Alessandro Manzoni vita e opere

Alessandro Manzoni vita e opere

 

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

Alessandro Manzoni vita e opere

ALESSANDRO MANZONI (1785-1873)

 

  • Nasce a Milano nel 1785 da un padre di recente nobiltà, Pietro Manzoni, e da Giulia Beccaria (figlia del celebre Cesare Beccaria, autore Dei delitti e delle pene, contro la pena di morte e le torture). Il matrimonio era stato d'interesse, in quanto il patrimonio dei Beccaria era in dissesto. Peraltro Giulia non solo era più giovane di 26 anni, ma nutriva anche idee borghesi, più progressiste di quelle aristocratiche del marito, dal quale infatti si separerà nel 1792, unendosi a Carlo Imbonati e trasferendosi a Parigi.
  • Il figlio Alessandro iniziò a studiare presso collegi religiosi (somaschi e barnabiti), ma a 16 anni scrive un poemetto, di ispirazione giacobina, Il trionfo della libertà, dimostrando che l'educazione religiosa ricevuta in quei collegi non aveva avuto alcun effetto su di lui. La sua prima formazione intellettuale fu piuttosto razionalistica e illuministica, anticlericale e antidispotica, influenzata dalle idee che l'impresa napoleonica trapiantò in Italia. In particolare, egli ha ben chiaro, sin dall'inizio, che il poeta deve avere una funzione pedagogica o educativa, pratica e moralizzatrice, strettamente legata alle vicende storiche.

 

  • Morto l'Imbonati, Giulia torna in Italia nel 1805 e propone al figlio, che accetta, di seguirla a Parigi. In questo periodo, l'opera più significativa del Manzoni è il Carme in morte di Carlo Imbonati, ove si esalta la funzione dell'arte volta alla formazione dell'uomo morale (disposto al sacrificio, interiormente libero, virtuoso, ecc.) e dove si rifiuta nettamente la mitologia in uso in molta poesia del suo tempo.
  • A Parigi, dal 1805 al 1810, Manzoni frequenta i circoli letterari e culturali in cui domina la filosofia razionalista e materialista del Settecento, stringe amicizia con Fauriel (uno dei promotori del Romanticismo in Francia) che lo avvia allo studio della storia, e sposa nel 1808 Enrichetta Blondel, di religione calvinista, che lo porterà, in seguito, a rivedere i suoi giudizi critici verso la religione, tanto che (aiutato anche dalle conversazioni con due insigni religiosi giansenisti dell'epoca), nel 1810 il Manzoni decide di convertirsi al cattolicesimo, coinvolgendo in questa decisione anche la moglie.

 

  • Appena convertito, il Manzoni decide di lasciare per sempre Parigi (vi ritornerà per alcuni mesi, per curarsi da una forma di esaurimento nervoso) e, rientrato a Milano, vi rimane quasi ininterrottamente dal 1810 alla morte. Il padre, morto nel 1807, gli aveva lasciato in eredità tutti i suoi beni. Praticamente la sua vita non ha più date importanti che non siano quelle della pubblicazione delle sue opere. Tutti gli scritti giovanili precedenti alla conversione vengono da lui rifiutati.
  • A Milano il Manzoni si pone dalla parte del Romanticismo e della corrente politica liberale favorevole all'unificazione nazionale. Nel 1815 scrive Il Proclama di Rimini, esaltando l'iniziativa di Gioacchino Murat che da Napoli aveva risalito col suo esercito la penisola invitando gli italiani (che però non risposero) a combattere contro gli austriaci per l'indipendenza nazionale (il tentativo poi fallì miseramente). Alla caduta di Napoleone rifiuta di rendere omaggio agli austriaci, rientrati a Milano. Anzi, nel 1821, quando si sparge la notizia dei moti rivoluzionari piemontesi (cosa che per un momento fece credere che il principe sabaudo Carlo Alberto fosse sul punto di liberare la Lombardia dagli austriaci), il Manzoni compose l'ode Marzo 1821, interpretando il sentimento patriottico dei lombardi; e nello stesso anno, appresa la notizia della morte di Napoleone, scrive l'ode Il Cinque Maggio, in cui rievoca i trionfi, le sconfitte, l'esilio e la morte del Bonaparte, alla luce della provvidenza cristiana, lasciando alla storia il diritto di giudicare.

 

  • La maggior parte delle opere del Manzoni viene scritta nel giro di 15 anni: dal 1812 (in cui inizia la composizione degli Inni sacri: La resurrezione, Il nome di Maria, Il natale, La passione e La pentecoste [quest'ultima è la più importante]), al 1827 (in cui conclude la stesura dei Promessi sposi). Oltre alle due liriche politiche suddette del 1821, scrive due tragedie: Il conte di Carmagnola (dedicato al Fauriel): protagonista di questa tragedia è Francesco Bussone, conte di Carmagnola, condottiero di ventura del primo Quattrocento. Dopo aver servito Filippo Visconti, signore di Milano, egli passò al servizio di Venezia, rivale di Milano, non sentendosi sufficientemente ricompensato. Inflisse al Visconti una dura sconfitta, ma la sua generosità verso i vinti lo rese sospetto ai veneziani che con l'accusa di tradimento lo giustiziarono. Il Manzoni è convinto che il Carmagnola fosse innocente e vittima di una congiura. Ma il senso della tragedia sta piuttosto nel giudizio negativo su quella "politica" che non tiene conto dei valori etici, e su quella "politica" municipalistica e regionale in nome della quale gli italiani da secoli avevano rinunciato all'unificazione nazionale.
  • L'altra tragedia è l'Adelchi (dedicata alla moglie Enrichetta): essa ha per oggetto l'ultimo periodo della dominazione longobarda in Italia, dal ripudio che il franco Carlo Magno fece della moglie Ermengarda (figlia del re longobardo Desiderio) alla resa longobarda di Verona, dove si era rifugiato Adelchi, fratello di Ermengarda. Secondo la storia Desiderio fu deportato in Francia, mentre Adelchi fuggì a Costantinopoli: il Manzoni invece li fa morire entrambi). I protagonisti della tragedia sono Ermengarda, che, vittima innocente di manovre politiche, non si rassegna al divorzio, essendo ancora innamorata del marito, e che muore di consunzione nel monastero in cui era stata reclusa; e Adelchi, il cui dramma interiore è completamente inventato dal Manzoni: Adelchi infatti si dibatte fra le sue aspirazioni ideali alla giustizia (non sopporta l'offesa arrecata alla sorella), le sue aspirazioni alla pace (è contrario alla politica di conquista del padre, anche se per obbedienza lo asseconda), e le sue convinzioni religiose (essendo cristiano, nella tragedia, non vuole combattere contro i Franchi, anch'essi cristiani). Nella tragedia Adelchi muore perché si rende conto che nella storia c'è poco spazio per i sentimenti/desideri/valori umani. L'eroe cristiano deve resistere con l'esempio personale e la sua forza morale agli attacchi del "male" (ingiustizia, oppressione, ecc.), ma può sperare che il suo eroismo gli venga riconosciuto solo al cospetto di Dio. Nell'importante coro Dagli atri muscosi, dai Fori cadenti, Manzoni esprime un giudizio fortemente negativo su quegli italiani che si lasciano dominare dagli stranieri senza reagire o che sperano d'essere liberati da uno straniero con un altro straniero (il riferimento agli austriaci e borboni del suo tempo era evidente).

