Letteratura appunti 900

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Letteratura appunti 900

IL DECADENTISMO

Verso la crisi
Con un processo lento, ma inarrestabile, negli anni fra il 1870 e il 1900 si sgretolarono i presupposti della società liberale, i miti su cui si reggeva, le manifestazioni artistiche e di pensiero nelle quali si esprimeva. Crollò a poco a poco il mito di un'Europa solidale.
In quei decenni, alla coscienza del legame che unisce tutti i popoli si sostituì il culto degli interessi particolari di ogni singolo stato: all'idea di nazione, subentrò quella di stato, con i suoi diritti e la sua "ragion di stato".
A questi accenni di nazionalismo si accompagnò la convinzione che la guerra era necessaria, non solo come strumento di difesa, ma come espressione di potenza.
Nel frattempo, perdeva credibilità l'idea di democrazia come strumento di governo e fonte di civiltà.
La scienza stessa, protagonista dell'Ottocento positivista, vide ridimensionarsi la propria importanza nello sviluppo della società. Si tentò sempre più spesso di coniugare scienza e fede.
A provocare la distruzione degli ideali liberali era, in primo luogo, il costituirsi sempre più imponente di strati di proletariato industriale e il primo formarsi di un proletariato rurale, nonché la presa di coscienza del "quarto stato" e il suo organizzarsi irruente sotto l'influsso delle dottrine anarchiche e di quelle marxiste.
Gli aspetti politico sociali della crisi
Attorno agli anni 90 dell'Ottocento si può parlare, in Italia, di fine della cultura positivista. Una svolta antidemocratica venne preparata da un susseguirsi incalzante di avvenimenti, che caratterizzarono l'ultimo decennio del secolo. Nel 1892 nasce a Genova il Partito Socialista Italiano; nel '94 insorgevano in Sicilia i cosiddetti "fasci siciliani", causando violente repressioni; nel '98 si verificano tumulti nell'Italia Centrosettentrionale.
Sempre nello stesso decennio, l'Italia patì una bruciante sconfitta in Africa orientale e, con la battaglia di Adua (1896), fu costretta a rinunciare, almeno temporaneamente, ai propri sogni di fondare un impero coloniale.
Nel 1900, morì, in seguito a un attentato anarchico, il re Umberto, evento che accrebbe lo sgomento dei ceti dirigenti e degli uomini d'ordine. Il 1909 vede la nascita, in Italia, del Partito Nazionalista. Nel 1915 prende l'avvio la Prima Guerra mondiale, cui succedono anni di violente scosse politiche, l'avvento del fascismo, le guerre di Spagna e di Etiopia e, infine, nel 1939, a conclusione di cinquant'anni tormentati, lo scoppio della seconda guerra mondiale.
La polemica antipositivistica
Il positivismo, pur con tutti i suoi limiti, era stato un modo di interpretare il mondo, tipico di una borghesia liberale, che affrontava i suoi compiti storici con energia e fiducia: l'adesione alla realtà, lo studio del vero, il culto della scienza, la fiducia nel progresso, la volontà di modificare l'ordine esistente, la tendenza ad avvicinare alla cultura anche gli strati sociali subalterni, erano tutti elementi che denotavano un atteggiamento illuminato, se non illuminista.
L'atteggiamento progressista del positivismo viene ripudiato dalle nuove generazioni, che reclamano il ritorno a forme idealistiche e spiritualistiche di cultura: la speculazione astratta finisce così per sostituire l'osservazione concreta della realtà; la scienza viene svalutata; gli intellettuali si distaccano sempre più dalle masse.
La polemica contro il positivismo finisce coll'aprire la strada a molteplici dottrine, dalla provenienza più disparata.
La nuova cultura
Si fanno strada il soggettivismo e il relativismo. L'arte non intende più essere la rappresentazione della realtà, vera o verisimile, ma costituisce il tentativo di cogliere la labilità mobile e sfuggente dell'esistenza, sentita quale fluire incessante. Alla base dell'opera narrativa, teatrale o lirica, sta un uomo diverso da quello di ieri, mosso da forze inconsce eppure operanti  nella sua interiorità.
Il termine "decadentismo"
Il concetto di decadenza, o meglio, la coscienza di vivere un'età di decadenza, si era diffuso già nella Francia del secondo Ottocento, sotto Napoleone III. Già nel 1857, Baudelaire aveva protestato contro l'impiego, in senso spregiativo, della frase "litterature de decadence"; verso il 1880 vengono definite decadenti le opere di pittori e scrittori che si riuniscono attorno a una rivista, Le Decadent.
Il termine nacque, dunque, in Francia e si diffuse in una accezione negativa, come spesso accade, a esprimere una condanna morale prima ancora che estetica.
Più tardi, in Italia, si è cominciato a usarlo per raggruppare e definire scrittori come D'Annunzio, Pascoli, Fogazzaro. Il termine "decadentismo" verrà impiegato, all'incirca, fra il 1890 e il 1945.
Componenti e aspetti
a. il deteriorarsi del positivismo
Il sorgere della sensibilità decadente è anzitutto da mettere in relazione col progressivo deteriorarsi del positivismo, il movimento che sul versante artistico portava al naturalismo. Tale scuola però, almeno a partire dai primi anni '80 dell'Ottocento venne seguita sempre meno per i seguenti motivi:

  • Le premesse scientifiche del naturalismo approdano sovente a una narrativa in cui predomina una concezione deterministica dell'uomo, tale da sfociare nel fatalismo e nella sfiducia nei confronti dell'individuo (per esempio la narrativa di Verga).
  • L'artista, confinato dentro gli ambiti angusti del reale, non si ritiene libero di scegliere i suoi temi.
  • La crisi del positivismo va di pari classe con la crisi etica del ceto che meglio incarna tale ideologia: la borghesia.

Gli artisti decadenti (pittori, scrittori, musicisti) si oppongono all'oggettività del naturalismo e del verismo ed esprimono nelle loro opere soggettività, irrazionale, malessere, disagio, inettitudine.
b. dal dato reale alle suggestioni musicali
Ha luogo, quindi, un progressivo orientamento verso un'arte sottratta al condizionamento della realtà.  Il mutamento in oggetto si verifica prima in pittura e in poesia, poi si manifesta anche nella narrativa. Il dato reale, limitato, angusto, puramente esteriore non appaga più. Si teorizza non più la conoscenza della realtà, bensì dell'anima della realtà e lo strumento principe di conoscenza viene individuato nella poesia.
Si viene così a creare un canone fondamentale del decadentismo: l'equivalenza arte=conoscenza.
Perdono valore la rima, l'eloquenza, il parnassiano impegno del verso bassorilievo, mentre la poesia accoglie suggestioni dalle altre arti, dalla musica specialmente. La suggestione, per esempio, esercitata da Richard Wagner è grandissima.
c. marxismo e decadentismo di fronte alla società borghese
Quest'arte da iniziati è la conseguenza di un distacco dell'artista dalla società in cui vive, di un consapevole distacco, in quanto rifiuto e ribellione alle sue norme e ai suoi valori. L'intellettuale sente svuotarsi il proprio ruolo, di fronte alla prepotente ascesa della borghesia.
La società cui il decadentismo si oppone, è la società industriale, nel compimento della sua prima rivoluzione. Gli aspetti inumani, la logica del profitto, l'alienazione di tale società erano già state messe in evidenza, almeno sul piano filosofico-politico, da Marx e Engels, che da tale analisi arrivavano a formulare la necessità e le tecniche di una lotta per il ribaltamento e per l'edificazione di una nuova società.
La motivazione degli artisti decadenti è diversa; al contrario di Marx e di Engels, le loro motivazioni di contrasto non sono politico-filosofiche, quanto estetiche. Se Marx ricusa lo sfruttamento e la riduzione dell'uomo a cosa, gli artisti attaccano la volgarità, il cattivo gusto borghese, i suoi angusti orizzonti, che non vedono altro che il guadagno e, se sfiorano l'arte, la concepiscono didascalica, piattamente realistica e filistea.
Le differenti motivazioni portano a conclusioni antitetiche: politico-sociali, con l'organizzazione della lotta proletaria, per Marx e per Engels, estetiche nel caso degli artisti con la fuga in un artificioso mondo di bellezza, ossia in quell'atteggiamento artistico ed esistenziale denominato "estetismo" .
d. il superomismo di Nietzsche
La filosofia di Nietzsche si inserisce, come gli atteggiamenti decadenti esaminati, nel più vasto movimento di reazione antipositivistica e di polemica contro la tirannia della ragione scientifica.
Contro l'angusto conformismo dei principi democratico-egualitari e contro la banale fiducia nel progresso che avviliscono le più vive componenti della personalità umana e livellano tutti, Nietzsche innalza con accenti lirici la sua protesta esaltando invece la forza, l'amore sessuale, la gioia di vivere e , all'apice di tutto, lo spirito agonistico e la volontà di potenza. Sono queste le precipue componenti di quello che egli chiama "lo spirito dionisiaco".
Il momento dionisiaco si realizzerà nel superuomo che, vanificando ogni remora e condizionamento, realizzerà pienamente un nuovo esemplare di umanità, al di là della morale comune con i suoi concetti di bene e di male, di pietà per i falliti e per i deboli, destinati in questa lotta a soccombere.
La quale morale comune, poi, per Nietzsche, non è che una forma di mascheramento, di menzogna, di falsa coscienza, che presenta come valori morali, chiamandoli pietà e altruismo, la debolezza e l'affievolirsi della gioia dionisiaca del vivere. Si tratta secondo Nietzsche dei frutti avvelenati prodotti dalla predicazione cristiana.
La posizione del filosofo tedesco è apertamente antidemocratica. La polemica contro il livellamento democratico e il conseguente culto per l'uomo d'eccezione, porta ad auspicare l'avvento di un governo forte, di una politica di acceso nazionalismo.
Nietzsche introduce poi nuovi motivi nel decadentismo e cioè l'attivismo, il vitalismo, la ricerca del rischio e dell'esperienza di vita al di là del bene e del male. A prima vista sembra trattarsi di una contraddizione con quegli aspetti del decadentismo già trattati e in parte lo è, ma medesima è la radice, il punto di partenza: il distacco dell'artista dalla società, la sua solitudine che, disprezzando gli altri, o si incupisce nella disperazione  o si esalta nella sperimentazione di una vita ferina e faunesca.
e. l'intuizionismo di Bergson
Sempre nel solco dell'irrazionalismo che domina gli ultimi decenni dell'Ottocento, si inquadra la figura di Henri Bergson. Qualche rapido cenno alla sua filosofia:

  • Bergson, indebolendo la scienza, apre la via all'affermazione di valori spiritualistici, religiosi, mistici o comunque irrazionalistici.
  • Bergson oppone due forme di conoscenza: quella estrinseca, che si basa su dati empirici (il prima e il poi) e quella interiore che dissolve le intelaiature entro le quali noi sistemiamo i dati sensoriali e al prima e al dopo sostituisce e contrappone la durata, cioè la contemporanea presenza nella nostra coscienza del passato e del presente, del ricordo che si proietta sul presente e lo condiziona, ce lo fa apparire in un modo o in un altro.
  • Noi cogliamo il senso più profondo della realtà non con l'intelligenza, che utilizza i concetti e le astrazioni elaborate dalla scienza, ma con l'istinto, che al suo grado più alto diventa intuizione. Tramite l'intuizione noi penetriamo l'essenza delle cose, cogliamo nel profondo il divenire stesso della realtà.

f. la scoperta dell'inconscio di Freud
Proprio mentre Bergson elaborava il suo intuizionismo, Freud edificava la psicoanalisi e sceglieva come materia di indagine le componenti irrazionali della personalità umana, cioè i sogni, i ricordi della più remota infanzia sommersi nel profondo della memoria e gli istinti negati dalla morale borghese corrente.
Freud, riprendendo motivi già sviluppati dalla filosofia nicciana, indagherà sul meccanismo psicologico per cui l'uomo si maschera a se stesso, si autoinganna; spiegherà come alla base di tanti atteggiamenti che apparentemente si accordano con la morale riconosciuta ci siano la repressione, il senso di colpa, la sublimazione della libido.
Il pensiero di Nietzsche, di Bergson, di Freud è espressione di un'atmosfera di crisi. Freud, però, è al contempo dentro e fuori di tale crisi. Certamente, fondando la dinamica della personalità sulla vita istintiva e, principalmente, sull'istinto erotico e sostenendo che alla sua menomazione e repressione risale il disagio della civiltà, il neurologo viennese si inserisce pienamente nell'irrazionalismo del tempo. Ma è altrettanto vero che la liberazione dalla nevrosi, la conquista della integrità della personalità è possibile soltanto attraverso la presa di coscienza delle distorsioni e degli intoppi della meccanica psicologica. E a tale consapevolezza, che è espressione di dominio di se stessi, si arriva attraverso la ragione e proprio la fiducia in questo trionfo della ragione autorizza qualche speranza. In qualche modo, spezzoni di positivismo continuano ad attraversare le teorie freudiane
L'influenza della psicoanalisi sulla letteratura è enorme. Essa si manifesta sia nel campo della critica, fondando un nuovo metodo e fornendo nuovi mezzi e tecniche d'indagine sull'autore e sul testo, sia in quanto permette una consapevolezza dei fatti psichici che ha enormemente dilatato il campo e le tecniche di rappresentazione. Si pensi ad esempio ad un romanzo centrale del Novecento italiano ed europeo come La coscienza di Zeno, basato sulla terapia psicoanalitica del protagonista.
Bibliografia
Guglielmino S. Guida al novecento. Principato, Milano, 1971
Fortichiari, V. Invito a conoscere il Decadentismo. Milano, Mursia, 1987
Ghidetti, E. Il decadentismo. Materiali e testimonianze critiche. Roma, Editori Riuniti, 1984


IL DECADENTISMO ITALIANO

Gioverà, prima di procedere a un discorso analitico sui vari autori, individuare le linee di fondo, cioè le varie forme che il decadentismo assume in Italia.

  • Considerando come marginale, pur se interessante, la produzione di Fogazzaro, bisogna anzitutto soffermarsi sull'opera di Giovanni Pascoli. La posizione pascoliana si lega ai motivi più autentici del decadentismo e, a differenza di D'Annunzio, nel quale c'è molto di dilettantesco, appare oggi come l'esperienza poetica più profonda e feconda, in Italia, di tale movimento.
    Smarrito di fronte al mistero del cosmo, al dolore dell'uomo, deluso nelle speranze laiche (il socialismo e il progresso scientifico) inizialmente coltivate, Pascoli cerca di carpire alle cose di ogni giorno il loro senso riposto, la loro componente di mistero, scruta e si scruta con voluttà di pianto. E intanto, nelle sue opere più autentiche, rinnova in profondità il linguaggio e le strutture poetiche secondo moduli decadentisti.
  • C'è poi la vistosa posizione dannunziana che si manifesta in differenti atteggiamenti. In un primo tempo, ne Il piacere (1889), D'Annunzio si inserisce nella scia di A ritroso (J.-K.Huysmans) e de Il ritratto di Dorian Gray (O. Wilde), creando il personaggio di Andrea Sperelli: siamo, cioè, in pieno estetismo.
    In seguito, tuttavia, dopo la lettura e l'assimilazione delle opere di Nietzsche, il decadentismo dannunziano diviene mito del superuomo, vagheggiamento della vita ferina, attivismo. E questo non solo sul piano della produzione letteraria, ma pure su quello pratico e su quello politico.
  • In antitesi all'attivismo dannunziano e affine al dolente intimismo pascoliano, si situa la produzione poetica di Guido Gozzano e dei crepuscolari.
    Consapevole della sua solitudine e della sua condizione di sradicato, in questo in linea con le poetiche decadentiste, il poeta crepuscolare è incapace, però, di far propri i miti dannunziani.
    Si rifugia in un mondo di piccole e umili cose, di sonnolente abitudini provinciali. Ma si tratta di un'evasione ambigua: il poeta crepuscolare è troppo cosciente di se stesso per aderire con abbandono e ingenuità al mondo che vagheggia: lo accarezza, ma con scettica ironia.
  • Le posizioni che però si richiamano più strettamente al decadentismo sono quella di Luigi Pirandello, la cui opera, per temi e sviluppi, si inserisce organicamente nella produzione letteraria europea del Novecento e quella di Italo Svevo, che nella dissoluzione del personaggio quale la narrativa tradizionale lo intendeva, nella adozione di nuove tecniche narrative, nella fusione fra lucida introspezione e rappresentazione dell'"inettitudine" a vivere, si lega alle esperienze maggiori (Proust, Joyce, ecc.) del decadentismo.
  • Il decadentismo segna il nascere e lo svilupparsi di numerose avanguardie artistiche, movimenti che, pur nella diversità delle poetiche propugnate, mirano alla sperimentazione di nuove tecniche espressive. Le avanguardie, muovendo da premesse irrazionalistiche, segnano una radicale frattura col passato e sono voce e testimonianza della consapevolezza della crisi. In questo panorama, l'Italia è presente col futurismo.
  • Anche quel complesso movimento poetico denominato ermetismo è inseribile nella casella del decadentismo
  • Un discorso a parte merita la neo-avanguardia.

