ma troverà ampi sviluppi nei sonetti e soprattutto nei Sepolcri.
L’insoddisfazione nei confronti del materialismo. È importante fare ancora un'osservazione: l'idea della morte come annullamento totale, come «Distruzione divoratrice di tutte le cose», a cui si contrappone l'illusione della sopravvivenza, è un'eredità del materialismo settecentesco, che è la cultura in cui Foscolo si è formato. La scelta dell’illusione esprime un’insoddisfazione nei confronti di quella cultura, il bisogno di altre certezze che plachino il senso di inquietudine e smarrimento dinanzi alla precarietà dell’esistenza umana. Anche questo motivo sarà ripreso nei Sepolcri.

 

Analisi “Dopo quel bacio io son fatto divino”
L’amore come forza positiva Come ha sottolineato Binni, nella prima parte delll'Ortis l'amore è un motivo che si contrappone al tema negativo della morte, frenando l'impulso suicida di Jacopo che scaturisce dalla delusione storica. Solo alla notizia del matrimonio di Teresa con Odoardo l'amore convergerà con il tema politico nel determinare la catastrofe. A conferma, si veda come questa lettera sia tutta animata dal senso di ottimistica vitalità che nasce dalla passione amorosa L'amore è teorizzato dall'eroe come forza positiva, da cui scaturiscono la bellezza e l'arte, il rispetto reciproco e la pietà fra gli uomini, le forze fecondatrici che si oppongono alla distruzione e alla morte.
Le “illusioni” e la filosofia. Da questo stato d'animo si origina, nella seconda parte della lettera, la riflessione sulle «illusioni», destinata ad assumere un ruolo fondamentale nell' opera foscoliana. Lo scenario è quello idillico, caro ad una lunga tradizione che risale ai poeti antichi. Per questo la fantasia di Jacopo evoca in quel paesaggio immagini mitologiche classiche, le Ninfe e le Naiadi. Il mondo classico è concepito come un paradiso di serenità, gioia ed armonia, grazie alla facoltà, propria degli antichi, di crearsi delle illusioni. In questo l'antichità è per Foscolo un modello da seguire ancor oggi.
Le «illusioni» sono da lui contrapposte alla filosofia, vale a dire all'arido razionalismo proprio del pensiero moderno. Il «filosofo», nel linguaggio del tempo, è per eccellenza il philosophe illuminista, che con la sua critica rigorosa dissolve ogni costruzione infondata della mente. Tale razionalismo ha per Foscolo due conseguenze fortemente negative: dando un'immagine esatta della realtà, ci fa percepire in tutta la sua crudezza il dolore che domina la vita umana; ma, quel che più importa, spegnendo le illusioni genera un atteggiamento di rassegnazione, di noia e di inerzia di fronte alla realtà. Poiché Foscolo ha una concezione della vita energica ed attiva, ciò che soprattutto gli fa orrore è la passività, l'inattività. Solo le illusioni secondo lui possono strappare all'inerzia e spingere all'azione. Le illusioni non sono dunque evasione dalla realtà, ma l'unico modo per avere un rapporto attivo con essa. Vediamo di nuovo esprimersi un senso di insoddisfazione di Foscolo per la cultura settecentesca in cui si è formato, ed un'ansia di soluzioni nuove.
l germi di un superamento della crisi. Questa esaltazione delle illusioni prosegue quel percorso che, come si è visto nei due passi precedenti, Foscolo intraprende per aggirare l'ostacolo paralizzante della delusione storica e del suo sbocco nichilistico.
All'illusione della tomba lacrimata, garanzia di sopravvivenza dopo la morte, si affiancano le illusioni dell'amore, della bellezza, dell'arte, che si compendiano nella civiltà classica e nei suoi miti. Sono tutti temi che avranno ampi sviluppi nelle altre opere. Si conferma come l'Ortis non sia solo il documento di una crisi, ma contenga già in sé i germi del suo superamento.

2) Le  Odi e i Sonetti
Foscolo cominciò a scrivere sin da ragazzo odi, sonetti, canzoni e altre composizioni di vario metro: sono esercizi letterari, testimonianze di un apprendistato poetico che rivelano l'influsso delle tendenze di gusto e delle tematiche correnti del tempo, dalla galanteria arcadica alla severità neoclassica, dall'ossianismo alla poesia sepolcrale, all'impegno politico e civile. Il poeta fece una scelta rigorosa di tutta questa produzione, pubblicando nel 1803 le Poesie, che comprendevano solo due odi e dodici sonetti.

Le Odi Le due odi, A Luigia Pallavicini caduta da cavallo e All'amica risanata, risalgono al periodo della scrittura dell'Ortis, ma rappresentano tendenze opposte: se l'Ortis, con la sua passionalità ed il suo soggettivismo esasperati, con la figura dell'eroe sventurato ed esule, con il ricorrere ossessivo del tema della morte e le tonalità cupe che questa evoca, rimanda a tematiche di tipo preromantico, le Odi rappresentano le tendenze più squisitamente neoclassiche della poesia foscoliana. Al centro di entrambe vi è il vagheggiamento della bellezza femminile, trasfigurata attraverso la sovrapposizione delle immagini di divinità greche; vi sono rappresentazioni intensamente visive e plastiche, dalle linee ferme ed armoniose, in cui il poeta sembra voler riprodurre i canoni della contemporanea pittura o scultura neoclassica; ricorrono continui richiami mitologici, evocati con raffinata erudizione; il lessico è quanto mai aulico e sublime e la struttura sintattica riproduce le architetture del periodare classico.

Ma mentre l'ode A Luigia Pallavicini conserva maggiormente un carattere di omaggio galante e settecentesco alla bella donna, All'amica risanata ha più alte ambizioni e vuole porsi come un discorso filosofico sulla bellezza ideale, sul suo effetto di purificare le passioni, rasserenare l'animo inquieto degli uomini, ed anche sulla funzione eternatrice della poesia che canta la bellezza. Il neoclassicismo di Foscolo si rivela dunque ben diverso da quello arcadico e montiano, esteriore e puramente esornativo: il culto foscoliano della bellezza esprime un'esigenza autentica e profonda, che nasce da un rapporto problematico con un momento storico tormentato e violento e dal bisogno di contrapporre ad esso valori superiori, sottratti al divenire, di cui la letteratura si deve fare portatrice .

I Sonetti I sonetti sono più vicini alla materia autobiografica e alla passionalità dell'Ortis. La maggior parte è infatti caratterizzata da un forte impulso soggettivo, che rivela la matrice della lirica alfieriana; fitte però sono le reminiscenze di altri poeti, soprattutto di Petrarca e dei poeti latini. Tra questi sonetti spiccano tre autentici vertici poetici, Alla sera, A Zacinto, In morte del fratello Giovanni. In essi la classica forma del sonetto è reinventata in modi fortemente originali, nella struttura sintattica e metrica, nella tessitura delle immagini, nel gioco timbrico, ritmico e melodico del verso. Ma vi sono anche ripresi, in un discorso di estrema densità lirica, i temi centrali delll'Ortis: la proiezione del poeta in una figura eroica sventurata e tormentata, il conflitto con il «reo tempo» presente, il «nulla eterno» come unica alternativa, l'esilio come condizione politica ed esistenziale insieme, l'impossibilità di trovare un terreno stabile su cui poggiare, che si traduce nell'impossibilità di trovare un rifugio consolante nella famiglia; l'illusione della sepoltura lacrimata, il rapporto con la terra «materna» e con il mito antico, il valore eternatore della poesia. Ricompare dunque sia il motivo nichilistico dell'Ortis, sia quella ricerca di valori positivi, al fine di un superamento dell'approdo nichilistico, che era già in atto entro il romanzo; si conferma e chiarisce, cioè, quella linea di meditazione poetica che troverà il suo culmine, pochi anni dopo, nei Sepolcri.

