Alessandro Manzoni e l' Illuminismo

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Alessandro Manzoni e l' Illuminismo

ALESSANDRO MANZONI
Alessandro Manzoni aveva letteralmente l’Illuminismo nel sangue: sua madre, Giulia Beccaria, era figlia del celebre autore di “Dei delitti e delle pene”; era sposata al conte Pietro Manzoni, ma probabilmente il vero padre di Manzoni fu Giovanni Verri. Alessandro nacque a Milano nel 1785. Il bambino a sei anni era stato messo in collegio e vi rimase fino ai 16; il suo primo componimento poetico, si intitola IL TRIONFO DELLA LIBERTÀ. Nel 1805, Manzoni raggiunge la madre a Parigi; quando arriva, Carlo Imbonati, amico della madre muore improvvisamente. A quell’uomo dedica il carme In morte di Carlo Imbonati. A Parigi, Manzoni  frequenta l’ambiente degli ideologi eredi del pensiero illuminista.Nel 1808, sposa la fanciulla che la madre ha trovato per lui: la diciassettenne Enrichetta Blondel, di famiglia calvinista. Poco dopo si verifica la svolta fondamentale della sua vita, la conversione religiosa; nello stesso periodo anche Giulia torna alla pratica religiosa ed Enrichetta lascia la fede calvinista per la cattolica.
Nel 1810, Manzoni si stabilisce a Milano e nella villa di campagna di Brusuglio. Gli anni che vanno fino al 1827 sono anni di grande fervore creativo. Lo scrittore ripudia i versi giovanili e si dà alla creazione di una letteratura moderna, romantica e cristiana.
Il primo frutto sono gli Inni sacri cominciati nel 1812. Tra il 1816 e il 1822, compone le due tragedie, accompagnate da scritti di teoria drammatica e di ricerca storica. Nel 1821 compone le due odi civili, che circolano manoscritte e lo impongono all’attenzione dei patrioti. Nel 1821 cominciava il suo romanzo storico Fermo e Lucia compiuto nel 1823. Dopo una profonda revisione il romanzo uscì col titolo I promessi sposi nel 1827.
La maturità e la vecchiaia  furono segnate da pochi avvenimenti, per lo più luttuosi: la morte della moglie Enrichetta, la morte di sei dei nove figli che aveva avuto da lei, un nuovo matrimonio con Teresa Borri che pure morirà prima di lui. Manzoni morì ad 88 anni nel 1873.
Le tappe fondamentali della formazione culturale del Manzoni furono sostanzialmente tre:

  1. la prima riguarda l’educazione ricevuta nei collegi ecclesiastici, frequentati nella fanciullezza e nell’adolescenza, che ebbe l’effetto contrario a quello che si proponeva, allontanan­do il giovinetto dalla fede cattolica a causa soprattutto della grettezza con cui veniva impartito l’insegnamento;
  2.  la seconda riguarda gli anni trascorsi a Parigi, ove approfondì le teorie illuministiche già in gran parte assimilate e accettate durante i suoi studi personali condotti anche in collegio di nascosto dai suoi maestri;
  3. la terza si riferisce al periodo in cui maturò la conversione al cattolicesimo ed agli anni successivi.  

La formazione illuminista è alla base del pensiero di Manzoni. L’illuminismo di Manzoni è però segnato da una profonda delusione storica, comune ai maggiori intellettuali italiani del tempo, tra cui Foscolo e Leopardi. Il Terrore, l’assolutismo napoleonico, poi la Restaurazione, il fallimento dei tentativi liberali, sono per lui segni dell’incapacità dell’uomo di costruirsi un futuro migliore.
Il razionalismo manzoniano funziona come critica delle follie umani. Questo pessimismo colora di sé il cristianesimo di Manzoni. È il cristianesimo di un uomo che per un periodo ha aderito all’irreligiosità illuminista che rappresenta una scelta consapevole che è immune dalle nostalgie medievali e reazionarie di tanti contemporanei.
Per Manzoni, infatti, non è possibile adagiarsi nella fede, in una Provvidenza che governa le sorti umane verso il bene. Dio gli appare lontano dall’uomo, interviene nella vita degli individui e dei popoli in modi che non si possono spiegare. L’umanità è segnata dal peccato originale, incapace di fare il bene con le sue forze: solo la misericordia di Dio può salvare alcune anime elette.