Bibliografia
Fortichiari, V. Invito a conoscere il Decadentismo. Milano, Mursia, 1987
Ghidetti, E. Il decadentismo. Materiali e testimonianze critiche. Roma, Editori Riuniti, 1984

LA POESIA CREPUSCOLARE

Contro la mitologia dannunziana non si opponeva il solo Benedetto Croce, ma anche quelli che furono definiti poeti crepuscolari. Fu Giuseppe Antonio Borgese che coniò la definizione "crepuscolare", in un articolo apparso su La Stampa il primo settembre 1910, dal titolo Poesia crepuscolare, intendendo definire la collocazione storica di questa poesia, che si svolgeva ormai ai margini, in una zona umbratile di crepuscolo, trascorsa ormai la luce meridiana della grande tradizione dei maestri dell'ultimo Ottocento.
Secondo Borgese i crepuscolari esprimevano "la torpida e limacciosa malinconia di non aver nulla da dire e da fare".
I temi
Questi poeti hanno un repertorio comune, cantano la sonnolenta e monotona vita di provincia.
E su tutto questo e all'interno di tutto questo aleggia la stanchezza del vivere, il disilluso ripiegamento su se stessi, l'incapacità di stabilire un rapporto armonioso col mondo, la voluttà della sofferenza e dell'autocompatimento, la banalità del quotidiano e l'antieroismo.
I crepuscolari esprimono tutto ciò in un linguaggio nuovo. La loro poesia, in esplicito contrasto con quella di D'Annunzio, rifiuta il superomismo, il panismo, l'estetismo, il lussureggiante abuso delle parole, assumendo, invece, un andamento prosastico e discorsivo, quando non consapevolmente ironico.
L'ambiente non è più l'alta borghesia dannunziana, ma diventa l'ambiente della media e piccola borghesia, con le buone cose di cattivo gusto (il salotto buono, i busti di Napoleone, gli animali imbalsamati). Trionfano i buoni sentimenti. Ma anche da tutto ciò i crepuscolari prendono le distanze, non sono persuasi, avvertono che i valori della borghesia tradizionale sono irrimediabilmente superati, impossibili da ripristinare.
Ma anche se antidannunziana, la poesia crepuscolare appartiene di diritto al decadentismo. Soprattutto perché esprime quella crisi di certezze, quel vuoto che abbiamo già esaminato e classificato come una delle componenti fondamentali del decadentismo. La frattura tra individuo e società, l'angoscioso senso di solitudine, il ripiegamento sull'interiorità sono gli aspetti più evidenti dell'epoca e nei crepuscolari sono tutti elementi ben ravvisabili.
Una scuola cosiddetta crepuscolare si può dunque situare nel primo decennio del Novecento. I poeti che vi sono ascritti presentano sensibilità, temi, moduli  in certo qual modo simili, arricchiti in ogni singolo poeta da contaminazioni di diversa provenienza.
I crepuscolari, insomma, non formarono mai, come invece i futuristi e altre avanguardie di inizio secolo, un movimento veramente formalizzato con terminologie proprie e progetti comuni.
Gli esponenti principali della poesia crepuscolare sono: Govoni, Gozzano, Moretti e Corazzini.
Bibliografia:
Guglielmino S. Guida al novecento. Principato, Milano, 1971
a cura di Gagliardi, R. Poeti del riflusso (antologia). Savelli, Roma, 197

 

 

 

Guido GOZZANO

La vita
Nasce a Torino nel 1883. Frequenta la facoltà di giurisprudenza a Torino, senza terminare gli studi. 
La sua breve vicenda biografica si svolge fra Torino e villa di Agliè Canavese, dove frequentemente amava soggiornare.
Due avvenimenti principali caratterizzano la sua esistenza: la relazione, tra il 1907  e il 1909, con la nota poetessa Amalia Guglielminetti e l'insorgere della tisi, che lo conduce alla morte, avvenuta nel 1916.
Alla malattia è collegato un viaggio in Oriente, intrapreso con la speranza di guarire.
Opere
La via del rifugio (1907); I colloqui (1911)
La consapevolezza ironica
Gli esordi di Gozzano sono dannunziani. 
In un componimento, L'altro, del 1907, è già possibile tuttavia individuare ciò che distingue Gozzano dagli altri poeti crepuscolari e cioè la consapevolezza ironica.
Se anche nei versi di Gozzano si trovano tutte le situazioni e i luoghi comuni della poesia crepuscolare, egli proietta però su tutto questo armamentario una luce ironica, che non è altro che la dimostrazione, sul piano poetico, della sua mancata adesione sentimentale a questo mondo.
Mondo creato e accarezzato, ma nel contempo dissolto, visto in controluce, con la consapevolezza che a quel mondo, a quel rifugio di ingenuità provinciale il poeta non può aderire.
Gozzano azzera la mitologia dannunziana, contrapponendo alla vita inimitabile del pescarese, la mediocrità piccolo-borghese o provinciale, utilizzando immagini e situazioni tipiche della scuola crepuscolare, salvo poi, a questo mondo scelto in funzione antidannunziana, aderire solo fino a un certo punto.
Il suo è un difficile equilibrio tra rievocazione e sorriso, tra affetto e ironia.
Demitizzazione della funzione della poesia
L'ombra del sogghigno, costantemente presente nell'opera di Gozzano, finisce con l'investire la funzione stessa del poetare, travolgendo in un inclemente processo di demitizzazione l'idea di gloria poetica e di poeta-vate, che proprio in quegli anni D'Annunzio alimentava.
L'amica di nonna Speranza
Componimento che, subito, divenne proverbiale.
Il poeta, sfogliando un album, ha rinvenuto la fotografia di un'amica della nonna, un dagherrotipo scattato nel 1850, quando la nonna e l'amica avevano da poco varcato i tre lustri, ed era ancora in vita la Torino di un tempo, con le mille "buone cose di pessimo gusto", che erano proprie delle famiglie dabbene.
Gozzano si abbandona a vagheggiare, a ricordare le immagini perdute. L'unica donna, che avrebbe potuto amare è proprio quella dell'antica fotografia, quella cioè che più non esiste e presuppone un altro "guidogozzano", non lo scrittore disincantato e ironico del Novecento.
Bibliografia
Guglielmino S. Guida al novecento. Principato, Milano, 1971
Cudini P. Breve storia della letteratura italiana. Il '900. Bompiani, Milano, 1999

 

Il FUTURISMO

La polemica contro D'Annunzio, già presente nei crepuscolari, si ritrova anche nel futurismo, così come è possibile rintracciarvi quel rifiuto del presente e dei valori democratico-egualitari che proprio in quegli anni animava le riviste fiorentine.
Nessun movimento artistico-letterario è stato nella storia della nostra cultura così esplicito e così fecondo di dichiarazioni di poetica e di manifesti programmatici.
Il futurismo propone un programma di profondo rinnovamento per tutte le arti e persino un nuovo senso del vivere, nuovi modelli di comportamento.
Famoso il manifesto pubblicato da Filippo Tommaso Marinetti su Le Figaro del 1909.
Esaltazione indiscriminata della macchina
I futuristi anzitutto si rendevano conto che la strada già imboccata dalla società europea e, sia pure con ritardo, dall'Italia, era quella della rapida industrializzazione e rivolgevano la loro attenzione e le loro simpatie alle componenti di questa nuova realtà: le macchine, i grandi complessi industriali e le grandi masse operaie, le città moderne, le metropoli, l'automobile e la velocità.
Ma l'accettazione delle nuove caratteristiche che la società andava assumendo era un'accettazione supina, acritica, che faceva coincidere il positivo, i nuovi valori con l'industrialismo, anzi dalle leggi e dalle necessità del sorgente capitalismo faceva derivare nuove norme, una nuova morale, basata appunto sulla competitività e sull'aggressività.
In altre parole, il futurismo è un caso esemplare di rapporto fra situazione sociale e letteratura: e gli atteggiamenti letterari fanno da copertura ideologica al meccanismo dell'industrialismo capitalistico.
Questo rapporto, forse poco chiaro all'inizio, risulterà evidente in seguito, quando il futurismo esalterà "la guerra sola igiene del mondo" e il nazionalismo, quando Marinetti scriverà un poema per la conquista della Libia e i futuristi saranno i più rumorosi fra gli interventisti prima, fra i fascisti poi.
La poetica
Mentre sul piano politico coesistono nel futurismo posizioni antitetiche, - si va dall'anarchismo all'anticlericalismo viscerale, dall'esaltazione delle lotte proletarie al nazionalismo più acceso, all'antisocialismo -, nell'ambito strettamente letterario è più agevole individuare il suo programma

  • Il futurismo è contro l'arte del passato fatta di languori sentimentali e di freddo ossequio a tradizioni mummificate.
  • La sintassi viene distrutta e le parole messe in libertà.
    Un mondo abitato da nuovi valori e da nuovi mezzi, - la velocità, la rapidità di diffusione di una notizia, la possibilità di comunicare contemporaneamente alle masse (si pensi al cinematografo) -, non può ancora dibattersi nei meandri della sintassi.
  • Immaginazione senza fili.

Da queste premesse discendono una serie di canoni, di mezzi tecnici, volti tutti a realizzare la simultaneità.
Conclusioni

  • Si può prudentemente affermare che mentre le altre avanguardie novecentesche (surrealismo, espressionismo, ecc.) hanno prodotto apprezzabili opere letterarie, il futurismo no
  • Dal punto di vista ideologico, il futurismo si inquadra in quel clima di irrazionalismo che si può far derivare dal pensiero di Bergson e da quello di Nietzsche.
    Da Bergson si mutua il processo della conoscenza intuizionistica; da Nietzsche si trae il senso agonistico del vivere, che diventa culto della forza ed esaltazione della violenza.

La propensione all'avventura, alla protesta, al nuovo dei futuristi italiani fu quasi sempre una disponibilità sprovveduta. Essi finirono con lo scambiare per forze nuove quelle che invece rappresentavano solo un nuovo modo di perpetuare vecchi interessi e vecchie mentalità.
Esaltando la velocità e l'automobile, favorivano, forse inconsapevolmente, l'industrialismo capitalistico; esaltando la violenza contribuivano a creare le premesse di una successiva restaurazione reazionaria.
Bibliografia
Guglielmino S. Guida al novecento. Principato, Milano, 1971


Giovanni PASCOLI

La vita
Quarto di dieci figli, Giovanni Pascoli nasce a San Mauro di Romagna il 31 dicembre del 1855. Amato dai genitori, lo svolgimento della sua prima infanzia è felice. Egli è particolarmente legato alla mamma. Nel 1862 va a studiare nel collegio dei padri Scolopi a Urbino. Sulla sua famiglia cominciano ad abbattersi le prime sventure: il 10 agosto del 1867 viene assassinato il padre Ruggero, amministratore del principe Torlonia; nel 1868 muore di tifo la sorella Margherita; qualche anno dopo scompare il fratello Gigino, a causa di una  meningite.
I lutti precoci lo segnano psicologicamente. Iniziano inoltre le prime difficoltà di carattere economico. Portato per lo studio, in particolare delle materie classiche, Pascoli, nonostante le traversie, si laurea a Bologna nel 1882, allievo di Carducci. Conosce il carcere, a causa delle sue idee socialiste; trova un posto di insegnante nel liceo di Matera, grazie all'interessamento di Carducci stesso. Inizia quella carriera di insegnante, o meglio di "cavalier errante dell'insegnamento", che lo porterà prima a Messina, poi a Pisa, infine a Bologna, nel 1905, titolare di quella cattedra che fu in precedenza di Carducci.
Temperamento ipersensibile, tendente al ripiegamento su se stesso e alla malinconia, vive lunghi periodi di fastidi e di depressioni, che tuttavia non gli impediscono di lavorare. Conosce dissapori familiari e si lega sempre più intensamente alla sorella Maria (detta Mariù). Muore a Bologna il 6 aprile del 1912.
Opere
Myricae (1903); Primi poemetti (1904); Nuovi poemetti (1909); Canti di Castelvecchio (1903); Poemi conviviali (1904); Odi e inni (1906); Poemi italici (1911); Poemi del Risorgimento; Carmina (1914, - in latino); Il fanciullino (1897, - in prosa)
Myricae
Termine preso da Virgilio, significa: tamerici. Si tratta di impressioni e piccoli quadri di vita campestre. Prevale la memoria di luoghi familiari, il poeta scansa i grandi temi della tradizione per ascoltare le piccole voci della natura. Pascoli si muove fra tradizione e innovazione, in particolare per quanto riguarda il linguaggio (con un uso sapiente delle onomatopee). Altri motivi della raccolta: il senso della morte e la condizione infelice del poeta.
Poemetti
Pur essendo difficile, nel caso di Pascoli,  procedere secondo una cronologia rigida, essendo molte sue composizioni  contemporanee fra loro ed essendo assolutamente coerente la sua produzione, nei Poemetti si può riconoscere tuttavia una struttura più ampia e un tema narrativo portante, l'amore di Rosa e di Rigo. Sullo sfondo c'è il consueto mondo agreste, con riferimenti alla Garfagnana. Il linguaggio è impreziosito da tecnicismi e dialettalismi. Pascoli utilizza la terzina "dantesca", alternando aulicità e umiltà, inquietudini, tormenti e morte.
Canti di Castelvecchio
Si tratta del capolavoro di Pascoli, in cui il poeta raggiunge la piena maturità artistica. Non ci sono più artificiosità o sperimentalismi.
Il fanciullino
In questa prosa, pubblicata su "Il Marzocco" nel 1897,  Pascoli enuncia la sua teoria poetica; il poeta è un fanciullino che mantiene uno sguardo incontaminato e originale sulle cose. Il fanciullino "è dentro di noi, [...] non solo ha brividi, [...] ma lagrime ancora e tripudi suoi". La percezione del reale viene associata alla soggettività, l'analogia diventa strumento principe della conoscenza, compito del poeta è stabilire la perfetta corrispondenza fra le parole e le cose.
Dalla necessità di esprimere alla perfezione tale corrispondenza derivano le innovazioni linguistiche di Pascoli e quindi l'uso di gerghi, onomatopee, allitterazioni, metafore, assonanze, rime, enjambements.
Alla base di questa poetica sta lo studio di James Sully, filosofo e psicologo inglese autore di Studies of Childhood.
Temi e motivi
La poesia pascoliana rievoca la campagna romagnola, il mondo e i sogni dell'infanzia e della giovinezza, è intrisa di simbologie (la nebbia, per esempio è un simbolo ricorrente). Si è detto spesso che la poesia di Pascoli è una poesia di umili cose, che sono simboli. 
La scienza ha reso l'uomo più insicuro, l'unica sua consolazione è la poesia. Di fronte alle vertigini e agli abissi dati dalla sua posizione nel cosmo, l'unico rifugio dell'uomo è il "nido", il piccolo mondo domestico della quiete agreste.
"C'è un gran dolore e del gran mistero nel mondo, ma nella vita semplice e famigliare e nella contemplazione della natura, specialmente nella campagna, c'è una gran consolazione".
C'è poi, spesso dominante, il tema della morte e del colloquio con i  morti, in particolar modo con la madre.
Dietro tutto il lavoro di Pascoli si avverte, inoltre, una profonda conoscenza della cultura classica, greca e latina.
Bibliografia
Petronio G. L'attività letteraria in Italia. 1970, Palumbo
Daverio R. Invito alla lettura di Pascoli. 1983, Milano, Mursia
De Rienzo G. Breve storia della letteratura italiana. 1998, Milano, Bompiani
Cudini P., Conrieri D. Manuale non scolastico di letteratura italiana. 1992, Milano, Rizzoli

Gabriele D'ANNUNZIO

La vita
Nasce a Pescara il 12 marzo 1863, da famiglia medio borghese. Studia fino alla licenza liceale presso il liceo Cicognini di Prato; ancora sedicenne pubblica la prima raccolta di versi, Primo vere.
Dal 1881 al 1891 si assiste al suo "periodo romano", fatto di avventure mondane, duelli, attività giornalistica e artistica. Nel 1897 viene eletto deputato per la Destra, ma in occasione delle leggi repressive proposte da Pelloux, si schiera con la Sinistra ("Vado verso la vita", dirà).
Tra il 1898 e il 1909, subentra il "periodo fiorentino": vive da raffinato esteta, ha una relazione con l'attrice Eleonora Duse. Nel 1910, a causa dei debiti accumulati nella sua esistenza dispendiosa, per sfuggire ai creditori ripara a Parigi, in uno dei suoi "esili volontari".
Rientra in Italia nel 1915 per partecipare alla propaganda interventista con accesi discorsi di autentica istigazione alla violenza. Si rende artefice di imprese ardimentose: la beffa di Buccari, il volo su Vienna; nel 1919 guida l'occupazione di Fiume. Tra il 1921 e il 1938 si ritira a Gardone, nella villa di Cargnacco, che trasforma nel museo della sua attività e delle sue gesta, il "Vittoriale degli Italiani". Prima della marcia su Roma ha contatti con Mussolini; celebra con scritti d'occasione la conquista d'Etiopia.
Muore a Gardone, il 1° marzo del 1938.
Opere
Raccolte poetiche: Primo vere (1879), Canto Novo (1882), Elegie romane (1892); Poema paradisiaco (1893)
Opere narrative: Le novelle della Pescara (1902); Il piacere (1889), Giovanni Episcopo (1891); L'innocente (1892); Il trionfo della morte (1894); Le vergini delle rocce (1895); Il fuoco (1900); Forse che sì forse che no (1910); La Leda senza cigno (1916)
Tragedie in prosa: La città morta, La Gioconda, La gloria (1899)
Tragedie in versi: Francesca da Rimini (1902); La figlia di Jorio (1904); La fiaccolo sotto il moggio (1905); La nave (1908); Fedra (1909)
Prose: Notturno (1921); Le faville del maglio (1924); Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D'Annunzio tentato di morire (1928)
Fasi della produzione letteraria dannunziana
D'Annunzio, nella sua prima fase, si rifà a Carducci e a Verga. Ben presto si distingue dai suoi modelli. Come narratore verista (Novelle della Pescara), non possiede di Verga, nonostante l'affinità dei temi affrontati, la pietà umana e l'impegno di comprensione storica; le sue plebi abruzzesi sembrano alla ricerca della sensazione acre e violenta, predominano il primitivo e il barbarico, l'istintiva animalità e l'inesausta sessualità.
Rispetto a Carducci, D'Annunzio è poeta di acceso sensualismo, prevalgono in lui la celebrazione del godimento e il sentimento panico della natura. Il compimento della prima fase si ha con Il piacere.
Succede, schematicamente, un periodo di stanchezza e di buoni sentimenti. D'Annunzio è un vorace assimilatore di tendenze culturali. A seguito della lettura di Dostoevskij e di Tolstoj, eccolo costruire un mondo letterario fatto di malinconici vagheggiamenti di bontà, di ritorno a una vita incorrotta, all'innocenza e all'infanzia, in una sorta di convalescenza dopo la realizzazione del piacere e la sazietà della carne. Ne sono testimonianze i romanzi Giovanni Episcopo e L'innocente.
A seguito della frequentazione della poesia di Verlaine, nel Poema paradisiaco D'Annunzio elabora una poesia intrisa di languore.
La svolta artistica decisiva si ha intorno al 1892: D'Annunzio subisce il fascino delle elaborazioni filosofiche di Nietzsche, un Nietzsche compreso solo in parte e volgarizzato. Inizia la lunga schiera dei superuomini dannunziani. Se Andrea Sperelli ne Il piacere disprezza il suo tempo soltanto in base a motivazioni estetiche, Claudio Cantelmo, che incarna ne Le vergini delle rocce, la politica del superuomo nicciano, motiva diversamente il suo disgusto e teorizza il diritto di dominio che spetta all'aristocrazia sulle plebi.
Stelio Effrena, il superuomo-scrittore, enuncerà ne Il fuoco l'estetica del superuomo: egli è capace di "una straordinaria facoltà verbale", grazie alla quale riesce a esprimere "istantaneamente nel suo linguaggio le più complicate maniere della sua sensibilità, con una esattezza e con un rilievo così vividi che esse talvolta parevano non più appartenergli, appena espresse, rese oggettive dalla potenza isolatrice del suo stile". L'opera d'arte dovrà spezzare gli schemi tradizionali: parola, musica e danza dovranno fondersi per conseguire il massimo grado dell'espressione della bellezza.
Tuttavia, malgrado gli arroganti propositi, i protagonisti dei romanzi di D'Annunzio falliranno: Claudio Cantelmo non approda alla scelta della principessa da sposare, Giorgio Aurispa ne Il trionfo della morte si suicida, Stelio Effrena non riesce a dare forma compiuta alla nuova arte da lui preconizzata. 
Vale la pena, giunti a questo punto, fare due considerazioni:

  • L'ideologia antidemocratica di D'Annunzio trova pieno riscontro nella società italiana dell'epoca, nel vagheggiamento di uno stato forte come reazione di difesa al crescente peso che le organizzazioni popolari vanno via via assumendo nel paese.
  • Il nuovo atteggiamento di D'Annunzio, inserito su un fondo di estetismo decadente, contrassegnerà la sua vita pubblica. Con il teatro egli pensa di diffondere più agevolmente le sue idee. I temi delle sue tragedie diventano lussuria e sangue, violenza e sacrilegio. 
    Si distacca da tale fisionomia La figlia di Jorio, ispirata a quel mondo abruzzese già rappresentato ne Le novelle della Pescara, ma proiettato quasi in uno sfondo di remota lontananza, sì che personaggi e vicende siano calati in un mondo primitivo e arcano.