Analisi “All'amica risanata “
Tra Arcadia e Neoclassicismo. L'ode si colloca nel solco della lirica arcadica: ad essa rimandano sia il carattere di poesia d'occasione, fondata sull' omaggio galante alla bella donna, sia le strofe di versi brevi ed agili. Tuttavia, al di là di questi legami, Foscolo non sceglie la via della facile cantabilità e della limpidezza arcadica, ma piuttosto quella di un Neoclassicismo sostenuto ed aulico. La poesia sembra voler rivaleggiare con la scultura e la pittura, delineando immagini intensamente visive e plastiche, caratterizzate da un'armonia composta di linee e di volumi. Neoclassico è anche lo sforzo costante di nobilitare ogni aspetto della realtà quotidiana attraverso un lessico estremamente elevato l’«egro taalamo», «inclito studio», «novelli numeri» ecc.) ed un largo impiego di figure retoriche, oppure attraverso il travestimento grecizzante (I monili sono opera di «scalpelli achei», le scarpette da ballo sono «candidi coturni», la stanza da letto «arcani lari»).
Il discorso filosofico. In realtà l'ode aspira ad essere ben più che un componimento galante d'occasione: Foscolo, attraverso l'uso di quelle forme, vuole condurre un ambizioso discorso filosofico sul significato e sul valore della bellezza. Un indizio in questo senso si ha già ai versi 9-12, in cui si insiste sull'efficacia rasserenatrice della bellezza sugli animi degli uomini portati a «vaneggiare»: con questo siamo subito avvertiti che la bellezza fisica non è che una manifestazione della Bellezza ideale. Essa evoca un mondo di superiore armonia contro il caos di passioni e di conflitti che caratterizza la realtà umana, e per questo possiede un'efficacia purificatrice.
La riflessione si sviluppa poi pienamente nella seconda parte, dove si insiste sulla funzione eternatrice della bellezza. Foscolo fonda il suo discorso su una lettura razionalistica del mito greco: Artemide, Bellona, Venere non erano che donne mortali, ma la fama le ha consacrate come dee immortali.
L’ eternità della bellezza è quindi, da questo punto di vista, un'illusione; ma Foscolo pone l'accento proprio sull'illusione contro la conoscenza razionale: ciò che conta, per lui, è che la bellezza abbia consacrato nella memoria quelle donne famose, vincendo i limiti mortali.
Ciò che consente alla bellezza l'eternità nella fama è il canto dei poeti; così, nelle ultime due strofe, il discorso sulla funzione della bellezza si prolunga nel discorso sulla funzione della poesia. Altrove Foscolo attribuirà al poeta un compito civile e politico, quello di conservare le grandi memorie del passato e di stimolare le virtù patriottiche. Qui la dimensione civile è lasciata in secondo piano: il compito del poeta è assicurare l'eternità alla bellezza; solo attraverso il suo canto la bellezza può esercitare la sua facoltà di rendere eterne le cose contingenti.
La grecità non è un paradiso perduto. Foscolo propone se stesso come esempio di tale compito del poeta: egli è colui che può far rivivere nella presente cultura italiana spirito dell'antica poesia greca, perché è greco di nascita ed è ispirato dall' «aer sacro» della sua terra. Foscolo quindi ritiene che la grecità non sia un paradiso di bellezza ed armonia definitivamente perduto: esso può ancora esser fatto rivivere in forme attuali. Co suoi «inni» egli potrà trasfigurare la bella donna in una dea, come i poeti greci hanno trasfigurato in dee Artemide, Bellona e Venere.
Come si vede, quella che potrebbe apparire un'iperbole galante, rispondente alle convenzioni della poesia d'occasione, si rivela invece il veicolo di una riflessione di ben più vasta portata. Foscolo sente fortemente il motivo della precarietà delle cose umane, del tempo che le trasforma incessantemente, della distruzione che sempre incombe su di esse. È un motivo che scaturisce dalla sua cultura materialistica settecentesca, che concepisce la la realtà come un ciclo di distruzione e trasformazione perenne della materia. Ma, come si constatato nell'Ortis, Foscolo è insoddisfatto di questo orizzonte culturale e sente il bisogno di individuare valori assoluti che diano saldi fondamenti all' esistenza. A questa esigenza risponde appunto il mito della bellezza: essa ha la funzione di vincere il tempo e le forze distruttrici che operano nel mondo umano, il compito di assicurare eternità alle cose.

 

3)Carme “Dei Sepocri”
La genesi del carme I Sepolcri sono un poemetto (il termine con cui Foscolo lo definisce è «carme») in endecasillabi sciolti, sotto forma di epistola poetica indirizzata all'amico Ippolito Pindemonte. L’occasione fu appunto una discussione avvenuta con questi a Venezia nell'aprile del 1806, originata dall'editto napoleonico di Saint-Cloud (1804), con cui si imponevano le sepolture fuori dei confini delle città e si regolamentavano le iscrizioni sulle lapidi. L'editto aveva già suscitato in Francia  un'ampia discussione sul significato delle tombe ed il loro valore nella civiltà. Pindemonte da un punto di vista cristiano, sosteneva il valore della sepoltura individuale, mentre Foscolo da un punto di vista materialistico, aveva negato l'importanza delle tombe, poiché la morte produce la totale dissoluzione dell'essere. Nel carme, steso nel settembre dello stesso anno, rielaborato nei mesi successivi e pubblicato nell'aprile del 1807, Foscolo riprese appunto quella discussione, ribadendo inizialmente le tesi materialistiche sulla morte, ma superandole poi con altre considerazioni che rivalutavano il significato delle tombe. Questa occasione però, fu solo lo stimolo esterno per concludere una meditazione che era stata centrale nell’esperienza dello scrittore, nell'Ortis come nei maggiori sonetti.
Il superamento del nichilismo Nei Sepolcri, infatti, si può scorgere il punto terminale della ricerca di un superamento del nichilismo a cui avevano portato la delusione storica e il crollo delle speranze rivoluzionarie di fronte alla realtà dell'Italia napoleonica. Anche il carme ha al centro il motivo della morte, ma è superata l'idea, derivante dal materialismo settecentesco, che essa sia semplicemente un «nulla eterno». Anche se Foscolo, sul piano filosofico, non vede alternative a quell’idea, le contrappone l'illusione di una sopravvivenza dopo la morte. Questa sopravvivenza è garantita dalla tomba, che conserva il ricordo del defunto presso i vivi. La tomba assume quindi per Foscolo un valore fondamentale nella civiltà umana: è il centro degli affetti familiari e la garanzia  della loro durata dopo la morte, è il centro dei valori civili, conservando le tradizioni di un popolo e stimolandolo a mantenersi fedele ad esse, tramanda la memoria dei grandi uomini e delle azioni eroiche spingendo alla loro imitazione.
La possibilità dell’azione politica S'inserisce così, nel discorso filosofico sulla morte e la sopravvivenza, il motivo politico. L’Ortis si chiudeva col suicidio del protagonista, che escludeva ogni possibilità d'intervento in una situazione bloccata, senza vie d'uscita sul piano della storia. Ora invece, attraverso l'illusione, Foscolo arriva a riproporre quella possibilità dell'azione politica nella storia che l'analisi razionale del contesto portava ad escludere, ed introduce la prospettiva di un riscatto dell'Italia dalla miseria presente proprio grazie alla funzione esercitata dalle memorie di un passato di grandezza, tenute vive dal culto delle tombe. L'esaltazione foscoliana della tradizione e dei grandi del passato non è dunque un trito motivo retorico, come in tanta letteratura classicheggiante dell’epoca, ma il tentativo di dare una risposta a problemi vivi nella coscienza collettiva in un momento cruciale e travagliato della società e della cultura italiane.