 

  • Oltre a queste due tragedie si devono ricordare le due importanti Lettere sul Romanticismo indirizzate a Chauvet e a Massimo d'Azeglio (vedi più avanti) e le Osservazioni sulla morale cattolica, in cui vengono esaltati i principi e il valore della morale evangelica, contro la tesi del Sismondi che riteneva la religione cattolica fonte di molti mali della società moderna.
  • Nel 1827, dopo la prima edizione dei Promessi sposi, il Manzoni per qualche tempo con la famiglia si reca a Firenze, allo scopo di correggere secondo l'uso toscano la lingua usata per il romanzo. In effetti, finché scriveva liriche e tragedie, rivolgendosi a un pubblico molto colto, il Manzoni aveva potuto usare il linguaggio tradizionale senza porsi particolari problemi (se non quello della chiarezza e dell'aggancio alla realtà). Ma quando intraprende la stesura del romanzo, destinato al vasto pubblico, il problema della lingua diventa subito fondamentale. Egli aveva bisogno di una prosa narrativa facilmente comprensibile, in grado di superare il distacco tra lingua parlata e scritta. La tradizione però non gli offriva alcun valido aiuto. Nel caso della Francia, ad es., il dialetto di Parigi si era imposto a tutta la nazione. L'Italia invece non aveva una capitale e Roma era la patria del latino. Di qui l'esigenza di ricercare quella città che con la sua lingua (parlata e scritta) avesse esercitato almeno per alcuni secoli una specie di "egemonia culturale" sul resto della nazione. La sua scelta cadde su Firenze, cioè sul fiorentino usato dalle persone colte. Ed è così che nasce con i Promessi sposi la prosa narrativa moderna dell'Italia.

 

  • La prima versione del romanzo s'intitolava Fermo e Lucia (1812) ed è molto diversa dalla seconda e definitiva edizione, pubblicata tra il 1840 e il '42. Vi è una certa differenza di contenuto (oltre che ovviamente di stile) persino tra la prima edizione del 1827 e la seconda: in quest'ultima la severità morale e religiosa è attenuata (ad es, le due figure di don Rodrigo e della monaca di Monza sono descritte con colori meno accesi). Nell'ultima edizione apparve in appendice la Storia della colonna infame, un racconto ambientato nello stesso periodo storico del romanzo. Si tratta di una specie di requisitoria contro i giudici che condannarono a terribili torture i presunti untori della peste di Milano nel 1630. "Colonna infame" era appunto chiamata la colonna che venne eretta nello spazio della casa abbattuta di uno dei due, a perenne ricordo dell'infamia e dell'esemplare condanna. Manzoni cercò di dimostrare, con l'esame degli atti del processo, l'innocenza dei due imputati, vittime soltanto della superstizione, della collera popolare e della debolezza dei giudici e delle autorità.
  • Dopo il 1827 l'attenzione del Manzoni si rivolge prevalentemente a questioni di carattere culturale, storico e linguistico. A partire dal 1833 una serie di disgrazie familiari colpisce la sua casa. Gli muore la moglie, nel '34 la primogenita (appena sposata con D'Azeglio), nel '41 la madre, nel '61 la seconda moglie, che aveva sposato nel '37 e con cui aveva vissuto un matrimonio poco felice; in varie date perde 6 figli su 8.

 

  • Nel 1848, scoppiata la rivoluzione delle Cinque giornate di Milano, incita i tre figli maschi a prendervi parte e benché uno di essi fosse caduto prigioniero e ostaggio degli austriaci, firma un appello a tutti i popoli e principi italiani perché aiutino i milanesi. Gli austriaci poi rioccupano la città e per quanto cercassero di inaugurare un governo più mite (ad es. speravano che il Manzoni accettasse una loro decorazione), il suo atteggiamento di aperta opposizione non venne mai meno.
  • Nel 1849 viene eletto deputato nel collegio di Arona in Piemonte, ma rifiuta il seggio perché non si sentiva tagliato per la politica. Nel 1859, liberata la Lombardia, Vittorio Emanuele II, considerando il suo patriottismo e le sue difficoltà economiche, gli conferisce una pensione annua di 12.000 £; nel 1861 lo nomina senatore. Nello stesso anno egli si reca a Torino per votare la proclamazione del Regno d'Italia. Nel '64 si reca nuovamente a Torino per votare il trasferimento della capitale a Firenze. Nel '70 saluta con gioia l'entrata delle truppe italiane a Roma (breccia di porta Pia, fine dello Stato della Chiesa), venendo a contrasto col movimento neoguelfo, che già dal '48 si era ritirato dalla causa nazionale, temendo il peggio per la Chiesa. Nel '72 viene nominato cittadino onorario di Roma. Muore l'anno dopo per meningite cerebrale a Milano.

 

l'ispirazione dei promessi sposi

  • Secondo l'opinione del direttore dei musei manzoniani di Lecco, prof. Gianluigi Daccò, quando il Manzoni disse nel suo romanzo d'essersi ispirato a vicende storiche trovate nel manoscritto di un anonimo, diceva la verità, solo che il protagonista di quelle vicende era un suo trisavolo, di nome Giacomo Maria, vissuto nella zona di Lecco nella prima metà del Seicento. I documenti si trovano nell'archivio di famiglia dello scrittore.
  • Ecco la storia, che praticamente inizia verso il 1610. Lecco e la Valsassina erano le zone di massima produzione del ferro di tutto il Ducato Lombardo. Due importanti famiglie, i Manzoni di Lecco e Barzio (capeggiati appunto da Giacomo Maria) e gli Arrigoni di Introbio (capeggiati da Emilio), controllavano l'intero ciclo produttivo del ferro: dalle miniere e fonderie della Valsassina alle officine per produrre archibugi e palle da cannone. Avevano molti dipendenti, fortissimi mezzi economici e solidi agganci con le strutture politiche, amministrative e giudiziarie. Ognuna si avvaleva di una vera legione di "bravi", destinati a risolvere le trattative degli affari con le armi della minaccia, del sequestro di persona e persino del delitto. Le due famiglie si contendevano il controllo esclusivo dell'altoforno di Premana, una struttura in cui lavoravano 150 persone.
  • Nell'Archivio di Stato sono presenti gli atti di due lunghe e complesse vicende giudiziarie. Una riguarda il procedimento per omicidio contro Giacomo Maria, accusato di aver fatto assassinare un Arrigoni, per una questione di donne. Nell'altra l'imputato è sempre Giacomo Maria, ma l'accusa questa volta degli Arrigoni è quella di essere un untore, cioè di aver mandato in giro dei monatti a ungere persone o cose con materiale infetto, per distruggere la famiglia degli Arrigoni (la peste a Milano e a Lecco era scoppiata nel 1630).
  • Fu il Senato di Milano che, preoccupato del diffondersi della peste, incaricò il giureconsulto Marco Antonio Bossi di condurre una dettagliata indagine. Tre monatti furono arrestati e, sottoposti a tortura, confessarono chi era il mandante. Al termine del lungo processo essi  furono condannati e giustiziati, ma Giacomo Maria, grazie alle sue protezioni, riuscì a cavarsela. Il tribunale aveva deciso un supplemento di indagini dalle quali poi risultò ch'egli era stato vittima della rivalità degli Arrigoni. I quali però non si arresero e nel 1640 riuscirono finalmente a spuntarla sul Manzoni.

 

Ora le analogie col romanzo sono molto evidenti:

  • quasi tutti i fatti narrati sono gli stessi,
  • i luoghi sono gli stessi,
  • simili i protagonisti delle vicende e i personaggi comprimari,
  • identico il periodo storico,
  • le analogie spiccano soprattutto con la prima stesura del romanzo e con la Storia della colonna infame,
  • l'avvocato difensore di Giacomo Maria, descrivendo Emilio Arrigoni, usa delle frasi che sono le stesse che Manzoni adopera per descrivere il Conte del Sagrato in Fermo e Lucia,
  • il comportamento di Giacomo Maria è identico a quello di Don Rodrigo,
  • i racconti della peste si assomigliano,
  • la descrizione di come viene decisa la sentenza di condanna a morte per Giacomo Mora nella Colonna infame è identica a quella che dà il Bossi nel suo memoriale per la sentenza dei tre monatti.

 

IDEOLOGIA E POETICA

  • Manzoni è il rappresentante più significativo del movimento romantico italiano. In lui si realizza la sintesi delle idee illuministiche con quelle cristiane. Vi è quindi il rifiuto del materialismo ateo di Foscolo e Leopardi, ma non quello delle idee illuministiche di giustizia, libertà, uguaglianza, fraternità, le quali però vengono per così dire "battezzate" da una religiosità cattolico-giansenista, non dogmatica, ma critica, aperta alle idee democratiche e laiche del suo tempo, austera e rigorosa sul piano morale.