Con Alcyone (1904), il terzo libro delle Laudi, ha inizio una nuova fase poetica, quella denominata "notturna". Appartengono ad Alcyone due delle poesie più belle del letterato abruzzese: La pioggia nel pineto e La sera fiesolana. D'Annunzio raggiunge il vertice della maturità artistica. I cambiamenti che intervengono nel suo modo di concepire la letteratura sono.

  • Abbandono sia delle pretese superomistiche che di quelle tribunizie di poeta-vate
  • Celebrazione della natura, ma senza la carica di sensualismo vitalistico del Canto novo, nè il manierato e languido abbandono del Poema paradisiaco; il paesaggio diventa stato d'animo, lo spettacolo della sera si fa suggestivo volto femminile.

Primo vere
Una sorta di omaggio alla poesia di Carducci, di cui ricalca lo stile.
Il piacere
Risente della lettura di A ritroso di Huysmans. Si tratta di uno dei romanzi più importanti del decadentismo non solo italiano, ma europeo. In questo romanzo all'uomo "economico" rozzo e volgare, D'Annunzio contrappone l'amante delle cose belle. 
Il protagonista, Andrea Sperelli, incerto fra l'amore carnale  per Elena Muti, che lo abbandona e quello spirituale per Maria Bandinelli Ferres (che fuggirà inorridita dopo un amplesso), è un esteta che vive tra oggetti eleganti e preziosi, un raffinato che si solleva dalla mediocrità del volgo cercando di rendere la propria vita un'opera d'arte.
Andrea Sperelli diventerà un modello inimitabile per la piccola borghesia italiana del tempo.
L'innocente
Tullio Hermil, un ex-diplomatico, narra in prima persona la sua vicenda. Dopo aver tradito ripetutamente la moglie, egli è preso da un improvviso desiderio di vita e pace coniugali. Un sospetto, poi rivelatosi fondato, lo macera: quello che la moglie lo tradisca con lo scrittore Filippo Arborio. Giuliana, la moglie confessa non soltanto il tradimento, ma di attendere un figlio dallo scrittore. Tullio è preso da rinnovata passione per la moglie, ma vede nel nascituro un ostacolo alla sua felicità. Impossibilitato di esercitare la sua vendetta su Arborio, ormai paralitico, decide di sopprimere il bambino.
Il trionfo della morte
C'è il rapporto tormentato tra Giorgio Aurispa, un uomo lucido, ma cinico e moralmente inerte e Ippolita Sanzio. La gelosia di lui mina la felicità della coppia e anche quando la gelosia si acquieta, subentra in Giorgio il tormento che non trova pace nè nella esaltazione della lettura, nè nella musica.
Giorgio trascinerà Ippolita nel suicidio.
Conclusioni

  • La parola di D'Annunzio è povera di interiorità, non ha nel lettore quelle risonanze proprie della vera parola poetica, la sua grande abilità fa sembrare che tutto per lui si risolva in una perenne sperimentazione sensoriale e letteraria.
  • Modernizza la letteratura italiana, collegandola alle più importanti correnti estetiche e filosofiche a lui contemporanee, che però D'Annunzio  impoverisce e volgarizza. Del decadentismo egli introduce in Italia solo gli aspetti più appariscenti.
  • Più marcata la sua influenza sulla società e sul costume. Grande la sua capacità di rendersi divo, personaggio.
  • Le parole chiave della produzione letteraria dannunziana possono essere identificate: nel superomismo, nell'estetismo, nel verismo (breve fase iniziale), nel panismo (particolare rapporto con la natura), nell'"amor sensuale della parola".
    Ma è il D'Annunzio "notturno", dell'ultima fase, quello che convince maggiormente la critica contemporanea, ripiegato su se stesso, non privo malinconie, teso "verso l'ombra", di grande consapevolezza e ricchezza interiori.

Bibliografia
G. Petronio, L'attività letteraria in Italia, Principato, Milano, 1970
S. Guglielmino, Guida al Novecento, Principato, Milano, 1971
A. Asor Rosa, Sintesi di storia della letteratura italiana, La Nuova Italia, Firenze, 1981
P. Cudini, D. Conrieri, Manuale non scolastico di letteratura italiana, Rizzoli, Milano, 1992 
G. Spagnoletti, Storia della letteratura italiana del Novecento, Newton, Roma, 1994 
G. De Rienzo, Breve storia della letteratura italiana, Bompiani, Milano 1997
A. Iudice, D. De Pini, Tutto su la letteratura italiana per l'esame di stato, Sandron, Firenze, 1999


Luigi PIRANDELLO

La vita
Nasce nel 1867 a Girgenti, oggi Agrigento. Si laurea all'università di Bonn nel 1891. Sposato con Antonietta Portulano, una crisi delle aziende di zolfo gli crea difficoltà economiche. Intanto nella moglie si aggrava la malattia nervosa, che la porta a sospettare che egli la tradisca: ogni tentativo di Pirandello per convincerla dell'assurdità di tali sospetti è inutile. 
Pirandello si dedica all'insegnamento e comincia a pubblicare. Aderisce al fascismo senza che ciò infici la sua produzione letteraria. Nel 1934 gli viene conferito il premio Nobel. Nel 1936 muore a Roma: vengono rispettate le clausole del suo testamento: essere ravvolto nudo in un lenzuolo e messo in una cassa sul carro dei poveri per un funerale senza fiori, senza discorsi, senza essere accompagnato da alcuno, nemmeno dai figli.
Opere
L'esclusa (1901); Il fu Mattia Pascal (1904); I vecchi e i giovani (1913); Uno, nessuno e centomila (1926); Novelle per un anno (1932-1937); Così è (se vi pare) (opera teatrale, -  1917); Il piacere dell'onestà (opera teatrale, - 1917); Il berretto a sonagli (opera teatrale, -  1917); Il giuoco delle parti (opera teatrale, - 1918); Sei personaggi in cerca d'autore (opera teatrale, - 1921); L'umorismo (saggio, - 1908)
I temi di fondo dell'opera di Pirandello sono già tutti presenti fin dal suo primo romanzo. Già ne L'esclusa abbiamo il contrasto fra apparenza e realtà e le verità sono tante quanti sono coloro che le enunciano. Continua Il Mattia Pascal, dolente testimone dell'assurdità derivante sia dal caso che regna nelle vicende umane, sia dalle pastoie delle convenzioni sociali, che sono invece un prodotto della storia.
La produzione letteraria di Pirandello ritrae una piccola borghesia - impiegati, insegnanti, possidenti, modeste stanze di case di provincia o di palazzi di città dove questi provinciali si sono inurbati -, ma solo nella sua dimensione esistenziale. Cioè a Pirandello interessa descrivere il punto di arrivo - così è la vita -, piuttosto che ricercare le cause. L'uomo è imprigionato nella propria esistenza dal caso e dalla storia.
Soltanto in un romanzo Pirandello affronterà il problema delle motivazioni dell'attuale società italiana in una prospettiva storica; si tratta de I vecchi e i giovani. Il romanzo è incentrato sull'amara delusione post-risorgimentale, sul conflitto fra la vecchia e la nuova generazione, che, insoddisfatta della stagnazione della vita politica di fine Ottocento, ricerca nuove strade. Sull'analisi storica della società Pirandello non tornerà più.
Pur partendo da una prospettiva verista, Pirandello nello stesso tempo se ne allontana. Crolla difatti l'idolatria del fatto obiettivo (già da L'esclusa); non esiste più un'univocità di interpretazione della realtà. Pirandello ci mostra la crisi dell'uomo moderno: la sicilianità diventa con lui il paradigma della contemporaneità.
L'esclusa 
Marta Ajala viene cacciata di casa dal marito perchè ingiustamente ritenuta adultera. Quando, esclusa dalla vita civile da un intero paese, diventa davvero  convivente del suo presunto amante, Gregorio Alvignani, il marito la riprende con sè, convinto della sua innocenza.
Il fu Mattia Pascal
Mattia Pascal è un uomo timido e modesto. Allontanatosi da casa dopo un litigio con la moglie, vince per puro caso al gioco una forte somma e legge su un giornale, altrettanto casualmente, la notizia della sua morte (al cadavere di un suicida è stata attribuita erroneamente la sua identità).
Mattia pensa di approfittare delle circostanze per rifarsi una vita, più libera e autentica. Col nome di Adriano Meis va a vivere a Roma in una pensione. Qui i rapporti con gli altri e l'amore per una donna lo portano a scoprire che egli non può vivere senza la sua identità personale, privo com'è della sua "forma" (stato anagrafico, identità civile, ecc.). Non gli resta che inscenare un suicidio - quello di Adriano Meis - e rientrare nella sua originaria condizione, nella primitiva "forma". Sennonché, quando torna, trova la moglie sposata a un altro e quindi la sua condizione è ancora una volta quella dell'esclusione e del rifiuto. Non gli resta che essere il fu Mattia Pascal  e recarsi di tanto in tanto a visitare la sua tomba.
Anche qui il caso realizza il suo trionfo e Mattia Pascal, pur arrovellandosi, deve amaramente concludere che è impossibile "voler estrarre la logica dal caso".
Mattia Pascal deve constatare quanto vincolanti siano le convenzioni sociali per la realizzazione della propria personalità, per l'esplicarsi di sentimenti pur modesti ed elementari come i suoi. È la constatazione del ruolo vincolante delle convenzioni e dell'impossibilità per l'uomo di liberarsene; da ciò deriva una situazione di conflitto tra uomo e società. Inutilmente l'individuo cercherà di realizzarsi pienamente: sbatterà sempre contro questo carcere senza finestre e senza porte. La vita associata si dissolve quindi in un pulviscolo di atomi, di monadi impenetrabili.
Le novità del teatro pirandelliano

  • Mentre il teatro precedente mirava alla rappresentazione di una realtà esistente come un dato di fatto, Pirandello (come già aveva fatto nei romanzi), introduce una visione non più statica, ma dialettica del reale, cioè una realtà oppostamente interpretabile e per questo priva di una sua oggettiva consistenza e tale che non può che generare lo scontro fra varie interpretazioni. Così è (se vi pare) è la prima opera teatrale in cui si realizza questa nuova concezione.
  • Questa premessa determina quella caratteristica raziocinante tipica dei personaggi pirandelliani, il loro arrovellarsi a ragionare, a spiegare (la famosa "cerebralità" pirandelliana).
    La commedia viene così ad assumere l'aspetto di un dialogo filosofico. Tale cavilloso ragionare dei personaggi pirandelliani, nasce dal tentativo di spezzare il carcere della solitudine, cioè dalla necessità di far combaciare le visioni opposte della realtà e stabilire quindi un terreno di colloquio, di comunanza. Poiché questo non è possibile, non resta allora che accettare la propria solitudine, il carcere, - cioè quella forma, quella maschera che imprigiona la vita -, in cui la visione degli altri, che non coincide con la nostra, ci ha condannati.
  • A queste due novità, ne va aggiunta una terza: la dissoluzione della finzione scenica, cioè il cosiddetto "teatro nel teatro", che nei Sei personaggi trova non l'unico, ma il più valido esempio.

Sei personaggi in cerca d'autore
Un dramma atroce si è presentato alla mente dello scrittore: quello di un padre che, dovendo naturalmente essere conosciuto dalla figliastra soltanto come padre, è invece stato sorpreso da lei in un casa infame, nell'atto di commettere un'azione vergognosa e proprio con lei, che per miseria andava a vendersi.
Ma questo dramma l'autore non ha voluto scriverlo e i sei personaggi rifiutati da lui si recano su un palcoscenico a chiedere a un capocomico quella vita artistica che soltanto un poeta potrebbe dar loro.
Qui Pirandello intende esemplificare il tema che più gli sta a cuore: l'incomunicabilità. La quale esplode proprio quando gli attori - pregati dai sei personaggi - cercano di rappresentare quella vicenda; ma i personaggi si sentono traditi da quel tentativo di oggettivazione, dalle parole che usano gli attori: la loro realtà esistenziale è un'altra.
L'innovazione tecnica - portare sul palcoscenico non un dramma fatto, ma un dramma nel suo progressivo farsi, cioè il cosiddetto "teatro nel teatro", segna il disfarsi delle consuetudini di verosimiglianza del teatro tradizionale e si colloca come una pietra miliare nella drammaturgia europea. E non era questo di Pirandello un gesto d'avanguardia puramente tecnicistico, ma esprimeva una necessità: dopo la descrizione di una società, alle cui false certezze l'autore siciliano aveva tolto impietosamente ogni velo, ora Pirandello faceva crollare anche le consuetudini, i modi di rappresentazione.
Dimensione europea di Pirandello
Con Pirandello, la nostra letteratura assurge a un livello europeo. Le ragioni possono essere così delineate:

  • La sua concezione dell'arte, nella quale ha tanta parte l'appello alla ragione, la sua distruzione dell'illusione scenica tradizionale, la sua concezione del teatro come dibattito e scontro di contrastanti interpretazioni del reale hanno molti punti in comune con quanto proprio in quegli anni stava tentando di fare Brecht.
  • Uno dei filoni più importanti del teatro contemporaneo, ossia il teatro dell'incomunicabilità, da Jonesco a Beckett, presuppone senz'altro la lezione di Pirandello.

Italo SVEVO

La vita
Nasce il 19 dicembre 1861, a Trieste, città allora mercantile e cosmopolita. Italo Svevo, al secolo Ettore Schmitz, è il quinto di otto figli.
Il padre Francesco è un facoltoso borghese che, per un affare sbagliato, perde parte delle sue fortune.
L'educazione di Ettore procede all'insegna della disciplina e degli studi commerciali, così come vuole il padre. A dodici anni va a studiare, con i fratelli, in un collegio tedesco. A diciotto frequenta a Trieste l'Istituto Commerciale Revoltella.
Lo lega un affettuoso legame col fratello Elio, il quale lascerà nel suo diario una preziosa testimonianza sul consanguineo letterato.
A causa del sopraggiunto dissesto economico della famiglia, Ettore si trova costretto a cercare un impiego. Diventa corrispondente presso la succursale triestina della Banca Union di Vienna. Vi svolgerà un coscienzioso e diligente lavoro per diciotto anni. Per arrotondare le entrate fa inoltre l'insegnante e il giornalista. Le ore libere le occupa studiando. La sua vocazione non è il commercio e nemmeno il lavoro da impiegato, bensì la letteratura.
Dà alle stampe i suoi primi libri, che vengono accolti con freddezza dalla critica e dal pubblico.
Nel 1896 sposa la cugina Livia Veneziani. Nel 1899 entra nella ditta dello suocero, riconquistando l'agognato benessere economico. Abbandona la letteratura, definendola addirittura "ridicola e dannosa cosa".
In quegli anni a Trieste c'è James Joyce. Svevo lo conosce; Joyce diviene il suo insegnante di inglese oltre che amico ed estimatore.
È del 1918 la sua scoperta della psicoanalisi: Svevo se ne appassiona, legge molti libri di Freud, tenta persino una rudimentale quanto coraggiosa autoanalisi.
Dopo che anche il suo capolavoro, La coscienza di Zeno, frutto di anni di lavoro e di riflessione passa fra l'indifferenza della critica, finalmente il successo letterario gli arride nel 1926, quando la rivista francese Le Navire d'Argent dedica un numero allo scrittore triestino. La fama dalla Francia si diffonde ben presto anche in Italia, grazie a Eugenio Montale, che parla di Svevo in termini entusiastici.
Italo Svevo muore, in seguito a un incidente automobilistico, il 13 settembre 1928.
Opere
L'assasinio di Via Belpoggio (1890); Una vita (1892); Senilità (1898); Un marito (1903 - teatro); La coscienza di Zeno (1923); Corto viaggio sentimentale                                                                                          
L'assassinio di Via Belpoggio
Si tratta di un racconto lungo. Un facchino uccide e deruba un compagno di sbornie. Compie poi, sulla spinta del senso di colpa, una serie di errori che porteranno al suo smascheramento e al suo arresto.
Si avverte l'influenza sulla narrazione di Zola e del naturalismo. Si avvertono, inoltre, echi kafkiani e dostoevskijani. Traspare già la passione dell'autore per l'analisi psicologica.
Una vita
Alfonso Nitti, lasciata l'anziana madre, trova in città un impiego presso la Banca Maller. Di estrazione sociale inferiore, Alfonso viene introdotto in casa del signor Maller, dove viene accolto con freddezza. Nasce tuttavia una storia, complice la letteratura, fra lui e la figlia del banchiere, Annetta, una bella ragazza molto volubile. Alfonso esperisce i propri sentimenti di inferiorità nei confronti dei pretendenti alla mano di lei, in particolare verso l'avvocato Macario.
Recatosi al capezzale della madre morente, la situazione precipita per Alfonso al suo ritorno in città: Annetta non vuole più saperne di lui; in banca vive l'ostracismo di capi e colleghi; il fratello di lei, Federico, lo sfida a duello. Sentendosi perduto irrimediabilmente, Alfonso preferisce suicidarsi.
Il romanzo doveva portare all'inizio il titolo emblematico di Un inetto. Si avverte l'influsso del naturalismo francese. La narrazione è lineare. Compare già un tratto caratteristico della narrativa sveviana: la forte inclinazione all'introspezione.
Senilità
Per uscire dal grigiore della propria esistenza piccolo-borghese, Emilio Brentani, un impiegato presso una società di assicurazioni con velleità letterarie, allaccia una relazione poco impegnativa con Angelina, una ragazza del popolo, amorale e volgare, ma di sani appetiti.
Succede che Angelina lo tradisca e che Emilio si trovi invischiato, contro il suo proposito iniziale, nella passione e nella gelosia. Emilio si confida con Balli, un artista estroverso, che piace molto alle donne. Di Balli è segretamente innamorata Amalia, la sorella di Emilio, che vive in casa del fratello una vita di riflesso, in una condizione quasi claustrale. L'epilogo vede la morte di Amalia, frustrata nel suo amore non corrisposto per lo scultore e la fuga di Angelina col cassiere di una banca. Emilio si ritirerà nella propria senilità, nella solitudine, nell'aridità di progetti e sentimenti, prendendo coscienza delle proprie debolezze e dei propri limiti.
Romanzo autobiografico, in cui lo scrittore triestino raggiunge la maturità artistica. Montale, a proposito di questo libro che molto apprezzava, parlò di "epica della grigia causalità della nostra vita di tutti i giorni".
I personaggi sono rappresentati con una fluidità moderna, quasi pirandelliana.
L'autore ricorre con frequenza al monologo interiore. Si avverte l'influenza su Svevo della filosofia di Schopenauer. Si anticipano temi (le nevrosi dei borghesi, la psicologia della donna), che saranno indagati solo qualche anno più tardi da Freud e Weininger.                                                                                                                  
La coscienza di Zeno
Sollecitato dal suo psicanalista, un certo "dottor S.", Zeno Cosini, per liberarsi dalle proprie nevrosi, scrive un memoriale, che affronta i nodi fondamentali della sua esistenza: il vizio del fumo con la promessa, sempre disattesa, dell'ultima sigaretta; la figura ingombrante del padre, ritenuto, forse a torto un commerciante abile, con cui Zeno è costretto a misurarsi, capace di mollargli un ceffone persino sul letto di morte; il matrimonio casuale e felice con Augusta, figlia del forte e ricco Malfenti e sorella un po' opaca della più desiderata Ada; l'adulterio con una studentessa di canto, Carla Greco, fra sensi di colpa e indecisioni; l'attività commerciale, che vede il fallimento del cognato e rivale in amore Guido Speier, morto poi suicida, disinvolto con le donne, quanto irresponsabile negli affari.
Scettico circa le virtù terapeutiche della psicanalisi, Zeno abbandona il suo medico, che, per vendetta, pubblica le sue memorie.
I primi due capitoli del romanzo sono costituiti da un'inusitata Prefazione del medico psicanalista e da un Preambolo dello stesso Zeno. Il capitolo finale, Psico-analisi, contiene alcune considerazioni apocalittiche di Svevo sul destino dell'uomo, "l'occhialuto uomo", sempre più fragile e malato, che solo una catastrofe, un'esplosione finale, può salvare, non certo la psicanalisi, che costituisce, semmai, un blando palliativo.
In questo romanzo, il protagonista mantiene una distanza ironica dalla materia trattata. Zeno accetta la propria inettitudine, con sorridente e filosofico buonsenso, in una sintesi di superiore, ineffabile saggezza. Vive una vita "in difesa", al riparo dal rischio della scelta. Eppure la sua non è un'esistenza mancata. 
La coscienza sembra contenere, in nuce, una critica indiretta, tangenziale, ai valori borghesi: attivismo, intraprendenza, aggressività, etica del successo. 
I grandi temi della narrativa di Svevo: lo scacco, la senilità, la malattia, il dolore e la morte, vengono temperati, in questo romanzo, dall'umorismo e, talvolta, dal grottesco.
Dal punto di vista formale, il romanzo contiene delle novità, che lo inseriscono nella migliore tradizione del romanzo europeo del Novecento: l'intreccio non è più lineare, non segue un ordine cronologico, ma la scrittura monologante di Svevo segue il filo della memoria.
Conclusioni. Di Svevo si è detto che abbia riscritto sempre lo stesso libro. E, in effetti, la sua è una poetica autobiografica. 
I personaggi dei suoi romanzi incarnano la crisi della borghesia mercantile, sono la personificazione dell'alienazione. Sono intellettuali, per certi versi superuomini alla rovescia, che abbracciano per costituzione valori antitetici a quelli dominanti e che lo scontro con una società forte e spietata conduce alla sconfitta e alla nevrosi. 
Solo Zeno riuscirà a trasformare l'inettitudine in superiore saggezza.
Bibliografia
Lunetta, M. Invito alla lettura di Svevo. Milano, Mursia, 1987                                       