Le caratteristiche del discorso poetico
I Sepolcri e la poesia cimiteriale Data la presenza di queste tematiche, i Sepolcri, pur avendo alle spalle il genere della poesia cimiteriale, che aveva goduto di vasta fortuna sul finire del Settecento, non possono essere ridotti entro tale ambito: come Foscolo stesso si preoccupa di precisare, in risposta ad un criitico francese, Guillon, il suo carme, a differenza della poesia sepolcrale inglese di Young e Gray, è essenzialmente poesia civile e vuole «animare l'emulazione politica degli Italiani». Il carme si presenta dunque come una densa meditazione filosofica e politica: essa però non è esposta in forma argomentativa, bensì attraverso una serie di figurazioni e di miti. Foscolo stesso ci avverte, nelle note al carme, di voler offrire i suoi contenuti «non al sillogismo  [ragionamento logico] de' lettori, ma alla fantasia e al cuore».
I concetti e le immagini Perciò i concetti prendono costantemente corpo in figurazioni di ampio respiro. Inizialmente, l'illusione che sofferma il defunto al di qua della soglia della morte suggerisce l'immagine del corpo accolto nel «grembo materno» della terra che «lo raccolse infante e lo nutriva»; la tesi che le tombe sono indizio di civiltà si traduce nella rievocazione di diversi tipi di civiltà nel corso della storia: il mondo classico e il Medio Evo, l'Inghilterra e il «bello italo regno» di oggi; l'idea secondo cui le tombe dei grandi spingono il «forte animo» a grandi imprese è l'avvio all'inno a Firenze e alle tombe di Santa Croce; l'affermazione che la poesia raccoglie l'eredità delle tombe nel conservare la memoria sino ai tempi più lontani richiama il mito della fondazione di Troia, della sua fine, del poeta Omero che si ispira alle tombe dei padri della città per cantare gli eroi greci vincitori e l'eroe sconfitto, Ettore.
La struttura del carme Il discorso del carme ha una struttura rigorosa ed armonica; ma proprio perché il poeta non vuole parlare al «sillogismo» del lettore, i trapassi da un concetto all'altro, da una figurazione all'altra, avvengono in forma fortemente ellittica, lasciando nell'implicito molti passaggi intermedi. Ciò dà al carme un grande afflato lirico, ma ne rende ardua la lettura (il contemporaneo letterato classicista Pietro Giordani lo definì «fumoso enigma»), tanto che il poeta stesso ne ha tracciato una sintesi schematica nella lettera citata a Guillon. Il poemetto è anche costruito su una sapiente orchestrazione di toni diversi, che vanno dall'inizio problematico, segnato da continue interrogazioni, alla polemica veemente, alla pacata argomentazione, alla celebraazione appassionata dell'inno, alla grandiosità epica e tragica della rievocazione del mondo mitico di Troia e della poesia di Omero.
La prospettiva spazio-temporale  Estremamente mossa è parimenti la prospettiva spazio-temporale, che contribuisce a dare al breve carme una suggestione di estrema vastità: si passa dallo spazio ristretto ed appartato della tomba (<<All' ombra dei cipressi») alla prospettiva immensa della terra e del mare in cui la morte semina le «infinite ossa» degli uomini, si succedono spazi aperti e spazi chiusi, il desolato cimitero comune di Parini, le chiese ammorbate dal fetore dei cadaveri, i cimiteri simili a giardini della civiltà classica e dell'Inghilterra, le convalli di Firenze vestite della luce della luna, l'interno di Santa Croce, la piana di Maratona e il mare, «regno ampio dei venti», la «Troade inseminata» e gli «antri secreti» delle tombe di Troia; si passa dal mondo terrestre all'aldilà, dall' età contemporanea al Medio Evo, al mondo classico, alle età primitive che appena si affacciano alla civiltà (Getto) .
Il linguaggio Il linguaggio è estremamente elevato ed aulico; il lessico rimanda alla tradizione della poesia classicheggiante ed in particolare al modello di Parini e di Alfieri, però la parola è sempre densa di echi e di suggestioni, piegata a significazioni personalissime; la sintassi può variare dalla sentenza concisa e lapidaria al periodare ampio e complesso, ricco di subordinate e di inversioni. L'endecasillabo sciolto, metro classico per eccellenza, è trattato con estrema duttilità, piegato a tutti i toni, attraverso il ritmo degli accenti, le pause interne, gli enjambements, il timbro delle vocali e delle consonanti.

 

Dei sepolcri (analisi del testo)
La prima parte (vv. 1-90): il valore affettivo delle tombe.
La lettera al Guillon Foscolo nella risposta alle critiche rivoltegli dall'abate francese Aimé Guillon sul "Giornale italia di Milano il 22 giugno 1807, ricostruisce lo schema del suo discorso, dividendo il carme in  quattro parti. La prima, versi 1-90, dimostra come «i monumenti inutili a' morti giovano a' vi perché destano affetti virtuosi lasciati in eredità dalle persone dabbene: solo i malvagi che non si sentono meritevoli di memoria, non la curano; a torto dunque la legge accomuna le sepolture de' tristi e dei buoni, degl'illustri e degl'infami».
Le tesi materialistiche  Dal verso 1 al verso 22 il poeta ribadisce le tesi materialistiche dalle quali dovrebbe discendere l'inutilità delle tombe e l'indifferenza per il modo di seppellire i defunti. La morte non è che un momento di ciclo naturale di perpetua trasformazione, in cui la materia di un essere, disgregandosi, a formare altri esseri; essa quindi è distruzione totale dell'individuo e non lascia possibilità di sopravvivenza. Per questo il morto, che non sente più nulla, non può trarre alcun conforto dalla tomba. La continua trasformazione della materia impedisce anche la sopravvivenza nel ricordo, perché il corso del tempo cancella ogni traccia dell' esistenza.
L’insoddisfazione del poeta Queste posizioni, che escludono ogni idea religiosa di una vita dopo la morte, sono ribadite da Foscolo con assoluta convinzione: sono le idee in cui si è formato, e costituiscono base di tutta la sua visione della realtà. Però esse non lo soddisfano più interamente. Le sostiene non con lo slancio fiducioso e polemico che aveva nutrito il pensiero settecentesco, ma con l'atteggiamento disilluso di chi deve rassegnarsi dinanzi ad una verità amara quanto ineluttabile ( «Vero è ben, Pindemonte!»). Pur non essendo in grado di proporre alternative, egli sente che quelle idee hanno esaurito la funzione che avevano avuto nell'età illuministica: una funzione propulsiva, critica, liberatoria nei confronti di tutta una cultura autoritaria, fondata sul dogma e sulla metafisica. Esse sono state il lievito della rivoluzione, ma hanno anche portato ad un vicolo cieco, la tirannide napoleonica. Per lottare nella situazione presente, secondo Foscolo, quelle idee non bastano più: esse ormai possono solo generare sfiducia, scetticismo, inerzia, passività.
Il superamento del materialismo nelle illusioni L’uscita da quel vicolo cieco, nell'Ortis, nelle odi, nei sonetti, era trovata non sul piano della razionalità, ma sul piano delle illusioni, come si è constatato. Da questa soluzione prendono le mosse anche i Sepolcri. Se il materialismo settecentesco non viene superato da Foscolo sul piano teoretico, con la proposizione di nuovi principi filosofici, viene superato sul piano pratico, con le illusioni. La sopravvivenza dopo la morte, indispensabile come stimolo alla partecipazione attiva ed energica alla storia, se è impossibile secondo la ragione, diviene possibile grazie all'illusione. Questa affermazione dell'illusione contro i risultati della filosofia settecentesca segna una svolta culturale di grande importanza e apre la strada alla visione del mondo romantica.
La funzione alternativa delle tombe L’illusione della sopravvivenza è affidata alle tombe: l'uomo può illudersi di continuare a v vere anche dopo la morte, poiché la tomba mantiene vivo il ricordo ed istituisce un rapporto affettivo con i familiari e gli amici. La possibilità di un rapporto affettivo tra morti e vivi strappa l'uomo alla sua condizione effimera e gli conferisce quasi l'immortalità che è propria degli dei. La prima parte del canne si incentra dunque sull'utilità delle tombe sul piano privato ed affettivo: ma ne scaturiscono già conseguenze filosofiche fondamentali.  I versi 51-90, che concludono questa prima parte del carme, costituiscono un esempio in negativo della tesi prima dimostrata: l'errore, anzi la colpa di non attribuire il giusto valore al sepolcro, privando così l'estinto del ricordo.
Parini poeta civile L'esempio s'incentra sulla figura del poeta Parini, nei cui confronti la città natale è stata ingrata, non concedendogli una degna sepoltura. In questa parte polemica il discorso si estende già dal valore privato ed affettivo delle tombe ad un ambito più vasto: Parini non è un semplice individuo privato, ma un poeta di alta dignità civile, che coi suoi versi ha colpito gli aspetti negativi della società del suo tempo. Il ricordo che la tomba dovrebbe serbare non è solo limitato alla sfera privata, ma contiene un messaggio civile per la società. Questi versi fungono quindi da passaggio alla seconda parte del carme, dedicata alla funzione civile delle tombe. Il passaggio è chiaramente indicato dai versi conclusivi, 89-90: all'«amoroso pianto», che richiama la «corrispondenza d'amorosi sensi», si affianca l'onore delle «umane lodi».

