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ALESSANDRO MANZONI (1785-1873)
l'ispirazione dei promessi sposi
Ora le analogie col romanzo sono molto evidenti:
IDEOLOGIA E POETICA
L'occasione perduta del Manzoni
ADELCHI
(coro dell'Atto terzo Dagli atri muscosi...)
Il cinque maggio
Dedicata a Napoleone. Scritta dal 17 al 19 luglio 1821, cioè subito dopo ch'era giunta a Milano la notizia della morte di Napoleone, avvenuta appunto il 5 maggio.
Manzoni minore
A) Produzione anteriore al 1810 (anno della conversione)
1) TRIONFO DELLA LIBERTA'(1800):
Poemetto in quattro canti, in forma di visione. Il Manzoni, quindicenne (!), animato da idee giacobine, esalta la rivoluzione francese e condanna la tirannide, sia politica che religiosa.
2) ADDA (1803):
Idillio dedicato al Monti, scritto in un giorno. Il fiume invita il Monti nella residenza manzoniana di Caleotto ed esalta il Parini che visse e poetò sul-la terra bagnata da esso. (Notevole e I la nitidezza espressiva).
3) IN MORTE DI CARL0 IMBONATI (1806):
Carme in endecasillabi sciolti. Carlo Imbonati, morto da poco, appare in sogno al Manzoni e gli traccia un nobile programma di vita e di poesia.
4) SERMONI (1804):
Il Manzoni denuncia il malcostume dei tempi, lo sfarzo dei ricchi, le smodate ambizioni, la petulanza dei letterati. (Evidente l'influenza del Parini)
5) URANIA (1809):
Poemetto mitologico.
La musa Urania vaticina che Giove, impietositosi degli uomini, invierà sulla terra le Muse perchè, grazie alle Arti, superino lo stato ferino e si innalzino alla civiltà( --- > Foscolo: “Le Grazie”).
B) Storiografia
1) SOPRA ALCUNI PUNTI DELLA STORIA LONGOBARDICA IN ITALIA (1822):
Il Manzoni sostiene che: a)Italiani e Longobardi
restarono due popoli distinti. b) Il papato difese gli Italiani, sudditi oppressi.
2) STORIA DELLA COLONNA INFAME (1842):
Nel processo agli untori, Guglielmo Piazza e Giangiacomo Mora,durante la peste del 1630, (la peste dei Promessi Sposi), i giudici avrebbero potuto evitare la condanna a morte degli accusati, nonostante errori e difetti delle leggi allora vigenti.
3) SAGGIO COMPARATIVO sulla Rivoluzione Francese del 1789 e la Rivoluzione Italiana del 1859 (Pubblicato Postumo nel 1889):
La Rivoluzione Francese, priva di giustificazione giuridica, utile e legittima agli inizi, degenerò assai presto, sfociando nel dispotismo. La rivoluzione Italiana è invece legittima, perchè fondata organicamente sull'unità delle aspirazioni e dei sentimenti di tutto un popolo.
C) APOLOGETICA
OSSERVAZIONI SULLA MORALE CATTOLICA (1819-II^ed.1855):
In polemica col ginevrino calvinista Sismondo del Sismondi, che aveva accusato la morale cattolica (e il papato) di essere stata la causa della corruzione e della decadenza degli Italiani, il Manzoni ribatte che la colpa è dei principi e dei politici che l'hanno applicata frettolosamente ed arbitrariamente o l'hanno trasgredita e applicata alla rovescia. La morale cattolica e' la sola santa (a ragionata in ogni sua parte.
PROMESSI SPOSI (sottotitolo: STORIA MILANESE DEL SEC.XVII SCOPERTA E RIFATTA DA A.MANZONI).
1) Composizione e pubblicazione:
1821-23 stesura (non pubblicata dal Manzoni) titolo: "FERMO e LUCIA"
1825-27 I^edizione 1840-42 IIA edizione
2) Durata dell'azione del romanzo:
2 anni- dal nov.1628 al nov.1630 (con accenni agli anni successivi al matrimonio).
3) Problemi vari:
a) Chi e' il protagonista del romanzo? Varie le risposte:
Renzo e Lucia e, più in generale, gli umili.
La Provvidenza (Dio).
Il 600 con la sua cultura.
Il Manzoni, con la sua concezione della vita.
La Storia, ossia l'umanità di tutti i tempi.
b) Perchè l'anonimo?
A parte la suggestione di esempi precedenti (Ariosto,Cuoco ecc.),l'espediente favorisce il colorito storico e consente al Manzoni il necessario distacco delle vicende narrate.
Secondo il Getto,l'anonimo del Manzoni, sarebbe un certo Pace Pasini, di Vicenza, che pubblìcò a Venezia, nel 1644, una "Historia del Cavalier Perduto".
c) Storia e Poesia (realtà ed invenzione).