 

  • L'idea religiosa dominante è quella di provvidenza, grazie alla quale anche il male -secondo il Manzoni- può essere ricompreso in una visione più globale della storia. Il dolore che gli uomini soffrono a causa delle ingiustizie/oppressioni non può mai essere disperato se si ripone fiducia nella provvidenza divina. Chi vuole compiere il male è guardato dal Manzoni non con disprezzo ma con ironia, appunto perché il credente sa in anticipo che il corso della storia non può essere modificato dalle singole azioni negative degli uomini. Ovviamente per il Manzoni gli uomini non devono attendere passivamente la realizzazione del bene, ma devono avere consapevolezza, nel mentre cercano di vivere con coerenza il loro ideale evangelico di giustizia, che la realizzazione del bene dipenderà dai tempi storici della provvidenza più che dalla loro volontà. Senza questa consapevolezza gli uomini tenderebbero ad attribuire a loro stessi la causa di ogni bene, il che li porterebbe facilmente a ricadere nel male.
  • Sul piano poetico, Manzoni rifiuta categoricamente ogni mitologia, ogni fantasia che non abbia riscontri reali, ogni imitazione pedissequa dei classici greco-romani. Accetta la fusione della storia con la poesia (di qui ad es. il concetto di "romanzo storico"), perché se la storia racconta la verità oggettiva degli avvenimenti, la poesia può raccontare la verità soggettiva dei singoli protagonisti. La letteratura deve avere -questa è la sua formula più riuscita- l'utile per scopo, il vero per soggetto e l'interessante per mezzo. L'invenzione deve essere limitata all'integrazione del dato storico. Il vero storico -per il Manzoni- è sempre quello che desta maggior interesse. L'arte quindi avrà un valore educativo se sarà finalizzata alla comprensione della verità storica (soprattutto la verità del popolo, degli strati sociali più umili, che fanno la storia). Scopo del drammaturgo/poeta/romanziere è quello di saper trarre dal vero reale il vero ideale, senza alterare i fatti storici, ma riservandosi uno spazio (il coro) in cui poter parlare personalmente, rendendosi interprete dei sentimenti morali dell'umanità.

 

  • Nel teatro Manzoni propone l'abolizione delle unità aristoteliche di tempo e luogo, salvando solo quella di azione. Le due unità erano rigorosamente rispettate nel teatro italiano perché si credeva, in tal modo, di poter salvaguardare il principio di verosimiglianza dell'azione degli attori. Trasportare da un luogo all'altro gli avvenimenti o prolungare l'azione aldilà di un giorno, si pensava che togliesse allo spettatore la convinzione (l'illusione) di essere direttamente coinvolto per 2 o 3 ore nell'azione degli attori. Il Manzoni invece dà per scontato che lo spettatore sappia di assistere a una finzione (il teatro stesso di per sé è illusione), per cui lo spettatore -secondo lui- non ha difficoltà ad accettare il susseguirsi d'avvenimenti concatenati che accadono in tempi e luoghi diversi. Naturalmente il drammaturgo, per poter tenere ben legati avvenimenti così separati, deve scegliere quelli più significativi, perché solo così lo spettatore potrà sentirsi coinvolto emotivamente nell'azione. Manzoni parla della sua riforma drammatica nella Lettera allo Chauvet.
  • Tuttavia, poco dopo aver scritto i Promessi sposi, il Manzoni nega l'utilità del romanzo storico, sostenendo che la verità che la storia ci fa conoscere è sufficiente; per cui o si fa storia o si fa invenzione.

 

L'occasione perduta del Manzoni

  • Il Manzoni era partito bene con quelle sue idee giacobine e ateo-illuministiche, ma la conversione al cattolicesimo ne ha ostacolato fortemente lo sviluppo.
  • Probabilmente egli aveva capito, a Parigi, che cultura e politica devono marciare insieme per essere entrambe vere, autentiche, ma siccome il suo personale temperamento gli impediva di condividere, sino in fondo, in maniera partecipata, le idee e le esigenze della politica democratica e rivoluzionaria, egli preferì puntare la sua attenzione sulla cultura, trasferendo su questa le qualità realistiche di quella politica più vicina alle aspirazioni popolari.
  • Conseguentemente la sua letteratura diventò, allo stesso tempo, realistica e poetica, storicistica e romanzata. Connubio, questo, che al Manzoni piaceva e dispiaceva, proprio perché egli si rendeva conto che con esso non si potevano soddisfare appieno le esigenze del vero. Esigenze che possono e debbono essere soddisfatte coll'impegno politico attivo, a favore della democrazia, oltre che coll'impegno culturale e sociale. Il Manzoni -come noto- si limitò a circoscrivere ideologicamente tale impegno alla valorizzazione del "vero storico", volgendo sì lo sguardo al presente, ma come intellettuale culturalmente, non politicamente impegnato.
  • La sua esperienza, ancora una volta, ha dimostrato i limiti della religione, che sono appunto quelli di negare valore, da un lato, alla politica rivoluzionaria, giustificando, dall'altro, l'oppressione esistente. Di qui il suo accentuato moralismo, la sua idea paternalistica di "provvidenza", la sottile quanto fastidiosa ironia nei confronti del "male" e di chi cerca di opporvisi con mezzi propri, senza rimettersi nelle mani di dio. Al Manzoni tuttavia bisogna riconoscere un pregio, quello di non aver mai abbracciato le idee clericali del suo tempo.

 

ADELCHI

(coro dell'Atto terzo  Dagli atri muscosi...)

  • Il coro è stato scritto subito dopo il fallimento dei moti del '21.

 

  • Il Manzoni rifiuta l'idea che un popolo debba sperare di liberarsi da uno straniero in patria (in questo caso i longobardi) confidando nell'aiuto di un altro straniero (i franchi).
  • Il Manzoni accetta l'idea che i destini di una nazione debbono essere decisi soprattutto dal suo popolo, non da popoli stranieri e neppure da singoli eroi (il "grande protagonista" della storia deve restare il popolo).

 

  • Il riferimento alla situazione contemporanea al poeta è evidente: lo straniero in patria sono gli austriaci e i borboni, lo straniero cui si chiede aiuto sono i francesi.
  • Il coro è la riflessione che il poeta fa sulle vicende della storia rappresentate in forma teatrale (in questo caso tragica).

 

Il cinque maggio

Dedicata a Napoleone. Scritta dal 17 al 19 luglio 1821, cioè subito dopo ch'era giunta a Milano la notizia della morte di Napoleone, avvenuta appunto il 5 maggio.

 

  • Il Manzoni non ha mai amato la dittatura di Napoleone, però considerava giuste le idee della Rivoluzione francese, che Napoleone voleva imporre con la forza a tutta Europa.
  • Il Manzoni qui non giudica Napoleone col metro morale, non si chiede cioè se il suo operato fu "vera gloria", in quanto lascia la sentenza ai posteri. Dice soltanto che anche in Napoleone, Dio ha compiuto i suoi disegni in modo misterioso, senza che neppure Napoleone se ne rendesse conto.

 

  • L'uomo-Napoleone appare al Manzoni migliore del dittatore, anche perché si diceva fosse morto cristianamente. Di conseguenza il vero soggetto dell'ode civile è Dio che redime gli uomini, e Napoleone non è che l'oggetto della provvidenza di Dio.