La seconda parte (vv. 91-150): la funzione civile delle tombe.
Le tombe segno di civiltà La pietà per i defunti sono uno dei fondamentali segni distintivi della civiltà, insieme con l’istituto della famiglia, della giustizia, della religione. Il sorgere di questi istituti ha segnato il passaggio dell'uomo dalla ferocia belluina dell'età primitiva al rispetto reciproco delle età civili. Intorno alle tombe si raccolgono inoltre i valori fondamentali di un popolo: esse sono dunque un metro per misurare il grado di civiltà di una data società.
Il Medio Evo Foscolo propone quattro esempi di tale funzione civile delle tombe. Il primo esempio, negativo, è il Medio Evo. Con spirito ancora illuministico, Foscolo condanna il Medio Evo come età di barbarie, che è denunciata dalla mancanza di igiene (il lezzo dei cadaveri che contamina i fedeli nelle chiese), dalla superstizione (il terrore dei fantasmi), ma soprattutto da una visione della vita tetra e macabra, ossessionata dal terrore della morte, vista come qualcosa di ripugnante e spaventoso (le città «meste d'effigiati scheletri»). Questa barbarie si perpetua per il poeta nell'uso cattolico di seppellire i morti nelle chiese, che viene associato pertanto nella condanna.
La civiltà classica In contrapposizione, un esempio positivo è costituito dalla civiltà classica. Essa aveva una visione serena della morte, testimoniata dallo scenario gioioso e luminoso, spirante vitalità e bellezza, che circondava le sepolture (le piante sempreverdi che proteggevano le tombe, le acque limpide che sgorgavano dalle fontane, i fiori che con i loro profumi evocavano l'atmosfera beata dei Campi Elisi). Questa visione serena della morte è prova, per il poeta, di una visione parimenti serena ed armonica della vita, cioè di un altissimo livello di civiltà. Si esprime in questi versi il culto foscoliano dell'età classica, vista come paradiso di armonia, bellezza, serenità, forza, gioia vitale.
L’Inghilterra  Il profumo dei fiori che circondano le tombe antiche richiama a Foscolo, con rapido trapasso analogico, un esempio nel mondo attuale: i giardini dei cimiteri suburbani inglesi. È questo un secondo esempio positivo del valore delle tombe. Nell'Inghilterra moderna le sepolture non sono solo indizi di pietà verso i propri cari, in una dimensione privata ed affettiva, ma anche della presenza di valori civili profondamente radicati, che uniscono lo spirito del popolo intorno alle glorie e agli eroi nazionali: le fanciulle britanniche non si limitano a pregare sulla tomba dell'amata madre, ma invocano anche la vittoria su Napoleone dell'ammiraglio Nelson. Inghilterra viene così assunta ad esempio di società permeata di virtù civili e di amor di patria, in cui è vivo in tutti il senso eroico ed il culto delle glorie nazionali.
Il “bello italo regno” A contrasto, viene evocata la mancanza di spirito eroico e di valori civili nell'Italia napoleonica. In paesi come l'Italia, in cui la vita civile è dominata dalla smania di arricchirsi e dal timore servile verso il potere, in cui i ceti dirigenti sono indegni della loro posizione (<<il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo»), le tombe non possono avere alcuna funzione e si riducono ad inutile sfoggio di lusso o a lugubri immagini di morte. È un giudizio sull'Italia napoleonica che riprende il quadro già fornito nell'Ortìs.
L’immagine eroica del poeta A questa viltà dominante si contrappone la figura eroica del poeta stesso che, perseguitato dalla sorte avversa, auspica nella morte un approdo di pace. Anche questa immagine eroica richiama quella da Foscolo proposta nell'Ortìs e nei sonetti: l'eroe generoso, sconfitto inevitabilmente nello scontro con un «reo tempo». Ma la morte non è solo rifugio di pace, in negativo: la tomba del poeta assume una funzione civile, proponendo un esempio di generosità, di sentimenti appassionati e soprattutto di un'attività intellettuale libera, non servile. La figura di Foscolo si colloca così idealmente a fianco di quella di Parini, evocata nella sezione precedente. Per la seconda volta alla funzione della tomba, come preservatrice del ricordo, si affianca quella della poesia. È già annunciato qui un motivo che sarà poi al centro dell'ultima parte del carme: la funzione ed il significato della poesia.

La terza parte (vv.151-212): il valore storico delle tombe.
La dimensione storica Nella terza parte dei Sepolcri la considerazione del valore civile delle tombe si allarga alla dimensione storica: la tomba cioè viene vista non solo più come centro dei valori di un dato momento della civiltà, ma come messaggio che travalica la successione del tempo. Per questo il poeta passa dalle tombe in genere alle tombe degli uomini grandi, il cui ricordo dura nei secoli. Inoltre emerge in primo piano la dimensione più propriamente politica del discorso, legata al problema nazionale italiano.
Le tombe dei grandi Domina in questa parte il motivo delle tombe di Santa Croce. Già Jacopo Ortis (lettera del 27 agosto 1798) si era fermato a venerare quel tempio delle «itale glorie», ma le riflessioni che esse gli suscitavano erano negative: la «povertà» e le «carceri» patite da quei «divini intelletti», le «persecuzioni a' vivi e gli onori a' morti», il fallimento delle proprie illusioni di gloria. Qui il tema dei grandi di Santa Croce è riproposto invece in positivo (e già questo deve far riflettere sulla distanza che separa il carme dal romanzo, pubblicato solo cinque anni prima): le tombe dei grandi uomini stimolano gli animi generosi a compiere grandi azioni e rendono sacra la terra che le accoglie.
Dalle memorie il riscatto Queste glorie del passato sono le uniche rimaste all'Italia, nella decadenza e nell'asservimento presenti. Ma proprio dalle memorie può venire lo stimolo al riscatto. TI giorno in cui si presenterà di nuovo una speranza di gloria alle anime grandi, dalle tombe dei grandi del passato si trarranno le energie per l'azione.
È questo un passo chiave del carme e dell'intero svolgimento dell'esperienza foscoliana. Per coglierne la portata è opportuno metterlo a confronto con il colloquio tra Ortis e Parini (lettera del 4 dicembre): nel romanzo, lo slancio eroico del giovane si infrangeva contro la lucida argomentazione del vecchio, che dimostrava come non ci fosse possibilità d'azione per un riscatto dell'Italia dalla sua miseria civile e politica; e alla situazione senza via d'uscita si offriva come unica soluzione l'annullamento dell'eroe nella morte.
Il superamento del nichilismo e la possibilità di partecipazione attiva alla storia Qui l'azione sul terreno politico non è più esclusa, ma è data come possibile, sia pure in un ipotetico futuro. Foscolo, grazie all'elaborazione della teoria delle illusioni, ha superato il vicolo cieco della delusione rivoluzionaria giovanile ed ha ristabilito le basi per una partecipazione attiva alla storia. La letteratura perciò non è più solo la lucida analisi di una situazione di sconfitta, ma assume una funzione positiva, di ammaestramento etico, di stimolo civile e politico. Questa funzione della sua poesia è affermata da Foscolo con grande chiarezza e vigore nella lettera a Guillon: «L'autore considera i sepolcri politicamente; ed ha per iscopo di animare l'emulazione politica degli Italiani con gli esempi delle nazioni che onorano la memoria e i sepolcri degli uomini grandi».
I Sepolcri e la poesia cimiteriale Con questa affermazione, Foscolo segna anche nettamente la distanza che separa la sua poesia da quella dei poeti "cimiteriali" inglesi, a cui da una considerazione superficiale potrebbe essere assimilata: «Young ed Hervey meditarono sui sepolcri da cristiani: i loro libri hanno per iscopo la rassegnazione alla morte e il conforto d'un'altra vita [ ... ]. Gray scrisse da filosofo: la sua elegia ha per iscopo di persuadere l'oscurità della vita e la tranquillità della morte». La funzione politica assegnata alla poesia da Foscolo presuppone anche una visione diametralmente opposta della realtà umana: Gray  canta le tombe di gente semplice e ignota, affermando il valore insito anche nelle esistenze più oscure; Foscolo canta le tombe dei grandi uomini, che devono stimolare all'agire eroico. Il poeta inglese propone una rivalutazione di ciò che è umile e quotidiano, ispirata ad una concezione della vita cristiana e borghese, che si contrappone polemicamente alla concezione classica, aristocratica ed eroica; il poeta italiano ribadisce invece proprio quella tradizione, riproponendo una concezione eroica in chiave moderna.
Alfieri, poeta politico e profetico In questa terza parte del carme si offre un'altra figura esemplare di poeta, dopo quella di Parini: Alfieri. Ed è una figura complementare a quella del poeta del Giorno, ad indicare un altro aspetto della funzione della poesia. Parini era poeta civile: colui che criticava i costumi della sua società, colpendone gli aspetti più aberranti con proposito di correggerli; Alfieri è poeta politico e profetico. Se il messaggio lanciato dalla poesia di Parini è l'auspicio di un consorzio civile ben ordinato, attivo ed operoso, ispirato a saldi valori etici, quello lanciato dalla poesia di Alfieri è la profezia di un futuro riscatto politico della nazione: quella di Alfieri è dunque l'immagine esemplare del poeta che esige questa parte del carme, che è appunto politica e profetica.