La fusione è perfetta: non si avvertono discordanze e fratture.
d) Morale e Poesia.
il mondo morale manzoniano si risolve in rappresentazione, si concretizza in fatti e personaggi. La moralità non si sovrappone al racconto dal dì fuori, ma lo illumina dal di dentro. Tuttavía le preoccupazioni di ordine morale impediscono la rappresentazione della realtà umana in tutti i suoi elementi ed aspetti. Si tratta, cioè, non di incapacità, ma di consapevole rinuncia.
e) Cristianesimo e poesia.
Le convinzioni religiose, ovviamente, condizionano o meglio caratterizzano la visione manzoniana della vita. La concezione "Cristiana" dell'uomo e del suo destino non e' di per se aberrante, tale Cioè da falsare la realtà umana. Resta tuttavia l'ambiguità della conclusione, discutibile non tanto in se, quanto nel modo piuttosto frettolosamente "idillíco". tutto "rose e fiori" con cui il Manzoni si congeda da Renzo e Lucia felicemente sposati.
f) Walter Scott e Manzoni.
Nonostante la "dipendenza" cronologica, il Manzoni può essere considerato l'iniziatore della moderna narrativa, perchè per lo Scott l'epoca storica è semplice sfondo di narrazioni piacevoli e disimpegnate.
g) Il sentimento democratico del Manzoni.
A questo proposito i limiti del Manzoni sono evidenti (ma sono i limiti del nostro romanticismo). Il Manzoni non vede nelle "masse'' non "illuminate" dalla ragione e dalla cultura (chiara eredità illuministica). Ma la sua e' una aristocrazia culturale, non dovuta, come sostiene Gramsci, ad un "paternalismo” cattolico, incapace di infondere vita
interiore negli umili.
Già nel 1806, a ventun’anni, nel “Carme in morte di Carlo Imbonati”, il Manzoni esponeva quei principi morali e quel culto per la VERITA’ cui si sarebbe ispirato con assoluta coerenza per tutta la vita, come uomo e come scrittore (Si leggano i versi 43-51: “Sentire – riprese – e meditar ecc.) Una prima formulazione della sua poetica il Manzoni la diede, nel 1820, nella Prefazione al Conte di Carmagnola e nella lettera al Signor Chauvet (pubblicata nel 1823). In questi scritti il Manzoni Combatte e respinge il principio dell’unità di tempo e di luogo nella tragedia (mentre accetta l’unità di azione intendendola come la legge dell’unità stessa dell’opera), chiarisce il significato e la funzione del coro nelle sue tragedie (= una pausa lirica dì cui l'autore si serve per commentare gli eventi, evitando così intrusioni soggettive nel corso dell'azione stessa; un “cantuccio” dove il poeta possa parlare in persona propria), distingue il lavoro storico dal lavoro poetico, definisce il campo d'azione e la sostanza della poesia.
Nel 223 il Manzoni scrisse la LETTERA SUL ROMANTICISMO a Cesare D'Azeglio; in essa si trova la famosa affermazione che l'arte devo avere per soggetto il vero, per scopo l'utile, per mezzo l'interessante. Questa formula, quando il Manzoni pubblicò la lettera nel 1871, si contrasse ìn una formula più sintetica: “la poesia deve proporsi per oggetto il vero" (Difatti il vero proprio in quanto "vero", è necessariamente utile e interessante). Sempre in questa lettera, il Manzoni rifiuta la mitologia (perché incapace di "parlare" agli uomini moderni e perché forma sopravvissuta di idolatria pagana) e confessa la difficoltà di definire con esattezza il "vero" poetico (definibile piuttosto attraverso ciò che esso vuole escludere: il falso, inutile, il dannoso).
Dei 1832 è la lettera a MARCO COEN, giovane veneziano che il padre aveva costretto ad interrompere gli studi e a dedicarsi al commercio e che aveva cercato nel Manzoni comprensione e conforto. Il Manzoni, con garbo e con fermezza, ribadisce in questa sede che la attività letteraria è una cosa seria, non distaccata dalle altre attività, né può pretendere di avere un primato su di esse; importante la frase; “I poeti son giudicati ogni di pA con questa ragione che, so le cose dette da loro fanno per loro soli e non importano all'umanità son cose da non curarsene; so importano, bisogna vedere come sian vere". In queste parole si può già cogliere il sintomo di un irrigidimento della posizione manzoniana, dovuto all'affievolirsi delle qualità fantastiche e al sormontare di quelle critiche e riflessive.
Di questo irrigidimento risento in modo più netto il trattato DEL ROMANZO STORICO (1845), dove il Manzoni afferma l'impossibilità di convivenza tra storia e poesia, condannando così anche l'Adelchi e i Promessi Sposi: per lui il vero storico è autosufficiente, non ha bisogno del vero poetico.