Un altro cardine della cultura manzoniana è l’interesse per la storia. Il suo senso storico non è per niente storicista: non tende cioè a giustificare i fatti del passato alla luce delle circostanze da cui sono sorti e delle conseguenze che hanno prodotto, ma li giudica sulla base dei principi immutabili della morale cristiana.
Due saggi storici illustrano bene questi atteggiamenti. La storia della colonna infame ricavata da un episodio della prima stesura dei Promessi sposi- in essa analizza un processo contro presunti untori svoltosi a Milano durante la pestilenza del Seicento, basato su confessioni estorte con la tortura e finito col rogo degli imputati. Un’analoga mentalità, giuridica più che storica, ispira il saggio comparativo la Rivoluziona francese e la Rivoluzione italiana rimasto incompiuto, in cui l’autore intendeva dimostrare che la Rivoluzione francese era stata inficiata fin dall’inizio di legittimità, origine dei tanti mali seguiti, al contrario della Rivoluzione italiana, che aveva ottenuto il consenso popolare nelle dovute forme.
L’interpretazione del Romanticismo è estranea a ogni tendenza irrazionalista o sentimentale: il suo è un romanticismo milanese, e a Milano la parola Romanticismo ha designato un complesso di idee più ragionevole che in nessun altro luogo. Così scrive nella lettera a D’Azeglio, dove traccia una sintesi del sistema romantico distinguendolo in una parte negativa e in una positiva. La prima consiste nel rifiuto della mitologia. Manzoni rifiuta la mitologia per ragioni non solo letterarie, ma morali e religiose: la mitologia è idolatria perché era fondata sull’amore, nel rispetto, sul desiderio delle cose terrene, delle passioni, dei piaceri portato fino all’adorazione. La parte positiva del Romanticismo si riconduce al principio che la poesia e la letteratura debbono proporsi l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo.
Se il “Vero”  deve essere l’oggetto dell’arte, il fine di questa deve essere l’ “utile”, cioè la capacità di trasmettere un messaggio morale che sappia conquistare le coscienze degli uomini, purificarle e rigenerarle. Non è concepibile che l’arte viva da sé e di sé e per sé: essa deve invece nascere dalla considerazione della storia, nutrirsi degli affetti e delle passioni degli uomini e servire all’elevazione del loro spirito. Naturalmente l’ “utile”  - cioè il messaggio morale - non va perseguito a bella posta dall’artista perché in questo caso limiterebbe e condizionerebbe la libertà di ispirazione e di espressione dell’artista stesso.
 L’ “utile” costituisce invece, secondo il Manzoni, un fatto intrinseco all’arte: esso rientra nella natura stessa dell’arte: non può esistere opera d’arte veramente tale che non sia “morale”.
Infine l’arte deve avere l’ “interessante” per mezzo, nel senso che deve rappresentare qualcosa di vivo e palpitante per le coscienze del suo tempo, sicché quel “senso” della vita in essa calato, cioè il “Vero” - che per sua natura è universale ed eterno -, trovi una immediata verifica nell’attualità del momento storico in cui l’opera sorge.
Su questa base si capisce come Manzoni potesse riconoscere una tendenza cristiana nel Romanticismo come lui lo intendeva.
LE    LIRICHE
Gli Inni sacri rappresentano un tentativo di creare una forma poetica nuova, che Manzoni aveva elaborato. Nel progetto originario dovevano essere dodici per le festività dell’anno liturgico cattolico; ma ne scrisse solo cinque: La Risurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione e La Pentecoste. Poesie corali e non soggettive: Manzoni era un poeta che non scriveva mai “io” ma “noi”. Manzoni non si limitava alla mera osservanza religiosa, ma era fermamente convinto che i principi della morale cattolica fossero universali e quindi avessero applicazione sociale oltre che religiosa. Trapassando quindi dal dogma alla morale sociale, cercò di ricondurre alla religione i sentimenti umani, perché potessero essere compresi anche dalle anime più semplici, rendendo così comprensibili alcuni misteri teologici. In realtà gli Inni a causa dell'altezza dei concetti e della raffinata bellezza delle immagini non poterono mai divenire poesia popolare.