La quarta parte (vv. 213-295): la funzione della poesia.
La quarta parte del carme propone un tema nuovo: alla funzione delle tombe, nel serbare la memoria e nel perpetuare i valori della civiltà, si affianca quella della poesia. L'accostamento della poesia alle tombe era già comparso implicitamente nell' evocazione di Parini, nell' esempio del «liberal carme» di Foscolo stesso, di Alfieri.
La poesia e il tempo distruttore Qui il discorso si fa esplicito. Se le tombe hanno il compito di vincere l'opera distruttrice della natura e del tempo, che tutto trasforma e cancella, anch'esse, in quanto oggetti materiali, sono sottoposte a quest'opera di distruzione. La loro funzione è quindi limitata nel tempo. Ma quando esse saranno scomparse, tale funzione sarà raccolta dalla poesia: la parola poetica non è sottoposta alle leggi materiali, quindi la sua armonia può sfidare i secoli, vincere il silenzio a cui sono destinate le opere umane, conservando in eterno il ricordo.
La crisi del ruolo tradizionale del poeta La funzione della poesia è un motivo intorno a cui continuamente si esercita la riflessione di Foscolo. In effetti egli vive in un'epoca in cui è entrato in crisi, in seguito ai grandi rivolgimenti che l'Italia ha subito nell'età rivoluzionaria e napoleonica, il ruolo tradizionale del poeta fissato nella civiltà del Rinascimento: il ruolo del poeta cortigiano che si rivolge ad un'élite aristocratica; né ancora, in questa età di trapasso, si è delineato in Italia il nuovo committente, la borghesia, e il nuovo ruolo intellettuale, quello di esprimerne i valori (oppure di rifiutarli: vedremo l'atteggiamento di rivolta di molta letteratura ottocentesca). Foscolo non scrive più per il vecchio pubblico, ma non ha ancora ben delineato dinanzi a sé il nuovo, borghese e nazionale. Per questo assegna alla poesia una funzione profetica,  ed insiste sulla sua azione nel lungo corso dei secoli futuri: non potendo rivolgersi ad un pubblico presente e ben definito, il poeta parla alle generazioni a venire, per stimolare la coscienza nazionale e spingere all'azione generosa. A tal fine deve anche collegarsi al passato, alla grande tradizione in cui solo vi sono le radici della dignità nazionale, e cercare di mantenerne viva la memoria. La meditazione sulle tombe e sulla poesia nei Sepolcri non è quindi la ripetizione di luoghi comuni retorici, ma è lo strumento per mettere a fuoco problemi vivi in un'età tra vagliata e difficile.
Le civiltà che scompaiono I versi 235-295, che concludono il carme, sono una vasta esemplificazione del motivo della poesia che raccoglie l'eredità delle tombe nel perpetuare la memoria. Vi si delinea l'immagine delle grandi civiltà che cadono in rovina e scompaiono per l'azione del tempo che tutto trasforma. L'esempio è ancora tratto dalla storia di Troia, come nei versi 213-225, in cui si rievocano gli «antichi fatti» di Aiace, delle armi di Achille, di Ulisse. Cassandra, conducendo i giovinetti a venerare i sepolcri degli antenati, profetizza la prossima rovina della città; ma un poeta, Omero, si ispirerà alle tombe dei padri di Troia, tramandando il ricordo di quella civiltà scomparsa.
La poesia e il ricordo degli sconfitti La funzione della poesia così si specifica ulteriormente. Omero canta non solo gli eroi greci vincitori, ma anche i Troiani sconfitti, e perpetua il ricordo di chi è morto per la patria: la poesia non ha solo il compito di conservare la memoria delle azioni gloriose, ma deve serbare anche il ricordo degli sconfitti, delle sofferenze, delle sventure, del sangue versato; non deve solo stimolare all'azione eroica attraverso l'emulazione, ma anche destare sentimenti più miti, la compassione e la solidarietà per le sventure e le sofferenze. Anche questa è una funzione civile per Foscolo, perché questi valori sono essenziali per la costruzione della civiltà, in opposizione agli istinti feroci e belluini che sono propri della natura umana. È un tema molto caro a Foscolo e su di esso si chiude il carme.
Omero Anche in questa quarta parte spicca la figura di un poeta, come era avvenuto nella prima con Parini, nella seconda con Foscolo stesso, nella terza con Alfieri; e, come in precedenza, si tratta di una figura emblematica, che si armonizza con il tema trattato: se Parini e Foscolo costituivano esempi di poesia civile, Alfieri di poesia profetica e politica, Omero è il poeta nei cui versi si raccoglie e si tramanda tutta la tradizione di un popolo, che può sopravvivere così nel tempo.

La costruzione stilistica del carme.
La prima parte Si può osservare come nella prima parte la sintassi assecondi il movimento logico e passionale. La serie di coordinate su cui poggiano le interrogative ai versi 3-15 crea un ritmo incalzante, come a sottolineare l'urgente verità a cui il poeta non può sfuggire nel suo elenco di tutti gli aspetti della vita negati dalla morte, bellezza, poesia, amore. Nella parte affermativa, versi 16-22, seguono invece frasi brevi e spezzate, che rendono il senso di desolazione amara dinanzi a una realtà ineluttabile. Viceversa l'interrogazione dei versi 26-29 è sintatticamente scorrevole e i versi ripropongono di nuovo un ritmo incalzante di coordinate, ma questa volta in funzione contraria, tesa ad accumulare motivi di consolazione, la ricerca dell'alternativa nell'illusione.  
La seconda parte La seconda parte del carme è tutta argomentativa, tenuta su un tono solennemente uniforme. Da sottolineare è la ricerca di effetti fonici. Nel passo dedicato al Medio Evo, per rendere un clima cupo di terrore, ricorrono le vocali dal suono cupo, /o/,/u/, o la vibrante /r/. Viceversa nel passo sul mondo classico, a rendere un clima di serenità luminosa, spicca il suono aperto della vocale /a/.
La terza parte Nella terza parte si avvia un vasto movimento lirico, oratorio ed epico, ricco di variazioni tonali: si passa dalla solennità della proposizione iniziale del tema all'ampio periodo dedicato a Santa Croce, che converge nell'apostrofe a Firenze; seguono i versi descrittivi bellezze di Firenze, estremamente scorrevoli e musicali, riprende poi il movimento un'ampia enumerazione dal ritmo incalzante, e il discorso si conclude con la sequenza dedicata ad Alfieri e alla battaglia di Maratona, che punta su versi fortemente ritmati, suoni aspri e stridenti, su vocali cupe.
La quarta parte Nella quarta parte, tutta collocata nell'antichità classica, subentra un taglio narrativo epico: è evidente la volontà di riprodurre il modello di Omero, mirando a un tono sublime

 