Infine, nel trattato DELL'INVENZIONE il Manzoni influenzato dalla conversazioni avuto col Rosmini, affermò che l'artista non "crea", ma "ritrova" la verità in Dio, che gli preesiste e lo trascende.
Il vero - secondo il Manzoni - si identifica Con la storia generale l'umanità nel suo insieme e con la storia particolare delle singole anime, purché questa sì immetta nel ritmo di quella; il vero "poetico" (diverso dal vero "storico") coincide con i sentimenti, le aspirazioni, gli Idea: che hanno accompagnato i fatti che la storia accerta, Interpreta ed espone; il poeta deve perciò impegnarsi in un'indagine attenta e approfondita dell'animo umano, nelle suo reazioni alle vicende storiche che lo toccano da vicino. Alla poesia Inoltre il Manzoni assegna un compito che potremmo chiamare dì integrazione e di riparazione rispetto alla storia, nel senso che, mentre la storia ufficiale dà risalto sempre e soltanto ai grandi personaggi e alle grandi vicende, trascurando o addirittura ignorando le moltitudini che soffrono per colpa degli ambiziosi programmi di pochi potenti, la poesia dove rivolgersi soprattutto alla vita e ai sentimenti degli umili e da li trarre spunto e ispirazione.
Un tal modo di intendere la poesia, la funzione che essa dove svolgere e gli strumenti che deve adoperare, spiega gli aspetti peculiari dell'attività letteraria manzoniana; e cioè:
a) La pazienza, la serietà e lo scrupolo con cui il Manzoni si documenta sui periodi storici, sulle condizioni della società in cui ambienta sua opera poetica; questo, per Impedire alla fantasia di abbandonarsi a costruzioni arbitrarie, lontane dalla verità (“L'essenza della poesia non consiste nell'inventare dei fatti... Il fondamento dell'interesse tragico deve nascere dal movimento storico e non da un semplice fantasticare… Creare i fatti per adattarvi i sentimenti è la grave pecca dei romanzi…”).
b) Il rifiuto del soggettivismo lirico (di una poesia cioè che sia diretta espressione dei sentimenti privati del poeta) e, conseguentemente, il crattere oggettivo e corale, quasi antilirico, della lirica manzoniana, in quanto il poeta ha il diritto di parlare solo so si fa portavoce di quei sentimenti e di quegli ideali in cui un popolo intero, l'intera umanità sì riconoscano (Unica, notevole eccezione è tuttavia la lirica incompiuta "Natale 1831”).
c) L'atteggiamento antiumanistico, anticlassicistico, che il Manzoni ebbe in comune con gli altri romantici. E' frequente ed evidente la diffidenza e l'irrisione per quella cultura e quella letteratura del passato che – a giudizio del poeta - risultasse o tramontata nelle forme e nei contenuti o disimpegnata, perché aristocratico e accademico passatempo di gente privilegiata ed oziosa, o addirittura fiancheggiatrice dei potenti e prepotenti ( Si ricordino: Don Ferrante, il "latinorum" con cui don Abbondio cerca di "intrappolare" Renzo, il dottor Azzeccagarbuglí).
d) La solidarietà con tutti coloro che sono oppressi e soffrono e, dì conseguenza, la simpatia per chi reagisce all'oppressione, l'ammirazione per chi si Impegna, a volte fino alla dedizione totale di sé, a proteggere e difendere i deboli, lo sdegno nei confronti di chi opprime e fa soffrire. (Ma il Manzoni è troppo umano e troppo cristiano per negare la pietà a prepotenti ed oppressori, quando anch'essi sono visitati dalla "provvida sventura").
e) La ricerca ed infine la conquista, tenacemente e pazientemente voluta, dì una lingua "Vera" per contenuti "veri" e democratici, tale da infrangere (o almeno ridurre) la secolare barriera tra lingua letteraria e l'uso dei parlanti, tra pochi intellettuali e il popolo (sia pure "popolo" nei limiti in CUI lo intesero i romantici) sistematicamente escluso dalla vita culturale.
Ogni poeta ha la sua POETICA, e cioè una sua concezione della poesia: quale è la natura della poesia? Quale è lo scopo che con essa si intende raggiungere? Quali mezzi si debbono impiegare per raggiungere questo scopo?