 

Giuseppe UNGARETTI

La vita
Nasce ad Alessandria d'Egitto il 10 febbraio 1888. Tra il 1912 e il 1914 assiste a Parigi alle lezioni di Henri Bergson. Partecipa come fante alla prima guerra mondiale. Finita la guerra si stabilisce a Parigi, quindi fa ritorno in Italia, a Roma, dove ottiene un impiego presso l'ufficio stampa del ministero degli Esteri. Nel 1936 emigra in Brasile, dove insegna letteratura italiana all'Università di San Paolo.
È di nuovo a Roma nel 1942, docente di letteratura italiana contemporanea.
Muore a Milano il 2 giugno 1970.
Opere
Il porto sepolto (1916); Allegria di naufragi (1919); Sentimento del tempo (1933); Il dolore (1947); La terra promessa (1950); Il Taccuino del Vecchio (1960).
Su piano poetico la vicenda di Ungaretti, riconosciuto maestro e iniziatore dell'ermetismo, procede da un'iniziale ribellione contro le forme poetiche tradizionali a una lenta e faticosa realizzazione di una volontà di canto che lo porta a riconquistare, rinnovandolo, il tradizionale endecasillabo.
Sul piano umano, invece, il poeta procede da un'iniziale constatazione della solitudine e del dolore dell'uomo, relitto di un naufragio, alla drammatica riconquista delle certezze offerte dalla fede, alla coscienza di ripercorrere, nell'esperienza dolorosa della propria esistenza, una strada che è comune a tutti gli uomini.
La scoperta della parola
Già nella sua prima raccolta, Il porto sepolto, confluito poi nell'Allegria di naufragi,appare un aspetto peculiare della sua poesia: lo stretto legame tra poesia ed esperienza biografica. Battutosi a favore dell'intervento militare, Ungaretti scopre in prima persona la cruda realtà della guerra, un'esperienza che lo segnerà per sempre.
La scoperta della precarietà della condizione umana in tale situazione comporta il ripudio di ogni esperienza metrica precedente, secondo una scelta che è prima etica che estetica.
Dall'accostamento di parola a parola nasce la scintilla, il rapporto analogico; ogni struttura metrica tradizionale viene frantumata, la punteggiatura scompare, la musicalità del verso fine a se stessa, respinta.
Nei temi e nella materia dell'Allegria è evidente una marcata presenza biografica, visibile nell'uso insistito dell'aggettivo dimostrativo e possessivo, nell'indicazione precisa di luoghi e di date di molti componimenti.
La vita appare al poeta come il naufragio di tutte le illusioni e delle speranze nutrite nella prima giovinezza. Egli ricava un senso di precarietà della vita, concepibile soltanto come vagabondaggio. La condizione umana è contraddistinta dalla solitudine e dalla fragilità. La sofferenza, tuttavia, genera un sentimento di solidarietà e di fratellanza fra gli uomini. E, anche nel pericolo, affiora di tanto in tanto l'"allegria", la gioia di vivere.
Sentimento del tempo
Ungaretti supera l'autobiografismo nelle raccolte di versi successive e cerca di dar voce a conflitti eterni, a drammatici interrogativi, - la ricerca di certezze e di approdi, il mistero -, alla tensione esistenziale, al doloroso cammino per superare la pura terrestrità.
La guerra non fa più da sfondo alle liriche. I temi trattati, oltre al dolore e al mistero dell'esistenza, sono la morte, la memoria, la poesia come capacità di impedire la distruzione del ricordo.
Ungaretti ritrova, nel Sentimento del tempo, i metri e i moduli della tradizione, che non vengono però pedissequamente ripresi, ma escono rinnovati, perché il poeta vi cala dentro il precedente affinamento nella ricerca della parola già sperimentato nell'Allegria. Il lessico si ispira alla tradizione classica, la sintassi è più articolata. Si può dire che in questa raccolta la frase si sostituisca alla parola
Ungaretti avverte ormai il procedere della vita dell'uomo in analogia col procedere delle stagioni. Caratteristici sono anche i riferimenti alla mitologia
Il dolore
Il sentimento del tempo e il rapporto tra contingente ed eterno, l'esperienza meditativa che sostiene e innalza la poesia della sua seconda raccolta torneranno intrise di echi autobiografici nella raccolta Il dolore, che comprende liriche scritte dal'37 al '46 e trova nelle sezioni "Giorno per giorno" e "Roma occupata" i suoi più alti esiti poetici.
La prima raccoglie 17 liriche in memoria del figlio Antonietto morto in Brasile: vi figurano la rievocazione del bimbo morente, il costante ricordo nella prospettiva della memoria, la perennità di un affetto e di un dolore che il tempo non lenisce, la malinconia indimenticabile di certe aperture paesistiche.
I lutti familiari, che costituiscono qui materia del poetare, comprendono anche la morte del fratello, l'unico testimone rimasto dell'infanzia del poeta. La vita appare ad Ungaretti intrisa di violenza e sofferenza e con una fine ineludibile.
Nonostante i temi dolorosi trattati, emerge tuttavia sommesso un sentimento di fiducia e di speranza verso la vita e gli uomini, un recupero di religiosità non ortodossa, ma genericamente umana. Il poeta lungi dall'esprimere isolamento debolezza e passività, manifesta forza e solidarietà verso gli altri uomini.
La poetica
La formazione culturale di Ungaretti avviene in quella Parigi di inizio secolo, che è il crocevia di tutte le avanguardie artistiche. 
La parabola poetica di Ungaretti si inserisce nell'alveo del Decadentismo, più precisamente in quella corrente letteraria denominata ermetismo, di cui Ungaretti è un caposcuola. Gli ermetici ricercano la parola essenziale, spogliata di tutti i significati accademici e retorici, la parola pregna di significato spirituale. La poesia, che nasce da questa ricerca di integrità  della parola, si fa essa stessa essenziale e pura. Nei componimenti degli ermetici prevalgono la brevità, il frammento, l'assenza della punteggiatura. La realtà non viene colta nelle apparenze, ma, per via analogica, nell'immediatezza; il verso deve fissare l'attimo.
Bibliografia
Guglielmino S. Guida al novecento. Principato, Milano, 1971
Cudini P., Conrieri D. Manuale non scolastico di letteratura italiana. Rizzoli, Milano, 1992


L'ERMETISMO

La dizione "poesia ermetica" venne usata per la prima volta, in un'accezione fortunata quanto negativa, come avviene spesso nelle definizioni dei nuovi movimenti artistici, in un saggio di Francesco Flora del 1936.
La poesia ermetica rappresenta il punto d'arrivo di un'evoluzione poetica che ebbe, nei primi anni del Novecento, come protagonisti Palazzeschi, Govoni e Campana.
Di una vera e propria scuola ermetica, con una codificazione di tecniche e di moduli espressivi, si può parlare a partire dalla metà degli anni Trenta.
Si può individuare in Salvatore Quasimodo l'autore esemplare di detta corrente letteraria.
Caratteristiche della nuova poesia

  • A differenza di Carducci, Pascoli o D'Annunzio, la produzione poetica degli ermetici è esigua.
  • Gli ermetici rifiutano l'eloquenza, il vaticinio, il linguaggio pletorico, la ridondante opulenza della produzione poetica precedente.
    Alla poesia antieroica e antiretorica dei crepuscolari contestano l'ironica discorsività.
    I poeti ermetici mirano a riacquistare una nuova dimensione musicale della parola.
  • Gli ermetici puntano sull'essenzialità della parola e sul gioco analogico, in stretto rapporto reciproco. L'esigenza di essenzialità porta al ripudio del linguaggio poetico tradizionale e alla ricerca dell'espressione che, depurata da ogni intenzione di oratoria etico-politica, sciolta da legami logico-sintattici, riesca ad attingere il fondo della realtà che si vuole esprimere. Si tratta, cioè, di restituire alla parola logora e abusata, verginità e novità, di caricarla di quel valore e di quella pregnanza che essa aveva quando, usata nella notte dei tempi per la prima volta, essa poteva ancora stabilire un rapporto fra l'uomo e le cose, assumendo un valore magico ed evocativo, donando forma e realtà alle cose.
  • La punteggiatura è ridotta, se non abolita.
  • Le pause si fanno cariche di significati.
  • Ogni poeta ricerca il proprio ritmo personale.
  • La memoria arricchisce la parola di significati profondi e originali.

Retroterra dell'esperienza ermetica

  • La poesia ermetica risente della forte influenza esercitata dalla poesia francese di fine Ottocento (Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, Mallarmè, Valery).
  • Viene portato a compimento il discorso già introdotto da De Robertis, sull'ultima Voce: la poetica, cioè, del frammento, la valorizzazione del componimento breve e raffinato.
  • La Ronda, con le ambizioni della prosa d'arte, prima e Solaria, poi, accompagnano il consolidarsi dell'esperienza ermetica. L'esercizio della pura letteratura consente agli ermetici una soluzione etica: chiusi nella difficile distillazione della parola, nella torre d'avorio della letteratura, essi si salvano l'anima dalla contaminazione con l'incalzante retorica fascista.
    L'assenza, l'apparente disimpegno diventano una forma, discutibile, di opposizione al regime, con i necessari distinguo. Se, per esempio, Montale fornì alle giovani generazioni col suo comportamento sul piano pratico e con la sua poesia una lezione di austera e stoica resistenza alle ideologie imperanti, Ungaretti fa pubblica professione di fedeltà a Mussolini.

Principali esponenti (alcuni in senso piuttosto lato) dell'ermetismo:

  • Giuseppe Ungaretti
  • Eugenio Montale
  • Salvatore Quasimodo
  • Alfonso Gatto
  • Mario Luzi
  • Leonardo Sinisgalli
  • Vittorio Sereni
  • Sergio Solmi
  • Carlo Betocchi
  • Alessandro Parronchi
  • Giorgio Caproni

Eugenio MONTALE

La vita
Nasce a Genova il 12 ottobre del 1896, ultimo di sei figli. Il padre Domenico, detto Domingo, originario di Monterosso, dove ha una villa, è contitolare di una ditta di importazione di acqua ragia e prodotti chimici con ufficio nel centro storico di Genova. Intelligenza precoce e piena di curiosità, Montale, a causa della salute malferma, viene indirizzato dalla famiglia alle scuole tecniche, dove consegue l'aborrito diploma di ragioniere. Intanto prende lezioni di canto presso l'ex baritono Ernesto Sivori; canta bene, ha talento, ma la carriera in campo musicale non prosegue a causa del suo temperamento timido e introverso. Si esibirà soltanto per gli amici. Partecipa alla prima guerra mondiale e va come volontario al fronte. Frequenta gli ambienti letterari fiorentini, in particolatre il caffè delle Giubbe Rosse. Nel 1927 conosce Drusilla Tanzi, sposata al critico d'arte Matteo Marangoni. Di dieci anni più anziana di lui, affettuosamente soprannominata "Mosca", di intelligenza vivace, ebbe una relazione duratura e affettuosa col poeta, che la sposerà nel 1963. Nel 1932 Montale si innamora della scrittrice americana Irma Brandeis, che diventerà una sua importante musa ispiratrice (l'angelicata Clizia della Bufera). La Mosca minaccia di suicidarsi e induce il poeta, avvilito, a lasciare l'amante. Nell'ottobre del 1938 muore la sorella Marianna, cui il poeta era legato da profondo affetto. Nel 1948 lavora come redattore al Corriere della Sera. Nel 1975 gli viene conferito il premio Nobel per la letteratura. Muore a Milano il 12 settembre del 1981.
Opere
Ossi di seppia (1925); Le occasioni (1939); Finisterre (1943); Quaderno di traduzioni (1948); La bufera e altro (1956); Farfalla di Dinard (1956); Xenia (1966; Auto da fè (1966); Fuori di casa (1969); Satura (1971); Diario del '71 e del '72 (1973); Sulla poesia (1976); Quaderno di quattro anni (1977)
La carriera poetica di Montale avviene senza quelle fratture estetiche e ideologiche che abbiamo conosciuto in Ungaretti.
Con Ossi di seppia ci presenta una poesia, aliena da retoriche e da certezze, umile, lontana dal linguaggio magniloquente allora in voga, una poesia che è in primo luogo espressione di negatività. 
Significativo che la sua prima raccolta di versi venga pubblicata da Piero Gobetti, intelligente direttore de La rivoluzione liberale e dichiarato nemico del regime fascista, che arriverà a sopprimerlo.
Il lessico di Ossi di seppia mira a una naturalistica precisione, accoglie dialettalismi, gerghi specialistici, tecnicismi. Si tratta di una poesia di tono dimesso, che può far pensare a Pascoli o a Gozzano.
Il paesaggio ligure raffigurato è alieno da ogni seduzione turistica, ma è colto invece nella sua asprezza, nel suo dimesso squallore.
Montale si serve del linguaggio e del paesaggio per manifestare il proprio mondo interiore, abitato da una cupa angoscia esistenziale, dal fermo rifiuto di ogni facile consolazione, dalla consapevolezza del "male di vivere", dalla coscienza dello "scacco", dalla consapevolezza che l'uomo è sconfitto, alla mercé di determinazioni di cui gli sfugge il senso.
La poesia non può indicare la strada per uscire da questa situazione di crisi; la poesia può e sa essere soltanto consapevolezza della negatività, del mancato realizzarsi dell'uomo, l'accettazione di una sconfitta.
Emblema e correlativo oggettivo
Appare in Montale l'impegno di trovare, pur nel dato oggettivamente descritto, una soluzione simbolica, di oggettivare un modo di sentire in un paesaggio, in un elemento della realtà, evitando così la facile effusione sentimentale e l'abbandono all'oratoria.
Mentre Ungaretti si affida alla catena di rapporti che la scintilla analogica mette in moto, Montale, invece, ricerca la possibilità di soluzione simbolica. Tecnica, questa, che si può ritenere assai vicina a quella del poeta inglese, ben conosciuto a Montale, T.S. Eliot.
Una negatività dialettica
Se la dimensione che domina  Ossi di seppia è quella della negatività , dell'inutilità, della constatazione dell'impotenza dell'uomo, della sua angoscia esistenziale, Montale non esclude dal proprio orizzonte poetico e vitale la positività dell'esistenza. Essa fa la sua apparizione tutte le volte che il poeta parla dell'ansioso tentativo di trovare un "varco", "una maglia rotta nella rete che ci stringe".
Inoltre, il mare è cantato come lezione di vita vera e autentica, come termine positivo che il poeta cerca ansiosamente di raggiungere, pur avendo la consapevolezza di appartenere alla "razza di chi rimane a terra".
Il mare rappresenta quanto il poeta, pur volendo, non è riuscito a realizzare.
I successivi approfondimenti
Le occasioni rappresentano un approfondimento e un ampliamento dei temi montaliani. Vi compare la memoria; la lucida constatazione del male di vivere trova qui ulteriori motivi ed esemplificazioni. Anche in questo nuovo paesaggio si avverte lo stesso senso di precarietà, lo scacco e l'angoscia di prima: la memoria e il passato non offrono ancore di salvezza; i volti, i ricordi e le occasioni si dissolvono irreparabilmente.
Montale, per la sua consapevolezza autocritica, per la sua formazione etica, evita nella sua poesia gli abbandoni sentimentali o diaristici per tendere, invece, a metafisiche significazioni, accedendo a una dimensione simbolica.
Da ciò derivano il suo ermetismo e la nostra difficoltà di lettura.
Ne La bufera, alcuni critici sarebbero tentati di scorgervi una svolta, delle novità sostanziali, mentre in verità si tratta di approfondimenti di motivi precedenti.
Sembra insinuarsi una combattuta, problematica tensione verso il trascendente, che si conclude, però, con la sostanziale, ferma accettazione di un destino non riscattabile da alcuna fede.
In alcuni riferimenti ad un preciso tempo storico sembrerebbe che Montale tenti di storicizzare il male di vivere. Ma si tratta di rare occasioni e di sporadici accenni. La dimensione preferita dal poeta rimane quella metafisica, non quella storica.
In Satura compaiono novità stilistiche, in particolar modo riguardanti il linguaggio che si fa più comprensibile. Si avverte una maggiore tendenza alla quotidianità, alla prosasticità, all'ironia anche violenta.
L'ultima produzione poetica di Montale è connotata dalla virtuosistica musicalità del verso e dal gusto per il gioco verbale, a volte fine a se stesso.
Notevoli e apprezzate le prose di Montale, ora critico letterario (e traduttore) di grande e sicuro acume, ora fustigatore della odierna società dei consumi e dello spettacolo.
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
Al poeta i lettori non possono chiedere una parola definitiva, una di quelle parole forti, che dichiarano a lettere di fuoco l'animo di chi scrive, e risplendono per sempre come un fiore vivo su un prato di polvere. Il poeta non potrà comunicare agli uomini parole nuove, capaci di aprire un mondo, ma soltanto "qualche storta sillaba e secca come un ramo". Soltanto questo può esprimere oggi chi scrive: quella che è la nostra non-vita, il nostro non-essere.
Spesso il male di vivere ho incontrato
Nell'indifferenza, nell'insensibilità, nell'immobile fissità dello sguardo, Montale ravvisa l'unico bene concesso sulla terra alle creature; questo non è concesso al poeta, che è insidiato dalla nostalgia, dalla memoria, dalle aspre indagini dell'intelletto, incapace di sentirsi scabro come un ciottolo.
Avere l'indifferenza di una statua immobile nella sonnolenza del meriggio! di una nuvola alta nel cielo, di un falco levato a volo nell'immenso.
Meriggiare pallido e assorto
Vivere è soltanto uno squallido andare lungo un muro arroventato, che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia; e avere intanto negli occhi il barbaglio lontano di scaglie di mare. Fin da ora il senso della condanna, la coscienza di appartenere a una razza o società rimaste a terra.
La casa dei doganieri
Il poeta è tornato alla casa dei doganieri, alta a strapiombo sulla scogliera, dove un giorno fu con la donna amata e dove echeggiò il suo riso irrequieto; ma la casa appare ora squallida e vuota, sferzata soltanto da un freddo libeccio. Quello che fu l'incontro di un giorno non si può ripetere ed è perfettamente inutile richiamare alla memoria la figura che ci fu compagna, oramai è travolta da un altro tempo, da altre esperienze, ormai ha cancellato in sé ogni traccia di quel passato. A nulla vale il recupero, se la memoria è solo del poeta. Forse lì, in quella casa erta sulla scogliera era possibile rinvenire il "varco"; ma si trattò appena di un breve incontro, un'illusione che non può ripetersi.
Ritornando da solo in quella casa, il poeta avverte ancora una volta che non v'è certezza se non negativa, che il calcolo dei dadi più non torna e la bussola va impazzita alla ventura.
Nella lirica si avverte la confluenza dei temi montaliani più tipici: il passato, il mare, la crisi insolubile.
Bibliografia
Guglielmino S. Guida al novecento. Milano, Principato, 1971
Cudini P., Conrieri D. Manuale non scolastico di letteratura italiana. Milano, Rizzoli, 1992
Marchese, A. Montale. La ricerca dell'altro. Padova, Messaggero di Sant'Antonio, 2000