4.Le Grazie La genesi dell'opera e il suo disegno concettuale
Un progetto travagliato e incompiuto
Al progetto poetico delle Grazie Foscolo lavorò a più riprese, per un lungo arco di anni, senza mai portarlo a compimento. Sin dal 1803 aveva inserito in un dotto commento filologico alla traduzione latina, opera di Catullo, della Chioma di Berenice di Callimaco alcuni frammenti del suo poema, che fingeva di aver tradotto da un inno alle Grazie di un antico poeta greco. In una lettera a Monti del 1809 annunciava, insieme ad altri inni il progetto di un inno alle Grazie in cui dovevano essere idoleggiate «tutte le idee metafisiche sul bello». il progetto cominciò a prender forma durante il soggiorno nella villa di Bellosguardo, a Firenze, nel 1812-1813, un periodo particolarmente felice per Foscolo. il poeta ritornò ancora sull'opera negli anni successivi, lavorandovi fino alla morte, riscrivendo, limando passi già scritti, elaborando una complessa struttura concettuale. Alcuni brani comparvero in una Dissertazione di un antico inno alle Grazie, pubblicata a Londra nel 1822, ma l'opera rimase incompiuta e si offre solo come una serie di frammenti, con innumerevoli varianti, che rendono arduo il compito di apprestarne un'edizione .
La funzione purificatrice della bellezza e delle arti Foscolo stesso ci fornisce un disegno delle Grazie nella citata Dissertazione londinese. il progetto originario di un inno unico viene ad articolarsi in tre inni, dedicati rispettivamente a Venere, dea della «bella natura», a Vesta, «custode del fuoco eterno che anima i cuori gentili» e a Pallade, «dea delle arti consolatrici della vita e maestra degli ingegni». Le Grazie sono dee intermedie tra il cielo e la terra, che hanno avuto il compito di suscitare negli uomini i sentimenti più puri ed elevati attraverso il senso della bellezza, inducendoli a superare la feroce bestialità che è nella loro natura originaria e portandoli alla civiltà. Questa idea che la bellezza e le arti abbiano la funzione di purificare e ingentilire le passioni e di promuovere l'incivilimento è un tema caro alla cultura neoclassica (compare anche nella Musogonia di Monti, 1793, e nell'Urania del giovane Manzoni, 1809).
I contenuti  Il primo inno narra la nascita di Venere e delle Grazie dal mar Ionio. Gli uomini, che vivono ancora allo stato bestiale, subiscono l'incanto della bellezza e percepiscono per la prima volta l'armonia dell'universo, disponendosi a coltivare le ani civili. Nel secondo inno la scena è collocata sui colli di Bellosguardo, in cui il poeta immagina un rito in onore delle Grazie celebrato da tre donne gentili, Eleonora Nencini, Cornelia Martinetti, Maddalena Bignami, che rappresentano rispettivamente la musica, la poesia e la danza. Il terzo inno è collocato nella mitica isola di Atlantide, inaccessibile agli uomini, dove Pallade cerca rifugio quando le loro passioni ferine scatenano la guerra. Atlantide rappresenta un mondo ideale di suprema armonia, lontano dai conflitti della storia umana. Qui Pallade fa tessere ad una schiera di dee minori un velo che difenda le Grazie dalle passioni degli uomini, in modo che possano tornare tra di essi a compiere la loro opera civilizzatrice. Sul velo sono effigiati i sentimenti più miti ed elevati. I mutamenti di scena fra i tre inni rappresentano il passaggio delle Grazie dalla Grecia, dove nacque la prima forma di civiltà, all'Italia, che raccoglie l'eredità della cultura classica; il paesaggio metafisico del terzo inno rappresenta il «potere delle arti sulle umane passioni».
La ripresa tematica e stilistica delle odi   Nel poema, come si vede, Foscolo intende calare un complesso disegno concettuale, incentrato intorno all'idea della bellezza serena e dell'armonia. L'opera riprende quindi la linea già inaugurata nelle odi (<<l'aurea beltate ond'ebbero / ristoro unico a' mali / le nate a vaneggiar menti mortali»), sviluppandola e portandola alle estreme conseguenze. Anche dal punto di vista stilistico e figurativo le Grazie si collegano ai presupposti delle odi. Nel verso, come indica Foscolo proemio, vi è la ricerca dell'«arcana / armoniosa melodia pittrice» della bellezza: la ricerca cioè di un'estrema armoniosità musicale, ben diversa dalle intonazioni dei Sepolcri che variano dall’oratoria appassionata alla vibrante tensione dell'inno fino alla solennità dell'epica. Al tempo stesso, con la musicalità del verso, Foscolo vuole unire alla grande forza di suggestione visiva («melodia pittrice»): la poesia tende ad evocare immagini vivide, intensamente plastiche e colorite, dalle linee ferme ed armoniche, che sembrano rivaleggiare con le arti figurative (è significativo che l'opera sia dedicata allo scultore Antonio Canova, il massimo esponente dell'arte neoclassica in Italia, che stava in quegli anni lavorando al gruppo marmoreo delle Grazie).

In queste figurazioni devono prendere corpo i concetti: Foscolo mira cioè intenzionalmente ad una poesia allegorica. Come egli stesso afferma nella Dissertazione, le verità della poesia lascerebbero «freddo» il cuore e «dormiente» la fantasia, se non prendessero vita attraverso le figurazioni. Rivaluta perciò l'allegoria che, personificando in figure le idee astratte, fa sì che queste agiscano più facilmente e fortemente «sui sensi e sull'immaginazione». Non è un caso, tuttavia, che l'architettura concettuale del poema sia rimasta incompiuta: l'epoca, che vede una profonda crisi di valori e di parametri interpretativi della realtà, non consentiva più le grandiose costruzioni concettuali, unitarie ed armoniche, che erano state prodotte in altre epoche della storia, come ad esempio la Commedia di Dante.

La poesia civile delle Grazie
L’impegno civile Il  vagheggiamento della bellezza, la ricerca di immagini squisite e di versi melodiosi non devono però far pensare che le Grazie rappresentino, rispetto all'opera precedente di Foscolo, .un’involuzione puramente contemplativa ed evasiva, la fuga in un sogno di bellezza e di armonia remoto dalla realtà e dalla storia. Sia pur in forme diverse, Foscolo non abbandona il suo ideale di poesia civile. Costantemente affiorano nel poema rimandi alla realtà attuale, allo scatenarsi delle passioni feroci e degli istinti aggressivi dell'uomo, in concomitanza con le guerre imperialistiche di Napoleone (la campagna di Russia). L’idoleggiamento della bellezza assume senso solo in riferimento a quel terreno storico, come critica implicita a quel presente, come affermazione dell’ esigenza di un ordine più umano, libero da tendenze feroci e aggressive, dominato da sentimenti più miti, di pietà, di compassione, di pace (Masiello). E tutto ciò non resta su un piano di pura contemplazione, di affermazione semplicemente consolatoria: Foscolo è convinto della funzione civilizzatrice della poesia e delle arti, della loro possibilità di agire sul mondo sociale e di renderlo veramente più umano. Come si legge nella Dissertazione, nel suo poema vorrebbe riporre ,una sapienza sollecita del miglioramento e del perfezionamento della vita sociale».
Neoclassicismo e Romanticismo foscoliani Si può affrontare a questo punto il problema del rapporto che sussiste tra le tendenze romantiche e le tendenze neoclassiche che a prima vista sembrano contrapporsi così nettamente all'interno dell'opera foscoliana. In realtà le due tendenze non sono contraddittorie, ma scaturiscono da una stessa radice e si pongono in posizione complementare. Questa radice comune è il rapporto traumatico con il «reo tempo», la situazione storica convulsa e conflittuale dell'Italia napoleonica: le tendenze  romantiche sono l'espressione diretta della delusione storica, dei traumi, delle lacerazioni; dei conflitti tra il soggetto e la realtà esterna e all'interno del soggetto stesso; le tendenze neoclassiche sono il tentativo di opporre a tutto ciò un mondo alternativo di equilibrio, armonia e bellezza. Anche le tendenze neoclassiche scaturiscono dunque da quella matrice romantica, e recano al loro interno una polarità dinamica che le rende ben diverse dal decorativismo freddo e accademico del Neoclassicismo di maniera.

Il proemio (Analisi)
Il proemio presenta subito alcuni motivi che saranno centrali nel poema:
- la bellezza ha una funzione rasserenatrice e catartica ed interviene a purificare la disumanità barbarica della storia (il carme deve «rallegrare» l'Italia, «afflitta da regali ire straniere»);
-la bellezza, l'armonia segreta del cosmo, di cui le Grazie sono il simbolo, è rivelata dalla poesia; il verso poetico fonde in sé in modo misterioso e miracoloso le prerogative delle altre arti, la musica e la pittura (<<l'arcana / armoniosa melodia pittrice»): è il nucleo centrale della poetica neoclassica di Foscolo;
-la composizione del poema si traduce simbolicamente in un rituale paganeggiante, di tipico gusto neoclassico (l'altare innalzato alle Grazie); se ne deduce un idoleggiamento dell'antico come mondo di suprema perfezione ed armonia, che il poeta si studia di far rivivere nel presente con la sua opera;
- il carattere neoclassico dell'ispirazione è confermato dal richiamo allo scultore Canova, che stava in quel tempo lavorando al marmo delle Tre Grazie e al quale Foscolo si proclama affratellato da un comune indirizzo artistico. Il mondo classico sembra rivivere nelle statue di Canova, da cui emana il senso sacro delle divinità antiche (Venere cinge la sua statua di «immortal lume e d'ambrosia»).
Si può verificare direttamente in questi versi quanto si era affermato in precedenza, che per Foscolo il mondo classico non è un paradiso perduto, irrecuperabile: la bellezza antica può rinasce, e anche nel presente. In questo, Foscolo si distacca dallo struggimento nostalgico con cui i romantici guardano all'antico, come mondo di perfezione ormai irraggiungibile.