La poetica del Manzoni è definita “poetica del vero”; infatti il Manzoni affermò che la poesia (o l’arte):
Il poeta, cioè, deve dire cose vere, realmente accadute o che possono accadere; deve trattare argomenti dai quali il lettore possa ricavare qualche utilità per la sua formazione morale e intellettuale; deve usare uno stile capace di suscitare l’interesse del lettore, perché pochi leggeranno i suoi libri, se scrive in modo pesante e noioso, anche se le cose che dice sono importanti. Secondo il Manzoni, le verità che riguardano l’uomo e l’umanità si trovano nella storia; e, mentre lo storico accerta e racconta i fatti, il poeta individua e rappresenta i sentimenti e le idee che ebbero i protagonisti di quei fatti… Per questo il Manzoni trasse sempre ispirazione dalla storia, che studiò con molta attenzione, e concluse la sua “carriera” di poeta con un romanzo storico (I promessi sposi).
Il romanzo storico è un lungo e complesso racconto in prosa, in cui si svolgono varie vicende e in cui agiscono vari personaggi; vicende e personaggi o sono storici, cioè realmente accadute e vissuti (anche se lo scrittore si concede la libertà di modificarli più o meno profondamente), o sono inventati, ma in modo tale che siano coerenti con la situazione storica in cui vengono calati. Nei Promessi Sposi, ad esempio, sono fatti realmente accaduti i tumulti si San Martino a Milano, la peste, la calata dei Lanzichenecchi; sono personaggi storici Gertrude, l’Innominato, il Cardinale Federigo Borromeo; sono personaggi inventati Renzo, Lucia, Agnese, Don Abbondio, Perpetua ecc. ma tutti parlano e agiscono come parlerebbero e agirebbero persone effettivamente vissute nel ‘600.
In un’opera cosi concepita (sostenuta cioè da una tale poetica) è naturale che la poesia (intesa come “creazione” che ha in se stessa la sua ragion d’essere) si incontri e si mescoli con l’oratoria, e cioè con l’intento dello scrittore di ammonire ed esortare il lettore ad agire in un certo modo, ad evitare certi errori ecc.
Il Manzoni, milanese, nato nel 1785 e morto nel 1873, figlio di Giulia Beccarla, figlia di Cesare Beccarla (autore del famoso libro “Dei delitti de delle pene”), nella sua lunga vita assisté ad avvenimenti storici e culturali di grandissima importanza, che ebbero in lui e nella sua opera profonde risonanze:
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Il Manzoni attese alla composizione dei Promessi sposi per circa venti anni (dal 1821 al 1840). Più precisamente:
I Promessi sposi sono opera profondamente originale (il Manzoni, cioè, non imita scrittori precedenti), anche se l’inglese Walter SCOTT (autore, fra l’altro del famoso romanzo “Ivanhoe”) fu il primo a diffondere in Europa la voga del romanzo storico. (1)
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L’azione dei promessi sposi si svolge nel 1600, più precisamente, nel novembre del 1628 al novembre 1630. in quel tempo l’Italia, fatta eccezione per la libera repubblica di Venezia, era, direttamente o indirettamente, soggetta alla Spagna, che ha lasciato un assai brutto ricordo del suo malgoverno: disinteresse per i bisogni della popolazione; leggi numerose ed inutile (le famose “gride”), che non impedivano ai vari signorotti, tipo Don Rodrigo, di fare il proprio comodo, opprimendo i poveri e gli umili; sfarzo di pochi e miseria della maggioranza; economia ridotta in condizioni pietose, con l’aggravante delle continue ruberie e violenze delle soldatesche spagnole.
Anche la letteratura risentiva del generale clima di decadenza: imperversava il marinismo, il servilismo verso lo straniero, uno stile gonfio, altisonante, di cui il Manzoni ci da un saggio dall’inizio dei Promessi sposi.
(1) Naturalmente, il Manzoni non mancò di consultare storici e cronisti del Seicento, soprattutto il Ripamonti.
Il carattere romantico dell’opera manzoniana si riscontra:
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Il 1810 (quando il Manzoni aveva 25 anni) è l’unica data importante della biografia manzoniana: è infatti l’anno del suo ritorno alla Fede Cattolica (la cosi detta “conversione”). Da quel momento il Manzoni fu convinto della presenza di Dio nella storia; Dio soprattutto come “Provvidenza”: e cioè a Dio sta a cuore il destino di ogni uomo, cerca, attraverso le vicende che gli suscita intorno, di condurlo verso il bene e perciò verso la salvezza eterna (Naturalmente, l’uomo è libero di non ascoltare la misteriosa voce di Dio e, di conseguenza, di continuare a vivere nella colpa, rischiando la dannazione). Il dolore, le sofferenze che spesso colpiscono l’uomo, si inseriscono in questo progetto di salvezza: essi, cioè, favoriscono il pentimento e purificano e redimono. Per questo il Manzoni parla di “provvida sventura”: il dolore, cioè, è provvidenziale, è o può essere un’esperienza positiva, se conduce, appunto, alla redenzione dal male.
Qualcuno ha voluto vedere nel cattolicesimo manzoniano tracce di Giansenismo (eresia diffusa da Giansenio, vescovo del 1600).