 

Manzoni minore
A) Produzione anteriore al 1810 (anno della conversione)
1) TRIONFO DELLA LIBERTA'(1800):
Poemetto in quattro canti, in forma di visione. Il Manzoni, quindicenne (!), animato da idee giacobine, esalta la rivoluzione francese e condanna la tirannide, sia politica che religiosa.
2) ADDA (1803):
Idillio dedicato al Monti, scritto in un giorno. Il fiume invita il Monti nella residenza manzoniana di Caleotto ed esalta il Parini che visse e poetò sul-la terra bagnata da esso. (Notevole e I la nitidezza espressiva).
3) IN MORTE DI CARL0 IMBONATI (1806):
Carme in endecasillabi sciolti. Carlo Imbonati, morto da poco, appare in sogno al Manzoni e gli traccia un nobile programma di vita e di poesia.
4) SERMONI (1804):
Il Manzoni denuncia il malcostume dei tempi, lo sfarzo dei ricchi, le smodate ambizioni, la petulanza dei letterati. (Evidente l'influenza del Parini)
5) URANIA (1809):
Poemetto mitologico.
La musa Urania vaticina che Giove, impietositosi degli uomini, invierà sulla terra le Muse perchè, grazie alle Arti, superino lo stato ferino e si innalzino alla civiltà( --- > Foscolo: “Le Grazie”).

 

B) Storiografia
1) SOPRA ALCUNI PUNTI DELLA STORIA LONGOBARDICA IN ITALIA (1822):
Il Manzoni sostiene che: a)Italiani e Longobardi
restarono due popoli distinti. b) Il papato difese gli Italiani, sudditi oppressi.

2) STORIA DELLA COLONNA INFAME (1842):
Nel processo agli untori, Guglielmo Piazza e Giangiacomo Mora,durante la peste del 1630, (la peste dei Promessi Sposi), i giudici avrebbero potuto evitare la condanna a morte degli accusati, nonostante errori e difetti delle leggi allora vigenti.

3) SAGGIO COMPARATIVO sulla Rivoluzione Francese del 1789 e la Rivoluzione Italiana del 1859 (Pubblicato Postumo nel 1889):
La Rivoluzione Francese, priva di giustificazione giuridica, utile e legittima agli inizi, degenerò assai presto, sfociando nel dispotismo. La rivoluzione Italiana è invece legittima, perchè fondata organicamente sull'unità delle aspirazioni e dei sentimenti di tutto un popolo.

 

C) APOLOGETICA
OSSERVAZIONI SULLA MORALE CATTOLICA (1819-II^ed.1855):
In polemica col ginevrino calvinista Sismondo del Sismondi, che aveva accusato la morale cattolica (e il papato) di essere stata la causa della corruzione e della decadenza degli Italiani, il Manzoni ribatte che la colpa è dei principi e dei politici che l'hanno applicata frettolosamente ed arbitrariamente o l'hanno trasgredita e applicata alla rovescia. La morale cattolica e' la sola santa (a ragionata in ogni sua parte.

 

PROMESSI SPOSI (sottotitolo: STORIA MILANESE DEL SEC.XVII SCOPERTA E RIFATTA DA A.MANZONI).
1) Composizione e pubblicazione:
1821-23 stesura (non pubblicata dal Manzoni) titolo: "FERMO e LUCIA"
1825-27 I^edizione 1840-42 IIA edizione

2) Durata dell'azione del romanzo:
2 anni- dal nov.1628 al nov.1630 (con accenni agli anni successivi al matrimonio).

3) Problemi vari:
a) Chi e' il protagonista del romanzo? Varie le risposte:
Renzo e Lucia e, più in generale, gli umili.
La Provvidenza (Dio).
Il 600 con la sua cultura.
Il Manzoni, con la sua concezione della vita.
La Storia, ossia l'umanità di tutti i tempi.
b) Perchè l'anonimo?
A parte la suggestione di esempi precedenti (Ariosto,Cuoco ecc.),l'espediente favorisce il colorito storico e consente al Manzoni il necessario distacco delle vicende narrate.
Secondo il Getto,l'anonimo del Manzoni, sarebbe un certo Pace Pasini, di Vicenza, che pubblìcò a Venezia, nel 1644, una "Historia del Cavalier Perduto".
c) Storia e Poesia (realtà ed invenzione).
La fusione è perfetta: non si avvertono discordanze e fratture.
d) Morale e Poesia.
il mondo morale manzoniano si risolve in rappresentazione, si concretizza in fatti e personaggi. La moralità non si sovrappone al racconto dal dì fuori, ma lo illumina dal di dentro. Tuttavía le preoccupazioni di ordine morale impediscono la rappresentazione della realtà umana in tutti i suoi elementi ed aspetti. Si tratta, cioè, non di incapacità, ma di consapevole rinuncia.
e) Cristianesimo e poesia.
Le convinzioni religiose, ovviamente, condizionano o meglio caratterizzano la visione manzoniana della vita. La concezione "Cristiana" dell'uomo e del suo destino non e' di per se  aberrante, tale Cioè da falsare la realtà umana. Resta tuttavia l'ambiguità della conclusione, discutibile non tanto in se, quanto nel modo piuttosto frettolosamente "idillíco". tutto "rose e fiori" con cui il Manzoni si congeda da Renzo e Lucia felicemente sposati.
f) Walter Scott e Manzoni.
Nonostante la "dipendenza" cronologica, il Manzoni può essere considerato l'iniziatore della moderna narrativa, perchè per lo Scott l'epoca storica è semplice sfondo di narrazioni piacevoli e disimpegnate.
g) Il sentimento democratico del Manzoni.
A questo proposito i limiti del Manzoni sono evidenti (ma sono i limiti del nostro romanticismo). Il Manzoni non vede nelle "masse'' non "illuminate" dalla ragione e dalla cultura (chiara eredità illuministica). Ma la sua e' una aristocrazia culturale, non dovuta, come sostiene Gramsci, ad un "paternalismo” cattolico, incapace di infondere vita
interiore negli umili.

 

Già nel 1806, a ventun’anni, nel “Carme in morte di Carlo Imbonati”, il Manzoni esponeva quei principi morali e quel culto per la VERITA’ cui si sarebbe ispirato con assoluta coerenza per tutta la vita, come uomo e come scrittore (Si leggano i versi 43-51: “Sentire – riprese – e meditar ecc.) Una prima formulazione della sua poetica il Manzoni la diede, nel 1820, nella Prefazione al Conte di Carmagnola e nella lettera al Signor Chauvet (pubblicata nel 1823). In questi scritti il Manzoni Combatte e respinge il principio dell’unità di tempo e di luogo nella tragedia (mentre accetta l’unità di azione intendendola come la legge dell’unità stessa dell’opera), chiarisce il significato e la funzione del coro nelle sue tragedie (= una pausa lirica dì cui l'autore si serve per commentare gli eventi, evitando così intrusioni soggettive nel corso dell'azione stessa; un “cantuccio” dove il poeta possa parlare in persona propria), distingue il lavoro storico dal lavoro poetico, definisce il campo d'azione e la sostanza della poesia.
Nel 223 il Manzoni scrisse la LETTERA SUL ROMANTICISMO a Cesare D'Azeglio; in essa si trova la famosa affermazione che l'arte devo avere per soggetto il vero, per scopo l'utile, per mezzo l'interessante. Questa formula, quando il Manzoni pubblicò la lettera nel 1871, si contrasse ìn una formula più sintetica: “la poesia deve proporsi per oggetto il vero" (Difatti il vero proprio in quanto "vero", è necessariamente utile e interessante). Sempre in questa lettera, il Manzoni rifiuta la mitologia (perché incapace di "parlare" agli uomini moderni e perché forma sopravvissuta di idolatria pagana) e confessa la difficoltà di definire con esattezza il "vero" poetico (definibile piuttosto attraverso ciò che esso vuole escludere: il falso, inutile, il dannoso).
Dei 1832 è la lettera a MARCO COEN, giovane veneziano che il padre aveva costretto ad interrompere gli studi e a dedicarsi al commercio e che aveva cercato nel Manzoni comprensione e conforto. Il Manzoni, con garbo e con fermezza, ribadisce in questa sede che la attività letteraria è una cosa seria, non distaccata dalle altre attività, né può pretendere di avere un primato su di esse; importante la frase; “I poeti son giudicati ogni di pA con questa ragione che, so le cose dette da loro fanno per loro soli e non importano all'umanità son cose da non curarsene; so importano, bi­sogna vedere come sian vere". In queste parole si può già cogliere il sin­tomo di un irrigidimento della posizione manzoniana, dovuto all'affievolirsi delle qualità fantastiche e al sormontare di quelle critiche e riflessive.
Di questo irrigidimento risento in modo più netto il trattato DEL ROMANZO STORICO (1845), dove il Manzoni afferma l'impossibilità di convivenza tra storia e poesia, condannando così anche l'Adelchi e i Promessi Sposi: per lui il vero storico è autosufficiente, non ha bisogno del vero poetico.
Infine, nel trattato DELL'INVENZIONE il Manzoni influenzato dalla conver­sazioni avuto col Rosmini, affermò che l'artista non "crea", ma "ritrova" la verità in Dio, che gli preesiste e lo trascende.