Il velo delle Grazie (Analisi)
Le simbologie del velo e i significati il messaggio che Foscolo affida alle simbologie del velo delle Grazie è complesso e contiene in sé la summa dei significati del poema. Il velo rappresenta l'ideale dell'armonia Essa consiste innanzitutto in quel distacco sereno che mitiga la forza delle passioni troppo brutali e le purifica (il velo, dice Foscolo, deve difendere le Grazie «dal fuoco delle passioni divoratrici»). Ma essa è anche quel superiore equilibrio che sa temperare l'eccessiva gioia e l'eccessivo dolore che si presentano nella vita dell'uomo. «Smodata gaiezza e dolore profondo sono ignoti alle Grazie»: queste ricordano all'uomo che è stato affidato «alle alterne cure del piacere e del dolore» (Dissertazione di un antico inno alle Grazie); ed ancora, nell'inno secondo, il poeta afferma che le armonie della musica ricordano «come il ciel l'uomo concesse alle gioie e agli affanni [ ... ]  e come alla virtù guidi il dolore  e il sorriso e il sospiro erri sul labbro  delle Grazie». L’armonia è dunque non solo concetto estetico, ma anche etico. Questa ideale temperanza di gioia e dolore è espressa dall'alternarsi delle varie figurazioni del velo: a zone dove prevalgono temi lieti (le due tortorelle innamorate, il convito festante) succedono zone dove dominano temi cupi e dolorosi (il sogno del guerriero, la madre che veglia il fanciullo malato). Ma questa alternanza si presenta anche all'interno delle scene stesse: alle speranze della giovinezza si mescola la consapevolezza del suo sfiorire; col trionfo del vincitore si fondono sia l'immagine della sconfitta e della schiavitù sia la coscienza del precario limite che divide la vita dalla morte; la festosità del convito è temperata dalla presenza degli esuli; la tenerezza materna evoca l'immagine pessimistica del destino inevitabilmente doloroso che attende l'uomo.

Ne emerge un ideale di equilibrata saggezza, che Foscolo attinge soprattutto dalla cultura greca: un saper godere serenamente le gioie della vita, senza dimenticare la sua fugacità e i dolori di cui è intessuta e l'approdo finale della morte. Proprio questo equilibrio sereno è la negazione di quella passionalità feroce e violenta che è insita nella natura ferina dell'uomo. All'equilibrio che purifica da quegli istinti guida appunto la civiltà. Le raffigurazioni del velo sono anche la celebrazione dei sentimenti gentili e delicati che della civiltà devono essere il fondamento e che offrono la garanzia di una vita più umana: la purezza dell'amore, l'affetto filiale e la pietà per i vinti, l'ospitalità, la fiducia reciproca tra gli uomini, la tenerezza materna.

La struttura del discorso poetico. L’ideale dell'armonia si riflette nella struttura ritmica e sintattica del discorso poetico. Si può osservare come campione la prima scena (vv. 153-163): sono versi dal ritmo estremamente sciolto e scorrevole, poiché sono rare le pause e le cesure interne: sei versi su undici ne sono del tutto privi (vv. 154, 155, 158, 159, 161, 163); e, si badi, la scorrevolezza del ritmo non scompare neanche quando vengono introdotte le note meste del declinare della giovinezza e della morte («discende un clivo onde nessun risale»): è il segno stilistico di quella temperanza di gioia e mestizia di cui si diceva. Vi è bensì un forte enjambement («Giovinezza» all'inizio del v. 156), ma esso non ha la funzione di spezzare il ritmo, bensì solo di segnare un culmine del movimento lirico, mettendo in pieno rilievo ritmico-sintattico la parola chiave; lo stesso vale per «la danzante» al termine del verso 157. (Unica eccezione è l'enjambement dei versi 160-161, «biondo Il crin», che sembra sottolineare la separazione del colore biondo della giovinezza da quello dei capelli). Inoltre la successione degli accenti ritmici è quanto mai varia e modulata, contribuendo ad accrescere il senso di armonica musicalità.

A livello sintattico sono riconoscibili calibratissime simmetrie. Si noti la costruzione perfettamente simmetrica, complemento di luogo + verbo al verso 154, verbo + complemento di luogo al verso 155 («nel mezzo del velo» I «balli», «canti» «fra'l coro»); ai versi 156-157 il soggetto «Giovinezza» è collocato al termine del periodo e all’inizio di verso; il corrispettivo soggetto del periodo seguente, la «danzante» è all’inizio di periodo e a fine verso; il verso 158 è aperto e chiuso da due verbi di senso opposto («discende», «risale»)

Altri scritti letterari

Un anello essenziale per comprendere il passaggio dalla passionalità incandescente dell'Ortis alla pacatezza del Foscolo delle Grazie, cultore dell'armonia rasserenatrice, è dato dalla traduzione del Viaggio sentimentale di Laurence Sterne, e soprattutto dalla Notizia intorno a Didimo Chierico che l'accompagna. L'opera di Sterne aveva affascinato Foscolo sin dagli anni giovanili (se ne scorge l'influsso nel progettato romanzo Il sesto tomo dell'io). Alla traduzione lo scrittore lavorò tra primavera ed estate del 1805, trovandosi nella Francia al seguito della tentata spedizione napoleonica contro l'Inghilterra; la riprese nel 1812 a Firenze (è il periodo in cui lavora anche alle Grazie) e la stampò nel 1813.

La traduzione è attribuita da Foscolo ad un personaggio fittizio, Didimo Chierico, di cui nella Notizia viene tracciato il ritratto. Evidentemente, Didimo non è che l'alter ego di Foscolo come lo era stato Jacopo Ortis negli anni giovanili. Ma Didimo è un anti-Ortis: quanto Jacopo era appassionato e disperato, tanto Didimo è distaccato dalle passioni, ironico e disincantato. Si esprime in questa figura un bisogno di dominare il mondo passionale, di filtrare una realtà troppo tumultuosa attraverso una più distaccata serenità: è una disposizione d'animo che è strettamente legata a quella che dà vita alle Grazie, che nascono non a caso nello stesso periodo.

La tematica di fondo delle Grazie è anticipata anche dalla più significativa delle tragedie foscoliane, l'Aiace (1810-1811): da un lato si colloca il mondo feroce della politica, caratterizzata dall'ambizione di dominio e dalla violenza; dall'altro, attraverso la voce della moglie di Aiace, Tecmessa, si esprime l'aspirazione ad una società liberata dall'odio e dalla violenza, «educata alla gentilezza, alla pietà, all'amore» (Binni). Foscolo è autore anche di altre due tragedie: già nel 1797 aveva fatto rappresentare a Venezia un Tieste, d'ispirazione alfieriana, in cui però compariva la tematica ossessiva della morte e dell'esilio che caratterizzerà poi l'Ortis; nel 1811-1813 scrisse ancora la Ricciarda, di ambiente medievale.

 

Nel 1815 la Notizia fu ripubblicata insieme con l'Ipercalisse (il titolo completo è: Didimi Clerici prophetae minimi Hypercalypseos liber singularis, ovvero Il libro singolare dell’Ipercalisse di Didimo Chierico profeta minimo): sempre sotto la maschera di Didimo Chierico, Foscolo scaglia una satira violenta contro i letterati milanesi, con cui era entrato in urto dal 1810. L’opera è scritta in un latino biblico, modellato su quello dell'Apocalisse, a cui si riferisce anche il titolo, che allude al carattere oscuro e cifrato delle allusioni (dal greco kalypto, nascondo).
In Inghilterra, nel 1817, Foscolo si dedicò poi al Gazzettino del bel mondo: sotto forma di lettere, doveva
trattare dei costumi, delle istituzioni, della letteratura inglese ed italiana, ma rimase incompiuto. \

dalla Notizia intorno a Didimo Chierico

Didimo era il nome di un grammatico dell'età ellenistica; con esso Foscolo sembra alludere ironicamente alla propria erudizione filologica; «chierico» deriva dal fatto che il personaggio era stato avviato da fanciullo al sacerdozio, senza poi però assumere gli ordini sacri, ed allude forse alla sacralità della figura del letterato, «sacerdote» della poesia.