Secondo il Giansenismo:
Da queste premesse teologiche derivava:
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Il Manzoni è un attento osservatore degli uomini e delle loro azioni; ma non si limita ad “osservare”; esprimere sempre un netto giudizio morale. Perciò, mentre esalta gli esempi di altruismo, di bontà, di virtù (Fra Cristoforo, Il Cardinale Federigo Borromeo, Lucia), condanna l’ingiustizia, la prepotenza, l’ipocrisia (Don Rodrigo, Il conte Attilio, il Conte zio, Ferrer, il dottor Azzeccagarbugli), usando l’arma dell’ironia e del sarcasmo.
Quando invece si tratta dei comuni difetti connessi con la natura “media” degli uomini (Renzo, Don Abbondio, il sarto), il Manzoni usa l’umorismo, con cui esprime una indulgente comprensione per questi difetti, comprensione che, tuttavia, non è mai giustificazione.
Dinanzi alle grandi tragedie, che spesso sconvolgono la vita(la guerra, la peste) il Manzoni si fa, invece, serio e contempla commosso e solidale i diversi quadri di desolazione e di morte.
Di autobiografia in senso stretto non si può parlare, a proposito dei Promessi sposi; tutt’al più, è possibile rinvenire qualche traccia nella crisi e nella conversione dell’Innominato. Ma, in un senso più ampio, il romanzo è autobiografico là dove il Manzoni, attraverso fatti e persone, ci fa capire le sue idee e i suoi sentimenti (il che capita assai spesso).
L’amore non ha, nei Promessi sposi, quel rilievo, quell’importanza che forse molti si aspetterebbero, trattandosi, appunto, di due giovani che si debbono sposare. Certamente non mancano nel libro le indicazione fondamentali che ci permettono di capire che Renzo e Lucia sono sinceramente e profondamente innamorati l’uno dell’altro; ma il Manzoni ”sorvola”, non approfondisce; e tanto meno ammannisce particolari “piccanti”. A parte la considerazione che, essendo Renzo e Lucia personaggi del Seicento, sarebbe anacronistico un loro comportamento che ricalcasse comportamenti di tempi più moderni, la reticenza del Manzoni in questo campo è dovuta alla convinzione dello scrittore che l’approfondire il tema dell’amore, l’insistere su certi particolari, possono recare più danno che utilità ai lettori. Perciò non si tratta di incapacità o di inesperienza, ma di voluta e calcolata rinunzia da parte del manzoni.
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Il paesaggio manzoniano, oltre a riflettere, come il paesaggio di qualsiasi grande poeta, lo stato d’animo dei personaggi, è un paesaggio “religioso”, nel senso che nella natura si percepisce la misteriosa presenza di Dio, ammonitrice o consolatrice. Questo è evidente soprattutto nell’”Addio ai Monti” (parte finale del capitolo 8°)-, ma anche altrove. Ad esempio:
GENESI DEL ROMANZO MANZONIANO
Il Manzoni, per spiegare la genesi del suo romanzo, ricorre a questo espediente: finge di aver trovato un manoscritto anonimo del secolo XVII (1600), contenente una storia bella, degna di essere conosciuta e tramandata. Si accinge pertanto alla fatica tutt'altro che facile di decifrare il manoscritto per darlo alle stampe; ma: i guasti subiti col tempo dall'autografo (che e diventato "dilavato e graffiato), la difficoltà della decifrazione e lo stile secentesco in cui l'opera è scritta 1o dissuadono ben presto dal continuare; i lettori moderni, smaliziati e raffinati, arriccerebbero il naso di fronte a quel diluvio di retorica rozza, di metafore ardite, di idiotismi lombardi, di sintassi traballante. Convinto pertanto che la sua fatica non avrà fortuna, il Manzoni richiude lo scartafaccio
nel cassetto; ma la bella storia è lì, nella sua mente, a proporsi urgentemente, tanto più che alcuni di quei fatti, a prima vista strabilianti e attribuibili solo ad una fervida fantasia, avevano invece trovato conferma in altre opere dello stesso periodo accuratamente esplorate e dovevano perciò considerarsi come realmente accaduti. Perché, allora, non trarre
dal manoscritto là serie dei fatti, la "!storia" e rifare il libro in uno stile diverso, moderno, accessibile? Il Manzoni, congratulandosi quasi con sé stesso, per la ingegnosa trovata, la mette subito in atto dando origine a1 romanzo che noi leggiamo. Certo, quello dello stile diverso è un altro difficile problema; "chiunque - dice il Manzoni - senza esser pregato, s'intromette a rifar l'opera altrui, s'espone a rendere uno stretto conto della sua". Egli prevede quindi le critiche che gli saranno mosse, ma ha pronte anche le obiezioni per ribatterle; oppure immagina di aver di fronte due critiche opposte e le fa battere l'una dall'altra, e così via; al punto che, quando cerca di mettere insieme le eventuali critiche e 1e sue risposte, si accorge che esse costituiscono un libro. Bando quindi a quella idea! Un libro nato per spiegare lo stile di un altro libro è cosa ridicola e, inoltre, di libri basta uno per volta.