Il vero - secondo il Manzoni - si identifica Con la storia generale l'umanità nel suo insieme e con la storia particolare delle singole anime, purché questa sì immetta nel ritmo di quella; il vero "poetico" (diverso dal vero "storico") coincide con i sentimenti, le aspirazioni, gli Idea: che hanno accompagnato i fatti che la storia accerta, Interpreta ed espone; il poeta deve perciò impegnarsi in un'indagine attenta e approfondita dell'animo umano, nelle suo reazioni alle vicende storiche che lo toccano da vicino. Alla poesia Inoltre il Manzoni assegna un compito che potremmo chiamare dì integrazione e di riparazione rispetto alla storia, nel senso che, mentre la storia ufficiale dà risalto sempre e soltanto ai grandi personaggi e alle grandi vicende, trascurando o addirittura ignorando le moltitudini che soffrono per colpa degli ambiziosi programmi di pochi potenti, la poesia dove rivolgersi soprattutto alla vita e ai sentimenti degli umili e da li trarre spunto e ispirazione.
Un tal modo di intendere la poesia, la funzione che essa dove svolgere e gli strumenti che deve adoperare, spiega gli aspetti peculiari dell'attività letteraria manzoniana; e cioè:
a) La pazienza, la serietà e lo scrupolo con cui il Manzoni si documenta sui periodi storici, sulle condizioni della società in cui ambienta sua opera poetica; questo, per Impedire alla fantasia di abbandonarsi a costruzioni arbitrarie, lontane dalla verità (“L'essenza della poesia non consiste nell'inventare dei fatti... Il fondamento dell'interesse tragico deve nascere dal movimento storico e non da un semplice fanta­sticare…     Creare i fatti per adattarvi i sentimenti è la grave pecca dei romanzi…”).
b) Il rifiuto del soggettivismo lirico (di una poesia cioè che sia diretta espressione dei sentimenti privati del poeta) e, conseguentemente, il crattere oggettivo e corale, quasi antilirico, della lirica manzoniana, in quanto il poeta ha il diritto di parlare solo so si fa portavoce di quei sentimenti e di quegli ideali in cui un popolo intero, l'intera umanità sì riconoscano (Unica, notevole eccezione è tuttavia la lirica incompiuta "Natale 1831”).
c) L'atteggiamento antiumanistico, anticlassicistico, che il Manzoni ebbe in comune con gli altri romantici. E' frequente ed evidente la diffiden­za e l'irrisione per quella cultura e quella letteratura del passato che – a giudizio del poeta - risultasse o tramontata nelle forme e nei contenuti o disimpegnata, perché aristocratico e accademico passatempo di gente privilegiata ed oziosa, o addirittura fiancheggiatrice dei po­tenti e prepotenti ( Si ricordino: Don Ferrante, il "latinorum" con cui don Abbondio cerca di "intrappolare" Renzo, il dottor Azzeccagarbuglí).
d) La solidarietà con tutti coloro che sono oppressi e soffrono e, dì con­seguenza, la simpatia per chi reagisce all'oppressione, l'ammirazione per chi si Impegna, a volte fino alla dedizione totale di sé, a proteg­gere e difendere i deboli, lo sdegno nei confronti di chi opprime e fa soffrire. (Ma il Manzoni è troppo umano e troppo cristiano per negare la pietà a prepotenti ed oppressori, quando anch'essi sono visitati dal­la "provvida sventura").
e) La ricerca ed infine la conquista, tenacemente e pazientemente voluta, dì una lingua "Vera" per contenuti "veri" e democratici, tale da infran­gere (o almeno ridurre) la secolare barriera tra lingua letteraria e l'uso dei parlanti, tra pochi intellettuali e il popolo (sia pure "po­polo" nei limiti in CUI lo intesero i romantici) sistematicamente esclu­so dalla vita culturale.
Ogni poeta ha la sua POETICA, e cioè una sua concezione della poesia: quale è  la natura della poesia? Quale è lo scopo che con essa si intende raggiungere? Quali mezzi si debbono impiegare per raggiungere questo scopo?
La poetica del Manzoni è definita “poetica del vero”; infatti il Manzoni affermò che la poesia (o l’arte):

  • Deve avere per soggetto il vero;
  •  “     “    “  scopo l’utile;
  •  “     “    “  mezzo l’interessante.

Il poeta, cioè, deve dire cose vere, realmente accadute o che possono accadere; deve trattare argomenti dai quali il lettore possa ricavare qualche utilità per la sua formazione morale e intellettuale; deve usare uno stile capace di suscitare l’interesse del lettore, perché pochi leggeranno i suoi libri, se scrive in modo pesante e noioso, anche se le cose che dice sono importanti. Secondo il Manzoni, le verità che riguardano l’uomo e l’umanità si trovano nella storia; e, mentre lo storico accerta e racconta i fatti, il poeta individua e rappresenta i sentimenti e le idee che ebbero i protagonisti di quei fatti… Per questo il Manzoni trasse sempre ispirazione dalla storia, che studiò con molta attenzione, e concluse la sua “carriera” di poeta con un romanzo storico (I promessi sposi).
Il romanzo storico è un lungo e complesso racconto in prosa, in cui si svolgono varie vicende e in cui agiscono vari personaggi; vicende e personaggi o sono storici, cioè realmente accadute e vissuti (anche se lo scrittore si concede la libertà di modificarli più o meno profondamente), o sono inventati, ma in modo tale che siano coerenti con la situazione storica in cui vengono calati. Nei Promessi Sposi, ad esempio, sono fatti realmente accaduti i tumulti si San Martino a Milano, la peste, la calata dei Lanzichenecchi; sono personaggi storici Gertrude, l’Innominato, il Cardinale Federigo Borromeo; sono personaggi inventati Renzo, Lucia, Agnese, Don Abbondio, Perpetua ecc. ma tutti parlano e agiscono come parlerebbero e agirebbero persone effettivamente vissute nel ‘600.
In un’opera cosi concepita (sostenuta cioè da una tale poetica) è naturale che la poesia (intesa come “creazione” che ha in se stessa la sua ragion d’essere) si incontri e si mescoli con l’oratoria, e cioè con l’intento dello scrittore di ammonire ed esortare il lettore ad agire in un certo modo, ad evitare certi errori ecc.
Il Manzoni, milanese, nato nel 1785 e morto nel 1873, figlio di Giulia Beccarla, figlia di Cesare Beccarla (autore del famoso libro “Dei delitti de delle pene”), nella sua lunga vita assisté ad avvenimenti storici e culturali di grandissima importanza, che ebbero in lui e nella sua opera profonde risonanze:

  • La diffusione in Europa dell’Illuminismo – La Rivoluzione Francese e l’Impero di Napoleone – Il Congresso di Vienna.
  • La nascita e il diffondersi del Romanticismo, con le polemiche tra i classicisti, attaccati alla vecchia letteratura di imitazione greco-romana, e i romantici, sostenitori di una letteratura nuova, vera, moderna e nazionale. I primi moti per l’indipendenza d’Italia e,successivamente, le guerre d’indipendenza, la costituzione del Regno d’Italia (1861) e la conquista di Roma (1870), che divenne cosi capitale del Regno.