6) Notizia intorno a Didimo Chierico

XII.
Ora dirò de' suoi costumi esteriori. Vestiva da prete; non però assunse gli ordini sacri; e si faceva chiamare Didimo di nome, e Chierico di cognome, ma gli rincresceva sentirsi dar dell'abate. Richiestone, mi rispose: — La fortuna m'avviò da fanciullo al chiericato; poi la natura mi ha deviato dal sacerdozio; mi sarebbe rimorso l'andare innanzi, e vergogna il tornarmene addietro: e perché io tanto quanto disprezzo chi muta istituto di vita, mi porto in pace la mia tonsura e questo mio abito nero: così posso o ammogliarmi o aspirare ad un vescovato. — Gli chiesi a quale de' due partiti s'apiglierebbe. Rispose: Non ci ho pensato; a chi non ha patria non istà bene l'essere sacerdote, né padre. — Fuor dell'uso de' preti, compiacevasi della compagnia degli uomini militari. Viaggiando perpetuamente, desinava a tavola rotonda con persone di varie nazioni; e se taluno (com'ei s'usa) professavasi cosmopolita, edili si rizzava senz'altro. S'addomesticava alle prime; benché con gli uomini cerimoniosi parlasse asciutto; ad a' ricchi pareva altero: evitava le sette e le confraternite; e seppi che rifiutò due patenti accademiche. Usava per lo piú ne' crocchi delle donne, però ch'ei le reputava più liberamente dotate dalla natura di compassione e di pudore; due forze pacifiche le quali, diceva Didimo, temprano sole tutte le altre forze guerriere del genere umano. …..

XIII.
Dissi che teneva chiuse le sue passioni; e quel poco che ne traspariva, pareva calore di fiamma lontana. A chi gli offeriva amicizia, lasciava intendere che la colla cordiale per cui l'uomo s'attacca all'altro, l'aveva già data a quei poche ch'erano giunti innanzi. — Rammentava volentieri la sua vita passata, ma non m'accorsi mai ch'egli avesse fiducia nei giorni avvenire o che ne temesse. Chiamavasi molto obbligato a un Don Jacopo Annoni, curato, a cui Didimo aveva altre volte servito da chierico nella parrocchia d'Inverigo; e stando fuori di patria, carteggiava unicamente con esso. Mostravasi gioviale e compassionevole, e benché fosse alloramai intorno a' trent'anni, aveva aspetto assai giovanile; e forse per queste ragioni Didimo, tuttochè forestiero, non era guardato dal popolo di mal occhio, e le donne passando gli sorridevano, e le vecchie si soffermavano accanto a una porticciola a discorrere seco, e molti fantolini, de' quali egli si compiaceva, gli correvano lietissimi attorno. Ammirava assai; ma più con gli occhiali, diceva egli, che col telescopio: e disprezzava con taciturnità sì sdegnosa, da far giusto e irreconciliabile il risentimento degli uomini dotti. Aveva per altro il consenso di non patire d'invidia, la quale, in chi ammira e disprezza, non trova mai luogo. E' diceva: — La rabbia e il disprezzo sono due grandi estremi dell'ira: le forti disprezzano: ma tristo e beato chi non s'adira. —

XIV.
Insomma, pareva uomo che essendosi in gioventù lasciato governare dall'indole sua naturale, s'accomodasse, ma senza fidarsene, alla prudenza mondana. E forse aveva più amore che stiano per gli uomini; però non era orgoglioso, né umile. Pareva verecondo, perché non era né ricco né povero. Forse non era avido né ambizioso; perciò parea libero. Quanto all'ingegno, non credo che la natura l'avesse moltissimo prediletto, né poco. Ma l'aveva temprato in guisa da non potersi imbevere degli altrui insegnamenti e quel tanto che produceva da sè, aveva certa novità che allettava, e la primitiva ruvidezza che offende. Quindi derivava in esso per avventura quell'esprimere in modo tutto suo le cose comuni; e la propensione di censurare i metodi delle nostre scuole. Inoltre, sembravami ch'egli sentisse non so qual dissonanza nell'armonia delle cose del mondo: non però lo diceva. Dalla sua operetta greca si desume quanto meritamente si vergognasse della sua giovanile intolleranza. Ma pareva. quando io lo vidi, piú disingannato che rinsavito; e che senza dar noia agli altri, se ne andasse quietissimo e sicuro di se medesimo per la sua strada, e sostandosi spesso, quasi avesse più a cuore di non deviare, che di toccare la meta. Queste a ogni modo sono tutte mie congetture.
Analisi
Ortis e Didimo. Con Didimo Chierico Foscolo propone di se stesso una nuova maschera, dopo quella di Jacopo Ortis. Ma, come ha notato Fubini, con Jacopo Foscolo parlava in prima persona, si confessava direttamente, con Didimo invece parla in terza persona, come se si riferisse ad un estraneo: il nuovo personaggio non è più strumento di una confessione immediata, ma di un tentativo di vedersi con distacco, da una prospettiva estraniata.
Ciò si confà alla nuova condizione intellettuale di Foscolo. Ortis era un personaggio estremo, che toccava il fondo della passionalità e della disperazione nichilistica; perciò, come si è visto, la sua morte era come un sacrificio liberatorio che consentiva allo scrittore di proseguire per altre vie. A quella passionalità subentra un più lucido distacco, un più sicuro dominio. A dire il vero, Didimo conserva gli ideali dell'eroe giovanile: l'amor di patria (si allontana sdegnato se qualcuno si proclama cosmopolita e soffre la condizione di esule che lo esclude dalla normalità della vita), il senso fiero della propria indipendenza e libertà, il disdegno per la viltà e la bassezza d'animo. Ma tende a dominare le passioni; quel poco che ne traspare sembra «calore di fiamma lontana». Si vergogna della «giovanile intolleranza» e non si abbandona più alla forza della sua indole naturale, ma si adatta alle esigenze della «prudenza mondana».
Non si può dire tuttavia che sia approdato ad un'olimpica saggezza: è «più disingannato l che rinsavito», non ha fiducia nell'avvenire, anche se non ne ha paura; si adatta sì alla prudenza mondana, ma «senza fidarsene». Sente ancora, come Ortis, una «dissonanza nell'armonia delle cose del mondo», ma invece di contrapporsi ad essa con atteggiamento eroicamente combattivo, si limita a tacere. Non ha una meta sicura verso cui indirizzarsi e si i limita a «non deviare» dalla linea che si è assunta.
Le virtù pacifiche e moderatrici. Il distacco, più che da serena saggezza, sembra dunque derivare da disinganno e da scetticismo, da una perdita di slancio e di fiducia operativa. Unico risarcimento a questa disillusione sono le virtù consolatrici della «compassione» e del «pudore», le sole «forze pacifiche» che moderano «tutte le altre forze guerriere del genere umano». Perciò egli stesso pratica studiatamente tali virtù: è «gioviale e compassionevole» e, pur non stimando gli uomini, ha amore per essi e per la loro infelicità; per questo ama frequentare le donne e i bambini, le creature più lontane dalla ferocia aggressiva che è propria del genere umano. In questo culto dei sentimenti miti e gentili, in contrapposizione agli istinti "guerrieri" dell'uomo, si può cogliere una perfetta consonanza con i principi ispiratori delle Grazie.
Anche lo stile è ben diverso da quello dell'Ortis: non più l'eloquenza appassionata ed irruente, ma massime concise, allusive, pervase di umorismo.

Fonte: http://digilander.libero.it/leo.eli/classe%20IV_MATERIALI/MATERIALI_ITALIANO_4/AUTORI/04_FOSCOLO/FOSCOLO_poetica%20e%20opere_BALDI.doc

Sito web da visitare: http://digilander.libero.it/leo.eli/

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