I1 Manzoni, dunque, incomincia il suo romanzo fingendo di trascrivere un paio di paginette del manoscritto anonimo che dice di aver casualmente trovato; ma quelle pagine sono "sue" e rappresentano prima di tutto la - sua capacità di scrivere in stile secentesco. Il Rinascimento (1500) aveva raggiunto, nella letteratura, l'apice della bellezza, dell'equilibrio, della misura; sembrava che avesse detto tutto quello che si potesse dire in ogni campo. Gli scrittori del Seicento vanno quindi alla ricerca del nuovo a tutti i costi; ma, soprattutto nella poesia, tale ricerca si attua solo su un piano di esteriorità, attraverso lo strenuo sforzo dell'ingegno. Il fine è quello di dilettare, piacere, distrarre, stupire, meravi-gliare, eccitando la sensibilità e suscitando molteplici emozioni. E' questa, per l'appunto, la poetica (e cioè il modo di concepire l'arte) della "meraviglia"; poetica che di solito si cita con tre versi del Marino, il rappresentante più significativo della poesia secentesca:
“E' del poeta il fin la. meraviglia:
parlo dell'eccellente e non del goffo;
chi non sa far stupir vada alla striglia".
In questi versi si esalta, l'eccellenza, intesa come ingegnosità, esasperata bravura, acuta superiorità intellettuale, e si. biasima la goffaggine in quanto ritenuta arte mancata. Strumento fondamentale della poetica del1a "meraviglia" è il linguaggio figurato, intessuto di metafore e analoghi di iperboli e di antitesi, di allusioni e di impressioni musicali pittoriche. Alla base di tale linguaggio sta un procedimento tecnico formale razionalizzato al massimo (il cosiddetto “concettismo”), foggiato, in modi ingegnosi e sottili (le "acutezze"); procedimento che viene applicato alla parola per elaborare una idea del tutto intellettualistica e per trarre da essa una deduzione rigorosamente condotta fino al suo risultato straordinario e sorprendente che è spesso una semplice freddura o un bisticcio.
INTRODURRE ESEMPI.
1)G.B. Manino - dall "Adòne": Elogio della rosa.
2)G. Salomoni - "L'uomo è nel mondo un corridore umano”(sonetto)
3)G. Artale - - Sonetto sulla Maddalena ("Se il crine è un Tago , e son due soli i lumi")
4)C. Achillini - "Sudate, o fuochi,, a preparar metalli" (Sonetto per_ Luigi XIII)
5)G.M. Materdona - "Animato rumor, tnomba vagante”
(Sonetto sulla zanzara )
Altre metafore di poeti marinisti:
Il sole: “…boia che taglia “
Con la scure dei raggi il collo all' ombre"
le pulci: “stelle saltanti”
gli occhiali: "ali del naso
il tuono: "tamburo di Dio"
lo schioppo : "erutta il tuono e partorisce li lampo"
Come si vede, alla base di questo gioco stilistico secentesco sta la metafora. La metafora è la trasfigurazione di un concetto in una immagine e si fonda naturalmente su un confronto. Quando noi diciamo "un ingegno sfavillante", confrontiamo, mentalmente l'ingegno con una sorgente di numerose faville; cosi come, quando parliamo, in linguaggio sportivo, di “tifo”, ci fondiamo sulla immagine dell'entusiasmo per il gioco che si propaga nelle folle come per un contagio. Similmente alla metafora, la analogia è una comparazione abbreviata, una relazione di somiglianza basata sulla soppressione del “come" fra i due termini di comparazione o, anche, di uno dei termini stessi (es. Mario è un leone = Mario è forte e coraggioso come un leone. Vivo in una Siberia = vivo in una casa fredda come la Siberia). Metafora ed analogia rappresentano quasi sempre per i poeti secenteschi forme di artificio cui si fa puntuale ricorso al fine di enunciare, affermare, spiegare, svolgere concetti di identità tra le cose, concetti che non corrispondono ad una vera necessità né del pensiero né del sentimento..