-----
Il Manzoni attese alla composizione dei Promessi sposi per circa venti anni (dal 1821 al 1840). Più precisamente:

  • Dal 1821 al 1823 attese alla prima stesura, che intitolò “FERMO E LUCIA” e che non pubblicò.
  • Dal 1823 al 1825 rielaborò radicalmente questa stesura e pubblicò la Prima edizione de “I PROMESSI SPOSI” (1825-27).
  • Nel 1840, dopo un’accurata revisione linguistica, pubblicò la seconda edizione (quella che noi leggiamo).

I Promessi sposi sono opera profondamente originale (il Manzoni, cioè, non imita scrittori precedenti), anche se l’inglese Walter SCOTT (autore, fra l’altro del famoso romanzo “Ivanhoe”) fu il primo a diffondere in Europa la voga del romanzo storico. (1)
-----

L’azione dei promessi sposi si svolge nel 1600, più precisamente, nel novembre del 1628 al novembre 1630. in quel tempo l’Italia, fatta eccezione per la libera repubblica di Venezia, era, direttamente o indirettamente, soggetta alla Spagna, che ha lasciato un assai brutto ricordo del suo malgoverno: disinteresse per i bisogni della popolazione; leggi numerose ed inutile (le famose “gride”), che non impedivano ai vari signorotti, tipo Don Rodrigo, di fare il proprio comodo, opprimendo i poveri e gli umili; sfarzo di pochi e miseria della maggioranza; economia ridotta in condizioni pietose, con l’aggravante delle continue ruberie e violenze delle soldatesche spagnole.
Anche la letteratura risentiva del generale clima di decadenza: imperversava il marinismo, il servilismo verso lo straniero, uno stile gonfio, altisonante, di cui il Manzoni ci da un saggio dall’inizio dei Promessi sposi.

(1) Naturalmente, il Manzoni non mancò di consultare storici e cronisti del Seicento, soprattutto il Ripamonti.
Il carattere romantico dell’opera manzoniana si riscontra:

  • Nell’interesse per la storia, per le situazioni e per i personaggi reali, corrispondenti cioè a ciò che gli uomini sono e fanno e a tutto ciò che a loro accade o potrebbe accadere;
  • Nel rifiuto di una letteratura disimpegnata , frutto cioè dell’ozioso passatempo di scrittori insensibili ai grandi problemi morali, politici e sociali;
  • Nell’interpretazione religiosa dell’esistenza umana;
  • Nell’impegno di una lingua che potesse essere mezzo di comunicazione tra tutti gli Italiani per ogni sorta di argomenti.

-----
Il 1810 (quando il Manzoni aveva 25 anni) è l’unica data importante della biografia manzoniana: è infatti l’anno del suo ritorno alla Fede Cattolica (la cosi detta “conversione”). Da quel momento il Manzoni fu convinto della presenza di Dio nella storia; Dio soprattutto come “Provvidenza”: e cioè a Dio sta a cuore il destino di ogni uomo, cerca, attraverso le vicende che gli suscita intorno, di condurlo verso il bene e perciò verso la salvezza eterna (Naturalmente, l’uomo è libero di non ascoltare la misteriosa voce di Dio e, di conseguenza, di continuare a vivere nella colpa, rischiando la dannazione). Il dolore, le sofferenze che spesso colpiscono l’uomo, si inseriscono in questo progetto di salvezza: essi, cioè, favoriscono il pentimento e purificano e redimono. Per questo il Manzoni parla di “provvida sventura”: il dolore, cioè, è provvidenziale, è o può essere un’esperienza positiva, se conduce, appunto, alla redenzione dal male.
Qualcuno ha voluto vedere nel cattolicesimo manzoniano tracce di Giansenismo (eresia diffusa da Giansenio, vescovo del 1600).
Secondo il Giansenismo:

  • L’uomo, dopo il peccato originale di Adamo ed Eva, è irrimediabilmente corrotto;
  • Le buone opere sono inutili: è assolutamente necessaria la Grazia di Dio per ottenere la salvezza eterna, che Dio concede solo a pochi predestinati, per un suo misterioso disegno.

Da queste premesse teologiche derivava:

  • Un assoluto rigore morale;
  • Una concezione pessimistica della vita.

-----

Il Manzoni è un attento osservatore degli uomini e delle loro azioni; ma non si limita ad “osservare”; esprimere sempre un netto giudizio morale. Perciò, mentre esalta gli esempi di altruismo, di bontà, di virtù (Fra Cristoforo, Il Cardinale Federigo Borromeo, Lucia), condanna l’ingiustizia, la prepotenza, l’ipocrisia (Don Rodrigo, Il conte Attilio, il Conte zio, Ferrer, il dottor Azzeccagarbugli), usando l’arma dell’ironia e del sarcasmo.
Quando invece si tratta dei comuni difetti connessi con la natura “media” degli uomini (Renzo, Don Abbondio, il sarto), il Manzoni usa l’umorismo, con cui esprime una indulgente comprensione per questi difetti, comprensione che, tuttavia, non è mai giustificazione.
Dinanzi alle grandi tragedie, che spesso sconvolgono la vita(la guerra, la peste) il Manzoni si fa, invece, serio e contempla commosso e solidale i diversi quadri di desolazione e di morte.
Di autobiografia in senso stretto non si può parlare, a proposito dei Promessi sposi; tutt’al più, è possibile rinvenire qualche traccia nella crisi e nella conversione dell’Innominato. Ma, in un senso più ampio, il romanzo è autobiografico là dove il Manzoni, attraverso fatti e persone, ci fa capire le sue idee e i suoi sentimenti (il che capita assai spesso).
L’amore non ha, nei Promessi sposi, quel rilievo, quell’importanza che forse molti si aspetterebbero, trattandosi, appunto, di due giovani che si debbono sposare. Certamente non mancano nel libro le indicazione fondamentali che ci permettono di capire che Renzo e Lucia sono sinceramente e profondamente innamorati l’uno dell’altro; ma il Manzoni ”sorvola”, non approfondisce; e tanto meno ammannisce particolari “piccanti”. A parte la considerazione che, essendo Renzo e Lucia personaggi del Seicento, sarebbe anacronistico un loro comportamento che ricalcasse comportamenti di tempi più moderni, la reticenza del Manzoni in questo campo è dovuta alla convinzione dello scrittore che l’approfondire il tema dell’amore, l’insistere su certi particolari, possono recare più danno che utilità ai lettori. Perciò non si tratta di incapacità o di inesperienza, ma di voluta e calcolata rinunzia da parte del manzoni.
-----

Il paesaggio manzoniano, oltre a riflettere, come il paesaggio di qualsiasi grande poeta, lo stato d’animo dei personaggi, è un paesaggio “religioso”, nel senso che nella natura si percepisce la misteriosa presenza di Dio, ammonitrice o consolatrice. Questo è evidente soprattutto nell’”Addio ai Monti” (parte finale del capitolo 8°)-, ma anche altrove. Ad esempio:

    • All’inizio del 4° capitolo, quando Fra Cristoforo va da Pescarenico alla casa di Lucia “Il cielo era tutto sereno” ecc.)
    • Nel capitolo 17°, quando Renzo giunge all’Adda; si ha prima un paesaggio notturno, pauroso, e poi quello luminoso dell’alba, che induce alla speranza
    • Nel capitolo 20°, dove è descritto il paesaggio che circonda il castello dell’Innominato; in esso si riflettono la solitudine e la sinistra potenza dell’uomo.