Salvatore QUASIMODO

La vita
Nasce a Modica (Ragusa) nel 1901. Il padre è capostazione nelle ferrovie. Si diploma all'istituto tecnico e, nel 1919, si trasferisce a Roma dove frequenta la facoltà di ingegneria. Abbandona presto gli studi per guadagnarsi da vivere come impiegato. Studia il latino e il greco e, nel 1929, prende contatti, a Firenze, tramite Elio Vittorini, con Montale e l'ambiente di Solaria.
Nel 1940, "per chiara fama", diventa docente di letteratura italiana al conservatorio G. Verdi di Milano. 
Nel 1959 riceve il premio Nobel per la letteratura. Raggiunge una vasta notorietà. L'alloro dell'accademia svedese gli giunge come riconoscimento del suo nuovo corso poetico, caratterizzato da un caldo impegno civile e umano e da un'accessibilità, che la sua prima produzione non possedeva.
Muore a Napoli, in seguito ad emorragia cerebrale, nel 1968.
Opere
Acque e terre (1930); Oboe sommerso (1932); Erato ed Apollion (1936); Ed è subito sera (1942); Giorno dopo giorno (1947); La terra impareggiabile (1958; Tutte le poesie (1960)
L'equilibrio iniziale
Già nella prima raccolta, Acque e terre, si ravvisano forti legami con la tradizione: certe movenze e cadenze pascoliane, certi echi del D'Annunzio di Alcyone.
Pur movendo dalla tradizione, Quasimodo non ignora il clima già instaurato dai poeti nuovi (la poetica della parola, la tecnica dell'analogia).
Acque e terre rappresenta una felice sintesi, dunque, fra tradizione e innovazione.
L'equivoco ermetico
Con Oboe sommerso e Erato ed Apollion, Quasimodo rompe con la tradizone, abbracciando le tecniche e i dettami della scuola ermetica. La sua adesione è tuttavia tutta esteriore, il linguaggio impiegato è allusivo e oscuro, nel tentativo piuttosto provinciale di superare i maestri portandone all'estremo certi moduli critici.
Le nuove poesie
Grazie alla proficua attività di traduttore dei lirici greci, Quasimodo, nella raccolta di poesie scritte tra il 1936 e il 1942, ritrova il felice equilibrio della sua primissima produzione.
Ritorna la sua Sicilia, qui mitizzata nell'evocazione, con toni e colori da paradiso perduto, simbolo di quell'Eden, incorrotta infanzia dell'uomo e del mondo, che ognuno sente di aver perduto e aspira a ritrovare.
Quasimodo dà inoltre voce al tema del dolore dell'uomo, della sua condizione di angelo caduto, ma lo fa con modulazioni più aperte. La lezione degli antichi e quella dei moderni si fondono armoniosamente.
Continuità e sviluppo
Quando, in seguito all'esperienza della guerra, Quasimodo pubblica Giorno dopo giorno, si ha l'impressione di una frattura, di una nuova poesia nella quale irrompe la recente tragedia e trovano posto i dolori e le speranze dei popoli.
La meditazione sul dolore dell'uomo ora si arricchisce, si sostanzia in una più concreta trama di relazioni con la realtà storica. Quasimodo si impegna nella vita civile; il linguaggio stesso muta facendosi più piano e discorsivo, più direttamente comprensibile.
Pur nell'impegno civile, il poeta continua ad esprimere la consapevolezza delle angosciose fragilità e solitudine umane, motivo fondamentale della sua ispirazione.
Ed è subito sera
È una delle liriche più brevi e più conosciute del poeta siciliano. Efficace come un epigramma greco, origina da un bisogno disperato di comunione con gli altri uomini e da una pietà intensa.
La solitudine dell'uomo, l'assaporamento fondo di quell'intenso e fuggevole fulgore che tocca ad ognuno; e, subito, in quel breve ardore, la sera, cioè la fine.
Alle fronde dei salici
Il poeta parla in nome di tutti coloro che avevano avuto in comune con lui l'esercizio vocale. Come potevano cantare mentre il piede straniero premeva sul cuore e i giovani erano crocifissi ai pali del telegrafo? La cetra oscillava lieve al triste vento, appesa alle fronde dei salici.
Uomo del mio tempo
Una lirica di denuncia: gli uomini, nonostante la loro scienza esatta, sono ancora quelli della pietra e della fionda. L'unica salvezza non è nella memoria dei padri, ma nel loro ripudio. Le loro tombe devono affondare nella cenere.
Milano, agosto 1943
La voce è quella di una morte cosmica, in cui non solo la città, ma il pianeta stesso pare spento a causa della pazzia degli uomini, dopo l'ultimo scoppio di bombe sul Naviglio. È inutile cercare tra la polvere, è inutile scavare i pozzi: i vivi non hanno più sete. È inutile seppellire i cadaveri, così rossi, così gonfi: i cadaveri sono già sepolti tra le macerie della città, anch'essa morta.
Bibliografia
Guglielmino S. Guida al novecento. Principato, Milano, 1971
Cudini P., Conrieri D. Manuale non scolastico di letteratura italiana. Rizzoli, Milano, 1992

Leonardo SCIASCIA

Note biografiche
Sciascia è nato a Racalmuto, in provincia di Agrigento, nel 1921 ed è morto a Palermo nel 1989.
Padre e nonno avevano lavorato come impiegati in una zolfara. Sciascia dimostra precoce interesse per la lettura e la scrittura; diventa maestro elementare e sostiene qualche esame universitario a Magistero. La sua vera università saranno tuttavia le conversazioni con Luigi Monaco, un preside particolarmente colto. 
Nel 1941, sposa Livia Andronico, da cui avrà due figlie. Il matrimonio gli porta molta serenità. 
Nel 1948, gli muore, suicida, il fratello, 
Nel 1958, Sciascia abbandona l'insegnamento per un incarico amministrativo al Patronato scolastico. Cominciano a uscire, uno dopo l'altro, i suoi romanzi, non sempre accolti con benevolenza dalla critica.
Nel 1975, come indipendente di sinistra, viene eletto consigliere comunale a Palermo: si dimetterà due anni dopo. Nel 1979 è eletto deputato nelle liste del Partito Radicale. Rimane in Parlamento sino al 1983, occupandosi soprattutto dei lavori della Commissione specifica istituita per indagare sulla morte di Aldo Moro.
Opere
Le parrocchie di Regalpetra (1956); Gli zii di Sicilia (1958); Il giorno della civetta (1961); Il consiglio d'Egitto (1963); A ciascuno il suo (1966); Il contesto (1971); Il mare colore del vino (1973); Todo modo (1974); La scomparsa di Majorana (1975); I pugnalatori (1976); Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia (1977); L'affaire Moro (1978); Dalle parti degli infedeli (1979); Nero su nero (1979); Il teatro della memoria ( 1981); Occhio di capra (1985); La strega e il capitano (1986); Il Cavaliere e la morte (1989); Una storia semplice (1989).
Le parrocchie di Regalpetra
È una serie di cronache su un immaginario paese siciliano, nel quale sono ravvisabili le condizioni di qualsiasi altro paese dell'isola. In Sciascia c'è una risentita dimensione civile, una speranza nei poteri della ragione e nelle conquiste liberatrici della Storia, ma nel contempo una dolente coscienza delle carenze e delle colpe delle classi dirigenti di ieri e di oggi e del prezzo di dolore e di miseria che esse comportano.
L'opera di Sciascia assume sin dall'inizio il valore di testimonianza:in questo caso, denuncia del fascismo e denuncia sociale (condizioni del Meridione).
Lo stile è molto semplice. In questa prima opera c'è una marcata tendenza al neorealismo: il linguaggio è aderente al mondo rappresentato. Sciascia evita, tuttavia, di cadere nel folclore. Egli va più a fondo, alla sostanza dei problemi della Sicilia.
Gli zii di Sicilia
Consta di quattro racconti: La zia d'America, La morte di Stalin, Il quarantotto, L'antimonio. Ne Il quarantotto si parla della spedizione di Garibaldi in Sicilia. mentre La zia d'America e La morte di Stalin, presentano in chiave ironica - ma si tratta di un'ironia garbata, mista a molta umana simpatia - la Sicilia del dopoguerra.
Ne La zia d'America c'è una demitizzazione del Nuovo Mondo: la zia ha i suoi personali interessi da difendere, così come l'America penserà prima a se stessa che ai problemi dell'Italia. Il racconto vira al genere saggistico.
In La morte di Stalin, la Storia viene registrata attraverso le impressioni di un singolo individuo, Calogero, che fatica a rinunciare al mito di Stalin, nonostante ne venga a conoscere le malefatte. Attraverso questo personaggio, Sciascia ci fa capire come l'adesione al comunismo possa essere motivata più da una situazione di miseria che da scelte ideali e morali.
L'antimonio descrive la drammatica esperienza di un minatore siciliano che la disperazione e la fame spingono volontario in Spagna, nelle file dei legionari fascisti che combattono al fianco dell'esercito franchista. Egli si renderà finalmente conto della vera natura del fascismo, al di là delle esaltazioni retoriche e delle vane promesse.
Il tema di fondo è lo sfruttamento dei poveri da parte del fascismo. Viene messa in evidenza la miseria delle classi inferiori.
Il giorno della civetta
In quest'opera la tensione tra fiducia nella ragione e constatazione della sua continua sconfitta si fa più dolente. Tuttavia, non resta altro che credere, seppur disperatamente, nella ragione. È un romanzo sulla mafia, un'analisi chiara ed esauriente, un'indagine sulle sue cause sociali, storiche, politiche, morali. È l'opera principale di Sciascia.
Protagonista è un ufficiale dei carabinieri, settentrionale, di stanza in Sicilia, ma soprattutto un uomo che crede nei valori di una società democratica e moderna, contro l'immobilità d'un mondo di vecchi interessi costituiti. La narrazione si muove su due piani: quello dell'inchiesta che l'ufficiale conduce su una catena di delitti di mafia e quello delle complicità, più o meno forti, più o meno segrete, che scattano a fermarla o a vanificarne i risultati.
Subito viene rappresentato uno degli aspetti tipici della realtà meridionale: l'omertà.
Lo scrittore è scettico circa la possibilità di cambiare la situazione: vi è nei siciliani una sfiducia radicata nei confronti della giustizia. Il senso di estraneità nei confronti della legalità e dello Stato conosce cause storiche: dominazioni straniere che, avvicendandosi, hanno scavato un solco fra oppressi e oppressori.
Interessante il personaggio del mafioso ritratto in questo romanzo: don Mariano Arena.
Il Consiglio d'Egitto
Palermo, 1783; i baroni, pur fremendo di sdegno per le tentate riforme del vicerè Caracciolo, continuano a giocarsi interi feudi al biribissi; le nobildonne leggono romanzi francesi proibiti e il quarantenne abate Vella, sensibile alle dolcezze di questa società, coltiva speranze di vedersi assegnata una pingue abbazia che gli assicuri l'agiatezza. Per ingraziarsi la Sacra Real Maestà di Napoli, Vella inventa ex novo, con gusto di narratore e umanista, un antico codice arabo, appunto Il Consiglio d'Egitto, che fa giustizia di tutti i privilegi baronali e restituisce al Regno la piena potestà sull'isola. Le prime indiscrezioni gettano lo scompiglio nella città. La risonanza è enorme. L'abate diventa "il grande Vella"; il papa in persona si interessa alla sua salute.
Una delle più straordinarie imposture che la storia ricordi ha così inizio nel bel mezzo dell'"epoca delle riforme" e la sua vicenda si lega a quella di una congiura giacobina: quella che il giovane avvocato De Blasi, spinto dall'esempio dei rivoluzionari di Francia a rinnovare secondo ragione gli ordinamenti del Regno, tenta invano di condurre a termine contro le usurpazioni e gli arbitri dell'aristocrazia.
A ciascuno il suo
Siamo in un paese dell'entroterra siciliano. Una lettera anonima minaccia di morte il farmacista, uno "che viveva tranquillo, non aveva mai avuto questioni, non faceva politica". L'uomo pensa ad uno scherzo, ma la minaccia si avvera, al termine di una giornata di caccia, coinvolgendo l'amico dottore che si trova con lui. Un altro delitto che sembra immotivato ed offre pochi appigli al professore di liceo Paolo Laurana che, quasi mosso da una astratta passione intellettuale, si ritrova a cercarne il bandolo in una rete di silenzi e di complicità.
Sciascia  torna sulla Sicilia di oggi, continuando il discorso iniziato con Il giorno della civetta, in un giallo divertito e amaro, che non rispetta i canoni del romanzo poliziesco tradizionale.
Pagine animate da passione civile, denuncia civile e compiuta raffigurazione poetica.
Il personaggio del professore rappresenta la ribellione, per quanto ancora oscura e contraddittoria, del singolo laddove è fallita la giustizia. Per lo scrittore ognuno deve farsi della mafia un problema personale e vincerlo.
Il contesto
Al centro della vicenda è l'ispettore Rogas, un letterato mosso da un geometrico rigore intellettuale, che si immerge nel "caso" con una tenacia ossessiva, alla caccia dell'assassino: un tale, forse, "accusato di tentato uxoricidio attraverso una concatenazione di indizi che sembrano essere stati fabbricati, predisposti ed offerti dalla moglie stessa".
Il romanzo si presenta al lettore come un racconto poliziesco perfetto. Al di là del "giallo", emergono l'allegoria e la passione politica.
Il mare colore del vino
Raccolta di racconti che costituisce una piccola "summa" dei temi e dello stile della narrativa di Leonardo Sciascia,  segnata da un'intelligenza lucida e amara.
Todo modo
Il romanzo è ambientato in un eremo albergo adibito agli esercizi spirituali. Il protagonista è un pittore quarantenne di successo. Nell'eremo si svolge un ritiro annuale di particolare interesse, a cui partecipano vescovi, cardinali, uomini politici, industriali, notabili di ogni genere, accomunati dalla medesima trama di intrallazzi e complicità. Diventa presto evidente che gli esercizi spirituali sono solo un pretesto e offrono una copertura neppur troppo dissimulata a traffici e trattative che hanno come scopo una più lucrosa spartizione del potere.
Una serie di delitti inspiegabile viene però a mettere a soqquadro quel microcosmo in apparenza ben ordinato. 
Sciascia usa ancora il genere "giallo" per denunciare la sostanza, le modalità e l'arroganza del potere, il degradarsi della convivenza civile a sistema clientelare e mafioso, l'impossibilità di una giustizia: in una parola, la crisi di civiltà che oggi stiamo vivendo.
La scomparsa di Majorana
Nel marzo del 1938 Ettore Majorana si imbarca sul postale Napoli-Palermo, dopo aver espresso in due lettere il proposito di uccidersi. A 32 anni è il fisico più geniale della generazione di Fermi, con cui ha studiato. I maggiori scienziati dell'epoca ne ammirano le straordinarie qualità speculative. Solitario, scontroso, riservato, il giovane Majorana ha le doti per arrivare a risolvere i problemi connessi all'invenzione dell'atomica. Poi, l'improvvisa scomparsa. I familiari pensano ad una fuga dettata dalla follia, ma a nulla servono le ricerche dei servizi segreti, spronati dallo stesso Mussolini: il corpo non verrà ritrovato. Majorana si è davvero ucciso? È stato rapito? O forse, di fronte alle sconcertanti prospettive aperte dalla scoperta dell'atomica nell'Europa di Hitler e Mussolini, ha preferito scomparire? Che cosa si nasconde dietro il mistero Majorana? 
Un altro giallo di Sciascia che scava nei problemi del nostro tempo con la  passione civile e la lucida intelligenza, che migliaia di lettori gli riconoscono.
I pugnalatori
Il 25 maggio del 1862 l'avvocato Guido Giacosa, piemontese, viene nominato Sostituto Procuratore Generale del Re presso la Corte d'Appello di Palermo.
Egli diventa ben presto "impaziente e insofferente" di fronte alla realtà siciliana.
La sera del primo ottobre del 1862 accade a Palermo "un fatto criminale di orrida novità": tredici persone in diversi punti della città vengono accoltellati alla stessa ora da feritori tanto simili da assomigliare a uno stesso uomo.
Uno dei feritori, Angelo d'Angelo, confessa e fa i nomi degli esecutori e dei presunti mandanti. Il movente dell'attentato sembra quello di seminare il terrore per far rimpiangere alla popolazione il vecchio ordine borbonico. Condannati gli imputati, la sera stessa della sentenza si verifica un'altra "pugnalazione". La città è presa dal panico. La gente gira munita di bastoni.
Sciascia ci racconta in questo libro una vicenda storica che manifesta inquietanti parallelismi con altre vicende patrie a noi più vicine.
Del caso dei pugnalatori si occupano il procuratore Giacosa e il Consigliere Mari. Tre degli arrestati vengono condannati a morte, mentre il presunto mandante, il principe di Sant'Elia, senatore del Regno, malgrado i pesanti indizi a suo carico, continua a godere di tutte le protezioni e di tutti gli onori. 
La classe dirigente siciliana appare nel racconto come ambigua, nostalgica, irresponsabile, doppiogiochista.
Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia 
Il romanzo racconta la storia di Candido Munafò, nato nel 1943, nella notte dello sbarco alleato in Sicilia, figlio di un avvocato e della signora Maria Grazia, che presto sarebbe fuggita con un ufficiale dell'esercito  americano. Candido cresce con il padre (ma, rivelando un importante segreto professionale, ne causerà il suicidio), il nonno, ex gerarca fascista, e la governate Concetta, che cerca invano di educarlo secondo principi cattolici e borghesi. L'impassibile Candido diventa l'allievo preferito di don Antonio Lepanto, prete inquieto che tenta di coniugare cattolicesimo, psicoanalisi e marxismo: cerca di psicanalizzarlo, ma il ragazzo resiste; gli fa frequentare la sezione del Pci, ma entrambi lasceranno il partito, delusi. Nel frattempo Candido ha conosciuto l'amore, prima portando via al nonno la giovane amante Paola, poi, partita costei, innamorandosi di Francesca, con la quale lascia il paese - e, serenamente, i suoi beni -per andare a vivere prima a Torino, come operaio, poi a Parigi, come meccanico; lei fa la traduttrice ed entrambi vivono felici, amandosi e amando la città libera e tollerante. Li raggiunge don Antonio, sempre in cerca di idee in cui credere, il quale alla fine del romanzo, davanti alla statua di Voltaire, lo propone a Candido come il "nostro vero padre". Candido lo allontana dalla statua e "Non ricominciamo coi padri - disse. Si sentiva figlio della fortuna; e felice".  (G. Traina)
Riscrittura del capolavoro di Voltaire, il libro costituisce "un'operazione liberatoria" da alcuni miti in auge nel Novecento: il cristianesimo, il comunismo, la psicoanalisi e l'Illuminismo. Lo scrittore propone, come alternativa, alcuni valori gioiosi: il sesso, la semplicità, la chiarezza, la sincerità, la passione per il lavoro ben fatto.
L'affaire Moro
Appare ispirato, già nel titolo, a Voltaire e Zola, a quella letteratura francese che Sciascia tanto amava. In questo libro,  lo scrittore siciliano ricostruisce i giorni del sequestro Moro, soprattutto attraverso l'analisi e l'interpretazione delle lettere scritte dal Presidente della Dc dalla sua prigione di via Gradoli e indirizzate, per la maggior parte, ai principali dirigenti del partito cattolico. Dopo l'agguato di via Fani e il sequestro, Moro temporeggia, prende tempo, probabilmente per favorire le indagini e il suo ritrovamento, poi invoca le autorità di tenere una linea morbida, umanitaria, orientata alla trattativa e allo scambio dei prigionieri, coerente in questo con i suoi precedenti convincimenti. Afferma che la sua famiglia versa in condizioni pietose e che abbisogna di lui. Gli ex colleghi di partito, con cui ha condiviso "le ore liete" del potere, lo delegittimano, ritenendolo pazzo, e intendono far valere la ferrea ragion di Stato, ostile a ogni trattativa. Si arriva, secondo Sciascia a un'esecuzione che poteva essere evitata e che andava oltre i propositi delle stesse BR. Brigate Rosse che Sciascia ritiene un fenomeno tutto italiano e che accomuna, per metodi e organizzazione, alla mafia. Nel lanciare un atto d'accusa contro una classe politica ritenuta responsabile della morte di Aldo Moro, rilevando i ritardi, l'imperizia  e la svogliatezza con cui sono state condotte le indagini in quei giorni, Sciascia adombra come, dietro la volontà di sacrificare Moro, si celino ancora una volta gli oscuri disegni del potere.
All'uomo politico democristiano, incarnazione del notabile meridionale con quell'oratoria sfuggente, specializzata nel "non dire", che quando appariva in televisione "sembrava preda della più antica stanchezza, della più profonda noia", che più che un grande statista era, secondo Sciascia, "un grande politicante: vigile, accorto, calcolatore", va tuttavia la pietà dello scrittore che vede in lui la vittima sacrificale di un intero regime politico.
Dalle parti degli infedeli
Al vescovo di Patti, monsignor Angelo Ficarra, viene racapitata, nel marzo del 1947, una lettera anonima unita a un ritaglio dell'Osservatore romano. Al vescovo si rimprovera di non adoperarsi in favore del partito politico che difende le ragioni della religione cattolica e della Chiesa, vale a dire la Democrazia Cristiana. Già durante il fascismo, monsignor Ficarra, a causa del suo candore evangelico, era entrato in conflitto con le autorità.
Ora, nonostante il vescovo di dichiari estraneo a manovre politiche, preso com'è in verità "dai suoi diletti studi, dalla meditazione, dalla preghiera, dall'operosa carità quotidiana, dalla tolleranza meglio che professata vissuta", egli viene fatto oggetto di un processo inquisitoriale o stalinista, in cui lo si vuole costringere ad accettare la propria colpa anche se innocente.
Le autorità ecclesiastiche esercitano pressioni affinché il prelato si dimetta, invocando, con ipocrisia, inesistenti motivi di salute. Di fronte alla menzogna e alla persecuzione, monsignor Ficarra non si arrende, come vorrebbero i suoi avversari, all'ingiustizia. Ma, prima gli viene affiancato un altro vescovo, poi egli viene rimosso ricorrendo all'escamotage della sua nomina a vescovo di Leontopoli di Augustamnica: in partibus infidelium.
Come spesso succede nel corso dell'umana esistenza, si assiste all'ennesimo scacco alla giustizia, alla verità, alla fede, alla speranza, alla dignità umana. 
Nero su nero
Diario che inserisce Sciascia nella corrente degli "scrittori di cose", come li definiva Pirandello, in opposizione agli "scrittori di parole"
Un libro che sembra rifarsi, per quanto riguarda la tradizione letteraria italiana, ai diari di Vittorini, Brancati e Alvaro.
Cruciverba
Raccolta di saggi, redatti da Sciascia negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta.
Il teatro della memoria
Tratta del caso, reso famoso dalle cronache giornalistiche degli anni Venti, dello smemorato di Collegno. 
Un tale sorpreso a rubare nel cimitero ebraico di Torino, viene ricoverato nel manicomio di Collegno perché non sa dire chi sia. La sua foto viene pubblicata dai giornali. La vedova del professor Canella lo riconosce come il proprio marito, dato per disperso in guerra. Per la polizia, invece, l'uomo è il tipografo e truffatore Mario Bruneri. Ne nasce un caso umano e giudiziario che appassiona tutta l'Italia. Un caso pirandelliano, che tratta di identità e di memoria.
La strega e il capitano
È la storia di Caterina Medici, serva del senatore milanese Melzi, che egli accusa di volerlo avvelenare. La donna viene processata come strega, lei si lascia convincere di confessare la sua "stregoneria" e viene condotta al rogo.
Omaggio ad Alessandro Manzoni, è un libro contro l'intolleranza e il malgoverno.
Il cavaliere e la morte
Un Vice commissario di polizia indaga sull'omicidio dell'avvocato Sandoz. Conducendo investigazioni private, il Vice giunge a scoprire il colpevole, il potentissimo industriale Aurispa, la cui mano è dietro molti delitti insoluti avvenuti in Italia.
Il Vice però non ha prove, egli ha tratto i propri convincimenti dai colloqui avuti con due signore e un ex agente dei servizi segreti, tale Rieti. Il Commissario Capo, succube del potere, cerca invece di far cadere la colpa su un sedicente gruppo terroristico: i "Figli dell'ottantanove".
Il Vice, minato nel fisico da un tumore che lo sta devastando, si accinge ad andare in ferie, quando viene  ucciso da un colpo di pistola, proprio nel momento in cui aveva deciso di riaprire le indagini, dopo l'assassinio di Rieti.
Un potere, distruttivo come un cancro sta corrodendo l'Italia. Dall'omologazione e dalla collusione col potere sfugge il Vice, che viene per questo eliminato. Novello Gesù Cristo, il Vice, che possiede un esemplare dell'amato Il cavaliere, la morte e il diavolo di Dürer, si oppone alla pervasività del potere e all'arrivo della morte, facendo uso di intelligenza e ironia.
Il protagonista ha molti punti di contatto con Sciascia, anch'egli negli ultimi anni straziato da un  tumore: il fumo di sigaretta, il caffè forte, la bellezza e l'intelligenza delle donne, i libri, le incisioni, il pensiero.
Ne Il cavaliere e la morte Sciascia svela finalmente le sue paure, le sue emozioni e i suoi desideri, che in altre opere aveva schermato.
Una storia semplice
Il console Roccella, alla ricerca di vecchie lettere di Pirandello, si reca nella sua vecchia casa di campagna e non la trova disabitata. Avverte di ciò la polizia e il giorno dopo viene ritrovato morto. Ma non si tratta di suicidio. La sua abitazione era diventata un deposito di droga. Il brigadiere Lagandara scopre che l'assassino è il commissario. Ne segue fra i due un conflitto a fuoco, fatto poi passare per un incidente, in cui però il commissario ha la peggio.
Un romanzo sulla corruzione e gli intrecci illeciti che coinvolgono e minano le istituzioni stesse, in primo luogo la giustizia, anche nei suoi gangli periferici.
Altro tema importante è quello della malattia (il vecchio professor Franzò è in dialisi).
Bibliografia:
C. Ambroise, Invito alla lettura di Sciascia, Mursia, Milano 1988
N. Fano, Come leggere Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia, Mursia, Milano 1993
M. Onofri, Storia di Sciascia, Laterza, Bari 1994
G. Traina, Leonardo Sciascia, Bruno Mondadori, Milano, 1999