Hanno caratteristiche simili le due odi civili scritte nel 1821. Marzo 1821 composta nel momento in cui sembrava che Carlo Alberto stesse per far guerra all’Austria per liberare Milano. La poesia nasce da una aspettativa di guerra e si conclude con un vibrante appello agli Italiani perché si uniscano alla lotta. L’Ode Il cinque Maggio fu scritta quando il poeta ebbe la notizia che Napoleone era morto nella solitudine di S. Elena. Diversamente che in Marzo 1821, qui Dio non è invocato al sostegno dell’azione giusta, ma si vede  uno sconfitto nel momento in cui comprende la vanità di ogni azione           
LE     TRAGEDIE
Vari fattori spinsero Manzoni a provarsi nella tragedia: essa era al centro dell’interesse dei maggiori ingegni del suo tempo. Nella prefazione al Conte di Carmagnola e nella Lettre à Monsieur Chauvet, l’autore prende posizione contro il modello classicista ispirato alla regola delle “unità aristoteliche”. Manzoni vi contrappone quello che chiama il “sistema storico” in cui l’azione si distende per periodi lunghi e in luoghi diversi: questo permette di rappresentare il maturare dei conflitti in modo più verosimile.
Scritta tra il 1816 e il 1820, il Conte di Carmagnola è ispirata a un episodio delle guerre tra gli stati italiani del Quattrocento. Il protagonista è un condottiero di ventura che è passato dal servizio del signore di Milano a quello della nemica repubblica di Venezia, la quale lo nomina capitano generale. Il conte ottiene una splendida vittoria a Maclodio. Una certa lentezza nelle operazioni successive conferma il senato veneziano nella convinzione che il conte prepari un tradimento e quindi il Carmagnola,viene convocato a Venezia con un pretesto e condannato a morte.
Adelchi,composta tra il 1820 e il 1822, ha per tema la sconfitta di Desiderio,ultimo re dei Longobardi,ad opera di Carlo Magno.
La tragedia si apre con il ritorno alla corte longobarda di Ermengarda,figlia di Desiderio e sposa di Carlo,che l’ha ripudiata per calcolo politico. L’offesa spinge Desiderio a riprendere le azioni ostili nei confronti del papa, intanto la prospettiva di una guerra coi Franchi spinge diversi Duchi Longobardi al tradimento. Intanto nel monastero di Brescia in cui è stata accolta dalla sorella, Ermengarda muore consumata dal dolore per l’abbandono di Carlo. Tradito dai difensori di Pavia, Desiderio è fatto prigioniero. Adelchi tenta un’ultima  sortita ma viene moralmente ferito e muore davanti al padre e a Carlo vittorioso.
Il classico tema dello scontro fra un eroe e il fato avverso prende nelle tragedie manzoniane una coloritura morale: da una parte stanno poche anime nobili e giuste, dall’altra il basso intrigo politico. Questa tematica è svolta schematicamente nel conte di Carmagnola. Adelchi lacerato tra doveri opposti: l’obbedienza filiale e l’amore per la sorella, il sentimento religioso gli fa sentire come ingiusta la guerra che combatte nata da un’aggressione al papa, altrettanto commovente la tragedia di Ermengarda. Il mondo che appare nelle due tragedie è un mondo profondamente corrotto, dominato dall’ambizione, dalla violenza e dall’intrigo, lontano da Dio. Nel momento della morte gli eroi manzoniani hanno la rivelazione della vanità di qualunque passione, ideale, sforzo umano, e si riscattano affidandosi totalmente alla volontà di Dio.
Le tragedie di Manzoni hanno quella varietà di situazioni che l'autore apprezza in Shakespire: l'azione si estende per mesi, i luoghi variano dai campi di battaglia alle sale di palazzi, ai chiostri, l'interesse psicologico non è concentrato su pochi protagonisti, ma esplora l'animo di una folla di personaggi.