 

 

GENESI DEL ROMANZO MANZONIANO
Il Manzoni, per spiegare la genesi del suo romanzo, ricorre a questo espe­diente: finge di aver trovato un manoscritto anonimo del secolo XVII (1600), contenente una storia bella, degna di essere conosciuta e traman­data. Si accinge pertanto alla fatica tutt'altro che facile di decifrare il manoscritto per darlo alle stampe; ma: i guasti subiti col tempo dal­l'autografo (che e diventato "dilavato e graffiato), la difficoltà della decifrazione e lo stile secentesco in cui l'opera è scritta 1o dissuadono ben presto dal continuare; i lettori moderni, smaliziati e raffinati, arric­cerebbero il naso di fronte a quel diluvio di retorica rozza, di metafore ardite, di idiotismi lombardi, di sintassi traballante. Convinto pertanto che la sua fatica non avrà fortuna, il Manzoni richiude lo scartafaccio
nel cassetto; ma la bella storia è lì, nella sua mente, a proporsi urgen­temente, tanto più che alcuni di quei fatti, a prima vista strabilianti e attribuibili solo ad una fervida fantasia, avevano invece trovato confer­ma in altre opere dello stesso periodo accuratamente esplorate e dovevano perciò considerarsi come realmente accaduti. Perché, allora, non trarre
dal manoscritto là serie dei fatti, la "!storia" e rifare il libro in uno stile diverso, moderno, accessibile? Il Manzoni, congratulandosi quasi con sé stesso, per la ingegnosa trovata, la mette subito in atto dando origine a1 romanzo che noi leggiamo. Certo, quello dello stile diverso è un altro difficile problema; "chiunque - dice il Manzoni - senza esser pregato, s'intromette a rifar l'opera altrui, s'espone a rendere uno stret­to conto della sua". Egli prevede quindi le critiche che gli saranno mosse, ma ha pronte anche le obiezioni per ribatterle; oppure immagina di aver di fronte due critiche opposte e le fa battere l'una dall'altra, e così via; al punto che, quando cerca di mettere insieme le eventuali critiche e 1e sue risposte, si accorge che esse costituiscono un libro. Bando quindi a quella idea! Un libro nato per spiegare lo stile di un altro libro è cosa ridicola e, inoltre, di libri basta uno per volta.
I1 Manzoni, dunque, incomincia il suo romanzo fingendo di trascrivere un paio di paginette del manoscritto anonimo che dice di aver casualmente trovato; ma quelle pagine sono "sue" e rappresentano prima di tutto la - sua capacità di scrivere in stile secentesco. Il Rinascimento (1500) ave­va raggiunto, nella letteratura, l'apice della bellezza, dell'equilibrio, della misura; sembrava che avesse detto tutto quello che si potesse dire in ogni campo. Gli scrittori del Seicento vanno quindi alla ricerca del nuovo a tutti i costi; ma, soprattutto nella poesia, tale ricerca si attua solo su un piano di esteriorità, attraverso lo strenuo sforzo dell'inge­gno. Il fine è quello di dilettare, piacere, distrarre, stupire, meravi-gliare, eccitando la sensibilità e suscitando molteplici emozioni. E' que­sta, per l'appunto, la poetica (e cioè il modo di concepire l'arte) della "meraviglia"; poetica che di solito si cita con tre versi del Marino, il rappresentante più significativo della poesia secentesca:     
“E' del poeta il fin la. meraviglia:
parlo dell'eccellente e non del goffo;
chi non sa far stupir vada alla striglia".
In questi versi si esalta, l'eccellenza, intesa come ingegnosità, esaspe­rata bravura, acuta superiorità intellettuale, e si. biasima la goffaggine in quanto ritenuta arte mancata. Strumento fondamentale della poetica del1a "meraviglia" è il linguaggio figurato, intessuto di metafore e analoghi di iperboli e di antitesi, di allusioni e di impressioni musicali pitto­riche. Alla base di tale linguaggio sta un procedimento tecnico formale razionalizzato al massimo (il cosiddetto “concettismo”), foggiato, in modi ingegnosi e sottili (le "acutezze"); procedimento che viene applicato alla parola per elaborare una idea del tutto intellettualistica e per trarre da essa una deduzione rigorosamente condotta fino al suo risultato stra­ordinario e sorprendente che è spesso una semplice freddura o un bistic­cio.

INTRODURRE ESEMPI.
1)G.B. Manino - dall "Adòne": Elogio della rosa.
2)G. Salomoni - "L'uomo è nel mondo un corridore umano”(sonetto)
3)G. Artale - - Sonetto sulla Maddalena ("Se il crine è un Tago , e son due soli i lumi")
4)C. Achillini - "Sudate, o fuochi,, a preparar metalli" (Sonetto           per_ Luigi XIII)
5)G.M. Materdona - "Animato rumor, tnomba vagante”
(Sonetto sulla zanzara )
Altre metafore di poeti marinisti:
Il  sole: “…boia che taglia         “
Con la scure dei raggi il collo all' ombre"
le pulci: “stelle saltanti”
gli occhiali: "ali del naso
il tuono: "tamburo di Dio"
lo schioppo : "erutta il tuono e partorisce li lampo"
Come si vede, alla base di questo gioco stilistico secentesco sta la metafora. La metafora è la trasfigurazione di un concetto in una immagine e si fonda naturalmente su un confronto. Quando noi diciamo "un ingegno sfavillante", confrontiamo, mentalmente l'ingegno con una sorgente di numerose faville; cosi come, quando parliamo, in linguaggio sportivo, di “tifo”, ci fondiamo sulla immagine dell'entusiasmo per il gioco che si propaga nelle folle come per un contagio. Similmente alla metafora, la analogia è una comparazione abbreviata, una relazione di somiglianza basata sulla soppressione del “come" fra i due termini di comparazione o, anche, di uno dei termini stessi (es. Mario è un leone = Mario è for­te e coraggioso come un leone. Vivo in una Siberia = vivo in una casa fredda come la Siberia). Metafora ed analogia rappresentano quasi sem­pre per i poeti secenteschi forme di artificio cui si fa puntuale ricor­so al fine di enunciare, affermare, spiegare, svolgere concetti di iden­tità tra le cose, concetti che non corrispondono ad una vera necessità né del pensiero né del sentimento..