Italo CALVINO

La vita
Nasce nel 1923 a Santiago de Las Vegas (Cuba). I genitori sono italiani: il padre è ligure e di professione fa l'agronomo: dirige stazioni sperimentali agronomiche prima in Messico poi a Cuba; la madre, sarda, è botanica. Calvino studia a San Remo e a Torino, partecipa alla Resistenza, si laurea frettolosamente in Lettere. Nel 1947 viene assunto dalla casa editrice Einaudi, dove conosce Cesare Pavese, che recensirà positivamente il suo primo romanzo. Si iscrive al Partito Comunista, che abbandona nel 1957, in seguito all'invasione delle truppe sovietiche in Ungheria, collabora all'Unità e a altri giornali. Intanto pubblica, grazie all'interessamento di Vittorini, i suoi primi racconti sul Politecnico. Nel 1959 fonda con Vittorini la rivista Il Menabò. Nel 1964 va a vivere a Parigi, in cui rimarrà sino al 1980, quando rientra a Roma. Nel 1965 si sposa con una traduttrice argentina di origine russa. Nel 1965 nasce la figlia Abigail. Grande viaggiatore, Calvino si reca negli Stati Uniti, in Giappone, in Messico, in Israele, in Iran. La sua rimane comunque una biografia essenzialmente intellettuale, povera di fragorosi accadimenti.
Muore a Siena nel 1985, in seguito ad emorragia cerebrale.
Opere
Il sentiero dei nidi di ragno (1947); Ultimo viene il corvo (1949); Il visconte dimezzato (1952); Il barone rampante (1957); Il cavaliere inesistente (1959); Fiabe italiane (1956); Marcovaldo ovvero le stagioni in città (1963); La giornata di uno scrutatore (1963); Le cosmicomiche (1965); Ti con zero (1967); Le città invisibili (1972); Il castello dei destini incrociati (1973); Se una notte d'inverno un viaggiatore (1979); Palomar (1983); Una pietra sopra (saggistica, 1980); Lezioni americane (postumo, saggistica, 1988); Perché leggere i classici (postumo, saggistica, 1991)
Il sentiero dei nidi di ragno
A differenza dei neorealisti, qui un argomento grave come quello della Resistenza, viene trattato dall'angolo di visuale di un bambino, Pin. La mentalità infantile, caratterizzata da curiosità e stupore, conferisce al libro un'aurea avventurosa e fantastica, quasi magica.
Il visconte dimezzato
Una cannonata, sferrata dai Turchi, ha diviso in due il visconte Medardo di Terralba. Una metà è buona, l'altra cattiva, entrambe si rendono insopportabili e solo ricostituendosi potranno riconquistare l'armonia  perduta. In altre parole, l'individuo alienato può ritrovare il suo equilibrio soltanto tornando a essere un "impasto di vizi e di virtù".
Il barone rampante
Per sottrarsi alla rigida autorità della famiglia, il giovane barone Cosimo Piovasco di Rondò, va a vivere (e soprattutto a leggere) sugli alberi, osservando da questa nuova prospettiva le vicende umane.
Il cavaliere inesistente
Il paladino di Carlo Magno, Agilulfo, si manifesta soltanto attraverso la sua armatura e senza di essa non esiste. Finito a pezzi, lascia la sua armatura a un giovane nobile, Rambaldo. Nel racconto l'autore sembra suggerirci l'alienazione dell'individuo rinchiuso nel proprio ruolo sociale
Questi tre romanzi brevi (Il visconte dimezzato, Il barone rampante e Il cavaliere inesistente), che si rifanno a un genere letterario illustre, il racconto filosofico,  costituiscono la trilogia de I nostri Antenati, in cui Calvino compie un'allegoria della condizione dell'uomo contemporaneo. Lo stile è agile e leggero e rievoca un po' quello dell'Ariosto, sempre in equilibrio fra contenuto e forma, fra ragione e fantasia.
Fiabe italiane
Frutto di un lavoro meticoloso e paziente, si tratta di una meravigliosa raccolta delle principali fiabe della tradizione italiana.
La giornata di uno scrutatore
Partendo da fatti minimi, dall'esperienza di uno scrutatore in una sezione elettorale presso il Cottolengo, Calvino compie, attraverso il protagonista del libro, una riflessione su alcuni importanti temi dell'esistenza umana.
Le cosmicomiche
Qui Calvino si cimenta col genere letterario della fantascienza. Tratta diverse discipline: l'astronomia, la microbiologia, la cibernetica. Protagonista è uno strano essere, Qfwfq, forse uomo forse no, la cui esistenza è lunga quanto quella dell'universo. Qfwfq sostiene di avere assistito alla nascita del cosmo e alla sua evoluzione, formulando su di esse numerose ipotesi contraddittorie. Lo stile è sospeso tra precisione razionale e umorismo.
Ti con zero
Ricompare, in alcuni racconti, Qfwfq. Qui le discipline trattate sono la genetica e la fisica quantistica. Lo stile si uniforma ai procedimenti logici della scienza e alle dimostrazioni matematiche.
Le città invisibili
Riflessione sul mondo contemporaneo compiuta dalla prospettiva storica della Cina di Marco Polo, all'epoca del Gran Kahn. Si tratta di una serie di resoconti, compiuti dallo stesso Marco Polo, su città invisibili a quell'imperatore, che non può e non vuole visitarle. I vizi delle persone che le abitano sono gli stessi degli uomini di oggi. Le città descritte sono suggestive e straordinarie, gli scenari strani e favolosi. Implicita nel libro una critica alle aberranti e ipertecnologiche metropoli contemporanee, nemiche dello spirito, mostruose e invivibili.
Se una notte d'inverno un viaggiatore
Si tratta di un antiromanzo che manifesta la grande attenzione di Calvino verso la teoria letteraria più aggiornata. Tratta del rapporto fra libro e lettore, fra lettore e autore e sulla funzione della letteratura. Il Lettore non riesce a venire a capo di un libro di Calvino, male impaginato, che contiene gli inizi di dieci romanzi, che vanno dal genere realistico al poliziesco, dall'erotico al sentimentale e all'esotico. Va dal Libraio a protestare e qui conosce la Lettrice. Qui discutono delle loro preferenze letterarie, si innamorano e si sposano.
Palomar
Ventisette racconti disposti seconda una sequenza geometrica. Un libro che Calvino stesso definisce autobiografico. Solitario e taciturno, Palomar si pone infinite domande sui fenomeni che osserva, arrivando spesso a conclusioni contraddittorie. Il libro manifesta lo smarrimento dell'uomo e dell'autore di fronte al mistero dell'esistenza umana.
Conclusioni
La personalità letteraria di Calvino è a tutto tondo: egli non si è occupato soltanto della stesura delle sue opere narrative, ma si è distinto nel campo della critica letteraria e in qualità di organizzatore di cultura. Nella sua produzione letteraria, in cui pure trovano impiego i più svariati registri, dominano la razionalità e la riflessione sulla storia, il gioco intellettuale e il divertimento fantastico. La razionalità è una sfida che egli lancia al caos, al disordine e all'irrazionalità dell'esistenza. In Calvino la ragione è un grimaldello che gli consente di non venire mai meno alla convinzione di poter sciogliere i nodi, costituiti dai dubbi e dalle contraddizioni che lo tormentano e di giungere alla verità. Concorrono tuttavia a temperare  e ammorbidire il rigore dell'analisi razionale di Calvino, qualità come l'ironia, la leggerezza e il rifiuto di ogni dogmatismo. Lo stile è costantemente limpido e elegante, il linguaggio chiaro ed esatto.
Bibliografia
Asor Rosa, A. Stile Calvino. Cinque studi. Torino, Einaudi, 2001
Bertone G. Italo Calvino. Il castello della scrittura. Torino, Einaudi, 1994
Bonura, G. Invito alla lettura di Calvino. Milano, Mursia, 1999
Mariani, C (a cura di). La letteratura italiana (CD-ROM), Gruppo Editoriale L'Espresso, 2003