Manzoni tende a un linguaggio essenziale, privo di ridondanze o di abbandoni canori, tutto è concentrato sulla sostanza della riflessione etica e psicologica. Una innovazione delle tragedie manzoniane è l'introduzione dei cori. I cori sono brano lirici interposti alla fine di una scena. L'unico coro del Carmagnola commenta la battaglia di Maclodio, deplorando le lotte fratricide  e lo spirito particolaristico degli Italiani, con chiara allusione della situazione attuale.
La seconda tragedia ha due Cori. Il primo presenta gli Italici che si illudono di raggiungere con un nuovo Signore la libertà soffocata dai Longobardi e non si rendono conto che, accordatisi Longobardi e Franchi, si ritroveranno soggetti a due padroni. Un popolo è questa la tesi di Manzoni non può ricevere la libertà da altri: il riscatto è solo nella difesa della propria dignità e nell’impegno ad affermarla. Il secondo coro rappresenta il travaglio di Ermengarda agonizzante ed espone con estrema chiarezza la concezione manzoniana della provvida Sventura.
Comune ai cori delle due tragedie è dunque il tema dei popoli oppressi, vittime passive della storia, di cui gli storici ufficiali non si occupavano.  
IL ROMANZO STORICO
Il romanzo era il genere letterario moderno e popolare per eccellenza. Era poi l’unico genere che consentisse di rappresentare una realtà storica nella sua complessità, esplorando tutte le condizioni sociali, anche le più umili. Queste caratteristiche si incontravano con le aspirazioni dell’utile e del vero della poetica manzoniana.
Si trattava di un inventare un romanzo che fosse insieme storico, realistico e di idee. Manzoni non aveva precedenti significativi a cui appoggiarsi: il solo romanzo che lesse con interesse fu quello di Walter Scott. Manzoni riuscì nell’impresa di creare il romanzo moderno praticamente dal nulla. La prima idea de” I PROMESSI SPOSI ” venne a Manzoni dalla lettura di una grida secentesca in cui l’impedimento violento di matrimoni era citato tra i reati da perseguire. La ricostruzione storica ha larga parte nel romanzo: ci sono personaggi realmente esistiti, ci sono le ampie digressioni dedicate alla storia collettiva. La storia non è solo uno sfondo, ma entra nella vicenda dei personaggi e la determina: ad esempio la paura ossessiva di Don Abbondio non è solo una caratteristica individuale, è il frutto di una condizione di insicurezza. Il vero protagonista dei Promessi Sposi è il Seicento, secolo di disordine e oppressione. Manzoni ha l’acume di uno storico illuminista nel denunciare gli arbitri, l’ignoranza, l’irrazionalità individuale e collettiva. Ma intende parlare solo di un passato oscurantista. Molti indizi, inoltre, fanno pensare che il Seicento sia per Manzoni una grande metafora di una condizione umana universale. Per la prima volta nella letteratura italiana un’opera di alto impegno ha per protagonisti i due popolani. Nell’atteggiamento manzoniano verso gli umili si possono riconoscere limiti di paternalismo. I personaggi delineati “ a tutto tondo “, appartengono agli strati alti della società: padre Cristofaro, monaca di Monza, l’Innominato, lo stesso Don Rodrigo non è un cattivo stereotipato ma ha un fondo di oscure inquietudini. Gli umili sono modelli di bontà: sinceramente devoti, generosi pronti all’aiuto reciproco; ma sbagliano ogni volta che tentano di risolvere i problemi di propria iniziativelo vediamo con padre Cristofaro, l’eroe che prende su di sè la lotta contro il male, ogni sua iniziativa è, infatti, controproducente: spedisce Renzo a Milano, dove andrà incontro ai guai, e Lucia nel monastero da cui sarà facile rapirla. Lo scioglimento positivo della vicenda è affidato tutto all’intervento divino: la conversione dell’Innominato, la peste che elimina tutti i malvagi. Questo ha fatto definire I PROMESSI SPOSI <<il romanzo della Provvidenza>>. Dio si manifesta nel mondo o scegliendo un peccatore da salvare o fulminando il suo castigo su tutta una società. Da qualsiasi punto di vista lo si guardi, il romanzo di Manzoni presenta una complessità inesauribile. 
La trama del romanzo è complessa, comprende un arco temporale di oltre due anni, si svolge simultaneamente in luoghi diversi; entra nella vita di numerosi personaggi e più volte ricostruisce in flash-back la loro vita precedente.