Le caratteristiche dello stile Secentesco si ritrovano tutte nelle pagine iniziali del romanzo manzoniano; ma a noi preme innanzitutto esaminare il contenuto di esse, contenuto che rivela le profonde intuizioni manzoniane nella concezione della storia e in quella dell'arte. Esordisce, dunque, il Manzoni dicendo che la storia è una guerra contro il tempo, perché toglie di mano ad esso gli anni trascorsi e 1i fa rivivere; ma gli storici rapiscono al tempo solo le spoglia più sfarzose e, brillanti: eternano cioè con la bravura della loro arte solo le azioni dei Prìncipi e dei qualificati personaggi. Io purtroppo afferma il finto autore - non ho le qualità per elevarmi a tali pericolose altezze; ma, avendo avuto notizia di fatti memorabili, sebbene siano accaduti a "genti meccaniche e di piccolo affare", ho voluto metterli per iscritto. Ecco quindi la prima grande novità manzoniana: lo scrittore attribuisce ,ironicamente all'anonimo l'aver dovuto ripiegare sulla trattazione di avvenimenti accaduti a gente umile per mancanza di qualità idonee a trattare le imprese dei potenti, ma è solo una trovata; per il Manzoni, infatti, la storia non è fatta solo dai grandi personaggi, ma da tutti, anche dagli umili; anzi, proprio sugli umili si riflettono con maggiore crudezza le ingiustizie e gli abusi perpetrati dal potere. Gli umili quindi entrano perla prima volta nel mondo nell'arte, per la prima volta l'occhio di uno scrittore guarda con affetto e comprensione alle: vicende dei deboli, dei meno difesi, degli emarginati, mentre sullo sfondo L'approdo finale nel ROMANZO, coronamento e conclusione della poesia manzoniana il romanzo, infatti, appare non il frutto improvvisato di i una scelta immotivata ma lo sbocco logico o quasi necessario delle promesso teoriche e di tutta In precedente attività letteraria; in es-so la v azione essenzialmente narrativa (o non "lirica" in senso stretto) dei Manzoni trovava il genere letterario più congeniale e potevano articolarsi distendersi, intrecciarsi le sue molteplici esigenze: evocazioni di scenari e paesaggi storici, gusto del ritratto psicologico, tendenze riflessive e morali. Il romanzo, infine, permetteva al Manzoni di collocare in primo piano la sorte e lo vicende di tutto un popolo, di fare degli umili ì protagonisti della storia e di far gravitare intorno ad essi i grandi personaggi, come soccorritori o come oppressori (cosa che nelle tragedie gli era riuscita solo a tratti e marginalmente) e dì stabilire altresì, attraverso una prosa indubbiamente più vicina lingua parlata che non i versi, un contatto diretto o cordiale con una vasta cerchia di lettori.
B)- EVOLUZIONE DEL CRISTIANESIMO MANZONIANO
Il 1810 (anno della cosiddetta conversione) rappresentò nella biografia manzoniana un punto d'arrivo (che, comunque, non rinnegava il passato), ma anello un punto di partenza, ché In concezione cristiana do! poeta non ci si presenta come qualcosa. di statico, di definito una volta per sempre; è possibile invece seguire le linee di una evoluzione, che, limitatamente al periodo più propriamente creativo, può essere schematizzata nel modo seguente:
a) dal 1810 al 1815 circa - Il Manzoni, con l'entusiasmo, l'euforia quasi, propri di un neo-convertito, celebre la redenzione degli uomini, e spe-cie degli umili, cene conseguenza dell'intervento provvidenziale di
Cristo nella storia dell'umanità. E' il momento di un ottimismo cristi poco meditato e piuttosto gratuito, che sì esprime nei primi quattro i sacri.
b) dal 1816 al 1821 circa - Il Manzoni ricerca nella storia la conferma della sua intuizione e riceve una profonda delusione, perché la venuta di Cristo non gli sembra che abbia prodotto effettivamente il riscatto degli uomini, la loro liberazione dal male: la storia la fanno i malva-gi; ì buoni non hanno alcuna possibilità d'azione, di contrapporre il bene al naie. E' il momento di un pessimismo cristiano parziale perché solo su pochi discende la Grazia, che li salverà dopo averi misteriosamente prescelti (si devo parlare di Giansenismo?); passivo perché i buoni sono condannati all'inazione, soffrono quaggiù per essere felici solo in ciclo dopo la morte. Il pensiero religioso manzoniano di questo momento si esprime nelle due tragedie e, quasi sintesi di esso, sono le significative parole che Adelchi morente rivolge al padre Desiderio prigioniero di Urlo Magno (Adelchi - AttoV, scena VIII, vv.339-364 - In Salinari-Ricci: pagg. 340-43; vv.17-43)
c) del 1822 al 1825 circa - Il Manzoni ha superato la crisi; i buoni li vedo presenti e attivi nella storia (Lucia, Padre Cristoforo, il Cardinale Federigo Borromeo, l'Innominato dopo la conversione, Ronzo ecc.);
le forze del bene non solo contrastano quelle del male, ma alla fine prevalgono, anche se la vittoria finale del bene: sul male non è il frutto dei piccoli piani degli uomini, ma dell'intervento misterioso e risolutore della Provvidenza. Inoltre la Grazia non è più un dono largito n pochi, ma è una luce che si accende in molti e, almeno potenzialmente, non è negata n nessuno. Questo terzo momento, che potremmo definire di un pessimismo cristiano attivo e cattolico ("cattolico" nel senso suo proprio di "universale"), è evidente, oltre che nei Promessi Sposi, nell'ode Marzo 1821 e nel quinto Inno sacro “La Pentecoste”.