Primo LEVI
La vita
Di origini ebree, nasce a Torino il 31 luglio 1919. Il padre, Cesare, è un ingegnere elettronico, curioso di tutte le novità. La madre, Ester Luzzati, che ha diciassette anni meno del marito, discende da una famiglia di agiati mercanti.
Nel 1921 nasce Anna Maria, la sorella, cui lo scrittore resterà legato per tutta la vita.
Nell'infanzia, Primo è cagionevole di salute; per tale motivo termina le scuole elementari privatamente. Frequenta più tardi il ginnasio-liceo Massimo d'Azeglio. Coltiva un vivo interesse per le scienze e per la montagna. Ha difficoltà in italiano, materia nella quale verrà infatti rimandato. All'università si iscrive a Chimica, in cui si laurea col massimo dei voti e la lode.
Nel 1942, vinto da un tumore, muore il padre Cesare. Per sopravvenute difficoltà economiche Primo si trova un lavoro, dapprima in una cava d'amianto, poi, a Milano, presso un'azienda farmaceutica svizzera. Caduto il fascismo, ha contatti con la Resistenza; fatto prigioniero, viene deportato, nel febbraio del 1944, nel lager nazista di Auschwitz.. Ne uscirà, profondamente segnato dall'esperienza, raggiungendo casa nell'ottobre del 1945.
Trova impiego in una fabbrica di vernici vicino Torino. Scrive. Nel 1947 sposa Lucia Morpurgo. L'anno dopo nasce la figlia Lisa Lorenza. Nel 1957 nasce il figlio Renzo
Lo scrittore muore suicida, gettandosi nella tromba delle scale, in seguito a una depressione l'11 aprile 1987.
Opere
Se questo è un uomo (1947); La tregua (1963); Storie naturali (1966); Il sistema periodico (1975); La chiave a stella (1978); La ricerca delle radici (antologia - 1981); Se non ora quando? (1982); L'altrui mestiere (1985); Racconti e saggi (1986); I sommersi e i salvati (1986); Osteria di Brema (raccolta di poesie - 1975); Ad ora incerta (raccolta di poesie - 1984); Conversazioni e interviste 1963-1987 (postumo - 1997)
Se questo è un uomo
Testimonianza, strutturata in diciassette capitoli, della propria reclusione in un lager nazista. La narrazione si snoda per episodi che non tengono strettamente conto di un ordine cronologico, ma rispondono alla necessità dell'autore di liberazione interiore, di rispondere a un impulso immediato e violento, di elaborare la propria angoscia di fronte all'orrore dei lager. Gli episodi vengono raccontati così come premono sulla memoria. La pubblicazione segue una tortuosa vicenda: il romanzo non verrà inizialmente pubblicato da Einaudi, perché respinto da Cesare Pavese e Natalia Ginzburg
La chiave a stella
Uno dei pochi romanzi che tratta il tema del lavoro, delle gratificazioni che può fornire il lavoro manuale. Romanzo che riscuote molti consensi, apprezzato in Francia anche da Claude Levi-Strauss. Vi si raccontano la vita e le vicende dell'operaio specializzato Tino Faussone, montatore di tralicci e ponti di ferro. Strutturato in capitoli-racconto come le prove narrative precedenti, il romanzo si segnala per la novità del linguaggio utilizzato: un italiano intessuto di piemontesismi.
La ricerca delle radici
Antologia personale degli autori che Levi considera fondamentali per la sua formazione. Trenta i brani contenuti: Il libro di Giobbe, Omero, C. Darwin, W. Bragg, J. H. Rosny, G. Parini, C.Porta, J. Swift, J. Conrad, L. Gattermann, F. Rabelais, T. Mann, R. Vercel, H. Melville, A. de Saint-Exupery, Marco Polo, T. Lucrezio Caro, I. Babel, S. Alechem, G. G. Belli, B. Russell, F. Brown, il testo della ASTM, S. D'Arrigo, A. C. Clarke, T. S. Eliot, P. Celan, M. Rigoni Stern, H. Langbein, K. S. Thorne. "La qualità principale del Levi antologista", scriverà Calvino in una recensione del libro su Repubblica apparsa l'undici giugno del 1981, "è quella di stabilire relazioni tra i testi più eterogenei".
L'altrui mestiere
Dopo lo strepitoso successo di Se questo è un uomo, rimane appiccicata addosso a Levi l'etichetta di scrittore-testimone degli orrori nazisti. Invece Levi è scrittore poliedrico, ha una solida cultura scientifica ed è curioso degli aspetti culturali, economici, lavorativi, tecnologici del mondo che lo circonda, spaziando anche in campi in apparenza distanti dalla sua professione di scrittore e di chimico. Le prose de L'altrui mestiere, cinquantun elzeviri già pubblicati su La  Stampa dal 1976 al 1984, danno piacevolmente e convincentemente al lettore la misura della complessità e della modernità della personalità di Primo Levi.
I sommersi e i salvati
Il titolo riprende un capitolo di Se questo è un uomo. Si tratta di un'opera amara, di un testamento spirituale, di un saggio storico, in cui Levi indaga i rapporti che intercorrono tra oppressi e oppressori. Soprattutto si sofferma su quella cosiddetta "zona grigia", di coloro, personalità gregarie, che, per ottenere vantaggi e privilegi, collaborano col potere opprimente. Le riflessioni di Levi giungono a conclusioni di un pessimismo e di un realismo assoluti, che nulla concedono all'ottimismo della ragione progressista. Il lager costituisce per Levi il prototipo delle organizzazioni umane, delle relazioni che gli uomini intrattengono pubblicamente fra di loro. La memoria dell'orrore nazista è destinata ad affievolirsi col passare delle generazioni, preparando la strada a mille altri nazismi. Nella desolazione della condizione umana soltanto la cultura può rappresentare, pur in presenza di situazioni estreme, un'esile, ma benefica ancora di salvezza.
Bibliografia
Bianchini, E. Invito alla lettura di Primo Levi. Milano, Mursia, 2000

 

Alberto MORAVIA

La vita
Alberto Pincherle (Moravia è uno pseudonimo) nasce a Roma il 28 novembre 1907, in un'agiata famiglia borghese. Il padre Carlo fa l'architetto e il pittore, la madre è una De Marsanich, originaria di Ancona.
L'infanzia di Moravia trascorre tranquilla fino ai nove anni, quando si ammala di una grave forma di tubercolosi ossea, che lo costringerà a più riprese all'immobilità fino ai 17 anni.
Moravia è costretto a compiere studi irregolari, ma legge moltissimo e si impegna in una prodigiosa impresa di autoanalisi.
Non ancora ventenne inizia la stesura de Gli indifferenti.
Nel 1930, per motivi giornalistici, inizia a viaggiare: Londra, Parigi, New York; nel 1936 si reca in Cina.
Nel 1941 sposa la scrittrice Elsa Morante, che allora si guadagnava da vivere compilando tesi di laurea. Dopo la fine del fascismo e la Liberazione, Moravia, dopo anni di stenti economici, inizia a collaborare a quotidiani e periodici (Il Mondo, il Corriere della Sera, L'Europeo), mentre le sue opere narrative ottengono successo. Nel 1952 i suoi libri sono messi all'indice dal Sant'Uffizio. 
Gli anni Sessanta vedono la crisi dei rapporti tra Moravia e la Morante. Lo scrittore conosce Dacia Maraini, che proprio in quegli anni si affaccia alla vita letteraria. Continua intanto la sua infaticabile attività di viaggiatore e scrive con regolarità romanzi, racconti, recensioni cinematografiche e cronache di viaggio, rimanendo un personaggio di primo piano della letteratura europea.
Muore nel 1990.
Opere
Gli indifferenti (1929); Le ambizioni sbagliate (1935); Agostino (1944); La romana (1947); La disubbidienza (1948); L'amore coniugale e altri racconti (1949); Il conformista (1951); Il disprezzo (1954); Racconti romani (1954); La ciociara (1957); La noia (1960); L'attenzione (1965); Io e lui (1971); Boh (1976); La vita interiore (1978); La cosa (1983); L'uomo che guarda (1985); Viaggio a Roma (1988); La donna leopardo (postumo, 1991); L'uomo come fine e altri saggi (saggistica, 1963); Impegno controvoglia (saggistica, 1981)
Gli indifferenti
Leo è ormai annoiato della relazione che ha con Mariagrazia e, per trovare un diversivo, corteggia Carla, la giovane figlia di lei che accetta senza entusiasmo le premure dell'uomo. Più di Carla, il fratello Michele è disgustato dal menage familiare: disprezza Leo per la sua scoperta natura di affarista e di dongiovanni ed è irritato dalla ambigua condotta della madre. Ma nonostante ciò accetta le cose come stanno, è troppo inetto per prendere una qualsiasi decisione. Michele si comporta inoltre senza determinatezza anche nei riguardi di Lisa, la precedente amica di Leo che ora è attratta da lui: più che corteggiarla si lascia corteggiare da lei. Proprio Lisa cerca di svegliarlo dal suo torpore morale quando lo mette al corrente della nuova relazione tra Leo e Carla: e così Michele prende finalmente una decisione ed affronta Leo. Ma dall'arma che dovrebbe servirgli per lavare l'onta della famiglia non parte il colpo, perché si è dimenticato di caricarla. Fallita questa velleità di rivalsa morale tutto precipita di nuovo nella corruzione.
Leo sposa Carla imbrogliando anche economicamente Mariagrazia, Michele accetta tutto, anche di diventare socio in affari del cognato. (S. Guglielmino)
L'"indifferenza" si manifesta nel romanzo come inerzia morale, incapacità di vivere, superficialità, annientamento e disfatta.
L'opera costituisce un'acre critica della società borghese in un periodo di transizione.
Agostino
Agostino è un tredicenne, appartenente a una borghesia agiata, che vive un rapporto di pacificata simbiosi con la madre, che rappresenta per lui il mondo e la sicurezza.
Improvvisamente, durante una vacanza al mare, compare un giovane che viene a turbare la loro armoniosa convivenza. La madre trascura Agostino per la sua nuova conoscenza e il ragazzo comincia a vederla sotto una luce diversa. Facilita il suo distacco dalla madre l'incontro di un gruppo di ragazzi del popolo, che fanno prendere coscienza ad Agostino delle radici naturali e sessuali della vita.
La disubbidienza
Romanzo a tesi sull'alienazione dell'uomo contemporaneo.
Il protagonista, Luca, odia la sua condizione borghese e perciò inizia una sua personale ribellione contro tutti gli agi  e le ricchezze di cui dispone. Egli rifiuta la vita se questa coincide con i feticci della borghesia.
L'amore coniugale
Nel tranquillo menage tra lo scrittore Silvio Badeschi e la moglie Leda si inserisce Antonio, un barbiere siciliano. Antonio conduce Leda a liberare la sua natura istintuale, mentre Silvio prende coscienza del suo fallimento e del suo velleitarismo sia come uomo che come scrittore.
La noia
Un pittore trentenne, Dino, legato da un rapporto di dipendenza economica e affettiva dalla ricca madre, si innamora di una modella, Cecilia, già legata al pittore Balestreri. Quando questi muore, Cecilia diventa l'amante di Dino, che attraverso il rapporto sessuale con lei cerca una comprensione più autentica e piena della realtà.
Ma Cecilia è sfuggente, inafferrabile; Dino la tenta  col denaro, ma lei si lega a un attore disoccupato, un certo Luciani. Dino, allora, tenta il suicidio, mascherato da incidente automobilistico, ma quando si riprende, dopo essere stato vicino alla morte, è un'altra persona, rasserenata e rassegnata alla propria impotenza: "Cecilia, ossia la realtà" non può essere posseduta, non può essere capita, ma solo contemplata.
Dino è dunque minato nello spirito da una forma di alienazione, ossia da un sentimento di abulia, di inerzia spirituale, di annebbiamento che gli deriva dalla propria incapacità a misurarsi con la nuova realtà rappresentata dal neocapitalismo.
"Ancora una volta, purtroppo", scrive Giancarlo Pandini, "Moravia ha palesato, ne La noia, la sua difficoltà a trasfondere un assunto culturale o ideologico in viva narrazione: la artificiosità delle situazioni, l'aridità assai spesso ingiustificata, dei suoi personaggi, l'improbabile macchinosità delle situazioni testimoniano che il suo ambizioso tentativo di interpretare alcuni degli aspetti della vita contemporanea tende a farsi vano".
Conclusioni
La narrativa di Moravia è espressione della crisi di valori di un secolo, dell'assurdo contro cui vanno a cozzare i tentativi di autenticità.
Una vena antiborghese connota i romanzi dello scrittore romano, che ritraggono  spesso una borghesia la quale conduce una vita inautentica, aderendo a falsi miti e convincimenti, puramente esteriori e conformistici: il denaro, il potere, il successo, la rispettabilità.
Il fallimento dell'uomo si manifesta nel primo romanzo come "indifferenza", per assumere più tardi i contorni della "noia". Quella che è espressa è sempre l'impossibilità di vivere in un universo di valori, che non si riconosce più proprio.
"Il tema dell'alienazione", - scrive Pandini-, "nelle sue varie schematizzazioni di "indifferenza", "disubbidienza", "conformismo", "disprezzo", "attenzione", diverrà, nel personaggio di Dino , più scopertamente "noia"".
Il sesso è una costante della narrativa di Moravia, un sesso esplicito, talvolta monotono, talaltra eccitante.
Bibliografia
Pandini, G. Invito alla lettura di Moravia. Milano, Mursia, 1973
Benussi, C. Il punto su Moravia. Bari, Laterza, 1987
Galateria, M. M. Come leggere Gli indifferenti di Alberto Moravia. Milano, Mursia, 1986
Manica, R. Moravia. Torino, Einaudi, 2004

Ignazio SILONE

La vita
Pseudonimo di Ignazio Tranquilli, Silone nacque a Pescina dei Marsi, in provincia de L'Aquila, l'1-5-1900. Figlio di una tessitrice e di un piccolo proprietario terriero, rimase orfano all'età di 14 anni. Interrotti gli studi liceali, prese parte attiva alle lotte contro la guerra e al movimento operaio rivoluzionario. Venne processato e imprigionato, divenne segretario dei giovani socialisti. Si oppose al fascismo fin dalle origini, fu direttore de L'Avanguardia (organo della gioventù socialista) e redattore de Il Lavoratore di Trieste. Dopo le leggi eccezionali divenne attivista clandestino accanto a Gramsci. Nel 1930, ricercato, riparò in Svizzera. A quell'anno risale la rottura col movimento comunista, caduto sotto la tirannia staliniana. In seguito venne espulso dalla Francia e dalla Svizzera e solo nel dopoguerra ha potuto recarsi in Inghilterra e negli USA.
Muore colpito da ictus cerebri, dopo una lunga serie di malattie, in una clinica di Ginevra il 18 agosto 1978.
La biografia di Silone riveste una notevole importanza. Per sua stessa ammissione le sue opere attingono a piene mani alle esperienze personali.
Le opere
Fontamara (1933); Vino e pane (1936); La scuola dei dittatori (1938); Il seme sotto la neve (1941); Una manciata di more (1952); Il segreto di Luca (1956); La volpe e le camelie (1960); Uscita di sicurezza (saggistica, 1965); L'avventura di un povero cristiano (1968); Severina (postumo, 1981)
Fontamara
Intreccio
Fontamara è un luogo della mente, un paese della Marsica inventato, sulla scorta delle esperienze e dei ricordi infantili di Silone. 
La vicenda si svolge nei primi anni della dittatura fascista, che ormai incide sulla vita nazionale anche in quelle che sono le sue zone più periferiche. Il romanzo racconta la storia della violenza che i fontamaresi devono subire da parte di un Impresario, che ha dalla sua parte le autorità fasciste, essendo lui stesso diventato podestà del comune.
L'Impresario s'impadronisce con un raggiro delle acque di un ruscello con le quali i fontamaresi irrigano le loro terre e abbeverano il loro bestiame.
Quando i fontamaresi levano le loro voci di protesta, saranno di nuovo raggirati da lui, con la complicità dell'ex-sindaco, l'avvocato Don Circostanza, tipica espressione del clientelismo liberale del Sud. 
Berardo Viola, conscio che l'ignoranza dei cafoni non può nulla contro chi gestisce il potere, si pone a capo dei contadini e piuttosto che discutere consiglia l'azione diretta contro i beni dell'Impresario.
Militi, inviati dal podestà, saccheggiano il paese, violentano una donna, quindi schedano i paesani come sovversivi. Il furto dell'acqua mediante l'inganno, fa sì che nell'estate successiva i campi dei fontamaresi si inaridiscano. Berardo, innamoratosi di Elvira e deciso a togliersi dai pericoli che comporta la lite dei contadini con l'Impresario, emigra a Roma per trovare lavoro. Ma non lo trova, perché sprovvisto dei necessari documenti. Scambiati per sovversivi, Berardo e il suo compagno vengono rinchiusi in carcere. Qui il giovane muore per le sevizie ricevute.
Nel frattempo, a Fontamara i veri sovversivi offrono ai cafoni i mezzi per stampare e diffondere un giornale. I militi intervengono nuovamente, soffocando nel sangue la ribellione. Il sacrificio dei contadini non sarà inutile perchè contribuirà a far nascere una coscienza di classe contro l'oppressore.
Critica 
Fontamara è forse il romanzo italiano del Novecento più tradotto all'estero. Scrivere per Silone è continuare a combattere quelle cose contro cui ha sempre lottato, in un modo diverso rispetto all'attività politica. Il romanzo rappresenta, dunque, l'eterna lotta fra contadini e oppressori.
Emerge nel racconto una problematica sociale, rappresentata dallo sfruttamento dell'ignoranza dei cafoni. Ai contadini manca una coscienza di classe. La figura dell'Impresario rappresenta la traduzione della visione marxista del capitalista-fascista. Per Silone il fascismo ha origine dal capitalismo. Lo scrittore abruzzese denuncia la misera situazione delle plebi meridionali che il fascismo, negatore di libertà, ha aggravato. Diventa una delle voci più autorevoli che si occupano della cosiddetta "questione meridionale".
Attraverso il personaggio di Berardo Viola, Silone sembra indicare la necessità che alcuni stimolino l'azione, soprattutto alcuni intellettuali, per smuovere la  coscienza politica dei cafoni. Sotto il fascismo, le loro condizioni economiche, morali, civili sono peggiorate ulteriormente. Le cause dello stato di oppressione dei contadini vanno ricercate nell'ignoranza favorita da una struttura sociale ancora feudale, la terra poco fertile, la necessità di lavorare duramente e la conseguente impossibilità di studiare.
Berardo acquisisce una coscienza di classe durante la permanenza in carcere con un "sovversivo".
Vino e pane
Il problema politico prevale su quello sociale. 
Il protagonista è Pietro Spina, benestante e privilegiato (studi in collegio). Malato e braccato dalla polizia, rientra nel proprio paese, Pietrasecca. Travestito da prete, cambia il proprio nome in Paolo Spada. Presto Pietro entrerà in collisione anche col proprio partito, reo di imporre ai militanti la rinuncia allo spirito critico. 
Ci sono nel romanzo evidenti riferimenti autobiografici. Quando Pietro diventa prete, si pone problemi che mai si era posto, un po' come Silone dal ritorno dal viaggio in Russia.
Pietro Spina è ideologicamente convinto di mettersi al servizio del popolo. Ma entra in crisi rispetto all'organizzazione di cui fa parte (crisi dell'individuo rispetto all'organizzazione). Avverte l'impossibilità di conciliare le proprie convinzioni con quelle dell'organizzazione. Il momento che nel romanzo evidenzia questa crisi è l'incontro con l'amico a Roma.
Vino e pane è il secondo romanzo scritto da Silone. È il libro che lo legittima come scrittore, che lo consacra come narratore. Divine un best-seller negli Stati Uniti. Rispetto a Fontamara, Vino e pane rappresenta l'angoscia dell'intellettuale di sinistra alle prese con una realtà refrattaria alle sue teorie. Egli, tuttavia, non sarà vittima della propria crisi: la sua opposizione alla dittatura resterà assoluta e inconciliabile. La sua resistenza, non più sorretta da teorie pseudoscientifiche, troverà alimento in quella che lo stesso Silone chiamerà più tardi la riscoperta dell'eredità cristiana.
Il protagonista di Vino e pane, Pietro Spina, è un tipo di rivoluzionario inconfondibile nella letteratura contemporanea. La differenza fra lui e gli altri ribelli immaginati da autori della medesima epoca consiste nel fatto che quelli sono abitualmente descritti nell'esecuzione di atti temerari, mentre Spina, a causa della delazione e della malattia, è costretto all'inattività.
La rivolta di Spina è un fatto interiore. Fino a che punto la vicenda di Pietro Spina rispecchi, pur nei limiti della finzione letteraria, l'esperienza e i problemi dell'autore coi loro contrasti, può essere arguito da altri suoi scritti più direttamente autobiografici, in particolare da Uscita di sicurezza.
In Vino e pane, Silone precorre di una trentina d'anni il dibattito ideologico che poi si svilupperà in Italia. Alcune sue critiche alla Chiesa saranno fatte proprie dai gruppi cattolici del dissenso.
Come gli altri libri scritti in esilio, anche questo romanzo fu pubblicato dapprima in edizione tedesca, a Zurigo, nel 1936. In Italia il romanzo di Silone venne immediatamente bollato dalla stampa fascista come una codarda diffamazione del popolo italiano.
La scuola dei dittatori
Al suo apparire in USA e in Inghilterra venne consacrato come un classico della democrazia. 
Dialogo fra un aspirante dittatore, Mr. Doppio vu, il prof. Pickup, suo ideologo personale e Tommaso il Cinico, un esiliato la cui personale vicenda ha reso esperto di dittature. 
Il libro si presenta come una sorta di manuale di storia e tecnica della dittatura.
Il seme sotto la neve 
Si tratta del romanzo più complesso di Silone. Prolisso, tortuoso, ricco di digressioni e di colpi di scena, sublime e banale, il romanzo esprime compiutamente il pensiero di riformatore sociale del suo autore, che aspira a un cristianesimo laico, a un socialismo cristiano, fondato sull'amicizia, il disprezzo della ricchezza e il rifiuto del potere. 
Il romanzo riprende le vicende di Vino e pane. Protagonista è Pietro Spina, rivoluzionario senza partito e santo senza Dio, che non accetta né i valori tradizionali del passato, incarnati dalla nonna donna Maria Vincenza, né la società basata sul denaro, l'oppressione e la corruzione del presente. Fonda perciò una comunità, basata sull'amicizia e la povertà. Con lui, un gruppo eterogeneo di outsider: Simone-la-faina, un benestante che si è spogliato dei suoi beni, Infante, un sordomuto senza parenti, don Severino e donna Faustina, cui in paese hanno affibbiato l'etichetta di donna facile.
I nostri intendono condurre un'esistenza, la più semplice ed elementare, tuttavia l'epilogo della vicenda è drammatico: Infante si macchia dell'omicidio del padre tornato dall'America e Pietro si autoaccusa del delitto, consegnandosi ai carabinieri.
Il romanzo sembra esprimere la disperazione dell'autore circa un possibile riscatto dei cafoni.
Una manciata di more
Si tratta di uno dei romanzi di Silone meglio riusciti. Assume l'andamento di una parabola evangelica. Rocco de Donatis, reduce dalla lotta partigiana, fa il funzionario del Partito Comunista. Entra però presto in contrasto con le gerarchie, che gli pare antepongano le ragioni del potere a quelle della giustizia. Lascia perciò il partito per divenire il punto di riferimento dei contadini più poveri. Insieme alla fidanzata, Stella, a don Nicola e ad altri personaggi persegue un'utopia che tenti di coniugare il comunismo col cristianesimo. 
Anche qui, ma in secondo piano, una denuncia del fascismo e della passività della popolazione nei confronti del regime. I personaggi principali sono, dunque: 