L’opera viene divisa in capitoli, i primi otto hanno una struttura più compatta: si svolgono in un ambiente circoscritto come una successione di scene, montate con grande abilità nel movimento in tempi e luoghi. Poi con la separazione dei protagonisti il quadro si allarga e si complica: due blocchi sono dedicati alle vicende di Renzo e a quelle di Lucia, alla conversione dell’Innominato e alla liberazione. Gli stacchi narrativi sono sempre segnalati da interventi del narratore, che guida il lettore negli spostamenti di tempo e luogo e da rapidi sommari delle vicende non rappresentate direttamente.
E’ assente la tecnica del colpo di scena nei momenti più concitati e drammatici, Manzoni interviene con un commento o una pausa. E’ evidente il rifiuto di quegli effetti romanzeschi che negli scritti teorici l’autore condannava come contrari al vero.
Con un artificio che aveva precedenti illustri, Manzoni finge di trascrivere il suo racconto da un manoscritto dell’epoca in cui è ambientata la vicenda. Questo gli serve a immergere il lettore fin dall’introduzione nel clima culturale del Seicento. Per tutto il romanzo l’anonimo autore del manoscritto è chiamato in causa, per giustificare un’omissione di nomi o di altri particolari, o per introdurre un commento morale. Del resto il narratore è continuamente presente nella narrazione, anche senza chiamare in causa l’anonimo. Si tratta di un narratore onnisciente, secondo i canoni del realismo ottocentesco: conosce l’interiorità di tutti i personaggi, segue le vicende e i luoghi diversi. Da un lato gli interventi del narratore e del suo “doppio” anonimo rendono esplicito che ci troviamo nell’ambito di una invenzione narrativa; dall’altro certe scorciatoie del racconto, certe reticenze, certi punti lasciati in sospeso ci avvertono che nessuna realtà è pienamente conoscibile in tutte le sue pieghe. In questo gioco l’autore non chiede al lettore un’immedesimazione emotiva nella vicenda, ma un atteggiamento distaccato e critico, e una riflessione morale. Lo stile dei Promessi Sposi è modulato sui personaggi e sulle situazioni: imita l’andamento sconnesso del parlato popolare. Anche il linguaggio del narratore ha una certa varietà, ma il tono dominante è familiare e smorzato. L’impasto stilistico è poi variegato da quella che è stata chiamata la “Pluridiscorsività” manzoniana.
La stesura del testo dei Promessi Sposi è durata venti anni e si è svolta in tre fasi : tra il 1821 e 1823 Manzoni scrisse un romanzo chiamato Fermo e Lucia. Poco dopo cominciò a riscriverlo  e modificarlo, e l’opera uscì nel 1827 con il titolo i Promessi Sposi. Negli anni seguenti Manzoni continuò a ritoccarne la forma linguistica fino all’edizione definitiva che uscì dal 1840 al 1842.
La prima stesura a caratteri diversi dal testo definitivo, infatti narra la storia della monaca di Monza sviluppatasi in ben sei capitoli. La lingua infine non informata alla scelta fiorentina, aveva un carattere ibrido con residui aulici. La revisione ridusse le digressioni per ricercare un tono medio e più omogeneo e rimodellò la storia. Le altre edizioni riguardarono maggiormente la scelta linguistica.
MANZONI E LA QUESTIONE DELLA LINGUA
Manzoni si interessò molto anche al problema della lingua, sia perché necessitato dalle sue esigenze di scrittore, sia perché animato da motivi democratici e patriottici. Si sa che egli andò a risiedere per alcun tempo in Firenze per riscrivere il suo romanzo nell’autentica e moderna lingua fiorentina, e ciò prova la predilezione che egli ebbe per questa lingua dal punto di vista artistico. Ma il Manzoni, osservando che una nazione ormai unita non potesse fare a meno di avere una lingua unitaria, e considerando altresì che la letteratura, per essere veramente popolare come le istanze romantiche richiedevano, non poteva che adottare la lingua del popolo, concluse che il fiorentino - lingua usata ormai da secoli da tutti i letterati della penisola - dovesse essere assunto come lingua nazionale ed essere diffuso in tutta Italia mediante l’insegnamento scolastico, così come, nei tempi antichi, la lingua di Roma fu estesa a tutto l’impero e, nei tempi più recenti, la lingua parigina fu estesa a tutta la Francia. Naturalmente il Manzoni faceva propria la tesi, già assunta dal Monti, che una lingua è un organismo vivente che nasce e prospera da sé e non può essere artificialmente confezionata con l’apporto delle varie parlate regionali, né può essere bloccata in una forma definitiva una volta per sempre. Pertanto la lingua nazionale da adottare, che valesse tanto per i letterati che per il popolo, doveva essere il fiorentino colto dei contemporanei: questa lingua, divenuta patrimonio di tutti gli Italiani, cesserebbe d’essere “fiorentina” per divenire “italiana” e continuare il suo processo evolutivo col contributo di tutti gli Italiani.