C)- L'INTERPRETAZIONE = RUSSO
Alla base della poesia manzoniana si coglie sempre un'ispirazione etico-storica, la quale passa Irrequietamente attraversa tre momenti: un momento di abbandono fantastico, più propriamente "lirico"; un momento meditativo o storicamente illustrativo; e infine un momento oratorio vero e proprio. In altre parole, secondo il Russo, lo poesia manzoniana sorge sull'Indagine storica e si nutre delle istanze morali dell'autore; in essa a1 possono sempre individuare tre componenti, a volte succedentisi, a volte comprensenti, ma comunque non separabili, nel senso che l'una non può fare a meno dell'altre, non è pensabile senza lo altre: contemplazione, meditazione e intento parenetico(l'intenzione cioè, più a meno scoperta, più c meno consapevole, di esortare e persuadere). Anche Il periodo prosastico manzoniano risulta - dice il Russo - un "nesso lirico-meditativo-pratico e in esso l'eccellenza della disciplina artistica consiste nel rapporto del tra toni".
Uno degli esempi migliori di tele "rapporto armonico dei tre toni" le offre il primo coro dell'Adelchi ("Dagli atri muscosi ecc"): la meditazione sulle condizioni in cui, ad un corto momento della loro storia, si vengono a trovare tre popoli (gli Italiani, inerti spettatori; i Longobardi in rotta; i Franchi vittoriosi), sui rapporti che tra di essi si vengono a stabilire, sui moventi e sulle conseguenze, sui modi c sui tempi delle guerre di allora (e di tutto le guerre), si traduce in una serio di quadri di una evidenza e di una verità straordinarie e Implica - senza dichiararli espressamente - l'esortazione agli Italiani dell'Ottocento in particolare e a tutti i popoli in generale a far da sé, a non attendersi 1n liberazione dallo straniero; e il monito severo che la libertà non è un dono grazioso che altri ci possa fare, ma una conquista in prima persona, che costa sacrifici, lacrime e sangue.
D}- LA QUESTIONE DELLA LINGUA
Il Manzoni, convinto che all'unità etnica dove corrispondere una unità linguistica (e cioè, se c'è un popolo, ai deve essere necessariamente anche la lingua "nazionale" di quel popolo), si pose il problema di quale dovesse essere la lingua che gli scrittori in generale e lui in particolare dovessero adoperare. Orbene, per il Manzoni la lingua complesso di vocaboli e di norme grammaticali regolato dall'USO ti; quindi la lingua nazionale non può essere un idioma foggiato artificiosamente con vocaboli raggranellati dai vari dialetti e non parlato in nessuna parte del paese, ma è il dialetto di una determinata città, scelte per ragioni storiche e culturali. Nel caso della Francia, 1n città è Parigi, nel caso dell'Italia, la città è Firenze. Perciò la lingua italiana concide con l'USO VIVO DEI BEN PARLANTI FIORENTINI. Tale lingua, permettendo a chi parla e a chi ascolta, a chi scrive e a chi legge di comprendersi reciprocamente, potrà essere mezzo di comunicazione, per ogni sorta di concetti fra tutti gli Italiani e potrà eliminare (o almeno ridurre) In secolare distinzione fra lingua letteraria e l'uso dei parlanti.
La soluzione proposta dal Manzoni é "romantica", perché, partendo da una con-cezione antiletteraria e antiumanistica, pane a basa dalla lingua l'uso a perché le assegna una funzione sociale e politica; ma, sottolineando la funzione acciaio, il Manzoni mette in ombra l'apporto individuale dell'artista.
Scritti del Manzoni sul problema della lingua: 1)- SENTIR MESSA (titolo ricavato artificiosamente da una citazione con cui il Manzoni inizia la trattazione); pubblicato postumo nel 1923, è il libro che, se fosso state condotto a termine, avrebbe dovuto intitolarsi "Della lingua italiana", diviso in tre parti: a)- Natura del linguaggio. b)- La vera lingua italiana. e}- Fini della lingua unitaria. E' questo 11 libro cui il M. accenna nell’ Introduzione dei Promessi Sposi}. - 2)- Lettore al Carena, ai Bonghí, al Casanova - Relazione al Lini stro Broglio.
Fonte: http://www.luigisaito.it/appunti/manzoni.zbqrwxyfpu.doc
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