  • Rocco (alter ego dello scrittore), dapprima entusiasta del partito, poi disilluso da un viaggio nell'Unione Sovietica, di cui constata la mancanza di libertà. Ciò determinerà un distacco dal partito; 
  • Stella, legata sentimentalmente a Rocco e quindi anche ideologicamente. Non ha una propria autonomia di pensiero e di giudizio.

Il linguaggio è semplice, ma ha grande efficacia rappresentativa.
Il segreto di Luca 
Si tratta di una storia d'amore, che assume l'andamento di un racconto poliziesco. 
Fanno ritorno al paese Andrea Cipriani, un maestro che ha fatto carriera politica e un amico di suo padre, Luca Sabatini, un ex ergastolano, condannato per un delitto che non ha commesso. 
Sarà lo stesso Andrea a ricostruire la sua storia in nome di una vecchia frequentazione. Luca ha avuto una relazione, platonica, con una donna sposata, Ortensia. Per non compromettere il nome di lei si lascia accusare passivamente di un omicidio. La donna intanto lascia il marito e si ritira in convento. 
Per i paesani, anche per quelli che conoscono la verità, Luca rimane colpevole, in quanto ex-ergastolano. 
In questo libro Silone abbandona l'intransigenza politica in favore di un racconto connotato da un'intransigente passione amorosa.
La volpe e le camelie
E' la prima opera narrativa di Silone a non essere ambientata nell'Italia meridionale, bensì nel Canton Ticino e precisamente nel lembo di terra bagnato dal lago Maggiore, al di là della frontiera italo-svizzera.
In quegli anni (1930-35) la frontiera costituiva una temibile barriera che divideva non solo gli Stati, ma anche gli uomini, gli amici, le famiglie. I personaggi del racconto sono svizzeri e italiani, variamente alle prese con lo spietato ingranaggio del tempo.
La storia di una volpe, che insidia i pollai dei contadini e che per molto tempo sfugge alla loro caccia, s'intreccia, nel corso di tutta la narrazione con la vicenda di altre insidie in cui le parti dei persecutori e dei perseguitati si capovolgono varie volte. 
Un giovane fascista, Cefalù, viene ospitato da un antifascista, Daniele, la cui figlia, la bella e generosa Silvia, si innamora di lui. Cefalù tradisce la fiducia accordatagli, rubando documenti compromettenti. Preso dal senso di colpa, poi, si suiciderà. 
Silone, in questo romanzo, ha saputo sottrarre i suoi personaggi a ogni rigida classificazione in buoni e reprobi. Da questo punto di vista il sentimento più forte che il libro comunica è la pietà. Romanzo non completamente riuscito, ci invita a cercare l'uomo anche nel nemico.
Uscita di sicurezza
Raccolta di scritti autobiografici e testimonianze. 
Silone ripercorre le ragioni che lo hanno fatto aderire al Partito Comunista, fin dal 1921 e quelle che lo indussero ad uscirne, dopo un lungo travaglio interiore, dieci anni dopo. Principalmente, Silone prese coscienza della degenerazione burocratica e autoritaria della società sovietica. I viaggi che compì in URSS lo convinsero della "mostruosa ambiguità del comunismo".
Tormentato. inquieto, Silone sembra trovare un'ancora di salvezza nei valori propugnati dall'eredità cristiana.
L'avventura di un povero cristiano 
Ripercorre la storia di Celestino V, al secolo Pietro da Morrone, che dopo tre mesi di papato abdicò in favore del Cardinal Caetani, che prenderà il nome di Bonifacio VIII. 
Si scontrano due tipi di concezioni "religiose": da una parte che sta con gli umili, i semplici, la carità e l'amore per il prossimo; dall'altra chi sceglie la gloria, il potere, la ricchezza. 
Silone sta totalmente dalla parte di Celestino V e della povertà evangelica.
Conclusioni. Silone è uno scrittore di grandi capacità satiriche, alla Grosz, alla Bosch, nel dipingere i ricchi borghesi, gli oppressori degli umili, i voraci dominatori del mondo. Si mostra in grado di scrivere pagine di ilare comicità (come ad esempio in Fontamara, ma non solo), richiamandosi alla tradizione della farsa, della burla, su su fino alla fabula atellana e a Plauto.
Si mette in rotta di collisione con le due Chiese più potenti del mondo contemporaneo: quella cattolica e quella comunista e questo determinerà l'ostracismo della critica letteraria nostrana alle sue opere.
Per Silone, la burocratizzazione e le gerarchie soffocano ogni nuova idea, impongono l'atrofizzazione dello spirito critico. 
Come rimedio egli propugna una conciliazione anarchica fra gli ideali marxisti e quelli cristiani.
Apprezzato da intellettuali di tutto il mondo, scrittore dallo stile scabro e semplice, alfiere della lotta dei diseredati per la libertà,  Silone si è visto rimproverare dalla critica un certo moralismo, lo stile informe, la prolissità e il velleitarismo ideologico.
Bibliografia
Annoni, C. Invito alla lettura di Silone. Milano, Mursia, 1979

Elio VITTORINI

La vita
Nasce a Siracusa il 23 luglio 1908. Interrompe gli studi tecnici; ha una giovinezza ricca di esperienze, - fra l'altro fa il contabile e il vigilante in una ditta di costruzioni -, che si differenziano da quelle tipiche del letterato italiano. In seguito, nel 1927, viene in contatto col gruppo di Solaria ed è su Solaria che appare la pubblicazione a puntate de Il garofano rosso, interrotta dalla censura. Sposa la sorella del poeta Quasimodo, dalla quale ha un figlio, Giusto. Nel 1939 esce il suo libro più importante: Conversazione in Sicilia. Nel frattempo si dedica alla traduzione dei narratori americani. Partecipa alla Resistenza e si iscrive, nel 1945, al PCI, come "comunista non marxista". Sempre nel 1945 pubblica Uomini e no. Nel 1947 fonda Il Politecnico, nel 1951 abbandona il PCI. Nel 1960 inizia il Menabò (diretto da Italo Calvino). Nel 1961 gli muore il figlio. Vittorini muore a Milano nel 1966.
Le opere
Piccola borghesia (1931); Il garofano rosso (1933-34); Nei Morlacchi - Viaggio in Sardegna (ovvero: Sardegna come un'infanzia) (1936); Conversazione in Sicilia (1938-39); Americana (antologia, 1942); Uomini e no (1945); Il Sempione strizza l'occhio al Frejus (1947); Le donne di Messina (1949); Erica e i suoi fratelli - La garibaldina (1956); Diario in pubblico (saggistica, 1957); Le due tensioni (saggistica, 1967); Le città del mondo (postumo, 1969); Nome e lagrime (postumo, 1972)
Piccola Borghesia
Si tratta di una raccolta di racconti. L'opera gli è ispirata da ragioni letterarie. Si avverte la capacità di tratteggiare i personaggi con tocchi agili. Le caratteristiche essenziali dell'opera sono l'approfondimento della psicologia dei personaggi e il tema dell'amore. I racconti mostrano trame dove "non succede niente". Conta l'interiorità dei personaggi. Si avverte l'influenza di Svevo, mentre manca la problematica politica. Le donne sono caratterizzate tutte dall'amore.
Opera originale, innovativa, aperta alle suggestioni dell'arte europea più avanzata
Il garofano rosso
Romanzo faticoso e forzato dal punto di vista dell'elaborazione per ammissione di  Vittorini stesso. Protagonista è Alessio Mainardi, che matura negli anno del fascismo. Ama di un sentimento platonico Giovanna, una sua compagna di liceo. Un garofano rosso diviene il simbolo del loro amore. 
L'iniziazione sensuale di alessio avviene con Zobeida, una strana prostituta. Sullo sfondo delle vicende personali, gli avvenimenti della storia italiana del tempo.  
Ambientato nei primi anni del fascismo, Vittorini ci descrive le reazioni che suscitò il fascismo presso i giovani, il fascino che esercitò sulle giovani generazioni. Protagonista è un borghese, figlio di proprietari. Oltre a vivere l'esperienza politica, il giovane vive l'esperienza dell'amore. Si profila una difficile scelta fra l'amore puro (Giovanna) e l'amore sensuale (Zobeida).
Viaggio in Sardegna
Trascrizione di impressioni immediate su uomini e paesaggi. Grande forza lirica, capacità di cogliere poeticamente il dato di realtà. Prova di giornalismo raffinato.
Nei Morlacchi
La prosa assume sempre più il carattere di prosa lirica. Capacità di trasfigurazione poetica. Stile surreale, ermetico, frammentario. Esercizio stilistico da apparentare alle prose della Ronda.
Conversazione in Sicilia
Vittorini diceva che non esistevano i libri, ma il libro. In una sola opera si può mettere la sostanza.
Conversazione in Sicilia è "il libro" di Vittorini. Tutte le altre sue opere fanno da corona a questo libro. In Conversazione il fascismo non viene accettato passivamente. Si pone, da subito, per il protagonista, il problema di cercare la chiarezza. Ricerca dell'uomo, tentativo di recuperare l'uomo, il genere umano. Vi è nel libro la necessità di usare l'allegoria. Le allusioni sono comunque evidentissime, tanto che il libro venne sequestrato. Il romanzo mette in evidenza, inoltre, i problemi del Meridione, della Sicilia, dove la questione di fondo è la sopravvivenza. 
Nella seconda parte si cercano i mezzi per operare. Il vino risulta l'ultima risorsa che è lasciata a chi non può essere uomo diversamente.
Conversazione nasce dall'acquisita coscienza che il fascismo controlla la società nazionale e si espande a livello internazionale, ma anche dalla speranza che in qualche modo fosse possibile combatterlo come stava avvenendo in Spagna. Il presente, dominato dal fascismo, è tristezza e dolore, violenza e rassegnazione alla violenza; è impossibilità di vivere, di parlare, di studiare, di scrivere, di ribellarsi.
Vittorini scelse degli interlocutori apparentemente immaginari o comunque di scarso rilievo storico, coi quali fosse possibile una libera conversazione da cui scaturissero indirettamente delle dichiarazioni di antifascismo e scelse anche un terreno libero, favoloso, adatto all'improvvisazione, che rendesse possibile quegli strani discorsi, del tutto inammissibili nella società fascista.
Quindi egli si rivolse a se stesso, alla ricerca dei propri ricordi infantili, seppelliti nella memoria; ecco perché il viaggio si svolge in Sicilia, la terra dell'infanzia, il mondo del passato, della certezza e della speranza.
Ma Conversazione non è un libro di memorie, perché Vittorini, assumendo il nome del protagonista Silvestro, non racconta fatti di sé bambino, ma racconta di un viaggio che l'adulto compie nel mondo dell'infanzia: quindi si ha un personaggio carico di presente (l'adulto Silvestro), che viaggiando ricorda. Perciò presente e passato si fondono e Conversazione nasce dalla memoria e dalla fantasia insieme.
E, siccome Silvestro ha i suoi problemi di adulto, di intellettuale, povero che vive sotto il fascismo, ecco che la problematica politica e sociale compare nel libro come dominante.
Secondo Vittorini-Silvestro, il mondo potrebbe essere abitato felicemente dagli uomini; tuttavia esso è "offeso", perché nella società umana coloro che detengono il potere esercitano una violenza continua sui più deboli. Il contrasto non è dunque fra natura buona e storia, società umana cattive, ma è fra deboli e potenti, fra offesi e violenti.
La filosofia di Vittorini considera politici i problemi storico-sociali; tuttavia, quasi privo di studi marxisti, non riesce ad approfondire la dialettica sociale nei suoi termini reali di scontro fra le classi e identifica gli "offesi" con i poveri o con quei pochi intellettuali che hanno coscienza della violenza che governa il mondo.
Si può suddividere il romanzo in cinque parti: 

  • Vengono affrontatati  i temi dell'angoscia personale, della povertà e dei nuovi doveri da compiere.
  • Ricchissima di ricordi infantili, può forse rappresentare la certezza e la felicità della vita libera.
  • Scoperta della malattia e della morte.
  • Discussione politica sui rimedi da usare per combattere l'offesa.
  • Dovere dello scrittore di rivelare la verità sulla storia e sulla sofferenza degli offesi.

I furori esprimono la rabbia in corpo all'autore per le ingiustizie del mondo che sembrano irrimediabili; sono furori astratti perché non si legano a un piano d'azione concreto; non eroici, perché non ispirano gesti di rivolta, ma arrecano invece abbattimento e prostrazione.
Altro tema importante è quello dell'America, che rappresenta il mito del paese felice; esso sta in fondo alla fantasia di ogni siciliano povero, un lume di speranza in una vita disperata; un barlume di speranza che permette ai braccianti di non perdersi, di non passare dalla parte di quelli, che per procurarsi il cibo offendono il mondo.
Conversazione rappresenta un'esaltazione delle qualità positive dell'uomo.
L'opposizione al fascismo negli anni Trenta sono deboli, disarmate, con poche possibilità di vittoria: Silvestro ha un temperino, Ezechiele un punteruolo, Porfirio mezzo paio di forbici. Il rimedio proposto da Porfirio è L'"acqua viva", cioè una teoria capace di spiegare agli uomini gli avvenimenti storici e di progettare un mondo nuovo e migliore. Il vino è un simbolo negativo, cioè rappresenta l'illusione nella quale gli oppressi talora si cullano, finendo col dimenticare la loro condizione di miseria. Il vino dà una beatitudine apparente, addormenta ed ubriaca. Esso è tutto ciò che distoglie l'uomo dalla lotta. Il vino è dolce, consola gli uomini delle loro disgrazie: la consolazione è la peggior nemica degli uomini, perché li rende inermi, vale a dire senz'armi.
Uomini e no
La storia è ambientata a Milano nel 1944. Il libro distingue tra uomini e non uomini. C'è nel romanzo la denuncia del fascismo e il riconoscimento del valore morale della Resistenza, ma non c'è solo il messaggio politico Accanto al  tema della Resistenza, il tema dell'amore, un amore che condiziona le scelte politiche. 
Sullo sfondo delle violenze si staglia un dramma privato, quello di Enne 2, un comandante partigiano che vive un'impossibile storia d'amore con una donna sposata, Berta.
Enne 2 nasconde nelle pieghe dell'animo un abbandono nichilistico alla disperazione, che spiega l'irrazionalità di certe sue azioni di combattimento.
Intellettuale borghese, Enne 2 non è soltanto un militante comunista, ma il portatore di una problematica esistenziale individualistica e decadente. 
Il linguaggio impiegato da Vittorini è realistico e nello stesso tempo metaforico, carico di simboli e risente della lezione degli americani, Hemingway e Faulkner. Difficile collocare questo romanzo nell'ambito del neorealismo.
Il Sempione strizza l'occhio al Frejus
Tentativo di mostrare l'ingiustizia sociale, la miseria economica, "il dolore del modo offeso"
Per mantenere il nonno, figura patriarcale, i numerosi componenti di una famiglia devono patire la fame, finche arriva ospite nella casa Muso-di-fumo, un operaio addetto all'asfaltatura delle strade. I due si parlano; tra il vecchio e l'operaio c'è, nei comportamenti e nel modo di intendere la vita, un abisso, così come sono lontani fra loro i passi del Sempione e del Frejus. Il vecchio muta; come un elefante avverte che la sua fine è vicina. Si allontana da casa per non farne più ritorno. 
Nel romanzo la realtà si mischia alla metafisica.
Il Politecnico
Rivista fondata da Vittorini, uscì nel settembre del 1945. Il Politecnico apre molte questioni. Per Vittorini la cultura precedente è consolatoria. Egli auspica, invece, una cultura che aiuti gli uomini a risolvere i problemi. Durante il periodo in cui Vittorini collaborò al Politecnico, ci fu il celebre scontro fra lo scrittore e la dirigenza del PCI. Vittorini affermò di non voler suonare il piffero della rivoluzione.
Antologia americana
Costituisce un importante tentativo di sprovincializzare la cultura italiana.
Bibliografia
Briosi, S. Invito alla lettura di Vittorini. Milano, Mursia, 1978

selezione   da   http://www.interruzioni.com/ di valentino sossella

 

 

Fonte: http://www.mlbianchi.altervista.org/appunti_sul_900.doc

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