IL ROMANZO STORICO
Il romanzo era il genere letterario moderno e popolare per eccellenza. Era poi l’unico genere che consentisse di rappresentare una realtà storica nella sua complessità, esplorando tutte le condizioni sociali, anche le più umili. Queste caratteristiche si incontravano con le aspirazioni dell’utile e del vero della poetica manzoniana.
Si trattava di un inventare un romanzo che fosse insieme storico, realistico e di idee. Manzoni non aveva precedenti significativi a cui appoggiarsi: il solo romanzo che lesse con interesse fu quello di Walter Scott. Manzoni riuscì nell’impresa di creare il romanzo moderno praticamente dal nulla. La prima idea de” I PROMESSI SPOSI ” venne a Manzoni dalla lettura di una grida secentesca in cui l’impedimento violento di matrimoni era citato tra i reati da perseguire. La ricostruzione storica ha larga parte nel romanzo: ci sono personaggi realmente esistiti, ci sono le ampie digressioni dedicate alla storia collettiva. La storia non è solo uno sfondo, ma entra nella vicenda dei personaggi e la determina: ad esempio la paura ossessiva di Don Abbondio non è solo una caratteristica individuale, è il frutto di una condizione di insicurezza. Il vero protagonista dei Promessi Sposi è il Seicento, secolo di disordine e oppressione. Manzoni ha l’acume di uno storico illuminista nel denunciare gli arbitri, l’ignoranza, l’irrazionalità individuale e collettiva. Ma intende parlare solo di un passato oscurantista. Molti indizi, inoltre, fanno pensare che il Seicento sia per Manzoni una grande metafora di una condizione umana universale. Per la prima volta nella letteratura italiana un’opera di alto impegno ha per protagonisti i due popolani. Nell’atteggiamento manzoniano verso gli umili si possono riconoscere limiti di paternalismo. I personaggi delineati “ a tutto tondo “, appartengono agli strati alti della società: padre Cristofaro, monaca di Monza, l’Innominato, lo stesso Don Rodrigo non è un cattivo stereotipato ma ha un fondo di oscure inquietudini. Gli umili sono modelli di bontà: sinceramente devoti, generosi pronti all’aiuto reciproco; ma sbagliano ogni volta che tentano di risolvere i problemi di propria iniziativelo vediamo con padre Cristofaro, l’eroe che prende su di sè la lotta contro il male, ogni sua iniziativa è, infatti, controproducente: spedisce Renzo a Milano, dove andrà incontro ai guai, e Lucia nel monastero da cui sarà facile rapirla. Lo scioglimento positivo della vicenda è affidato tutto all’intervento divino: la conversione dell’Innominato, la peste che elimina tutti i malvagi. Questo ha fatto definire I PROMESSI SPOSI <<il romanzo della Provvidenza>>. Dio si manifesta nel mondo o scegliendo un peccatore da salvare o fulminando il suo castigo su tutta una società. Da qualsiasi punto di vista lo si guardi, il romanzo di Manzoni presenta una complessità inesauribile. 
La trama del romanzo è complessa, comprende un arco temporale di oltre due anni, si svolge simultaneamente in luoghi diversi; entra nella vita di numerosi personaggi e più volte ricostruisce in flash-back la loro vita precedente.