Le caratteristiche dello stile Secentesco si ritrovano tutte nelle pagine iniziali del romanzo manzoniano; ma a noi preme innanzitutto esaminare il contenuto di esse, contenuto che rivela le profonde intuizioni manzo­niane nella concezione della storia e in quella dell'arte. Esordisce, dunque, il Manzoni dicendo che la storia è una guerra contro il tempo, perché toglie di mano ad esso gli anni trascorsi e 1i fa rivi­vere; ma gli storici rapiscono al tempo solo le spoglia più sfarzose e, brillanti: eternano cioè con la bravura della loro arte solo le azioni dei Prìncipi e dei qualificati personaggi. Io purtroppo afferma il fin­to autore - non ho le qualità per elevarmi a tali pericolose altezze; ma, avendo avuto notizia di fatti memorabili, sebbene siano accaduti a "genti meccaniche e di piccolo affare", ho voluto metterli per iscritto. Ecco quindi la prima grande novità manzoniana: lo scrittore attribuisce ,ironicamente all'anonimo l'aver dovuto ripiegare sulla trattazione di avvenimenti accaduti a gente umile per mancanza di qualità idonee a  trattare le imprese dei potenti, ma è solo una trovata; per il Manzoni, infatti, la storia non è fatta solo dai grandi personaggi, ma da tutti, anche dagli umili; anzi, proprio sugli umili si riflettono con maggiore crudezza le ingiustizie e gli abusi perpetrati dal potere. Gli umili quindi entrano perla prima volta nel mondo nell'arte, per la prima vol­ta l'occhio di uno scrittore guarda con affetto e comprensione alle: vi­cende dei deboli, dei meno difesi, degli emarginati, mentre sullo sfondo L'approdo finale nel ROMANZO, coronamento e conclusione della poesia manzoniana il romanzo, infatti, appare non il frutto improvvisato di i           una scelta immotivata ma lo sbocco logico o quasi necessario delle promesso teoriche e di tutta In precedente attività letteraria; in es-so la v azione essenzialmente narrativa (o non "lirica" in senso stret­to) dei Manzoni trovava il genere letterario più congeniale e potevano articolarsi distendersi, intrecciarsi le sue molteplici esigenze: evo­cazioni di scenari e paesaggi storici, gusto del ritratto psicologico, tendenze riflessive e morali. Il romanzo, infine, permetteva al Manzo­ni di collocare in primo piano la sorte e lo vicende di tutto un popo­lo, di fare degli umili ì protagonisti della storia e di far gravitare intorno ad essi i grandi personaggi, come soccorritori o come oppresso­ri (cosa che nelle tragedie gli era riuscita solo a tratti e marginalmente) e dì stabilire altresì, attraverso una prosa indubbiamente più vicina       lingua parlata che non i versi, un contatto diretto o cor­diale con una vasta cerchia di lettori.
B)- EVOLUZIONE DEL CRISTIANESIMO MANZONIANO
Il 1810 (anno della cosiddetta conversione) rappresentò nella biografia manzoniana un punto d'arrivo (che, comunque, non rinnegava il passato), ma anello un punto di partenza, ché In concezione cristiana do! poeta non ci si presenta come qualcosa. di statico, di definito una volta­ per sempre; è possibile invece seguire le linee di una evoluzione, che, li­mitatamente al periodo più propriamente creativo, può essere schematizzata nel modo seguente:
a) dal 1810 al 1815 circa - Il Manzoni, con l'entusiasmo, l'euforia quasi, propri di un neo-convertito, celebre la redenzione degli uomini, e spe-cie degli umili, cene conseguenza dell'intervento provvidenziale di
Cristo nella storia dell'umanità. E' il momento di un ottimismo cristi poco meditato e piuttosto gratuito, che sì esprime nei  primi quattro i sacri.
b) dal 1816 al 1821 circa - Il Manzoni ricerca nella storia la conferma della sua intuizione e riceve una profonda delusione, perché la venuta di Cristo non gli sembra che abbia prodotto effettivamente il riscatto degli uomini, la loro liberazione dal male: la storia la fanno i malva-gi; ì buoni non hanno alcuna possibilità d'azione, di contrapporre il bene al naie. E' il momento di un pessimismo cristiano parziale perché solo su pochi discende la Grazia, che li salverà dopo averi misteriosamente prescelti (si devo parlare di Giansenismo?); passivo perché i buoni sono condannati all'inazione, soffrono quaggiù per essere felici solo in ciclo dopo la morte. Il pensiero religioso manzoniano di questo momento si esprime nelle due tragedie e, quasi sin­tesi di esso, sono le significative parole che Adelchi morente rivolge al padre Desiderio prigioniero di Urlo Magno (Adelchi - AttoV, scena VIII, vv.339-364 - In Salinari-Ricci: pagg. 340-43; vv.17-43)
c) del 1822 al 1825 circa - Il Manzoni ha superato la crisi; i buoni li vedo presenti e attivi nella storia (Lucia, Padre Cristoforo, il Cardi­nale Federigo Borromeo, l'Innominato dopo la conversione, Ronzo ecc.);
le forze del bene non solo contrastano quelle del male, ma alla fine prevalgono, anche se la vittoria finale del bene: sul male non è il frut­to dei piccoli piani degli uomini, ma dell'intervento misterioso e ri­solutore della Provvidenza. Inoltre la Grazia non è più un dono largito n pochi, ma è una luce che si accende in molti e, almeno potenzialmente, non è negata n nessuno. Questo terzo momento, che potremmo definire di un pessimismo cristiano attivo e cattolico ("cattolico" nel senso suo proprio di "universale"), è evidente, oltre che nei Promessi Sposi, nell'ode Marzo 1821 e nel quinto Inno sacro “La Pentecoste”.

C)- L'INTERPRETAZIONE = RUSSO
Alla base della poesia manzoniana si coglie sempre un'ispirazione etico-storica, la quale passa Irrequietamente attraversa tre momenti: un momento di abbandono fantastico, più propriamente "lirico"; un momento me­ditativo o storicamente illustrativo; e infine un momento oratorio vero e proprio. In altre parole, secondo il Russo, lo poesia manzoniana sorge sull'Indagine storica e si nutre delle istanze morali dell'autore; in essa a1 possono sempre individuare tre componenti, a volte succedentisi, a volte comprensenti, ma comunque non separabili, nel senso che l'una non può fare a meno dell'altre, non è pensabile senza lo altre: contemplazione, meditazione e intento parenetico(l'intenzione cioè, più a meno scoperta, più c meno consapevole, di esortare e persuadere). Anche Il periodo prosastico manzoniano risulta - dice il Russo - un "nesso lirico-meditativo-pratico e in esso l'eccellenza della disciplina artistica consiste nel rapporto del tra toni".
Uno degli esempi migliori di tele "rapporto armonico dei tre toni" le of­fre il primo coro dell'Adelchi ("Dagli atri muscosi ecc"): la meditazione sulle condizioni in cui, ad un corto momento della loro storia, si vengono a trovare tre popoli (gli Italiani, inerti spettatori; i Longobardi in rotta; i Franchi vittoriosi), sui rapporti che tra di essi si vengono a stabilire, sui moventi e sulle conseguenze, sui modi c sui tempi delle guerre di allora (e di tutto le guerre), si traduce in una serio di quadri di una evidenza e di una verità straordinarie e Implica - senza dichiararli espressamente - l'esortazione agli Italiani dell'Ottocento in particolare e a tutti i popoli in generale a far da sé, a non attendersi 1n liberazione dallo straniero; e il monito severo che la libertà non è un dono grazioso che altri ci possa fare, ma una conquista in prima persona, che costa sacri­fici, lacrime e sangue.
D}- LA QUESTIONE DELLA LINGUA
Il Manzoni, convinto che all'unità etnica dove cor­rispondere una unità linguistica (e cioè, se c'è un popolo, ai deve essere necessariamente anche la lingua "nazionale" di quel popolo), si pose il problema di quale dovesse essere la lingua che gli scrittori in generale e lui in particolare dovessero adoperare. Orbene, per il Manzoni la lingua complesso di vocaboli e di norme grammaticali regolato dall'USO ti; quindi la lingua nazionale non può essere un idioma foggiato artificio­samente con vocaboli raggranellati dai vari dialetti e non  parlato in nessuna parte del paese, ma è il dialetto di una determinata città, scelte per ragioni storiche e culturali. Nel caso della Francia, 1n città è Parigi, nel caso dell'Italia, la città è Firenze. Perciò la lingua italiana concide con l'USO VIVO DEI BEN PARLANTI FIORENTINI. Tale lingua, permettendo a chi parla e a chi ascolta, a chi scrive e a chi legge di comprendersi reci­procamente, potrà essere mezzo di comunicazione, per ogni sorta di concetti fra tutti gli Italiani e potrà eliminare (o almeno ridurre) In secolare distinzione fra lingua letteraria e l'uso dei parlanti.
La soluzione proposta dal Manzoni é "romantica", perché, partendo da una con-cezione antiletteraria e antiumanistica, pane a basa dalla lingua l'uso a perché le assegna una funzione sociale e politica; ma, sottolineando la funzione acciaio, il Manzoni mette in ombra l'apporto individuale dell'ar­tista.
Scritti del Manzoni sul problema della lingua: 1)- SENTIR MESSA (titolo ri­cavato artificiosamente da una citazione con cui il Manzoni inizia la trattazione); pubblicato postumo nel 1923, è il libro che, se fosso state con­dotto a termine, avrebbe dovuto intitolarsi "Della lingua italiana", divi­so in tre parti: a)- Natura del linguaggio. b)- La vera lingua italiana. e}- Fini della lingua unitaria. E' questo 11 libro cui il M. accenna nell’ Introduzione dei Promessi Sposi}. - 2)- Lettore al Carena, ai Bonghí, al Casanova - Relazione al Lini stro Broglio.

 

Fonte: http://www.luigisaito.it/appunti/manzoni.zbqrwxyfpu.doc

Sito web da visitare: http://www.luigisaito.it

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

Alessandro Manzoni vita e opere

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

Alessandro Manzoni vita e opere

 

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco

www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve

 

Argomenti

Termini d' uso, cookies e privacy

Contatti

Cerca nel sito

 

 

Alessandro Manzoni vita e opere