L’opera viene divisa in capitoli, i primi otto hanno una struttura più compatta: si svolgono in un ambiente circoscritto come una successione di scene, montate con grande abilità nel movimento in tempi e luoghi. Poi con la separazione dei protagonisti il quadro si allarga e si complica: due blocchi sono dedicati alle vicende di Renzo e a quelle di Lucia, alla conversione dell’Innominato e alla liberazione. Gli stacchi narrativi sono sempre segnalati da interventi del narratore, che guida il lettore negli spostamenti di tempo e luogo e da rapidi sommari delle vicende non rappresentate direttamente.
E’ assente la tecnica del colpo di scena nei momenti più concitati e drammatici, Manzoni interviene con un commento o una pausa. E’ evidente il rifiuto di quegli effetti romanzeschi che negli scritti teorici l’autore condannava come contrari al vero.
Con un artificio che aveva precedenti illustri, Manzoni finge di trascrivere il suo racconto da un manoscritto dell’epoca in cui è ambientata la vicenda. Questo gli serve a immergere il lettore fin dall’introduzione nel clima culturale del Seicento. Per tutto il romanzo l’anonimo autore del manoscritto è chiamato in causa, per giustificare un’omissione di nomi o di altri particolari, o per introdurre un commento morale. Del resto il narratore è continuamente presente nella narrazione, anche senza chiamare in causa l’anonimo. Si tratta di un narratore onnisciente, secondo i canoni del realismo ottocentesco: conosce l’interiorità di tutti i personaggi, segue le vicende e i luoghi diversi. Da un lato gli interventi del narratore e del suo “doppio” anonimo rendono esplicito che ci troviamo nell’ambito di una invenzione narrativa; dall’altro certe scorciatoie del racconto, certe reticenze, certi punti lasciati in sospeso ci avvertono che nessuna realtà è pienamente conoscibile in tutte le sue pieghe. In questo gioco l’autore non chiede al lettore un’immedesimazione emotiva nella vicenda, ma un atteggiamento distaccato e critico, e una riflessione morale. Lo stile dei Promessi Sposi è modulato sui personaggi e sulle situazioni: imita l’andamento sconnesso del parlato popolare. Anche il linguaggio del narratore ha una certa varietà, ma il tono dominante è familiare e smorzato. L’impasto stilistico è poi variegato da quella che è stata chiamata la “Pluridiscorsività” manzoniana.
La stesura del testo dei Promessi Sposi è durata venti anni e si è svolta in tre fasi: tra il 1821 e 1823 Manzoni scrisse un romanzo chiamato Fermo e Lucia. Poco dopo cominciò a riscriverlo  e modificarlo, e l’opera uscì nel 1827 con il titolo i Promessi Sposi. Negli anni seguenti Manzoni continuò a ritoccarne la forma linguistica fino all’edizione definitiva che uscì dal 1840 al 1842.
La prima stesura a caratteri diversi dal testo definitivo, infatti narra la storia della monaca di Monza sviluppatasi in ben sei capitoli. La lingua infine non informata alla scelta fiorentina, aveva un carattere ibrido con residui aulici. La revisione ridusse le digressioni per ricercare un tono medio e più omogeneo e rimodellò la storia. Le altre edizioni riguardarono maggiormente la scelta linguistica.
LA STRUTTURA DE «I PROMESSI SPOSI»

  • Scambio della promessa di matrimonio fra Renzo e Lucia
  • Don Rodrigo scommette con don Attilio che farà sua Lucia
  • Intimidazione rivolta dai bravi a don Abbondio affinché non celebri il matrimonio.
  • Tentativo di soluzione di Renzo => Azzeccagarbugli
  • Tentativo di soluzione di padre Cristoforo => don Rodrigo
  • Tentativo di soluzione di Renzo (e Lucia) => matrimonio segreto

||
Fallimento dei tentativi e divisione degli amanti

  • Renzo, guarito, si reca a Milano  dove ritrova Lucia e incontra don Rodrigo agonizzante e lo perdona.
  • Fra Cristoforo scioglie il voto di castità pronunciato da Lucia.
  • Renzo e Lucia si preparano al matrimonio.

 

Fonte: http://classe4ba.altervista.org/alessandromanzoni.doc

Sito web da visitare: http://classe4ba.altervista.org/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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